Paolo Valesio "Il servo rosso (The red servant) Poesie scelte (1979-2002)" puntoacapo, 2016 a cura di Graziella Sidoli traduzione inglese di Michael Palma e Graziella Sidoli (puntoacapo, 2016) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa "La poesia incivile di Paolo Valesio"; "Il percorso dall’assenza all’essenza"

Giorgio Linguaglossa

 

 

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

 

La poesia di Paolo Valesio proviene da una metafisica, da una Idea piuttosto che da «temi» o da occasioni, da una Idea di stile piuttosto che da uno «stile»; ai suoi occhi l'«Idea» precede sia il «tema» che lo «stile». Ad un poeta del suo rango non può essere sufficiente adeguarsi ad una procedura «sperimentale» fine a se stessa o a un linguaggio poetico stilisticamente stabile, Valesio deve ancorare l'epifenomeno del linguaggio ad una dimensione extramondana duratura, stabile che trascenda il presente per collocarsi nell'«infinito» del passato e del futuro. Il filologo Carlo Diano parlava di un periechon, di un infinito, un «divino», posto nell'infinito, da cui, nella concezione greca, proviene l'«evento». Si può dire che Valesio ha cercato per tutta la vita l'«evento» della poesia, trovandolo infine nella «conversione» al cattolicesimo, dove la sua scrittura ha potuto prendere alloggio, dopo un lungo peregrinare, con saldezza di fondamenta. Per il cristiano il percorso umano è un camminare peregrinando, un pellegrinaggio alla ricerca del fondamento. 

 

la poesia Valesiana si presenta, fin dalle prime opere: Prose in poesia (1979), La rosa verde (1987), Dialogo del falco e dell’avvoltoio (1987), come traduzione del discorso sacro in discorso profano; un discorso traslato, «interrotto» sulla presenza del messaggio evangelico nel tempo della scomparsa del divino, nell'epoca della povertà dello Spirito. Un singolare percorso di costruzione di una spiritualità stilistica ottenuta senza l’ausilio di alcuna stilizzazione, tantomeno di alcuna metaforizzazione. È la storia della ricerca dell'Assoluto nelle condizioni del vivere mondano. Di qui le contraddizioni e il dramma di cui la poesia valesiana si nutre. Una ricerca portata avanti con l'umiltà e la dedizione di un «servo rosso», rosso perché il colore segna un abito spirituale, una condizione esistenziale di dubbio e di angoscia. La poesia di Valesio si costruisce come una riflessione sul deragliamento costante della condotta dell'uomo dalle sue idee. Abbiamo qui una delle interpretazioni più suggestive della poesia italiana del secondo Novecento: la perdita della memoria, che va assieme a quell'altro fenomeno epocale che va sotto il nome di «oblio dell’essere», una riflessione, sul percorso dall’assenza all’essenza; un documento prezioso per poter ricostruire la geografia della poesia dagli anni Novanta ai giorni nostri. Penso che un filologo del futuro dovrà rileggere la poesia italiana del secondo Novecento dal punto di vista della autenticità della dimensione poetica, sfrondando quelle scritture che adottano un punto di vista da porto sicuro, che scelgono un terreno stilistico stabile.

 

Valesio risolve a suo modo le problematiche che stanno al fondo della crisi della forma lirica mediante l’adozione di un discorso poetico «mondano». Posto che la poesia è tradimento di una tradizione, anche il suo percorso poetico sarà la traduzione e la registrazione di un «tradimento», meditazione che si appropria dell’istituto della variatio per svilupparsi seguendo una logica analogica e una struttura retorica dello stile che corrispondano a quella premessa. Le figure retoriche della ripetizione, dell’elencazione, della variatio, della metafora, della inerenza denotativa svolgono un ruolo preponderante accanto alla digressione e al «reiterazione»; i verbi sono spesso risolti all’infinito e al riflessivo, come azioni che avvengano all’insaputa e contro le attese dell'io, questo «io» coinvolto in un generale moto di dissoluzione e di deragliamento. Lo stile non può che registrare questo «tradimento» e questa «traduzione», attraverso la rinuncia alla tradizione apollinea, per dirla termini comprensibili, Valesio preferisce la procedura a freddo, la fusione a freddo di materiali freddi, gelatinosi di un sostrato «numinoso». In Valesio la parola poetica si fa veicolo del Verbo, singolare meditazione poetica a latere del Vangelo di Giovanni e sul Qohèlet. Operazione tipicamente post-moderna. Il verbo divino diventa a sua volta oggetto traslato del messaggio poetico. Prosaicizzazione del «divino» in chiave affatto demotico-populistica, né stilistico-olistica; la poesia Valesiana è una rilettura, uno scavare, con la sonda del veicolo poetico, dentro il tunnel della fede e del mistero. È il segreto della forza e dell’originalità della rilettura laica del messaggio testamentario che distingue questa operazione nel senso post-moderno del termine, la rilettura dei versetti del Vangelo di Giovanni e del Qohelet:

