Steven Grieco-Rathgeb POESIE SCELTE da Entrò in una perla(Mimesis Hebenon, 2016 pp. 90 € 10) – un universo supersimmetrico e superdistopico – La poesia come traduzione problematologica – Lontananza tra la periferia e il centro dello spazio poetico – Il divario che si apre tra l’implicito e l’esplicito – con un Appunto dell’Autore e un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa.

 

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa


Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

 

Scrive Steven Grieco-Rathgeb:

«Oggi, l’immagine – in una società sempre più satura di immagini – viene in genere elaborata in modo tale da raggiungerci in una frazione di secondo. Tale procedimento si basa sul concetto,  anch’esso “primordiale”, che ciò che è “vero”, “reale”, è per sua natura anche subito fruibile. Ma il mondo-tempo che trascorre di fronte a noi è anche misterioso o si mostra solo in parte.

E’ da più di mezzo secolo che tale inganno “realista” va spostando la scrittura, il cinema, e persino la musica, verso un limbo di realtà fittizia, di realtà fictional, che il fruitore si è ormai abituato a consumare come entertainment.

 

In quest’ottica del pronto consumo, il lasso di tempo che per il fruitore intercorre tra il suo esperire un prodotto artistico e la sua reazione estetica ad esso, deve essere ridotta più vicino possibile allo zero. Eppure, la nostra fruizione di un dato fenomeno, interiore o esterno, non è sempre così immediata; oppure la sua immediatezza è talvolta così fulminea da raggiungerci con una sorta di effetto ritardato. Perché allora l’autore dell’opera deve pre-masticare e pre-digerire per noi la sua esperienza umana? Facendo così, ci toglie la vera intelligenza-percezione del fenomeno che egli vuole presentare. Simili metodi creano quasi sempre un falso. Sono una truffa.

 

L’immagine in cinematografia ha bruciato i tempi, andando avanti in modi sicuramente contraddittori e problematici ma anche fortemente creativi (un Bresson vale centomila film commerciali), costringendo la poesia a scomparire, oppure a radicalmente rivisitare le radici stesse del suo essere. E bene ha fatto. Ma si tratta di una lezione che la poesia deve ancora recepire: come non ammettere, ad esempio, che di fronte alla minaccia dell’immagine “immediatamente fruibile”, essa ha quasi sempre preferito ripiegarsi su se stessa, rintanandosi nella sicurezza del “già fatto”? Ripeto che sono pochissimi i poeti, nella seconda metà del XX secolo, che hanno avuto il coraggio di recepire il dato “reale” del nostro oggi, e volgerlo in Poesia.

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

 

Visto tutto ciò, è opportuno oggi che, in ambito poetico, il senso del dire arrivi al fruitore in modo graduale, “ritardato”, di modo che questi non abbia la possibilità di “consumarlo”. Non parlo di una tecnica artificiale. Un esempio: un mattino di marzo, con il cielo coperto, e noi assorti nei nostri pensieri, attraversando la città in tram scorgiamo inaspettatamente un albero fiorito in un giardinetto trascurato e polveroso. Di fronte ad una esperienza percettiva come questa, di un certo impatto, il processo di interiorizzazione non sarà uniforme: a causa dell’elemento di sorpresa, di gioia, di stupore che l’albero fiorito ha provocato in noi, la sua immagine sarà ripetuta mentalmente (la cosiddetta after-image, scia d’immagine) anche infinite volte nello spazio di qualche secondo. Di tanto è capace l’onnipotenza del pensiero, simile all’universo studiato dagli astrofisici (e ugualmente inafferrabile). Ma il fatto che tale esperienza percettiva non sia liscia e uniforme, apparirà più chiaro alla fine del processo di interiorizzazione, una volta cioè finito il sentimento di sorpresa e l’emozione concomitante, e ancora più chiaro sarà quando tale esperienza vorremo esteriorizzarla in forma descrittiva, narrativa, orale. In un primo tempo il nostro dire uscirà frammentato, interrotto e ripreso, mentre cerchiamo il modo migliore di fare giustizia all’esperienza. E’ solo in seguito che l’esperienza prenderà ad assestarsi nella nostra coscienza, depositandosi e lasciando lo spazio a nuove esperienze percettive, nuovi pensieri, etc. Anche qui sta il fulcro misterioso della visione poetica, che ritroviamo non solo nella poesia in quanto tale, ma in tutti i campi dell’attività artistica.

