Alfredo de Palchi POESIE INEDITE da  “NIHIL” sezione “Ombre II”  (2008) con uno scritto di Luigi Fontanella e un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

 

Giorgio Linguaglossa
Alfredo De Palchi

 

Da uno scritto di Luigi Fontanella:

«Alfredo si trova rinchiuso, già da qualche anno, nel penitenziario di Procida, vittima di imputazioni infamanti. L’accusa è un omicidio avvenuto nel dicembre 1944 di un partigiano veronese, Aurelio Veronese, detto “il biondino”, a opera di tale Carella, fascista e capo della milizia ferroviaria. Pur essendo del tutto estraneo a quest’omicidio, De Palchi viene accusato e processato. Come ho già raccontato altrove (mi permetto rinviare di nuovo al mio volume La parola transfugapp. 178-183), a monte di questa infame calunnia c’era stata, dietro la spinta di altri affiliati, l’insipiente militanza giovanile di Alfredo, allora diciassettenne, nelle file delle Brigate Nere, capitanate da Junio Valerio Borghese, uno dei leader più combattivi della Repubblica Sociale Italiana. […] Allo sbrigativo processo svoltosi a Verona nel giugno 1945, in pieno clima di caccia alle streghe, De Palchi, del tutto innocente, fu condannato all’ergastolo (il pubblico Ministero aveva chiesto la pena di morte!). Un processo-farsa che gli costò vari anni di prigione, prima al carcere di Venezia, poi al Regina Coeli di Roma, poi a Poggioreale a Napoli, poi al penitenziario di Procida ( 1946-1950), infine a quello di Civitavecchia (1950-1951). Un’esperienza durissima che dovette prostrare il nostro poeta e che avrebbe segnato per sempre anche la sua poesia, se è vero che quell’esperienza non solo è presente nella sua primissima produzione (strazianti e taglienti i versi, oltre che di La buia danza di scorpioneanche del poemetto Un ricordo del 1945che tanto avrebbe colpito Bartolo Cattafi che lo presentò subito a Sereni […]) ma ricompare con tanto di nomi e cognomi nel recentissimo nucleo Le déluge, posto a chiusura del suo ultimo, intensissimo libro Foemina Tellus (2010). Un’esperienza atroce che l’avrebbe segnato profondamente ma che gli avrebbe anche fornito la stoica energia a resistere, a reagire, a crescere, a leggere, a studiare, e infine a scrivere la sua poesia di homme revolté. Credo che chiunque si accinga ad affrontare la lettura delle poesie di De Palchi non debba mai prescindere da questa terribile vicenda biografica, tanto la poesia che da essa è scaturita ne è intrisa dalle prime prove fino alle ultime. Un’esperienza crudele che, a valutarla oggi dopo più di mezzo secolo, sembra perfino beffarda se si pensa che il nazifascista Junio Valerio Borghese, che pure era stato uno dei capi indiscussi della fronda repubblichina, al processo intentato contro di lui per crimini di guerra, sempre a Verona tra il ’46 e il ’47 (il processo si concluse esattamente il 17 febbraio 1947), riuscì a cavarsela con soli quattro anni di carcere, gli ultimi dei quali proprio a Procida, nello stesso penitenziario dove si trovava rinchiuso De PalchiSul quale, sia detto per sgombrare qualsiasi taccia posteriore di collaborazionismo, venne in seguito sciolta ogni accusa e provata la più totale innocenza. Mi riferisco alla revisione definitiva del processo, che avvenne nel 1955, presso la Corte di Assise di Venezia, alla cui conclusione De Palchi, assistito dagli avvocati De Marsico e Arturo Sorgato, fu prosciolto da qualsiasi accusa e assolto con formula piena”». (n.d.r.)

 

 

Giorgio Linguaglossa
Alfredo de Palchi

 

Alfredo de Palchi, originario di Verona dov’è nato nel 1926, vive a Manhattan, New York, dove dirigeva la rivista Chelsea (chiusa nel 2007) e tuttora dirige la casa editrice Chelsea Editions. Ha svolto, e tuttora svolge, un’intensa attività editoriale.