 

Tripersonare Iddio, sbreccia il mio cuore:

fino ad oggi hai tentato di emendarmi

ma ora abbattimi e piega, per alzarmi,

la forza tua a rinnovarmi in ardore.

 

Scrive Paolo Valesio: «Il matrimonio in quanto unione “incivile” è analogo alla poesia che – nella sua relazione profonda con la vita – è sempre in qualche misura un discorso “incivile”; in opposizione alla poesia cosiddetta “civile”, la quale ha più a che fare con l’ideologia che con la poesia».

 

 

Giorgio Linguaglossa

 

Da Anniversari (1999)

 

Il servo rosso

 

Stamattina ha cavato fuori l’anima.

Era prima del sole

(se non si desta nel vibrar del buio

perde il suo appuntamento con l’alba).

Ha affondato pian piano la mano

dentro la gola

per alcuni minuti: dolore

(gli sembrava di mordersi la gola

con i suoi stessi denti),

e ha posato il minuscolo uomo

rosso come lacca

(era unto di sangue)

sul tavolo; l’ha ripulito,

quasi fosse cornice d’argento,

con un lembo di pelle di camoscio.

Al momento di riporlo,

le mani hanno un poco tremato:

se non avesse più trovato il posto?

 

Scrive Paolo Lagazzi: «Tutte le parole di Valesio nascono da un'indisponibilità intima alle scelte fondate su una presunta facilità espressiva, in realtà corrive verso il già detto; tutto il suo linguaggio tende a un dialogo amoroso col silenzio... Nutrire la parola di silenzio non vuol dire per Valesio risalire alle matrici storiche del modernismo, cioè all'ineffabilità in versione simbolica o ermetica. La sua ricerca comporta anzitutto un lavoro sul corpo concreto della lingua, fuori da ogni pratica orfica, da ogni ideologia dell'aura o della vaghezza lirica, e solo poi una messa a fuoco della parola in quanto esperienza di soglia, in quanto tensione... all'altro da sé. Non c'è infatti parola vivente, per Valesio, che non sia innervata dal bisogno di confrontarsi con tutto quanto sta prima e dopo la sua presa: il silenzio, appunto, e i rumori del mondo; il vuoto e il pieno dei fenomeni; il lato prelinguistico e quello post-linguistico dell'esperienza. Punto d'approdo di questa riflessione è lo straordinario Dialogo coi volanti, testo in prosa... Qui il confronto con i suoni, i fruscii e i segnali di cigni, fringuelli, scoiattoli e procioni diventa l'occasione di un serrato corpo a corpo con i limiti e le potenzialità del linguaggio umano: solo piegandosi, con attenzione e flessibilità, a una "logica" del silenzio, a un drastico ridimensionamento delle pretese registiche dell'io, solo facendosi obbediente a ciò che sfugge alla presa delle categorie mentali... la nostra lingua può rinnovarsi, può ritrovare la freschezza e il calore della vita, dell'essere [...]

Da un punto di vista formale l'alterna tensione tra il "fuori" e il "dentro" porta la scrittura del poeta a scelte in apparenza opposte: a un recupero di modelli "chiusi" della tradizione come il sonetto, ma anche a un dispiegamento delle forme libere dell'oralità».2

 

La chiave ermeneutica della poesia di Valesio verrà individuata da Giorgio Luzzi «tra basso corporale e alto spirituale» e nella «padronanza delle misture mistilinguistiche».3 Guido Guglielmi dirà che la sua poesia «si costituisce in rapporto alla prosa. Per scrivere poesia Paolo Valesio ha bisogno di contaminare poesia e prosa, poesia e racconto. E ciò lo porta coerentemente a tendere verso la forma del poemetto, o verso la prosa-in-poesia, che egli stesso ha assai bene teorizzato, o, comunque, verso una poesia di situazioni».4