 

Un esempio di cosa intendo può essere costituito da certe sequenze “silenziose” del cinema d’arte. Sequenze quasi del tutto prive di sonorità, senza musica, solo forse qualche fruscio dei vestiti o stormire di alberi. Eppure esse possono letteralmente urlare, creare frastuono in noi. Ecco, questo tipo di silenzio può essere anche della poesia contemporanea – o meglio, anche la poesia può interiorizzare la propria dimensione sonora (il suo rumore), e ritrovare la gradualità, la musicalità che così spesso in poesia è precisamente silenzio. Assenza di parole.

…Schwestermund,

du sprichst ein Wort, das fortlebt vor den Fenstern,

und lautlos klettert, was ich träumt, an mir empor.

Il testo kashmiri del IX secolo, Dhvanyaloka, del filosofo Anandavardhana (commentato due secoli più tardi da un altro grande filosofo, Abhinavagupta), studia l’essenza del messaggio poetico. Semplificando assai: la poesia, secondo Anandavardhana, contiene in genere un senso letterale e uno figurato. Il senso letterale ci raggiunge con una certa velocità, mentre quello figurato si stacca dal senso letterale e ci arriva “in ritardo”, ovvero dopo un lasso di tempo maggiore: è questo scarto temporale che crea la suggestione, il senso, il sapore estetico».

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

 

 

Commento di Giorgio Linguaglossa

 Il linguaggio è fatto per interrogare e rispondere. Questa è la verità prima del Logos, il quale risponde solo se interrogato. Noi rispondiamo attraverso il linguaggio e domandiamo attraverso il linguaggio. Il nostro modo di essere si dà sempre e solo entro il linguaggio.

 

Interrogando il logos il poeta ci dice che interrogare significa domandare. L’uso del linguaggio, implica l’interrogatività dello spirito, è atto di pensiero. Lo spirito abita l’interrogazione. Non era Nietzsche che diceva che «parlare è in fondo la domanda che pongo al mio simile per sapere se egli ha la mia stessa anima?». La questione del Logos poetico ci porta ad indagare il funzionamento interrogativo del linguaggio. Anche quando ci troviamo di fronte a sintagmi impliciti, il poeta risponde sempre, e risponde sempre ad una domanda posta, o quasi posta o a una domanda implicita. Nella risposta esplicativa il poeta introduce sempre uno smarcamento, una nuova istanza che solleva nuove domande-perifrasi alle quali non può rispondere se non attraverso un linguaggio-altro, un metalinguaggio.  

 

La traduzione problematologica diventa nella poesia di Steven Grieco-Rathgeb una traslazione stilistica. Il vecchio concetto di «simmetria» euclidea legata ad un concetto lineare del tempo, viene sostituito con quello di «supersimmetria», un concetto che rimanda alla esistenza di pluriversi, della «materia oscura», dell’«energia oscura» che presiede il nostro universo. Nella poesia della tradizione italiana del secondo Novecento cui siamo abituati, la traduzione problematologica corrisponde ad una certezza lineare unidirezionale del tempo metrico e sintattico, in quella di Grieco-Rathgeb invece assistiamo ad un universo metrico e sintattico «goniometrico», vale a dire, a spirale, involto, involuto, dove l’interno e l’esterno sono complementari e indistinguibili.

 

Noi abitiamo la domanda come una frase interrogativa, ma questo è già qualcosa di esplicito, non sempre le domande assumono una forma interrogativa, anzi, forse le grandi domande sono poste in forma assertoria e dialogica, ricercano un interlocutore. Analogamente, nella forma mentis comune per risposta si intende qualcosa di assertorio. Ma in poesia le cose non sono mai così semplici e diritte; in poesia le due modalità si presentano sempre in commistione reciproca e in reciproca amicizia-inimicizia.

