Paul Delvaux, Landscape with Lanterns, 1958
Guido Galdini (Rovato, Brescia, 1953) dopo studi di ingegneria ha lavorato nel campo dell’informatica. Alcuni suoi componimenti sono apparsi in opere collettive degli editori CFR e LietoColle. Ha pubblicato la raccolta Il disordine delle stanze (Puntoeacapo, 2012).
Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa
Si sa da sempre che ciò che appare «naturale» in fatto di stile, nasconde spesso l’artificio. In arte, e nella scrittura in particolare, non v’è nulla di «naturale» né di ovvio, la naturalità ha le sue radici in un profondo lavoro di scavo e di progetto artistico. Quindi se parlerò di stile naturale per la scrittura poetica di Guido Galdini, sarà in questo senso che lo dico. Naturalmente, e in una grande misura, il fondo sonoro generale in queste poesie appare messo in sordina, dietro le quinte, viene insomma rimosso per mettere in maggiore evidenza i legami sintattici e logici della descrizione narrativa. È ovvio che in questo tipo di poesia tutta la strumentazione sonora, il momento progressivo e quello regressivo, passino in secondo piano; così, l’eufonia, o l’anti eufonia, o quel che rimane della antica eufonia. Per ciò stesso la «strumentazione» è da considerarsi fattore del tutto secondario. La connotazione acustica del verso tende a collimare e a identificarsi con l’estensione del giro sintattico, un po’ come avviene nella prosa o nella poesia in prosa, di cui un maestro indiscusso di questo tipo di poetare è senz’altro Giampiero Neri che lo inaugurò con la sua opera di esordio L’aspetto occidentale del vestito (1976). In questo tipo di impostazione, la poesia viene a identificarsi quasi interamente con la didascalia di un prodotto commerciale o con la didascalia storica, entrambi svolgono una funzione assertoria, informativa, regolatrice dell’uso di certi prodotti. Analogamente, la poesia di Guido Galdini adotta questo modo di essere, predilige una poesia dal registro sistematicamente informativo, isotonico e isofonico, fermamente aggrappato al significato delle parole, crede nel significato delle parole e nel loro potere incantatorio sganciate dalla operatività del significante. Ovviamente, in questo tipo di operazione tutta la qualità sta nella deviazione improvvisa di un elemento atomico della significazione dalla via obbligata di percorrimento; una sorta di collasso della funzione rettilinea del discorso suasorio. In quel punto preciso, scocca la significazione aggiuntiva del testo poetico. Come nel quadro di Paul Delvaux: il paesaggio è nitido, gli alberi sono al loro posto, i lampioni anche, i viottoli lindi e puliti e la signora di spalle che osserva la scena anche; tutto è lindo e pinto e immacolato. Ma c’è qualcosa che non si vede, non si nota, ed è «il disordine delle stanze», quel «disordine» che spesso si cela nell’ordito natural-tecnologico del nostro modo di vivere. Galdini però non forza mai la linearità sintattica, non aggiunge e non toglie, non opera interruzioni improvvise del polinomio sintattico come faceva il suo predecessore, il suo intendimento di poetica è la massima chiarezza denotativa ed emotiva, vuole evitare gli equivoci derivanti dall’impiego del significante che tanti disastri ha prodotto nella poesia italiana del tardo Novecento. E non saremo certo noi a dargli torto.
Guido Galdini
APPUNTI PRECOLOMBIANI (Estratto)
Dresda, Persepoli, Tenochtitlan,
e tutti gli altri nomi
riconsegnati alla polvere,
ci fanno sospettare che sia impossibile
convivere troppo a lungo
con il ricatto della bellezza;
verrà sempre qualcuno, prima o poi,
a liberarci da questo peso:
la rovina è stata la rovina o la costruzione?
*
è noto che i conquistatori
approfittarono dell’attesa per il ritorno,
previsto proprio quell’anno,
del principe dal mare d’oriente;
e qui s’inoltrano le riflessioni
sulle coincidenze che diventano catastrofi
ma non risulta che nessuno tra gli eruditi
abbia mai avanzato l’ipotesi
che Cortés fosse realmente il serpente piumato,
il miglior serpente piumato
che la storia si era potuta permettere.
