Giorgio Linguaglossa
ALCUNE DOMANDE di DONATELLA COSTANTINA GIANCASPERO a GIORGIO LINGUAGLOSSA SUL DISCORSO POETICO DELL'ESPLICITO E DELL'IMPLICITO NELLA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA

 

Domanda: Tu hai scritto:

«Il linguaggio è fatto per interrogare e rispondere. Questa è la verità prima del Logos, il quale risponde solo se interrogato. Noi rispondiamo attraverso il linguaggio e domandiamo attraverso il linguaggio. Il nostro modo di essere si dà sempre e solo entro il linguaggio».

E fai un distinguo, affermi che il linguaggio poetico del minimalismo romano-lombardo si esprime mediante il linguaggio dell'esplicito, un linguaggio esplicitato (hai fatto più volte i nomi di Vivian Lamarque, Valerio Magrelli, Valentino Zeichen, etc.) tramite la forma-commento, la poesia intrattenimento, la chatpoetry, la forma che vuole comunicare delle «cose»: tipo fatti di cronaca, di politica, insomma, fatti che hanno avuto una eco e una risonanza mediatica. Puoi portare un esempio di poesia non appartenente a questi tipi di scrittura che oggi vanno molto di moda?

Risposta: Interrogando il logos il poeta ci dice che interrogare significa domandare. L’uso del linguaggio, implica l’interrogatività dello spirito, è atto di pensiero. Lo spirito abita l’interrogazione. Non era Nietzsche che diceva che «parlare è in fondo la domanda che pongo al mio simile per sapere se egli ha la mia stessa anima?». La questione del Logos poetico ci porta ad indagare il funzionamento interrogativo del linguaggio. Anche quando ci troviamo di fronte a sintagmi impliciti, il poeta risponde sempre, e risponde sempre ad una domanda posta, o quasi posta o a una domanda implicita. Nella risposta esplicativa il poeta introduce sempre uno smarcamento, una nuova istanza che solleva nuove domande-perifrasi alle quali non può rispondere se non attraverso un linguaggio-altro, un metalinguaggio.  

La traduzione problematologica diventa nella poesia di Steven Grieco-Rathgeb una traslazione stilistica. Il vecchio concetto di «simmetria» euclidea legata ad un concetto lineare del tempo, viene sostituito con quello di «supersimmetria», un concetto che rimanda alla esistenza di pluriversi, della «materia oscura», dell’«energia oscura» che presiede il nostro universo. Nella poesia della tradizione italiana del secondo Novecento cui siamo abituati, la traduzione problematologica corrisponde ad una certezza lineare unidirezionale del tempo metrico e sintattico, in quella di Grieco-Rathgeb invece assistiamo ad un universo metrico e sintattico «goniometrico», vale a dire, a spirale, involto, involuto, dove l’interno e l’esterno sono complementari e indistinguibili.

Noi abitiamo la domanda, ma essa non sempre si dà come  frase interrogativa, questo è già qualcosa di esplicito, non sempre le domande assumono una forma interrogativa, anzi, forse le grandi domande sono poste in forma assertoria e dialogica (come nei dialoghi platonici), ricercano un interlocutore. Analogamente, nella forma mentis comune per risposta si intende qualcosa di assertorio. Errato. In poesia le cose non sono mai così semplici e diritte. In poesia le due modalità si presentano sempre in commistione reciproca e in forma dialettica.

Domanda: Puoi fare un esempio?