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

Nella poesia di Steven Grieco-Rathgeb è il punto lontano della domanda da cui prende l’abbrivio che costituisce un luogo goniometrico dal quale si dipana il discorso poetico spiraliforme. Qui è una geometria non-euclidea che è in questione. Il discorso si apre a continui rallentamenti ed accelerazioni del verso, essendo questo la traccia di una ricerca che si fa a ritroso, attraverso la via verso un luogo che un tempo fu abitabile. Utopia che la poesia ricerca senza tregua. Il punto lontano va alla ricerca del punto più vicino scegliendo una via goniometrica e spiraliforme piuttosto che quella retta, una via goniometrica, eccentrica;  in questo modo, la versificazione si irradia dalla periferia del punto lontano verso il centro di gravità della costellazione simbolica mediante le vie molteplici che hanno molteplici direzioni. Ogni direzione è un senso interrotto, un sentiero interrotto (un Holzwege), e più sensi interrotti costituiscono un senso plurimo, sempre non definito, non definitivo. La poesia si dà per formale smarcamento dell’implicito, e procede nella sua ricerca del vero allestendo una mappa, una carta geografica dell’evento linguistico. Si smarca dalla significazione dell’esplicito. La poesia di Steven Grieco-Rathgeb risponde sempre per totalesmarcamento dell’implicito alla ricerca di ciò che non può essere detto con parole esplicite (dritte) o con un ragionamento «protocollare». In questa ricerca concentrica ed eccentrica, spiraliforme, la poesia narra se stessa e narrando la propria ricerca indica una traccia, delinea un non-spazio che si apre al tempo, anzi, un non-spazio fatto di temporalità, un tempo fatto di non-spazio, che chiude lo spazio entro la propria irreversibile molteplicità temporale. È la marca della temporalità quella che appare alla lettura, una temporalità inscindibilmente legata ad una molteplicità di accadimenti.

 

Per Steven Grieco, il discorso dell’esplicito è certo una risposta, ma una risposta becera perché vuole statuire attraverso la via più breve utilizzando lo spazio geometrico della significazione euclidea, mediante le vie rette del linguaggio neutrale della comunicazione. Il discorso poetico del nostro autore invece attraversa lo spazio multidimensionale del cosmo, oltrepassa il tempo, lo vuole «bucare». La poesia di Grieco-Rathgeb abita  un non-spazio, non è topologica, o meglio, è multi topologica, si rivela per omeomerie e per omeotropismi dove i rapporti di simiglianza e di dissimiglianza tracciano lo spazio interno di questo  universo in miniatura qual è la poesia, dove c’è corrispondenza tra il vuoto e il pieno, dove gli eventi «Sono apparsi in una sfera / staccata dal pneuma» e accadono in una «sfera», in «una perla», un universo in miniatura che riproduce il macro universo.

 

Il silenzio-lucertola scruta fisso.

Si muove. Risale verso l’immobilità. Si ferma, ingoia suono,

i suoi occhi gonfiano il vuoto.

 

Le domande che occupano il locutore sono tacite, ciò che vi risponde prende la forma della metafora e dell’immagine. La metafora indica così il divario che si apre tra l’implicito e l’esplicito; l’immagine allude alla lontananza tra la periferia e il centro dello spazio poetico. L’immagine e la metafora smarcano il rotolare dell«’io» dal centro alla periferia, e viceversa. Se il Logos è fatto di domande e di risposte, a che cosa risponde il Logos? Il Logos risponde a ciò che siamo. Si dà linguaggio poetico nella misura in cui si mette in gioco ogni possibilità del dire della Lingua, in cui ci si mette in gioco. Nella poesia intitolata alla «icona di Andrey Rublyov», non c’è nulla che rimandi, per via implicita o esplicita, alla icona del pittore russo, il discorso poetico procede per le vie sue proprie in un universo supersimmetrico e superdistopico, non si dà come illustrazione o  commento, non sceglie la via diretta dell’esplicito, quanto invece allude e accenna ad un altro universo analogico e contiguo a quello della icona pur se superdissimile e superdistopico.

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

Leafing through the pages

I was leafing through the pages, looking

for the word φαινόμενον.

 

“Our world is fully discovered,” you said.

“We’ve mapped the continents and seas,

classified plants and creatures.”

 

Your words spread out like a full-blown flower.

 

“Its mysteries,” you said, ”largely explained,

the future foreseeable and ours by pre-emption.”

 

This didn’t seem quite right:

but still your argument held its own

and climbed before our eyes, 

turning on a sky-blue axis,

so round and well-fashioned we forgot

its nothingness, how it echoes down the aeons

growing stronger, clearer, till it’s One

with the dreamlike deep vibration of existence.

 

“And for all our achievements, look at us,” you said:

“unknown to our own selves,

outraging what’s left of this world.”

 

This world, I thought, or just a reflection?

I myself couldn’t tell.

 

Overwhelmed, we watched it turn silently,

its rugged contours etched

with ever finer, more rending strokes;

offering us the same answers we seek;

feeding with our gaze

its dream.

Florence, 1988

 

Sfogliavo le pagine

Sfogliavo le pagine, cercando

la parola φαινόμενον.

 

Tu dicesti: «il mondo è stato tutto scoperto. 