 

1 Paolo Valesio "Il servo rosso (The red servant) Poesie scelte (1979-2002)" puntoacapo, 2016 p. 303

2 Ibidem, p. 307

3 Ibidem p. 293

4  Ibidem p. 283

 

Nota della curatrice Graziella Sidoli

 

... I lettori troveranno in calce a ogni poesia le sigle M.P., per Michael Palma, e G.S. per Graziella Sidoli; scopriranno così il loro lessico, il loro modo di esprimersi - insomma, la diversità delle loro interpretazioni e versioni. In bene o in male - e certamente il confronto tra noi due si sbilancerà sempre dall'uno verso l'altra - Michael ed io abbiamo pensato che questo esperimento sarebbe stato interessante e utile.

L'esperimento serve anche a ricordare ai lettori che la traduzione è qualcosa di complesso e problematico. La traduzione più onesta è quella che non offre illusioni ai suoi lettori: è chiaro che queste versioni mostrano i versi originali di Paolo Valesio ma nella resa e voce poetica di Palma e della Sidoli - i quali avevano già indipendentemente pubblicato due libri di Valesio: Volano in centro (Sidoli) e Ogni meriggio può cambiare il mondo (Palma).

La nostra traduzione, concepita e conclusa come un concerto a quattro mani, implica un dialogo continuo e uno scambio di idee su ogni poesia di questa scelta antologica che copre l'opera di Paolo Valesio dal 1979 e arriva al 2002.

 

[Paolo Valesio nasce nel 1939 a Bologna. É Giuseppe Ungaretti Professor Emeritus in Italian Literature all’Università di Columbia a New York e presidente del “Centro Studi Sara Valesio” a Bologna. Oltre a libri di critica letteraria e di critica narrativa, a numerosi saggi in riviste e volume collettivi, e a vari articoli in periodici, ha pubblicato: Prose in poesia, 1979, La rosa verde, 1987, Dialogo del falco e dell’avvoltoio, 1987, Le isole del lago, 1990, La campagna dell’Ottantasette, 1990, Analogia del mondo, 1992, Nightchant, 1995, Sonetos profanos y sacros, 1996, Avventure dell’Uomo e del Figlio, 1996, Anniversari, 1999, Piazza delle preghiere massacrate, 1999, Dardi 2000, Every Afternoon Can Make the World Stand Still /Ogni meriggio può arrestare il mondo, 2002, Volano in cento, 2002, Il cuore del girasole, 2006, Il volto quasi umano, 2009 e La mezzanotte di Spoleto, 2013. È autore di due romanzi: L’ospedale di Manhattan, 1978, e Il regno doloroso, 1983; di racconti: S’incontrano gli amanti, 1993; di una novella, Tradimenti, 1994, e di un poema drammatico, Figlio dell’Uomo a Corcovado, rappresentato a San Miniato nel 1993 e a Salerno nel 1997]

 

(in foto, Graziella Sidoli)

Giorgio Linguaglossa

 

Poesie di Paolo Valesio

Da LA ROSA VERDE (1987)

Vedi?

Qui c’era una bella prigione...

La gabbia era dorata era sospesa

e sotto: Terra terra terra, vola!

Una prigione dorata? Magari ...

(« la dorata prigione del vizio»,

disse un papa al bambino nell’udienza;

e quel sottile, quell’eretto e bianco

offriva — non già la salvezza

ma la speranza di una nobiltà

a lui plebeo confuso che guardava).

Ma qui non c’è l’oro matto del vizio;

nemmeno l’oro puro della gioia.

È solo la indoratura

della umana ragione.

Adesso l’aurea crosta si è staccata,

e tra le sbarre della gabbia fradicia

la scimmia del pensiero è ormai fuggita.

Piazza del Duomo, Milano

 

 

From THE GREEN ROSE (1987)

Do you see?

A beautiful prison once was here...


The cage was gilded and it was suspended

and underneath: Land land land, fly away!

A gilded prison? Would that it were so...

(“the gilded prison of depravity,”

a pope told a little boy at his audience;

and that upright, that pale and slender fellow

was offering – not salvation all at once,

but instead the hope of a nobility

to the boy, a confused plebeian who stared at him).

