Giancarlo Baroni è nato a Parma, dove abita, nel 1953. Ha pubblicato due romanzi brevi, qualche racconto, un testo di riflessioni letterarie e sei libri di poesia. Le ultime due raccolte di versi sono: I merli del Giardino di san Paolo e altri uccelli (Mobydick editore, 2009, prefazione di Pier Luigi Bacchini; nuova edizione illustrata e ampliata, Grafiche STEP Editrice, 2016) e Le anime di Marco Polo (Book editore, 2015). Nel 2009, 2010 e 2011ha letto a “Fahrenheit” (Rai Radio 3) diverse sue liriche, alcune in occasione del Festival della Filosofia di Modena. Per quasi vent’anni ha collaborato alla pagina culturale della “Gazzetta di Parma”.
.
database
Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa
Scrive Giancarlo Baroni: «Bisogna prendere distanza dalle cose / allontanarsene». Ecco, questo credo sia il punto centrale della sua poetica. Ma, aggiunge subito dopo una precisazione: «Non oltre gli uccelli / né sotto agli uomini». Dunque, la condizione umana che sta sotto quella degli uccelli, al di sotto dell’empireo della loro «indifferenza» non certo divina, ma pennuta. E così, ecco una moltitudine di passeri, aironi, merli, colibrì, allocchi, bisce, «piume, squame», «messaggi bellicosi», «creste regali e fiammeggianti» etc. Si sa che un tempo il volo degli uccelli poteva svelare eventi futuri, i popoli antichi erano abili scrutatori degli uccelli e del loro volo, Baroni parte da qui per fare una poesia che è anche osservazione precisa degli esseri pennuti, nella convinzione che essi ci possano svelare i segreti degli umani. Impiega spesso un verso prosastico con degli andirivieni, che un tempo si chiamavano enjambement, per collegare un verso all’altro con un tono asettico, didascalico, scevro di pathos, in una parola, narrativo, eppure sempre attento a non dimenticare il mondo arioso degli uccelli, quell’empireo negato agli umani e alla loro storia sanguinosa. Sono piccoli cammei di pensiero queste poesie, scritte con stile aforistico ed epigrammatico ma anche con una leggerezza invidiabile. Il poeta non può dire altro, è muto rispetto alle grandi questioni metafisiche che sono state deiettate fuori dal nostro immaginario, ma con una lontana nostalgia per ciò che si è irrimediabilmente perduto.
Il libro di saggi di Gaincarlo Baroni, Una incerta beatitudine (Mobydick 2004 pp. 70 € 11,00), non privo di spunti sulla letteratura europea del Novecento, ci introduce subito nella costruzione delle categorie estetiche con le quali leggere la poesia del secolo appena trascorso. Scriveva l’autore:
«I poeti in lingua italiana del Novecento possono essere divisi in tre gruppi, classicisti, realisti ed ermetici; quest’ultimi in due sottogruppi dalle differenze evidenti, orfici e sperimentali. Una classificazione che riguarda naturalmente categorie estetiche astratte più che correnti letterarie effettive. Intendo per classicisti i poeti preoccupati di rendere belle e piacevoli le cose da dire, per realisti quelli che preferiscono la comunicazione allo stile, per ermetici infine gli autori oscuri e poco comprensibili. I classicisti privilegiano la grazia, cioè una misurata, armoniosa, delicata e musicale eleganza, mentre escludono scompostezza ed eccessi principalmente verso il basso. Nella poesia accolgono vita e realtà solo dopo averle trasformate in letteratura, perdendo così di spontaneità, ma acquistando finezza. Il loro tono prevalente risulta quello elegiaco… il modello lontano è Tetrarca (…) La maggioranza dei poeti italiani fa parte di questo primo gruppo, il pericolo di manierismo rimane per loro sempre presente. Per i realisti, al contrario, gli argomenti da dire e soprattutto il bisogno, l’ansia di dirli contano più del modo in cui vengono riferiti».