Conosciuti i mari e i continenti,

le piante e gli animali classificati.»

 

Le tue parole si schiusero come un grande fiore.

 

«I suoi misteri – dicesti– ormai quasi spiegati,

il nostro futuro prevedibile e già oggi ipotecato.»

 

Su questo avrei avuto da ridire:

ma il tuo pensiero resse,

e noi lo vedemmo librarsi nell’aria,

tondeggiando azzurro,

così ben foggiato da farci dimenticare

il suo nulla, come un’eco nei millenni,

sempre più forte, più chiaro, fino a diventare

suono, sonorità inconscia dell’Essere.

 

«E noi – dicesti – con tutte le nostre conquiste, 

sconosciuti a noi stessi;

violando quel che resta di questo mondo.»

 

Questo mondo, riflettevo, o soltanto

un’immagine? Ero incerto anch’io.

 

Vinti dalla sua presenza, lo vedemmo ruotare

in silenzio, i suoi rilievi manifestarsi

con crescente, lacerata precisione:

inviarci i segnali da noi stessi desiderati;

alimentando con il nostro sguardo

il suo sognare.

Firenze, 1988

 

*

 

Koronisia, 1990

.

Lights out, the house

– dark

 

Down the passage to the room,

and in the encircling unfathomable foreignness

 

a shimmering vegetation—

 

trill of crickets from the dark-enshrouded olives

—noiseless spider, mantis, gecko

 

(vermin slithering through the underbrush)

 

“Don’t touch!“ – a whisper speaks

that same darkness: “now events

shed no light:

but the ever-itself, in thousands,

shapes around the stone-hard 

still core, leaping like fish

from wave to wave— ”

 

Till presence is this dark body, woven

in thoughts: the eyes dark, the heart

woven in its own embrace

 

inside the wider encircling Gulf

now audible,

washing ashore

 

where thought, dark swimmer,

swims out

breathing unutterable darkness

Supersymmetries

 

Koronisia, 1990

Spente le luci, la casa

– oscura

 

giù per il corridoio verso la stanza,

e in questo cerchio insondabile, straniato

 

una rilucente vegetazione–

 

stridio di grilli dagli olivi avvolti nel buio 

– silenziosi ragno, mantide, geco

 

(strisciano immondi sotto i cespugli)

 

“Non toccare!” – sussurra la

stessa oscurità: “adesso gli eventi

non illuminano:

ma il sempre-se-stesso, a migliaia,

si forma intorno all’impietrito

fisso centro, balza come un pesce 

di onda in onda” –

 

finché la presenza è questo corpo oscuro 

che il pensiero intesse: gli occhi scuri, il cuore

intessuto nel proprio abbraccio

 

nel grande cerchio del Golfo

ecco, si percepisce

lo sciacquio a riva

 

dove il pensiero, oscuro nuotatore,

nuota al largo

respirando indicibile oscurità

 

Supersimmetrie

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

 

Amnesia

 

Now that you’re up, ashlit moon, 

invisibly clear in the early night—

in this silence, like the mind’s quiet,

I wonder how your bright crescent 

speaks the dark fullness: the darkness coming

of your round brilliance.

 

Your speed up there so high

I instantly reach you.

For the deepest transparency,

without glass, across distances,

is only thin air

 

and the horizon of this world, away.

 

You speak, ancient poet,

not as a voice within a voice,

but as one divided 

in your undivided sound.

 

May I tonight

forgetting the distance

 

speak the dark round of your fullness

Supersymmetries, 1995

 

Amnesia

Ora che sei sorta, luna-cenere,

quasi invisibile nella notte appena fatta,

nel tuo silenzio, simile alla quiete del pensiero,

mi chiedo come questo orlo di luce

esprima l’oscura pienezza: l’oscurità vicina

del tuo sferico splendore.

 

Tu lassù così veloce

che ti raggiungo in un istante.

Perché la trasparenza più profonda,

senza vetri, di là dalle distanze,

è solo quest’aria sottile

 

e l’orizzonte di questo mondo, avulso.

 

Tu parli, antico poeta,

non come voce nella voce,

ma come uno diviso 

nel tuo suono indiviso.

 

Possa io stanotte

dimenticando la distanza

dire l’oscura sfera della tua pienezza

Supersimmetrie, 1995

 

 

*

 

Rome, Bombay

 

Via degli Astalli, 1968

Through the deep nights

a fountain in the courtyard dripped

endless water. Fragrance

came over the rooftops, the city

rose in a glimmer to the brim of our being.