Risposta: Nella poesia di Steven Grieco-Rathgeb è il punto lontano della domanda da cui prende l’abbrivio che costituisce un luogo goniometrico dal quale si dipana il discorso poetico spiraliforme. Qui è una geometria non-euclidea che è in questione. Il discorso si apre a continui rallentamenti ed accelerazioni del verso, essendo questo la traccia di una ricerca che si fa a ritroso, attraverso la via verso un luogo che un tempo fu abitabile. Utopia che la poesia ricerca senza tregua. Il punto lontano va alla ricerca del punto più vicino scegliendo una via goniometrica e spiraliforme piuttosto che quella retta, una via goniometrica, eccentrica;  in questo modo, la versificazione si irradia dalla periferia del punto lontano verso il centro di gravità della costellazione simbolica mediante le vie molteplici che hanno molteplici direzioni. Ogni direzione è un senso interrotto, un sentiero interrotto (un Holzwege), e più sensi interrotti costituiscono un senso plurimo, sempre non definito, non definitivo. La poesia si dà per formale smarcamento dell’implicito, e procede nella sua ricerca del vero allestendo una mappa, una carta geografica dell’evento linguistico. Si smarca dalla significazione dell’esplicito. La poesia di Steven Grieco-Rathgeb risponde sempre per totale smarcamento dell’implicito alla ricerca di ciò che non può essere detto con parole esplicite (dritte) o con un ragionamento «protocollare». In questa ricerca concentrica ed eccentrica, spiraliforme, la poesia narra se stessa e narrando la propria ricerca indica una traccia, delinea un non-spazio che si apre al tempo, anzi, un non-spazio fatto di temporalità, un tempo fatto di non-spazio, che chiude lo spazio entro la propria irreversibile molteplicità temporale. È la marca della temporalità quella che appare alla lettura, una temporalità inscindibilmente legata ad una molteplicità di accadimenti.

Per Steven Grieco, il discorso dell’esplicito è certo una risposta, ma una risposta tautologica perché vuole statuire attraverso la via più breve utilizzando lo spazio geometrico della significazione euclidea, mediante le vie rette del linguaggio neutrale della comunicazione. Il discorso poetico del nostro autore invece attraversa lo spazio multidimensionale del cosmo, oltrepassa il tempo, lo vuole «bucare», ciò che Maurizio Ferraris definisce nel suo recente libro, Emergenza (Einaudi, 2017)  la «quadridimensionalità». La poesia di Grieco-Rathgeb abita  un pluri-spazio, non è topologica, o meglio, è multi topologica, si rivela per omeomerie e per omeotropismi dove i rapporti di simiglianza e di dissimiglianza tracciano lo spazio interno di questo  universo in miniatura qual è la poesia, dove c’è corrispondenza tra il vuoto e il pieno, dove gli eventi «Sono apparsi in una sfera / staccata dal pneuma» e accadono in una «sfera», in «una perla», un universo in miniatura che riproduce il macro universo.

Il silenzio-lucertola scruta fisso.
Si muove. Risale verso l’immobilità. Si ferma, ingoia suono,
i suoi occhi gonfiano il vuoto.

Domanda: Allora, secondo il tuo giudizio, il discorso poetico si darebbe in forma di domanda-risposta e secondo il modo dialettico esplicito-implicito? Possono esservi anche domande tacite in quello che tu chiami discorso poetico?

Risposta: Le domande che occupano il locutore sono tacite, ciò che vi risponde prende la forma della metafora e dell’immagine. La metafora indica così il divario che si apre tra l’implicito e l’esplicito; l’immagine allude alla lontananza tra la periferia e il centro dello spazio poetico. L’immagine e la metafora smarcano il rotolare dell«’io» dal centro alla periferia, e viceversa. Se il Logos è fatto di domande e di risposte, a che cosa risponde il Logos? Il Logos risponde a ciò che siamo. Si dà linguaggio poetico nella misura in cui si mette in gioco ogni possibilità del dire della Lingua, in cui ci si mette in gioco. Nella poesia intitolata alla «icona di Andrey Rublyov», non c’è nulla che rimandi, per via implicita o esplicita, alla icona del pittore russo, il discorso poetico procede per le vie sue proprie in un universo supersimmetrico e superdistopico, non si dà come illustrazione o  commento, non sceglie la via diretta dell’esplicito, quanto invece allude e accenna ad un altro universo analogico e contiguo a quello della icona pur se superdissimile e superdistopico.

Domanda: puoi portare qualche testo a riprova di quello che dici?

Risposta: Senz'altro. Ecco alcune poesie di Steven Grieco Rathgeb tratte dal suo volume Entrò in una perla (Mimesis Hebenon, 2016)

Giorgio Linguaglossa

Leafing through the pages

I was leafing through the pages, looking
for the word
φαινόμενον.

“Our world is fully discovered,” you said.
“We’ve mapped the continents and seas,
classified plants and creatures.”

Your words spread out like a full-blown flower.

“Its mysteries,” you said, ”largely explained,
the future foreseeable and ours by pre-emption.”

