Bruno Galluccio DIECI POESIE SCELTE da “La misura dello zero” (Einaudi, 2015) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa – L’Entanglement quantistico con Immagini di esopianeti di Giuseppe Pedota anni Ottanta e Novanta

 

 

Giorgio Linguaglossa
giuseppe pedota acrilico su persplex anni Novanta

 

Bruno Galluccio è nato a Napoli dove tuttora vive. Laureato in fisica ha lavorato in un’azienda tecnologica occupandosi di telecomunicazioni e sistemi spaziali. Il suo primo libro di poesia è Verticali (Einaudi 2009), cui ha fatto seguito La misura dello zero (Einaudi 2015).

 

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

 

Il fisico Dirac ha formulato così l’equazione della bellezza: (¶ + m) Ψ = 0 – dove m è la massa del sistema considerato, ¶ è una variabile di Feynman e Ψ è la funzione d’onda che descrive lo stato fisico del sistema, mentre il quadrato di questa funzione d’onda Ψ² indica la massima probabilità che l’evento si verifichi in un determinato spazio. La risposta alla domanda sul “Bello” è l’equazione di Dirac ed è l’equazione più bella della fisica. Grazie ad essa si descrive il fenomeno dell’Entanglement quantistico. Il principio afferma che: “Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più essere descritti come due sistemi distinti ma, in qualche modo, diventano un unico sistema. In altri termini, quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce”. Così, due persone che si sono amate o sono state legate da amicizia, se separate, continuano a mantenere contatti pur se separati da migliaia o decine di migliaia di chilometri o anni luce.

Ad esempio, un raggio di luce é composto da un flusso di fotoni. La direzione del campo elettrico della luce é detta la sua direzione di polarizzazione. La direzione di polarizzazione di un fotone può formare qualsiasi angolo, ad esempio “verticale” o “orizzontale“. È possibile generare una coppia di fotoni entangled se, per esempio, un cristallo viene irradiato da un laser. In questo caso un singolo fotone può dividersi per diventarne due. Ciascun fotone prodotto in questa manierà avrà sempre una polarizzazione ortogonale a quella dell’altro: ad esempio, se un fotone ha polarizzazione verticale allora l’altro dovrà avere polarizzazione orizzontale (questo per la conservazione del momento angolare: il momento angolare del sistema prima della divisione deve essere uguale al momento angolare del sistema dopo la divisione).

Quindi, se due persone ricevono ciascuno uno dei due fotoni entangled e ne misurano la polarizzazione, scoprono che quella del fotone ricevuto dall’altra persona sarà ortogonale a quella del proprio. Sembrerebbe esserci un’apparente connessione fra le particelle, che prescinde dalla loro distanza.

 

Giorgio Linguaglossa
Giuseppe Pedota Esopianeta acrilico su perplex anni Novanta

 

L’Entanglement quantistico definito da Einstein la “fantasmatica azione a distanza” è uno dei fenomeni più incomprensibili della meccanica quantistica. L’entanglement quantistico rappresenta una difficoltà epistemologica per la meccanica quantistica perché risulta incompatibile con il principio della località secondo cui il trasferimento di informazione tra diversi elementi di un sistema avviene tramite interazioni casuali successive che avvengono nello spazio dall’inizio sino alla fine. Ad esempio, si passa da un piano all’altro di un edificio per la vicinanza e per il susseguirsi dei passi.

Con le parole di Bruno Galluccio: «un magma cosmico è portatore di massa». Mi verrebbe da parafrasare: «un magma cosmico è portatore di senso». Il linguaggio poetico di Galluccio è pieno di espressioni di derivazione scientifica: (materia oscura, antimateria, neutrini, DNA, idrogeni, ossigeni, carbonii, big bang, freccia del tempo, vuoto, orocicli, orosfere, bosoni, protoni, fotoni, etc.), è una conversazione riflessione sul tema dell’interazione della fisica con le leggi che regolano la nostra vita psichica ed esistenziale; in fin dei conti, pensa Galluccio, anche l’homo sapiens della nostra civiltà tecnologica è fatto della stessa stoffa dell’universo, la sua legge ontologica fondamentale corrisponde a quella di Dirac, l’uomo corrisponde a una idea di bellezza ed obbedisce alla stessa legge espressa da Dirac. Perché stupirsene? E finanche la metratura poetica: il metro irregolare e prosastico di Galluccio, risponde e corrisponde a questa legge fondamentale del sotto cosmo e del macrocosmo. Perché stupirsene? Siamo governati da forze occulte che occulte non lo sono più, ma misteriose sì. È il medesimo mistero che il poeta napoletano tenta di investigare con queste poesie dall’aspetto linguistico insolitamente paralogico, quasi si trattasse di un trattatello di divulgazione scientifica, e invece austeramente umanistico per l’apertura mentale e culturale che queste poesie rivelano.