 

Now in my mind’s eye I open the door

and peer down the dimly lighted hallway: 

those who came have just left –

I hear the elevator groaning its way

down the shaft

 

but a suppressed excitement

warps the row of expressionless windows.

 

I can never remember:

who was standing behind the door,

a glass of dark water in his hand?

 

Altmount Rd., 1997

 

I’m walking up Altmount Road, to reach the top:

the way familiar, peopled with memories

and homes I no longer recognize

in this crowd of alien windows.

 

Of those I knew some have moved away,

some become estranged.

Others stayed on in their vast apartments,

old friends I’ve come to meet again, brooding

now the sun has rounded the corner.

 

Down in the garden

children still play on the sparkling lawn

under the pipal tree that has lost its leaves.

 

And the older siblings,

as good as grown up,

bursting in the front door 

with excitement, and… news!

 

But the afternoon late, the sunset 

so deep and self-sufficient,

this life is a full glass

set before us who’ve no thirst to quench.

 

Soon I’ll reach the top, look out over the city,

I’ll glimpse the Arabian Sea

 

After dusk, past the balcony’s black void

I sensed that sighing body 

spread remotely around the night, 

how it encircled our clutch of drinks

and anxious lights

 

myself mirror-less – and all my profusion of tongues,

the trouble to grasp and express

simply a guide around the well-turned phrase

 

till words, pointing to their opposite,

left me groping in blindness.

 

Night follows on dusk, dawn on night:

though closely shadowed, our world is too sudden –

it flows in a manner akin to narration.

 

Down there, beyond the sprawling city,

ships’ horns are hooting – 

crows croak from all the trees 

in the smoky air before daylight.

 

There is no silence anywhere.

Only at the centre of the heart.

 

Roma, Bombay

 

Via degli Astalli, 1968

.

Nelle notti profonde

dalla fontana giù in cortile gocciava

acqua senza tregua. Un profumo

giungeva da sopra i tetti, le luci della città

riempivano fino all’orlo le nostre vite.

 

Adesso immagino di aprire la porta,

scruto il corridoio in fioca luce:

loro sono venuti e subito andati via – 

sento la gabbia dell’ascensore 

scendere a terra ansimando

 

ma una eccitazione soffocata

storce la fila impassibile di finestre.

 

non riesco mai a ricordare:

chi stava in piedi dietro la porta,

un bicchiere di acqua scura nella mano?

 

Altmount Rd., 1997

 

Risalgo Altmount Road, per raggiungere la cima:

la via familiare, popolata di memorie e case

familiari, ormai introvabili

in questa folla di finestre ignote.

 

Di coloro che conobbi chi è andato via,

chi è diventato estraneo.

Altri sono rimasti nei loro grandi appartamenti,

vecchi amici incupiti che io visito

ora che il sole ha girato l’angolo.

 

Giù in giardino

i bambini ancora giocano sul prato luccicante

sotto il peepal che ha perso le foglie.

 

E i figli grandi,

ormai quasi adulti,

irrompono dalla porta d’ingresso

pieni d’entusiasmo… e quante notizie!

 

Ma la sera inoltrata, il tramonto

così profondo e pago di sé

questa vita è un bicchiere pieno

che non abbiamo più sete di vuotare.

 

Presto raggiungerò la vetta, guarderò la città dall’alto

rivedrò il Mar Arabico

 

Dopo l’imbrunire, oltre il vuoto nero del terrazzo

ho sentito sospirare quel corpo lontano,

inanellato intorno alla notte,

come stringeva d’assedio i nostri aperitivi

e le nostre luci inquiete –

 

Io, irriflesso – e tutta la ricchezza delle mie lingue,

la difficoltà di cogliere ed esprimere

solo una guida per sfuggire alla frase tornita

 

finché le parole indicandomi il loro contrario

mi lasciarono a tentoni come un cieco.

 

La notte viene dopo l’imbrunire, l’alba dopo la notte:

il mondo lo spio come un’ombra: ma lui è troppo veloce,

scorre libero come un racconto dei tempi antichi.

 

Da laggiù, oltre la città sconfinata,

arriva il fischio delle navi – 

i corvi gracchiano da tutti gli alberi

nell’aria fumosa prima della luce.

 

In nessun luogo c’è silenzio.

Solo al centro del cuore.

 

 

*

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

 

Bottling wine on a high balcony

to a learned friend in Tokyo

Your flowering plum… a fragrance not of scholars!