But here there is not depravity’s mad gold,

nor is there even the pure gold of joy.

There’s only the gilding

of human reason.

The golden crust has all come off by now,

and from between the bars of the rotted cage

the monkey of thought has long since fled away.

Cathedral Square, Milan


[MP]

 

 

Da IL DIALOGO DEL FALCO E DELL’AVVOLTOIO (1987)


Il pasto dell’avvoltoio


Morire è facile.

Ma essere sepolti: è un’arte filosofica.

Bisogna farsi seppellire

col vestito del dì delle nozze.

Tu riaffermi la linea di una vita

con un solo vestito buono

dallo sposalizio alla terra.

Sperando che così ritroverai –

al taglio decisivo, e sopra l’ultima

lama della luce di coscienza –

i padri dei padri dei tuoi padri.

Le madri dovrebbero

sopravvivere ai figli per poterli

piangere degnamente. Solo esse

esperte in corruzione delicata

in cure morbide

in vizio dolce dei figli,

solo le beneficamente corrotte

sanno fare il corrotto sul cadavere.

Il vestito all’antica è un argine di stoffa.

Ma non è semplice

la vita che così muore.

Troppe radici terrose

s’intralciano a fiore di terra.

Caccia alle nicchie libere,

gara di cadaveri ammonticchiati

che attendono i turni.

Tutta la terra dunque è sconsacrata

da cupidigia di picchetti e pali.

Territorio vien da terrore.

La spada scava terra

poi subito scava il collo.

Dicono i Parsi:

la terra è sacra –

dunque non può essere polluta

dal cadavere;

l’acqua è sacra –

e non può essere

intorbidita da carcasse;

Il fuoco è sacro –

dunque non può esser profanato

bruciando un corpo;

l’aria è sacra –

non può essere offuscata da ceneri.

Quale luogo, allora, al cadavere?

La tomba semovente che preclude

tutti gli elementi, li taglia

fuori dalla sua angusta volta buia:

l’avvoltoio.

A volte ho pensato il contrario:

terra e acqua

fuoco e aria –

sono tutti polluti e bruttati,

nessuno degno più di ospitare

l’unico simulacro di purezza:

il corpo umano.

Ma –

mentre cammino lungo il viale grande

(Bombay ai piedi sotto la collina)

osservando le Torri del Silenzio

comprendo di dover tornare

alla chiara visione dei Parsi:

l’avvoltoio.

Angusti pozzi profondi

torri rovesciate

dentro il ventre dentro la terra.

Là sono gettati i cadaveri.

E su tutte le palme intorno,

gli avvoltoi ristanno.

Grandi, cùprei, calvi,

con i colli incassati tra le spalle.

Gli avvoltoi son filosofi nudi

(mostrano quanto assurdo

sia il filosofo vestito).

Gli avvoltoi sono critici:

prima d’ogni altro membro,

ingoiano gli occhi.

Nel loro stomaco

la morte si purifica,

la ruota si riavvia.

 

 
   

From THE DIALOGUE BETWEEN THE HAWK AND THE

VULTURE

The Vulture’s Feast


Dying is easy.

But being buried is a philosophic art.

A man ought to be entombed

in his wedding day apparel.

You avow the course of a lifetime

with just one good suit

from wedding to funeral.

With the hope of finding then –

at the decisive breach, and on that final

blade of the light of consciousness –

the fathers of your forefathers’ fathers.

Mothers should outlive

their children so as to properly

mourn them. For only they

understand the subtlety of the passing,

the tender care and

the habits of nourishment of children,

only they, charitably aged,

know how to wail over the body.

The traditional garments are fabric retainers.

Yet it’s not a simple matter

for a life to pass away.

Too many earthen roots

entangle just above ground.

The hunt is on for available nooks,

piles of corpses

waiting their turn.

Earth itself is thus profaned

by greed for posts and stones.

Territory comes from terror.

The spade digging the soil

digs then right into the neck.

The Parsis say:

The earth is sacred –

therefore it cannot be polluted

with cadavers;

the water is sacred –

so it cannot be fouled

with carcasses;

the fire is sacred –

therefore it cannot be profaned

by a burning corpse;

the air is sacred –

it cannot be darkened by ashes.

Where, then, is the place for the dead?