 

Giorgio Linguaglossa
Giuseppe Pedota Paesaggio esopianeta anni Novanta

 

 

Giorgio Linguaglossa

Poesie di Bruno Galluccio

 

morire non è ricongiungersi all’infinito
è abbandonarlo dopo aver saggiato
questa idea potente
quando la specie umana sarà estinta
quell’insieme di sapere accumulato
in voli e smarrimenti
sarà disperso
e l’universo non potrà sapere
di essersi riassunto per un periodo limitato
in una sua minima frazione

.

*

.

mi trovo in una strana prova
non riesco a spingerla al di fuori del tempo presente
non mi sporgo oltre gli assiomi
cado nello specchio che sto creando
e tu che guardi un panorama statico
dici e ripeti e fai cenni
ora il silenzio algebrico ha preso la stanza
metà del volume è suo
i filamenti che si dipartono dal foglio
non vanno da nessuna parte
non convergono come dovrebbero
al completo disegno del teorema

.

*

.
andiamo riconoscendo il flusso normale delle cose
gli sbarramenti e piú in centro la possibilità di perdere
le formule hanno sviluppato le incognite
anche quando la sera è un raduno di maschere
i neutrini messaggio delle supernove
attraversano incessantemente il corpo
e il cervello
ma non per questo le onde cerebrali
vengono mutate
né muta la nostra visione del mondo
muta l’occhio che davanti alla fuga
dell’acceleratore trova conferma
di questa strana materia quasi priva di sostanza
e poi sente l’emozione che il tutto
si svolge come era stato intuito
si dispone in un quadro coerente

.

*

.

dici dove non sei
dici attraverso il corpo
la linea degli edifici sull’orizzonte
che ti racchiude
il fango dove passi illeso
bene sarebbe entrare in un locale
ristorante o altro
partecipare a qualche forma di vita
i bicchieri fanno schermo
e transitano tranquilli nel presente
fuori un semaforo si muove e perde luce
verso le auto
che superato l’ultimo rallentamento
si dirigono al bersaglio dell’autostrada
veloci nella protezione degli alberi
sei capitato qui per caso dicevano
è il vapore che si leva dalla strada
è lo sguardo smarrito dai cappotti lucidi
ora tremi nel corpo
esci
ti sembra di non lasciare segni

.

Giorgio Linguaglossa
Giuseppe Pedota acrilico, Trittico Civiltà extra solari anni Novanta

.

ciò che compare mosso nella foto di gruppo
nel quarto in alto sulla destra
è la spalla di colui che non voleva esserci
e striscia la luminosità radente del sole
spezzando la linea del muro
all’inizio delle sbarre della recinzione
risponde ora del suo graffio al presente
lí fissato di quello scarto casuale
tra vuoto e pieno
e di quel sommovimento della luce
che adesso come un virus si propaga
testimoniato da lui
il non interpellato

.

*

.

comincia a muoversi con moto rotatorio
per distaccarsi dal punto
emette suono che diventa acuto
risoluzione della pietra
lo spazio lo accoglie lo sente suo
la dimensione tagliata forte
la capacità di inventare già fiorisce
prima di ogni crollo
qualcosa gli tende lo sguardo tira
la percezione quasi qui assume formazioni
lamine che affondano
il piccolo espande
paga la sua bolla di universo

.