Delusion, madness lifted you into the sky

where Heian poets wander forever

in their disembodied yearning:

the petals of those phantom minds mingling 

with your dark, three-quarters sterile mind!

And time, devotion, labour: smouldering ashes.

 

What can I offer you but the wine I decant 

on this moonless night of March:

this open-ended sky, black-starred origin

high in the numinous ravine;

this wine I translate into a whirlwind

streaming out the drunken inner blossom…

 

And the wakas, now, breathing depth – 

subtlety – fascination!

Supersymmetries – Florence, 1999

 

 

*

 

Imbottigliando vino su un alto terrazzo

per un amico erudito a Tokyo

il tuo susino fiorito… profumo non di filologi!

Con l’auto-inganno e la follia hai scalato il cielo

dove i poeti Heian vagano per sempre

nel loro anelito spettrale;

i petali di quel pensiero sfuggente, frammisti

alla tua mente buia, sterile per tre quarti!

E il tempo, la devozione, la fatica: brace morente.

 

Cosa posso offrirti, ho solo il vino che travaso

in questa notte di marzo senza luna:

questo cosmo a imbuto, alto lignaggio, 

tenebra di stelle sul dirupo numinoso:

questo vino, che traduco in un turbine,

spira dall’inebriato, più interno fiore …

 

E dei waka, adesso, il respiro –

il fascino sottile!

Supersimmetrie – Firenze, 1999

 

The painter’s portrait

Before setting to his work, 

the painter of this image should remember:

Who is he portraying? and reflect

how the narrow corridor through our world of chance

lies strewn with breakable misery 

and fear of violent mishap

and sudden bottomless manholes:

 

for, clearly, the likeness of a distinguished forebear

or even the vision of all humankind 

unlocking in one single flower,

are not what lies in his heart of hearts:

 

but considering that he may no longer

be shielded from thought of accident,

know the only way to be the way forward,

the whole face he dare not envision.

 

Then he will do his work in the best of ways,

and accomplish what he had always striven for,

knowing this to move strangely

between waking dream and recognition

 

and play down the importance of individual traits,

putting them surprisingly

where they are – much as meaning 

rises out of words that sleep:

the city at night

resembling itself, intently

outside the window, enveloped in darkness.

 

So that his image may finally be expressed.

 

Then the painter will not only render

cheekbones and shading,

not only conjure light in the eyes.

His portrait will be memory itself.

2003

Il ritratto del pittore

Prima di mettersi al lavoro

il pittore di questa immagine ricordi:

Chi vuole rappresentare? e rifletta come

l’angusto corridoio attraverso questo mondo dell’alea

è cosparso di umana disperazione

e del timore di violenti sinistri 

e di improvvise botole senza ritorno:

 

perché la somiglianza di un illustre predecessore,

o anche la visione di tutto il genere umano

schiusa in un unico fiore,

non sono certo quello che lui ha nell’animo:

 

invece, sapendo di non avere più riparo

dal pensiero di sciagure, 

capisce che l’unica via è la via che va avanti,

il volto intero che non osa immaginare.

 

Allora svolgerà il suo lavoro nel migliore dei modi,

realizzando ciò che da sempre si era prefisso,

e che lui ben sa muoversi strano

fra sogno ad occhi aperti e riconoscimento

 

e senza dare troppa importanza alle fattezze del viso,

le porrà dove già si trovano:

così come il senso scaturisce 

dalle parole che dormono:

città di notte

assorto specchio di sé, 

fuor di finestra, avvolta nel buio.

 

Affinché la sua immagine possa compiersi.

 

Allora il pittore non avrà solo reso

zigomi e ombreggiature,

non solo evocato la luce negli occhi.

Il suo ritratto sarà la memoria stessa.

2003

 

*

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

 

He entered a pearl

He entered a pearl inside the world

passed through walls muffling all cries

 

someone called it stealth

but the blue-lit night station was full of tears

 

The estrangement between you and me

wasn’t him – we

forgot each other standing face to face,

while He sat threading

this wrecked dream’s own escape

through good turned bad turned

good

through the same places that came back

and back

 

On such a rugged upward path

the way was changed into air!