In the self-propelled tomb that rules out

all the elements, that shuts them off

in its narrow black vault:

the vulture.

Sometimes I think the opposite:

earth and water

fire and air –

they are all polluted and soiled,

no longer worthy of hosting

the only simulacrum of purity:

the human body.

Yet –

as I walk along the wide avenue

(Bombay at my feet below the hill)

observing the Towers of Silence

I realize I must return

to the lucid vision of the Parsis:

the vulture.

Narrow deep wells

upturned towers

inside the womb inside the earth.

There, corpses are discarded.

Perched atop the palm trees all around,

the vultures wait.

Large, coppery, bald,

with necks shunted into their shoulders.

The vultures are naked philosophers

(showing how absurd

the robed philosopher is).

The vultures are critics:

before any other part,

they swallow the eyes.

In their viscera

death is purified,

the wheel keeps going round.

[GS]

 

 

 

Da ANNIVERSARI (1999)

 

Il servo rosso


Stamattina ha cavato fuori l’anima.

Era prima del sole

(se non si desta nel vibrar del buio

perde il suo appuntamento con l’alba).

Ha affondato pian piano la mano

dentro la gola

per alcuni minuti: dolore

(gli sembrava di mordersi la gola

con i suoi stessi denti),

e ha posato il minuscolo uomo

rosso come lacca

(era unto di sangue)

sul tavolo; l’ha ripulito,

quasi fosse cornice d’argento,

con un lembo di pelle di camoscio.

Al momento di riporlo,

le mani hanno un poco tremato:

se non avesse più trovato il posto?

 

25 gennaio 1995

 

The Red Servant

 

This morning he took out his soul.

It was before sunrise

(if he doesn’t wake in the humming of the dark

he misses his appointment with the dawn).

He ever so slowly and gently sank his hand

into his throat

for a few minutes: pain

(he seemed to bite his throat

with his own teeth)

and he placed the tiny little man

red as lacquer

(he was oily with blood)

on the table: he cleaned him up,

rubbing him with a strip of chamois

as if he were a silver picture frame.

But when he put him back,

he felt a bit of a tremor in his hands:

what if he were not to find his place again?

 

January 25, 1995

 

[MP]

 

 

 

Da VOLANO IN CENTO (2002)

 

Dardo 1


Mi dicon che sei Cristo di dolore

ma per me sei qualcosa come un sole

impassibilmente ardente.


Dardo 1


They say you are a Christ of grief,

yet for me you are something like a sun

forever burning unperturbed.

 

 

Dardo 2

 

Ti prego prego prego, prego prego:

portami all’ombra delle tue candele.

 

Dardo 2

 

I pray and pray and pray and pray to you:

I beg you take me please

into the shadow of your candles.

 

 

Dardo 3

          Per Bonnie Müller

 

Ti regalo la ira mia o Signore

(trasformala in passione non furore)

come in punta di spada s’offre un fiore.

 

Dardo 3

           For Bonnie Müller

 

I offer you my wrath O Lord

(may you convert it into fire not fury)

as one bestows a flower on a sword’s tip.

 

 

Dardo 4

              Per Graziella Sidoli

 

Ascoltami se vuoi: la preghiera

è un intraversabile burrone

e da una ad altra sponda ci intendiamo

a cenni perché le parole

si sfilano nel tempo lasciando unica traccia

smorfie su labbra e come

possiamo intrascoltarci?

 

Dardo 4

            For Graziella Sidoli

 

Hear me if you wish:

prayer is an uncrossable cliff

and standing on opposite shores

we speak in signs because

words come unthreaded in the wind

leaving a grimace as their sole trace

and how can we

interlace our listening?

 

 

Dardo 7: Contra Platonem

                     (Simposio, 203b)

 

Se Eros nasce dalle furtive nozze

di Povertà e Ingegno in giardino

quale mai dio scugnizzo e fosco

(dio-demone della mia vita)

nasce dal congiugnimento

del Silenzio e la nuda dei boschi,

la Nulla?

 

Dardo 7: Contra Platonem

                       (Simposium, 203b)

 

If Eros is born of the furtive nuptials

between Poverty and Wit in the garden,

then what sort of dark urchin god

(demon-deity of my life)

is born of the embracement

of Silence and the naked creature in the woods,

Nothingness herself?

