Luigi Cannillo, poeta, saggista e traduttore, consulente editoriale, è nato e vive a Milano. Ha pubblicato, tra le sue raccolte di poesia più recenti, Cielo Privato,Ed. Joker, 2005; e Galleria del Vento, Ed. La Vita Felice, 2014. È presente, come poeta, curatore o con interventi critici, in antologie e raccolte di saggi. E redattore della collana Sguardi dell’Editore “La Vita Felice”. Collabora alla rivista internazionale “Gradiva”, New York/Firenze.
dalla prefazione di Sebastiano Aglieco
Il grande tema della perdita attraversa tutto il libro. Ne è prova, ma non solo, il primo nucleo di poesie L’ordine della madre, concentrate intorno ai gesti postumi del figlio in lutto e che improvvisamente deve ricostruire e capire: la morte della madre tutto è, tranne che una questione sentimentale.
L’esperienza del distacco dalle cose è la necessità della maturazione, del passaggio in un secondo tempo della vita quando una voce ci parla più sommessa, senza urlare e ci chiede uno sguardo più aperto, capace di abbracciare anche la morte, di darle una forma e un nome meno terribile. Il tema della perdita, allora, non può che essere declinato nell’altro, ben più vasto, della condizione destinale delle creature, fatta di meteore che attraversano improvvisamente la vita e la illuminano brevemente della luce di una verità postuma.
ecco allora delimitato un atlante di direzioni riconoscibilissime: sono i regni di competenza dei “dodici segni”, in cui la meditazione poetica perviene a delineare, con immagini e simbologie, i limiti e gli splendori di un agire per estrema ratio, bastante a se stessi, ai propri rischi mortali.
Il senso del corpo, sembra essere restituito nella pienezza controllata della parola, e dall’ordine con cui la memoria prova a ridisegnare i luoghi dell’incontro, il partecipare nuovamente dell’evento ma questa volta nella luce malinconica – eppure più giusta – di ciò che essenzialmente è avvenuto e che ora ancora rimane.
[…] Così il racconto di questo corpo è ora fatto di soste, di luoghi rivisitati dopo anni, sdoppiati, dunque, da una memoria che prova a ricollocare il senso del misterioso del transeunte nella più vasta epopea delle stelle; e di un altro segno in particolare, l’acquario, in cui la perdita di qualcosa che è stato, un evento custodito dalla memoria, si stringe intorno alla possibilità della parola a incarnarsi nel dolore dell’umano. «Ci stringeremo liquidi finché / dalla fonte trapassi in corpo muto / imprevista la parola».
maria di Zeffirelli
Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa
La galleria del vento è un’apparecchiatura che viene utilizzata per studiare l’andamento di un flusso di un fluido (tipicamente aria) attorno ad un corpo.
Le misure che si effettuano sono tipicamente misure di velocità globali e locali, di pressione, di temperatura e di forze esercitate da un fluido su un corpo. Nella galleria del vento vengono anche effettuate le cosiddette visualizzazioni dei campi di pressione, temperatura e di forza che si stabiliscono sulla superficie del corpo oppure del campo di velocità del flusso. Nelle gallerie supersoniche (ma in generale in tutte le gallerie con flusso comprimibile) le visualizzazioni vengono fatte sfruttando il fenomeno della rifrazione della luce che attraversa due sostanze con differenti densità.
La possibilità di effettuare prove in galleria del vento si basa sul cosiddetto principio di reciprocità, il quale afferma che dal punto di vista del valore delle grandezze fisiche che vengono misurate e dell’andamento dei flussi sul corpo, è indifferente muovere un corpo in un fluido fermo o muovere il fluido attorno ad un corpo fermo.
La metafora di origine scientifica del titolo indica bene la direzione del lavoro poetico di Luigi Cannillo incentrata sul mito del ritorno nell’utero materno, in stato di quiete, in stato di immersione nel liquido placentale, la beata felicità del corpo in stato di immersione. Cannillo fa una poesia dall’andamento lento, fluido, adotta un metro sostanzialmente endecasillabico, opportunamente atonalizzato e neutrofilizzato, una sorta di regolo metrico e timbrico che serve da scafandro stilistico per l’immersione nella pressione atmosferica, o nel liquido amniotico, se si preferisce. Un po’ un esperimento di reintroduzione del corpo del figlio nella placenta della madre per riprovare quelle sensazioni dimenticate del fluido che scorre sul corpo del feto. Di qui lo stato di continua perdita. Una esperienza intima e dissolvente, una esperienza impossibile che si può riproporre soltanto con lo strumento della poesia. È questa la scommessa del libro. Ecco tutta una serie di immagini e coloriture tra loro segretamente imparentate con l’ordine del tempo: «Vedi, tutto si riduce ad attesa», «c’è il giardino che trascolora», «cristalli del corpo», «corridoio buio», «pelle vetro», «vortice che scorre», «ruota del vento», «il corteo delle impronte».
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Luigi Cannillo
Poesie di Luigi Cannillo da Galleria del Vento (La vita felice, 2014)
Chi scuote questa galleria del vento
dove oscillano fiori e fondamenta
e palpitanti ci animiamo?