Il suo lavoro poetico è stato finora raccolto in sette libri: "Sessioni con l’analista!" (Mondadori, Milano, 1967; traduzione inglese di I.L Salomon, October House, New York., 1970); "Mutazioni" (Campanotto, Udine, 1988, Premio Città di S. Vito al Tagliamento); "The Scorpion’s Dark Dance" (traduzione inglese di Sonia Raiziss, Xenos Books, Riverside, California, 1993; Il edizione, 1995); "Anonymous Constellation" (traduzione inglese di Santa Raiziss, Xenos Books, Riverside, California, 1997; versione originale italiana "Costellazione anonima", Caramanica, Marina di Mintumo, 1998); Addictive Aversions (traduzione inglese di Sonia Raiziss e altri, Xenos Books, Riverside, California, 1999); "Paradigma" (Caramanica, Marina di Mintumo, 2001); Contro la mia morte, 350 copie numerate e autografate, (Padova, Libreria Padovana Editrice, 2007); "Foemina Tellus" (introduzione di Sandro Montalto, Novi Ligure (AL): Edizioni Joker, 2010).

Ha curato con Sonia Raiziss la sezione italiana dell’antologia "Modern European Poetry" (Bantam Books, New York, 1966), ha contribuito nelle traduzioni in inglese dell’antologia di Eugenio Montale "Selected Poems" (New Directions, New York, 1965). Ha contribuito a tradurre in inglese molta poesia italiana contemporanea per riviste americane.

 

 

Giorgio Linguaglossa
alfredo de palchi in Italia, 1953

 

Commento di Giorgio Linguaglossa «Il problematico è l’indicibile dell’ordine assertorio»

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 Il testo di Alfredo De Palchi è dichiarativo perché il locutore teme che esso possa essere equivocato dal lettore risponditore. Ecco perché il locutore De Palchi si esprime mediante una proposizionalità dichiarativa. Una frase dichiarativa è tale quando dichiara con la massima precisione il proprio oggetto. Al limite, anche una iperbole può essere dichiarativa, anche un insulto, perché riguardano immediatamente un oggetto. Quindi, dichiarativo nel senso di non interlocutorio, non ambiguo (nel senso di Empson dell’ambiguità connaturata al linguaggio poetico), anzi, dichiarativo nel senso di letterale, che evita il figurato per sfiducia nelle qualità denotative che il discorso figurato ha.

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L’ordine assertorio esclude l’indicibile dal logos. Lo stile dichiarativo sta all’ordine assertorio come due sorelle siamesi; ma c’è un terzo escluso: l’indicibile che ritorna con il ritorno dell’ombra mnestica e scompagina lo stile dichiarativo.

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Alfredo de Palchi opta per un discorso dichiarativo, dove il locutore tenta, attraverso una messa in ordine del discorso, di evitare il figurato mediante la pronuncia di una parola che non rimandi ad altro da sé, che non rimandi a nessun non-detto implicito. Ma è una pia illusione. Anche tra le maglie delle espressioni dichiarative, il non letterale, il figurato si insinua ripetutamente con il ritorno del rimosso. Il rimosso c’è fin quando vuole celare l’Altro, l’Estraneo. Come non c’è gerarchia tra il letterale e il figurato, così si dà una diversa problematicità a secondo della pressione che si fa sulla letteralizzazione o, al converso, sulla de-letteralizzazione. È la natura problematica del logos che sta a fondamento della ambiguità semantica, non quindi il significante sganciato da un soggetto, quanto il significante per un soggetto che, a sua volta, è in rapporto con un altro significante e con un altro significato.