 

into a dome of twilight, with persons

going in and going out,

as each fashioned

his own swarm of thoughts,

cocooned phantoms and naiads of image,

hanging them

in a white wilderness

 

Slowly he encompassed, slowly

encompassed us

till he hid

 

Oh, my I, now my clown,

on a fingertip spin the ball

I balance on

 

My heaven has split from top to bottom

 

And then we, unknowing prisms,

returned in brilliance

to our prisons

 

till I thought this life will last forever

 

Entrò in una perla

Entrò in una perla dentro il mondo

attraversò muri che tacquero ogni grido

 

qualcuno ne parlò come di un segreto 

ma l’azzurra stazione di notte era piena di lacrime

 

L’estraneità fra te e me

non era lui: noi

ci dimenticammo l’un l’altro pur stando faccia a faccia, 

mentre lui, seduto, infilava questo sogno infranto 

nella cruna della sua stessa fuga,

attraverso il bene che volge al male che volge 

al bene,

attraverso gli stessi luoghi che tornarono

e ritornarono

 

Su un sentiero così impervio

la via si tramutò in aria!

 

in una cupola d’ombra

con persone che entrano ed escono,

mentre ciascuno si fabbrica

il proprio sciame di pensieri,

larvati spettri e naiadi d’immagine,

e li appende

in una bianca desolazione

 

Lui lentamente ci circondò,

circondò da ogni parte

finché rimase nascosto

 

Ah, mio Io, mio pagliaccio ormai,

sulla punta del dito fai ruotare

la sfera su cui oscillo

 

Il mio firmamento si è squarciato da cima a fondo

E allora noi, prismi ignari,

tornammo a splendere

nelle nostre prigioni

 

finché pensai che questa vita durerà in eterno

 

*

 

Hesperiidae’s embroidered wings – Mani Kaul in dream

You, standing there, in some colourless shadow-life I had attained

 

– always so decisive – and every blacknight moth alive

 

every magical moth in stealthy flight – flew to the otherworld

 

astronomer beyond thin partitions wondering,

 

every moth a mystery I flew inside to the highest night skies:

You, in the unlit room I inhabit – colourless space of wonder –

 

expounding on expression – art – on the blood in our veins

And every one of your words came as some hurled verbal fragment

 

– tangible, visible splinters to unseen frontiers

 

and they were sound cried out—brilliant bits of nothing, and

 

came hurtling like cries!

 

Whistling, whining shrapnel – Flung! at my blank sheets of paper

 

with unheard-of energy, with your thrust at forbidden barriers

 

yet, a mere game… “the aesthetics of meaninglessness”

Fragmented – unheard of!

hurled – flung at the white sheet

Via Merulana, 11 February 2013

 

Ali ricamate delle esperidi: Mani Kaul in sogno

Tu lì, in qualche incolore umbravitae da me raggiunta

 

– sempre così decisivo – ed ogni notturna, viva falena

 

ogni magica falena segretamente in volo, volava all’altromondo

 

astronomo meravigliato oltre sottili pareti – ogni falena

 

un mistero in cui volavo verso i cieli altissimi della notte:

Tu, nella spenta stanza che abito, incolore spazio meraviglioso

 

discorrevi di espressione – arte – del sangue nelle nostre vene

E ogni tua parola giungeva come frammento verbale, scaraventato:

t

angibili, visibili schegge al varco di celate frontiere

 

ed erano suono urlato – lucenti briciole di nulla – mi giungevano

 

lanciate come grida!

 

Fischi, sibili di frantumi – Scaraventati! contro i miei fogli bianchi

 

inaudita l’energia, il tuo urto alle barriere proibite –

 

eppure, semplice gioco… “l’estetica dell’insignificato”

Frantumi – inauditi!

lanciati – scaraventati al foglio bianco

Via Merulana, 11 febbraio 2012

 

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

Beyond, beyond

When the first man sailed past these waters, all humankind sensed the great shadow hovering over lofty marble columns.

This is how we still understand it now – through our modern sense of light and image: transparently blue, seawater lapping against a wooden prow. A dream. A bobbing cosmos.

However late we reached here, our Present contains all time. Only in this moment can we relive the exactness of that ancient moment.

And Ulysses, spoke to all: “here is the wild maze of reality: the colourful markets, the goods, the different peoples thronging the stalls. Here the poet inhabits his prophecy, mathematics glimpses its eternity.

“Don’t believe them, they never sailed past these waters: fearless adventurers, they journeyed physically into the illusory, went further, further, dizzily on into the distance that shadowed their every move. Only to find new markets, new opportunities, new planets. Our undying world.

“All external, empirically observed phenomena became the miracle of the observing, ever-changing mind. This air so thin, a tree can no longer vanish into its greater self.”

And Ulysses asks: “What Blakeian madness is this? In such imperfection, how will life find its upside down? Its inside out?”