Come pianure disperse nella nebbia
misuriamo la potenza del vuoto
respirando l’aria dell’attrito
I cristalli del corpo si accendono
nell’alito imprevisto che ci sfiora
Sono lampi e scatti nel corridoio buio,
e sulla pelle vetro si alterna
a velluto nel vortice che scorre
su tappeto o si impenna
un capitano naviga il destino
dalla sezione “L’ordine della madre”
Al davanzale piomba
una foschia improvvisa
e questo tamburo
annuncia il tradimento
la terra compie il suo dovere
restituire al vuoto
Restano spalancate le lenzuola
e lo spazio del sentiero limpido
si dilata nelle future stanze
sulle terrazze aperte
Dove stai andando, così di corsa?
Non c’è voce umana a raggiungerla
né sguardo che la insegua
se una forza contraria alla vita
la convoca e spinge
come volando,
come freccia scoccata nella nebbia
*
Gli oggetti della casa
anticipano il lutto
al giro della chiave estranea
ogni cesto inanimato si assesta
contiene il rancore delle cose:
l’elica del cucchiaio immobile
senza la mano padrona
lo sguardo che la spinge
Senza intenzione prima,
tace la ragione quotidiana
che genera vita nei ritratti
e matura le fruttiere
Ma noi non possiamo seguirla
in uno sciame di anime e di oggetti
che si ricomponga in ogni luogo
Qui ogni parete aspetta
di aprirsi al ritorno
Adesso intanto si difende rapida
confina un territorio, lo nasconde
e vedova si chiude nel dolore
*
L’ordine della madre impronta
forme e limiti, ogni creta
e vetro in ogni armadio:
quanto accanto, quanto a distanza
mormorando il nome
Ha soffiato vento nelle spugne
acceso le luci necessarie
E i nomi scomposti così sussurrati
si definiscono attorno ai confini
conversano, è quel discorrere
l’ordine ad animare la casa
Il materno si dichiara al mondo
nella cura, la scriminatura
nel tesoro delle bocche
L’origine lo spazio si dispongono
nelle valigie, così l’universo
viaggia con noi, stabilito
nei nostri gesti e nel sonno
dalla sezione “12 Segni”: il Segno dei Gemelli
II
Cercami nel profilo alla parete
nel vuoto scavato nell’aria
quando ci allontaniamo
Siamo i lembi separati da sempre
da sempre ricongiunti
destinati a inseguirci
e fuggire appena sfiorati
Fermami quando ti evito
se mi riconosci allo specchio
o se germoglio nella tua figura
L’impulso è distinguere
respingere il simile
fino a rinnegare i fratelli
Se ti avvicini si rivela il doppio
la negazione del primato
E il confine scritto sulla polvere
spalanca i denti a chi lo attraversa
Eppure mi immagini nel buio
planare come riflesso di stella
incontrandomi ti perdi
ritrovi il gemello perduto
dalla sezione: “Il rovescio del corpo”
Cerca il mio corpo sulla carta
come se il tempo veramente
si fermasse sull’arco delle righe
L’alfabeto lascia traccia
di una forma naturale, la ritrae
ma il foglio non riflette a specchio
come curvano i gesti e le stagioni
Guarda, ora sono nel passo
che si avventura fuori, nel tocco
che ti sfiora e si disperde
Tutto è assegnato al corpo
pronto alla fuga, alla sua lingua
inquieta che si deposita e alimenta,
perfino il suo esilio sulla pagina
L’essenza si rovescia sulla carta
ma brilla sul polso di chi scrive
*
Il temporale scioglie i dubbi, tuono
che scuote e mozza il fiato
Siamo nella fortuna del riparo
nel momento che già irripetibile
si scarica come sulle bestie
Sa perdonare il corpo e ringhia
la preghiera, il lampo che ti stana
e frusta le giunture sono io
la grandine dei denti sulla schiena
Trattieni l’uragano ora e per sempre
stringi: soltanto adesso si frantuma
l’orologio sotto pelle, natura e grido
uniti almeno finché fuori spiove
dalla sezione “Berliner”
Bahnhof Zoo
C’è per tutti una seconda patria
dopo la curva aspetta
con un raggio spinto nella sera
Come la prima parla una lingua
estranea che ci invita
ma alla parola successiva assedia
Accoglie una nostra impronta
e un tempo mentre si distacca
Anche qui immagino e cammino
i viali si inseguono
in circolo, infiniti
e le finestre soffiano
nella notte una luce estranea
Anche da qui si scrive
con il coraggio della separazione
Diversi sono il viaggio, e l’attesa
il passo sospeso sulla nuova soglia
ma l’esilio è seminato ovunque
Chausseestraße
(tre arcobaleni)
Il cielo a nord non è verticale
è un orizzonte che si spinge
paesaggio veloce sopra le teste
a facciate ferme. Abbandona
appena ci raccoglie, mentre un lampo
si trattiene ancora in alto
Nella battaglia delle luci
la strada resta in ombra, aspetta
che il cielo si capovolga sull’asfalto
e l’arco si distenda fino ai laghi
Il cielo siamo noi, i nostri sguardi
prima volanti tra le strisce dei colori
poi rasoterra a raccontare
Tutti guardano in alto, cercano
la presenza, mentre qui sulla pianura
pulsa riflessa la stessa luce
la moltitudine si raduna e disperde
come stormo in volo, aria