*
come denaro usavano i chicchi di cacao:
questa è stata la loro risposta
ai problemi della purezza del conio;
essa mostra altresì la variegata
origine dell’economia:
al latte, alla nocciola, un po’ più amara,
con una punta di menta piperita.
*
i cani, i tacchini e le api,
sono le specie viventi
allevate dai Maya;
il cibo, la dolcezza, l’amicizia,
a questi mezzi hanno assegnato
il compito di difenderli dal futuro:
anche loro non hanno avuto il coraggio
di accontentarsi delle stelle.
*
utilizzavano la ruota
solamente per i giocattoli dei loro figli,
la consueta spiegazione di questo limite
è l’assenza, nel nuovo mondo, di animali da tiro,
un’ipotesi più accurata è che forse
avevano già compreso, nei loro giovani giorni,
che affidarsi alla tecnica, senza adeguate difese,
è un esercizio del massimo rischio,
da adoperare soltanto per trascinare col filo
il carretto con gli incubi della propria infanzia.
*
secondo una fonte dell’epoca
lo Yucatan prese il nome
da “ma c’ubah than”,
la risposta che diedero i nativi
alle domande degli stranieri del mare,
e che significava, semplicemente,
non capiamo le vostre parole:
in questo modo, come si addice agli spettri,
divenne un luogo anche l’incomprensione.
*
pittura-born-in-mexico-city-in-1963-moises-levy-prefers-achitecture-in-the-light
il palmo della mano era la parte
prelibata del corpo,
riservata nel banchetto ai guerrieri;
e noi, che ogni occasione è propizia
per aumentare la sfiducia in noi stessi,
non ci rendiamo più nemmeno conto
di possedere questa saporita virtù.
*
John Rowe fece propria l’ipotesi,
sulla base degli antichi cronisti,
che i fondatori di Cuzco
ne avessero tracciato la pianta
a imitazione del profilo di un puma;
ipotesi confutata, probabilmente a ragione,
dal gran numero dei successivi studiosi
ma un’idea così ripida, ruvida e sgusciante,
è assai più intrepido essere chi l’ha proposta,
piuttosto che rimanere dalla parte annoiata
di tutti gli altri che si accontentano di respingerla.
*
lo zero, vanto intellettuale dei Maya,
era rappresentato da una conchiglia
oppure da un fiore con tre petali:
in una terra soffocata dagli dei
almeno il nulla doveva essere gentile.
*
per giorni e giorni d’assedio la città
era vissuta sommersa nel frastuono,
tamburi, strepiti, trombe di conchiglie,
urla e lamenti di chi, per combattere,
non aveva altre armi oltre alla voce;
ma quando Quauhtemoc si consegnò agli invasori
cadde un silenzio improvviso e totale:
circondato da secoli di rumori
quel silenzio non s’è ancora interrotto.
*
quando ad Hatuey, un cacicco di Cuba,
prima del supplizio, proposero di convertirsi
per ottenere il suo posto nel cielo,
chiese loro se il cielo era il luogo
dove vivono, dopo morti, gli spagnoli,
ricevuta una risposta affermativa
dichiarò che preferiva l’inferno:
anche in tema di paradiso,
quando si entra propriamente nel merito,
le opinioni finiscono per divergere.
*
tutti i popoli conquistati e raccolti
sotto il giogo dell’impero del sole,
pare non fossero
del tutto grati del proprio stato di sudditi;
accolsero quindi il manipolo d’invasori
come Dei sopraggiunti
per offrir loro la liberazione
più intricato fu poi chiedere ad altri Dei
di liberarli dagli Dei liberatori:
ma questo non fa eccezione
all’uso promiscuo, che si fa ovunque nei tempi,
della perenne parola libertà.
*
i Mixtechi, il popolo delle nubi,
riuscivano a comprendere la lingua
fino a circa sessanta chilometri da casa,
la distanza che era dato percorrere,
a piedi, in due giorni di viaggio:
il limite dell’altrove era segnato
in modo indelebile dalle impronte;
per noi che abbiamo perduto
la consuetudine della strada
ogni centimetro è diventato incomprensibile.