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È il tema dell’Altro, o dell’Estraneo che pone la necessità di chiederci se «il posto che occupo come soggetto del significante è, in rapporto a quello che occupo come soggetto del significato, concentrico o eccentrico».La risposta di Lacan sarà che il luogo del soggetto è radicalmente eccentrico in quanto esso nasce come campo dell’Altro. Luogo della catena differenziale dei significanti, il soggetto nasce con il significante, nasce diviso. Il soggetto che si costituisce a partire dall’Altro, è sempre un soggetto alienato, separato. Una struttura analoga la si ritrova in Heidegger, dove l’Ereignis (l’evento appropriante) è insieme e indissociabilmente Enteignis (espropriazione). L’Altro di Lacan è innanzitutto l’Altro del linguaggio come catena significante, così come per Heidegger il linguaggio è la «casa dell’essere» e «il modo più proprio dell’Ereignen», dunque l’ambito stesso in cui accade l’appropriazione reciproca di uomo ed essere. Questo rapporto si sostiene sulla priorità e autonomia del linguaggio rispetto all’uomo: come Heidegger afferma che innanzitutto «il linguaggio parla» e non l’uomo e che l’uomo è uomo in quanto è all’ascolto e corrisponde a questo linguaggio che sfugge al suo potere; così per Lacan «è il mondo delle parole a creare il mondo delle cose […] L’uomo parla dunque, ma è perché il simbolo lo ha fatto uomo».1

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Il testo dichiarativo per eccellenza è un testo testamentario, là dove il locutore deve attenersi con il massimo scrupolo alle esigenze della letteralizzazione proprio per evitare le ambiguità del discorso fonosimbolico. Il paradosso è che in questi testi della raccolta inedita Nihil di De Palchi, il locutore si esprime con un linguaggio apodittico, testamentario, nel senso di testamentum, di dichiarazione ultimativa delle volontà ultime del locutore.

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E qui de Palchi pronuncia le sue volontà definitive, si esprime senza curarsi del risponditore, il quale non dovrà fare altro che accettare il legato testamentario di una parola tellurica e tellurizzata da una ferita inferta ab origine. De Palchi ritorna all’engramma, alla ferita primordiale, a quando fu accusato dalla giustizia italiana di omicidio, subendo sei anni di carcere preventivo per poi essere prosciolto per non aver commesso il fatto. Il poeta in questi cinquanta e più anni è rimasto fermo a quella sconvolgente esperienza, a quel trauma. È il ritorno del rimosso che qui ha luogo. Una pulsione desiderante guida il discorso poetico di de Palchi per un riscatto che nessun risarcimento potrà mai acquietare. Un engramma profondo che ritorna alla coscienza e richiede una elaborazione secondaria del rappresentante ideativo. Appunto, è questa la funzione del discorso poetico di de Palchi, il suo essere un sostituto necessitato dell’engramma originario, il travestimento del rappresentante ideativo.

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La declinazione dei verbi al presente di tutta la raccolta poetica depalchiana, riflette questo ritorno dell’engramma, questa modalità di ripresentazione dell’Estraneo in ogni attimo della temporalità.

E la violenza effrattiva del lessico depalchiano è una spia dell’investimento psichico intervenuto a far luogo da quei lontani anni di ingiusta prigionia. Il soggetto depalchiano è un soggetto scisso, diviso, originariamente appartenente al campo dell’Altro. Proprio perciò il soggetto depalchiano è un soggetto desiderante in quanto «il desiderio è la metonimia della mancanza ad essere».Il desiderio, nel suo carattere eccentrico, è l’espressione di questa mancanza-a-essere, di questa negatività che attraversa il soggetto e gli impedisce di essere fondante e fondato. Ritengo questa problematica importante perché getta luce sul modo di procedere della poesia depalchiana e sulla sua natura effrattiva, frizionale, vulcanica. Non pacificata, insomma.