 

 

Dardo 8

           Per Assunta Pelli

 

C’è chi sotto

lo schiaffo del dolore

socchiude gli occhi e chi grandi li apre.

Lo spirito nei primi

scivola dietro i muri,

nei secondi s’affaccia alla finestra

piano-scostando il vetro delle lacrime.

 

Dardo 8

           For Assunta Pelli

 

There are some who

beneath grief’s blows

half-open their eyes

while others open them wide.

The spirit of the former

glides and hides behind walls,

the latter leans over windows

softly sliding the glass of tears.

 

 

Dardo 65

 

Nei rari momenti (ad esempio

nello specchio abbrumato di un motel)

in cui lo sguardo declina

verso il corpo in sua povertà

(defoliato dagli anni) e nudità

intorcigliato intorno all’indifeso

oscuro pene contro

il pallore del ventre

dunque in disperata purità

là dove la miseria

escludendo vergogna

è la modesta via maestra

verso la dignità –

ecco io allora scorgo il corpo di Gesù.

Bloomington, Indiana


Dardo 65


In the rare moments (for instance

in a motel’s misty mirror)

when my glance turns

to the body in all its poverty

(parched by time) and its nudity,

twisted around the defenseless

dark penis lying against

the pallor of the belly

hence in forlorn purity

where misery,

having chased shame,

is the modest high road

towards dignity –

then I catch sight of Jesus’ body.

Bloomington, Indiana

 

 

Dardo 67: Chirstus Triumphans

 

Un vincitore

è sempre un macellaio. Non v'è preda

troppo piccola o facile per lui.

Tu dunque trionfi

anche perché ogni giorno mi sloghi.

 

Dardo 67: Chirstus Triumphans

 

A winner

is always a butcher. There is no prey

too small or too simple for him.

You then prevail

becausse you also dislocate me

every day

 

Dardo 97: Discesa

 

La umiltà invisibile per esser percepita

è costretta a scoscendere un gradino

e adottare il passo claudicante

e i panni-stracci dell’umiliazione.

Chiunque poi l’abbracci

discende un’altra china:

è subito accusato di arroganza.

 

Dardo 97: Descent

 

Humbleness invisible is forced

to descend a lower step to be perceived

and it must learn to limp

and wear the ragged cloth of humiliation.

Whoever then will embrace it

descends further down another slope,

and is suddenly accused of arrogance.

 

 

Dardo 98

 

Sento a volte una voce di pastora

sull’altra riva del lago – una voce

un po’ roca e velata (è una pastora

che non disdegna il bere e l’abbracciare):

«Fammi morire, che ti voglio bene.»

 

Dardo 98

 

I hear the voice of a shepherdess sometimes

slightly coarse and veiled, coming

from the other end of the lake

(she does not disdain

drinking and embracing):

«Ravish me, for I do love you so.»

 

[GS]

 

Da OGNI MERIGGIO PUO' ARRESTARE IL MONDO (2002)

Sonetto transtiberino 2:

Villa Medici


Ogni vero giardino è un labirinto

ogni sommersa visita è silente

ogni panca è solenne come un plinto

ogni pianta è un cero verde-ardente


ogni coppia si scioglie in vertigine

ogni pozza può risucchiare al fondo

ogni grata è fiorita di rubìgine

ogni meriggio può arrestare il mondo.


Alla volta di un viale l’ha smarrita

ma ne ha sentito il piede sulla ghiaia:

non-morsa-dal-serpente, è riapparita.

Guardano dagli spalti il Muro Torto

sulla soglia di un’umile legnaia:

eretta, lei; e lui, sull’ombra sporto.


Biblioteca Sterling, 17 agosto 2000

 

 

 

 

 

Transtiberine Sonnet 2:

Villa Medici

 

Every true garden is a labyrinth

every underwater call’s a silent scene

every bench sits as solemn as a plinth

every plant’s a candle tipped with firegreen

every couple melts into a vertigo

every pool can swirl down to the depths at will

every grate is blooming with a ruby glow

every afternoon can make the world stand still.

He lost her on an avenue when it turned

but heard her walking on the gravel: then,

unbitten-by-the-serpent, she returned.

From the buttresses they see the Muro Torto, in

the doorway of a very humble woodshed:

she, standing up; he, leaning toward the shade.

 

Sterling Memorial Library, August 17, 2000

 

[MP]