Nel mio libro Appunti Critici. La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Roma, 2003) ho ripescato due categorie in un certo senso integrative di quelle elencate da Baroni: il Modernismo e il Post-modernismo. Scrivevo che:
«sia il Modernismo che il Post-modernismo partono dal comune presupposto “il faut etre absolument moderne” di Rimbaud, si pongono in posizione di contiguità con il Moderno, tentano di svecchiare la forma lirica per adeguarla alla nuova sensibilità dei lettori. In questo tentativo di restituire una leggibilità e fruibilità dell’opera di poesia ad un grande pubblico, si consuma e sempre più si consumerà la possibilità stessa, della poesia, di attingere una nuova identità. Se la poesia vorrà sopravvivere alla sfida che il futuro le impone, essa dovrà assumersi tutto intero l’onere di questa sfida.
Perché è ovvio che un genere artistico non può vivere né sopravvivere a lungo senza la sponda di un pubblico attento ed intellettualmente libero. In questo cammino, il Modernismo appare più legato al paradigma della tradizione del Novecento rispetto al Post-modernismo, che invece tende a ripercorrere e leggere il secolo appena trascorso nei suoi punti di svolta contrassegnati dalle post-avanguardie della seconda metà del Novecento. Vero è che alcuni autori sembrano muovesi in una sorta di via di mezzo tra queste due grandi correnti, oscillando tra l’una e l’altra, nel tentativo di conciliare stilisticamente le due Tradizioni. Allo stato, non sembra più ipotizzabile un poeta che fondi un nuovo linguaggio, e quindi un nuovo “traliccio” linguistico; in questa accezione siamo tutti diventati epigonici, non c’è più una scuola di poesia che possa arrogarsi il merito di essere in avanti. Caduta, con la fine del Novecento, la stessa accezione di avanguardia così come l’abbiamo conosciuta, penso che una nuova avanguardia di là da venire, se mai verrà, sarà del tutto diversa da quelle che abbiamo frequentato. È paradossale, ma sono convinto che una nuova vera Avanguardia non potrebbe che scegliere il Silenzio compiuto piuttosto che la Parola, non potrebbe che auto suicidarsi nell’atto stesso del suo collocamento. Ai posteri l’ardua sentenza».
Lo stato attuale della poesia, sembrerebbe convenire anche Baroni, assume l’aspetto di un arcipelago, di una serie di individualità scisse e disarticolate, senza un centro e senza una periferia, una sorta di competizione fondata sul vuoto di poetica, sulla fede nei fatti propri. Altro aspetto di questo fenomeno è, ovviamente, la scomparsa della critica militante, sostituita da una moltitudine babelica di micro linguaggi dichiarativi, epifenomeno direttamente correlato al primo ed equipollente alla scomparsa della società letteraria.
Sarebbe interessante chiedere agli autori invitati di scrivere una dichiarazione di poetica, credo che ne verrebbe fuori l’assenza di pensiero critico tipica del nostro tempo.
Creste
Le piume come squame
residui d’ascendenze minacciose. Adornano
le chiome agli eroi pellerossa
gli scalpi degli uccelli combattenti
creste selvatiche.
*
Le vostre frasi nascondono
messaggi bellicosi. Durante le conquiste
colpite il rivale meno forte
usando la cresta come elmetto. Zuffe
o semplici avvertimenti. Ali sfregate sulla terra
e minacce col becco. In mostra
la vampa delle piume il volume del collo.
*
Creste regali e fiammeggianti
riflessi sulle ali. Rossi rubino
cangianti blu cobalto
vi accendono il dorso. Sul petto
uno scudo colore dello zolfo
o di verde metallo. Zampilli filiformi
spuntano dalle piume della coda
simulando arabeschi. Sottili filamenti
vi arruffano i ciuffi sulla fronte
e la incorniciano.
Voci
Qualche volta vi nascondete dietro le nuvole
facendo finta di essere scomparsi.
Allora noi cerchiamo dappertutto
vi preghiamo di tornare
inventiamo mille promesse.
Là in alto intanto voi ve la ridete
di noi che gridiamo
che fingiamo di invocarvi come ossessi.
*
Ce ne infischiamo della nebbia
che foriamo col becco
oppure graffiamo con le unghie
così da volare dall’altra parte.
Attraverso la nebbia inviate
comunque fino qui le vostre voci
di cui a fatica comprendiamo
la vera provenienza.
(Pitture di Mariella Colonna)
Il peso dei vostri corpi
E’ così popolato questo giardino
di voi passeri che becchettate.