Lacan  "Le séminaire. Livre XI. Les quatre concepts fondamentaux de la psychalalyse" (1964) Seuil, Paris

2Ibidem

 

 

Giorgio Linguaglossa
Alfredo De Palchi con Gerard Malanga New York 2014

 

Poesie di Alfredo De Palchi da Nihil (2008–2013)

 

Idi di marzo
dalle fogne con coltelli 
nel grembiule di macellai 
da pugnalare la mia schiena di Giulio 
che da oltreoceano conquisto arte 
e Calpurnia ancora nel mistero della sua casa

 

non stringo mani insanguinate per macchiarti appena

 

ti raggiungo per rotolare insieme lungo la via 
imperiale di archi musicali

 

poi non “si muore” 
perché dalla gola smercio lo sputo definitivo.

 

*

 

Trema la terra della pagnotta e la mia si scuote 
di bifolchi

 

si riconoscono nel sangue barbaro che insozza 
e in chi sciacqua il coltello nell’Adige 
tra la dissoluzione dei ponti l’eroica 
viltà degli sfuggenti dal cranio sfuggente

 

prima del vagito segui gli eventi di amata alla deriva 
nella corrente fluviale butti i fiori e struggente 

corri tra la casa e la tomba di giulietta

 

le costole diventano pietre di procida 
la volontà della mente frantuma la muraglia
ed è mediterraneo che diluvia sale

 

europa delenda est
non per tua causa di amata che tra dissidi 
e onori errati eviti l’amato 
invano lo disconosci come aberrazione girovaga 
del tuo longineo corpo tellurico

 

delenda est per te oppure 
rinascita après le déluge d’avril nelle Venezie.


*

 

pellerossa quanto la terracotta 
s-centrato dal dottor calligaris

 

con olio di serpe unge e avvelena i funghi cosmetici 
che cucini per cibarmi di orizzonti 
a rasoterra dove l’humus cresce di vomiti 
e predatori in camicia bianca
nell’antico otre di terracotta si raggruma 
acqua piovana polvere del deserto 
semenza arida che svuoti all’alba––
con mani di penelope 
mi sfili attorno filo di lana per giacere 
nella barca di fiume stretti dalla nostra ombra

 

l’onda veloce dopo onda ci srotola 
sulla riva frastagliata due statue d’argilla 
con la conchiglia falsa all’orecchio.


*

 

Ottobre di pomeriggio freddo di pioggia 
di foglie che spiccano voli 
da raffiche di vento sotto alberi 
che passano accanto tra panche deserte . . . 
in simili giorni abito il parco di Union Square dove

 

la folla indegna del bel tempo
mangia beve vomita e abbandona all’erba e piante 
cartocci plastica giornali sputi 
da disgustare i piccioni . . . e canestri vuoti di rifiuti

 

a nord sul piedestallo Lincoln 
è il turista slavato che porge 
grani a uccelli invisibili––
lo ringrazio con un cenno di mano

 

a sud Washington a cavallo rifiuta l’entrata 
alla marmaglia nello sguazzo 
strappando le ombrelle––
lo ringrazio con un cenno di mano

 

a est il desolato Lafayette mano destra al cuore
con la sinistra indica al suolo la saving bank
di fronte in greek revival fallita––
lo ringrazio con un cenno di mano

 

a ovest Miriam con Jesus in braccio gorgoglia 
dallo spicchio d’acqua 
“preparati per la scalata”… 
io che capisco se mi interessa di capire mormoro 
“su per il tuo fianco a voragine 
per annunciare il mio discorso dalla montagna”.
Il lavoro nobilita la belva alla vita 
trascorsa a grattare il salario della paura 
in una giungla di lapidi

 

si legge, qui giace dio il mediocre costruttore 
e qui Cleopatra con una serpe in mano––giglio
offerto a Marcantonio

 

più in là giace un raccolto di ossi 
attribuito al farabutto amico François
accanto a quello di Francesco impazzito di cristo 
e della sua Chiara che per boschi giunge a Todi 
da Jacopone, il più folle

 

e laggiù sotto quel rettangolo di letame 
l’altro mio amico Arthur 
giace con un abbraccio di zanne invendute

 

amata amica figlia madre sorella 
prontamente perfetta per il mio arrivo
allatta al tuo ombelico il mio spartito di terra.