Supersymmetries, 2004

 

Più avanti, più avanti

Quando il primo uomo navigò oltre queste acque, l’umanità intera vide la grande ombra sulle maestose colonne marmoree.

A tutt’oggi è così che concepiamo, grazie al nostro moderno senso di luce e immagine: azzurro limpido, l’acqua del mare che lambisce una prua di legno. Un sogno. Un cosmo galleggiante.

Quale il ritardo con cui siamo giunti qui, il nostro Presente contiene tutto il tempo. Solo in questo momento possiamo rivivere l’esattezza di quell’antico momento.

E Ulisse parlò a tutti: “ecco il folle dedalo della realtà: i mercati pittoreschi, le merci, i diversi popoli che affollano i banchi. Qui il poeta abita la sua profezia, la matematica intravede l’eternità.

Non credete loro, non navigarono oltre queste acque: intrepidi e avventurosi, si spinsero fisicamente nell’illusione, sempre più avanti, vertiginosi, nella distanza che ne spiava ogni mossa come un’ombra. Solo per trovare nuovi mercati, nuove opportunità, nuovi pianeti: il nostro mondo senza fine.

Ogni fenomeno esterno, empiricamente osservato, diventò il miracolo della mente che osserva e si trasforma. Tanto rarefatta è ormai quest’aria, che in essa un albero non sa più trascendere se stesso.”

E Ulisse chiede: “Che follia degna di Blake è mai questa? In tanta imperfezione, come troverà la vita il suo capovolto? Il suo rovescio?”

 

Supersimmetrie, 2004

 

 

1. Istanbul, 1966

remembering Eustacia Hernandez

The secret otherworld paths of youth,

the deeply inspired expectation of nothing

have narrowed to just this,

a slit on nowhere:

but still the living canvas endures

of brilliant thoughts,

myself sailing the Bosphorus,

my beautiful girlfriend beside me;

and with most of the landscape gone

to suggest the unreal joy 

I had once so eagerly embraced,

that entire otherworld reflects, moves

over fragments of a mirror 

that never was 

but so strongly seemed.

 

May this understanding not slip from itself.

Creation’s innocence 

is its immortality.

 

1. Istanbul, 1966

ricordo di Eustacia Hernandez

I segreti, d’altrimondi sentieri della giovinezza,

l’attesa ispirata di nessuna cosa,

sono rimpiccioliti fino a diventar questo,

una feritoia su nessun luogo:

ma ancora regge la viva tela 

dei pensieri sfavillanti,

io in nave sul Bosforo,

la mia bellissima ragazza accanto;

e con quasi tutto il paesaggio scomparso

suggestione della gioia irreale

che con tanto slancio allora abbracciai,

quell’altromondo riflette, scivola

sopra i pezzi di uno specchio

che non fu mai

ma fortemente sembrò essere.

 

Non si divincoli questa comprensione da se stessa.

Nell’innocenza della creazione

sta la sua immortalità.

Giorgio Linguaglossa

Steven Grieco a Trieste giugno 2013

 

Steven J. Grieco Rathgeb, nato in Svizzera nel 1949, poeta e traduttore. Scrive in inglese e in italiano. In passato ha prodotto vino e olio d’oliva nella campagna toscana, e coltivato piante aromatiche e officinali. Attualmente vive fra Roma e Jaipur (Rajasthan, India). In India pubblica dal 1980 poesie, prose e saggi. È stato uno dei vincitori del 3rd Vladimir Devidé Haiku Competition, Osaka, Japan, 2013. Ha presentato sue traduzioni di Mirza Asadullah Ghalib all’Istituto di Cultura dell’Ambasciata Italiana a New Delhi, in seguito pubblicate. Questo lavoro costituisce il primo tentativo di presentare in Italia la poesia del grande poeta urdu in chiave meno filologica, più accessibile all’amante della cultura e della poesia. Attualmente sta ultimando un decennale progetto di traduzione in lingua inglese e italiana di Heian waka.

 

In termini di estetica e filosofia dell’arte, si riconosce nella corrente di pensiero che fa capo a Mani Kaul (1944-2011), regista della Nouvelle Vague indiana, al quale fu legato anche da una amicizia fraterna durata oltre 30 anni. Dieci sue poesie sono presenti nella Antologia a cura di Giorgio Linguaglossa Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Progetto Cultura, 2016). Nel 2016 con Mimesis Hebenon è uscito il volume di poesia Entrò in una perla. Indirizzo email:This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.