*
ci è del tutto estraneo il motivo
per cui la civiltà classica Maya
fiorì nel cuore fradicio della foresta,
in una natura inospitale e malsana, folta
d’insetti e rettili dall’ineluttabile morso
una proposta, estranea e rapace,
è che soltanto nel fitto di quelle fronde
crescessero gli incensi più ricercati,
il caucciù, il palo santo, il copale,
e che inebriarsi del loro incendio
potesse dare un temporaneo sollievo
dal raffreddore della realtà.
*
non c’è riflesso che possa perturbare
le maschere di pietra verde di Teotihuacan;
soltanto l’ombra di quei volti senza pupille
riusciva a reggere lo sguardo delle piramidi,
soltanto chi è senza sguardo si può permettere
di oltrepassare gli equivoci della vista.
*
pare che in remote età geologiche
il Rio delle Amazzoni scorresse in senso contrario
fino a una foce intravista nell’occidente;
successivi rivolgimenti tellurici
ne mutarono il verso:
era una fine più mansueta
scendere incontro all’indecisione dell’alba.
*
Marcel Duchamp Duchamp devoted seven years – 1915 to 1923 – to planning and executing one of his two major works,
The Bride Stripped Bare by Her Bachelors, Even, …
alzando gli occhi, a Zanipolo,
nella cappella di san Domenico,
siamo inondati dalla cupola del Piazzetta,
che ha utilizzato tutti i toni di bruno
esistenti nel mondo,
e qualcun altro ne ha dovuto inventare:
non ci resta che volare con gli occhi
alle creme, ai nocciola, alle schiume
della ceramica Nazca, alle loro carezze
sulla superficie dei vasi: il rococò
non è una questione di dettagli ma di stupore.
*
i maestri maya che firmavano i loro vasi
non lo facevano per vanità ma per scrupolo;
ad esempio, Aj Maxam, dipingendo il suo nome
sul Vaso dei Fiori dell’Anima,
dove esili, incerti, bruni gigli
galleggiano nell’oltremondo
in un mare di candidi flutti,
si premuniva di ricordare a noi tutti
che, se è un nume a guidare le onde,
è sempre un uomo che ne registra le oscillazioni.
*
i sacerdoti di Xipe Totec,
il dio mixteco della primavera,
indossavano, dopo averle scorticate,
la pelle delle vittime sacrificali
la natura si riveste e si spoglia
e si riveste in abiti di distruzione,
cresce il germoglio sul marcire degli arbusti,
succhia la linfa alle carcasse sepolte
come informano i poeti modernisti
la crudeltà non è solo un pretesto:
quante notti di nebbia, per la luce d’aprile.
*
saranno necessarie varie decine d’anni
per esplorare in modo appena degno
i principali monumenti di Tikal,
un tempo che man mano si avvicina
a quello della loro costruzione:
una giusta ed umana vendetta
degli autori sui critici.
*
il sangue gocciola sopra la statua
del dio che attende, avido, un altro sorso;
con altre lame, con altri liquidi,
con le stesse intenzioni,
proseguiamo nell’estenuarci,
perché qualcuno debba infine accettare
il predominio, l’evanescenza e gli spigoli
dei nostri ricatti travestiti da sacrifici.
*
al grand’Inca non era concesso
indossare due volte la stessa veste:
appena smessa, la consegnava ai suoi servi
perché fosse all’istante distrutta,
oppure donata a un cortigiano
meritevole di ricompensa;
riflettiamo su questa
irreparabile perdita:
nella sua onnipotenza non poteva
nemmeno permettersi di possedere
il proprio maglioncino preferito,
quello blu.
*
il vecchio di una comunità spagnola,
rimasta esclusa per secoli
nella foresta intatta del Petèn,
ma ormai raggiunta dalla civiltà,
accende una sigaretta a Felice Bellotti,
gli offre il fuoco da un antico acciarino,
e gli propone tutta la sua amarezza:
“non ci mancava niente prima,
e adesso cominciano a mancarci troppe cose”
nel contatto con le genti nascoste
non offriamo oggetti ma assenze:
il desiderio è la merce di maggior pregio.