Saltellate di frequente, qualche volta vi rincorrete
sopra uno strato di foglie secche,
mentre il rumore che vi costringe a fermarvi
fissando davanti a voi
è quello dei passi, e del peso dei vostri corpi
quando sfiorata la terra neanche vi appoggiate.
Merli e colibrì
(Merli)
La melanina che scurisce il corpo
e ci rende simili a fantasmi
fa paura all’allocco.
Allora gonfiamo il petto
gli gridiamo te l’abbiamo fatta
un’altra volta, gioiamo
ma piano
come avessimo in gola dell’ovatta.
(Colibrì)
Il risveglio vegetale si mostra
con colori e sapore. I petali ci attirano
gli zuccheri del nettare convincono
a intingere il becco. Anche noi
come mosche e farfalle.
Crescono da questi fiori
frutti carnosi con dentro il seme.
Airone
Immerso nello stagno
apri le ali per levare
i riflessi dall’acqua. Traspaiono
le sagome sinuose delle bisce
che infilzi col becco.
.
*
Appena un rivale ti minaccia
alzi le piume della testa
gli stampi il becco sulla faccia. Basta
così gli vomiti
contro tutta la tua rabbia.
.
*
In marcia cautamente nel canneto
trafiggi alcuni rospi che ti credono
di sera un fantasma.
.
*
Da predatore a preda
il passo è breve
basta solo una svista. La mossa
del nemico che ti spiazza
impari e la fai tua.
.
*
Svelto più di una lancia
passi da parte a parte una ranocchia
la ingoi a partire dalla testa. L’incedere
tuo elegante il bianco immacolato delle penne
non ci convincono.
Le cose
.
Bisogna prendere distanza dalle cose
allontanarsene. Non oltre gli uccelli
né sotto agli uomini,
amando invece questi
quanto più si è capaci di afferrare
i segreti dei primi.
Parti perciò trascurando
le voci che promettono
di farti troppo dissimile da entrambi.
.
*
Come un uccello impazzito
il mondo si è messo a ruotare
fuori della tua finestra.
Piatti e soffitto rimangono dove sono
mentre i pesci galleggiano in aria
e le piante si perdono in mare.
Una goccia vicino all’altra
sotto l’effetto della pioggia
il cielo si scolora.
Invece le case gridano
come i loro inquilini.
Qualche uccello picchietta
contro i tuoi vetri
implorando di entrare
nel fondo del bicchiere
dentro la tazza ancora tiepida
o sotto il tuo pavimento.
Allora apri le persiane
contando di ritrovare
le cose al proprio posto.
Voi uccelli
siete esseri carenati
le vostre ossa fendono l’aria come vascelli
per questo non ci succede mai di imitarvi
nemmeno quando più forte lo vogliamo.
*
Potete alzarvi in volo
allora vi invidiamo
nel resto ci assomigliate
stupidi e astuti.
.
*
L’assoluta indifferenza è il sentimento
che impersonate
con tanta naturalezza lo esibite
ai cacciatori mentre precipitate.
.
*
Volate da parecchio senza sapere perché
in terra ce lo chiediamo da mille anni.
Voi continuate a farlo e basta
come noi quando sfrecciamo sui treni.
*
Crediamo dall’alto si veda
chiara la verità. Scegliete
di appannarvi tuttavia la vista
giocando a chi vola più veloce.
.
Rondini
L’amore? Chiedetelo alle rondini
attraversano il deserto per ritrovarsi qui.
Allora si inseguono garriscono virano per cercarsi
appena più in là, sembrano infaticabili.
Accovacciati sopra ai nostri rami
volentieri le scrutiamo fra le foglie,
curiosi nel frattempo di imparare
tentando qualche volta di imitarle.
.
Da un oceano all’altro
Percorrete distanze illimitate
da un continente all’altro
da un oceano all’opposto,
scegliete la mitezza del clima
gli ambienti meno ostili.
Disegnate viaggiando
una specie di V, un cuneo
che si infila nell’aria.
Se qui ci fosse cibo a sufficienza
forse non partireste. Sbagliamo
a credere vi spingano
smanie di libertà. In volo quanti
di voi moriranno? chi resta
passerà l’inverno
cercando di sopravvivere.
.
Quando smettete di volare
La vita è emersa
dal mare come un sommergibile
ma le burrasche si sfogano al suolo
e i raggi raggiungono la terra
come voi quando smettete di volare.