*

.

ora si muove lascia il nero che sguscia
si muove tra gabbie e altari
rilancia il nero che lo spinge
quasi sottoterra ormai ma non una radice
estraneo piú volte mentre viene lasciato cadere
messo al mutismo
mentre continua a cedere davanti alle finestre
tutto risarcito
con le vesti che tendono verso l’alto tutto
rovesciato dentro di sé
grida arti nulla
bolle di terrore che esplodono
fino a quando
l’atmosfera che taglia
non piú terrestre
in quel quanto istante
nessuna madre mai avuta
e cosa significhi il quando
culla sesso niente
aria inferno di aria

.

*

.

il sistema di riferimento del no
sull’asse x porta il soggetto
su quello discendente il verbo
riflesso nello specchio
sul terzo trae il peso del tempo
data una sfera nella luce nera
quanto dista il suo centro dall’origine?

.
*

.

un’auto ha sbandato malamente
in una curva a tornante
ho temuto il vuoto la sua forza attrattiva
per l’incolumità del tutto
per l’innocenza di noi della scena
l’inverso di quando temo di salire io troppo in alto
come nel sogno dell’ascensore
che non si ferma al mio piano prosegue
ai successivi nemmeno si ferma
e sfonda il tetto
e io mi sento perduto

.
Pitagora

.

Il respiro della notte è onorato
ora va ad attenuarsi lo splendore degli astri.
Pitagora dorme.

Il paesaggio lo assiste
lo accompagna nello scendere cauto su rocce
in vista del mare.
Il sonno ci viene dagli alberi
il respiro dalla luce
che attraversa una lieve fenditura
e alta si espande.
Tutto è numero egli dice
anche qui nella incomprensibile notte.

È vero: ieri c’è stato uno scatto
di superbia che ha offuscato le fronti.
Ma noi di certo veneriamo gli dei immortali
serbiamo i giuramenti onoriamo gli eroi
come egli ci insegna.
E di solito ci siamo ritirati con modestia
abbiamo cercato di non agire senza ragione
e ben sappiamo come il nostro destino sia la morte.
Il mondo ci confonde
ma noi confidiamo.
Ci asteniamo da cibo animale da fave
rinunciamo a voluttà di cibo e lussuria
e per quanto possibile in pace soffriamo.

Pitagora dorme.
I sogni gli giungono dagli avi.
Ora il cielo è senza disastri
chi è arrivato sa di poter scegliere.
C’è il quadrato costruito sull’ipotenusa
e ci sono i quadrati costruiti sui cateti.
Generare collegamenti è la natura umana piú alta.
Dimostrare è possedere
una parte di mondo dopo averla osservata
condividere una regione del linguaggio.
Frase genera frase e il buio si dirada.

Non portiamo fuori la notte
perché di cose pitagoriche sappiamo
non si debba senza lume conversare.
Tutto è serbato nelle nostre menti
e nei lineamenti tranquilli dei volti.

Tutto è numero – dice.
E ci dispone le proporzioni armoniche
dei suoni e degli astri.
Si pone dietro un telo
perché tutto sia nell’appartenenza
come un viaggio di abbandono
o come i nostri inverni ci cercano
il nostro muoverci negli spazi stellari.
E noi gli crediamo.
Che torneremo a dormire e a guardarci dormire
a far scorrere tra le nostre dita
questa stessa sabbia in un ciclo futuro.

.

*

.

la parola che mi dicevi entrava nella costola

come un’operazione

ma ora ho vergogna di una piccola ferita

che nessuno riconosce

che non ha una voce

che non è un dolore

ma negli anni non ha smesso

di bisbigliare.

.

*

.

vedevo sulle pagine
la struttura sistolica delle formule
il semicerchio della parentesi
il taglio delle frazioni
il sigma sistema di sorprese infinite da sommare
la esse allungata dell’integrale
che misura forme non regolari
e i gruppi perfetti nelle operazioni semplici e chiuse
e allora nella luce bianca della scrivania
la proiezione delle mensole e il letto
diventare una geometria proiettiva della stanza
e la mia attenzione un fascio aggiuntivo di luce
posato sulle pagine che scorrevano
e uscivo dalla selva dell’incomprensione
per avventurarmi verso le figure dei pianeti.