*
la storia ci ha conservato il lamento
del suo popolo all’esecuzione dell’Inca
“chapui punzhapi tutayanca”
che in lingua quechua significa
“e a mezzogiorno è scesa la notte”:
credevate davvero che il buio
potesse accontentarsi di qualche ora?
*
lo smilodonte fatalis, antico enorme felino,
la tigre dai denti a sciabola, scomparso
nel tardo pleistocene, popolava
col suo terrore tutto il continente,
ora ci basta l’irrefrenabile nome
per fremere sgomenti ai suoi ruggiti:
chi non riesce a farsi raggiungere dalla parole,
deve provarsi ad inseguirne il riverbero
prima di cedere, trafelato, alla sordità.
*
l’inferiore, dei tre mondi degli Incas,
è la terra che ospiterà i morti,
non è l’inferno, come credettero gli spagnoli,
ma un ritorno alle rive del nostro imbarco;
il luogo dove andranno i peccatori
non è un altro luogo,
vagheranno in perpetuo sulla terra,
senza un fine o una fine o un compimento:
l’inferno è non avere un destino,
troppo spesso si inizia già da vivi.
*
“l’America è il luogo
dove l’Europa ha fatto naufragio”
scrive Charles Simic nei suoi appunti
sull’arte timida di Joseph Cornell;
un continente non fa eccezione
alla regola dell’incudine e della piuma,
come ogni cosa, raggiunge il proprio scopo
quando si priva dell’obbligo di galleggiare.
Note
Cacicco: capo di una comunità tribale dei Caraibi.
Cortés – Conquistatore, con un pugno di uomini, dell’impero azteco. Di grande volontà e sagacia, più colto della massa dei suoi compagni, lasciò alcuni resoconti delle sue imprese sotto forma di lettere all’imperatore di Spagna.
Cuzco – Capitale dell’impero inca, in Perù, a tremilaquattrocento metri di altitudine, tuttora popolata da circa trecentocinquantamila abitanti.
Dresda, Persepoli, Tenochtitlan – Tre città di grande splendore accomunate dalla distruzione gratuita, rispettivamente da parte degli angloamericani, dei macedoni e degli spagnoli. Sulle rovine di Tenochtitlan, capitale dell’impero azteco, sorse l’attuale Città del Messico.
Felice Bellotti – Scrittore novecentesco, autore del volume di impressioni di viaggio “Terra Maya”.
John Rowe – Archeologo statunitense, tra i primi a studiare, con un approccio insieme storico e antropologico, la civiltà incaica.
Impero del sole: il regno degli Incas.
Mixtechi: popolo precolombiano del Messico sudorientale.
Nazca – Civiltà del Peru meridionale, nota per gli enormi disegni sul suolo delle sue coste, rappresentanti sia animali sia linee senza apparente significato. Un ulteriore vanto sono le sue ceramiche dai colori di estrema varietà e brillantezza.
Petèn – Regione del Guatemala settentrionale, cuore della civiltà classica maya.
Quauhtemoc: ultimo sovrano azteco nella disperata difesa di Tenochtitlan (l’attuale Città del Messico).
Quechua – Lingua degli Incas, tuttora parlata da circa dieci milioni di indios, principalmente in Ecuador, Perù e Bolivia.
Serpente Piumato – essere soprannaturale di molte religioni precolombiane, di cui si attendeva il ritorno dopo la sua fuga, via mare, verso oriente. Pare che gli spagnoli abbiano approfittato di questo mito per giustificare la loro venuta, anche se attualmente si è dell’opinione che questa leggenda sia stata elaborata in un periodo successivo alla conquista.
Teotihuacan: enorme sito archeologico a nord di Città del Messico, caratterizzato da imponenti piramidi.
Tikal – Antica città Maya del Guatemala, probabilmente la più estesa del periodo classico, immersa nella foresta pluviale, da cui spuntano come guglie le sue affilate piramidi.
Yucatan – Penisola del Messico meridionale, dove fiorì la tarda civiltà maya.
Zanipolo – Chiesa veneziana (san Giovanni e Paolo). La cupola della cappella di San Domenico è un capolavoro di luminosità e leggerezza dipinto da Gianbattista Piazzetta.