This didn’t seem quite right:
but still your argument held its own
and climbed before our eyes, 
turning on a sky-blue axis,
so round and well-fashioned we forgot
its nothingness, how it echoes down the aeons
growing stronger, clearer, till it’s One
with the dreamlike deep vibration of existence.

“And for all our achievements, look at us,” you said:
“unknown to our own selves,
outraging what’s left of this world.”

This world, I thought, or just a reflection?
I myself couldn’t tell.

Overwhelmed, we watched it turn silently,
its rugged contours etched
with ever finer, more rending strokes;
offering us the same answers we seek;
feeding with our gaze
its dream.

Florence, 1988

Sfogliavo le pagine

Sfogliavo le pagine, cercando
la parola φαινόμενον.

Tu dicesti: «il mondo è stato tutto scoperto. 
Conosciuti i mari e i continenti,
le piante e gli animali classificati.»

Le tue parole si schiusero come un grande fiore.

«I suoi misteri – dicesti– ormai quasi spiegati,
il nostro futuro prevedibile e già oggi ipotecato.»

Su questo avrei avuto da ridire:
ma il tuo pensiero resse,
e noi lo vedemmo librarsi nell’aria,
tondeggiando azzurro,
così ben foggiato da farci dimenticare
il suo nulla, come un’eco nei millenni,
sempre più forte, più chiaro, fino a diventare
suono, sonorità inconscia dell’Essere.

«E noi – dicesti – con tutte le nostre conquiste, 
sconosciuti a noi stessi;
violando quel che resta di questo mondo.»

Questo mondo, riflettevo, o soltanto
un’immagine? Ero incerto anch’io.

Vinti dalla sua presenza, lo vedemmo ruotare
in silenzio, i suoi rilievi manifestarsi
con crescente, lacerata precisione:
inviarci i segnali da noi stessi desiderati;
alimentando con il nostro sguardo
il suo sognare.

Firenze, 1988

*

Koronisia, 1990

Lights out, the house
– dark

Down the passage to the room,
and in the encircling unfathomable foreignness

a shimmering vegetation—

trill of crickets from the dark-enshrouded olives
—noiseless spider, mantis, gecko

(vermin slithering through the underbrush)

“Don’t touch!“ – a whisper speaks
that same darkness: “now events
shed no light:
but the ever-itself, in thousands,
shapes around the stone-hard 
still core, leaping like fish
from wave to wave— ”

Till presence is this dark body, woven
in thoughts: the eyes dark, the heart
woven in its own embrace

inside the wider encircling Gulf
now audible,
washing ashore

where thought, dark swimmer,
swims out
breathing unutterable darkness

Supersymmetries

Koronisia, 1990

Spente le luci, la casa
– oscura

giù per il corridoio verso la stanza,
e in questo cerchio insondabile, straniato

una rilucente vegetazione–

stridio di grilli dagli olivi avvolti nel buio 
– silenziosi ragno, mantide, geco

(strisciano immondi sotto i cespugli)

“Non toccare!” – sussurra la
stessa oscurità: “adesso gli eventi
non illuminano:
ma il sempre-se-stesso, a migliaia,
si forma intorno all’impietrito
fisso centro, balza come un pesce 
di onda in onda” –

finché la presenza è questo corpo oscuro 
che il pensiero intesse: gli occhi scuri, il cuore
intessuto nel proprio abbraccio

nel grande cerchio del Golfo
ecco, si percepisce
lo sciacquio a riva

dove il pensiero, oscuro nuotatore,
nuota al largo
respirando indicibile oscurità

Supersimmetrie

*

Amnesia

Now that you’re up, ashlit moon, 
invisibly clear in the early night—
in this silence, like the mind’s quiet,
I wonder how your bright crescent 
speaks the dark fullness: the darkness coming
of your round brilliance.

Your speed up there so high
I instantly reach you.
For the deepest transparency,
without glass, across distances,
is only thin air

and the horizon of this world, away.

You speak, ancient poet,
not as a voice within a voice,
but as one divided 
in your undivided sound.

May I tonight
forgetting the distance

speak the dark round of your fullness

Supersymmetries, 1995

Amnesia

Ora che sei sorta, luna-cenere,
quasi invisibile nella notte appena fatta,
nel tuo silenzio, simile alla quiete del pensiero,
mi chiedo come questo orlo di luce
esprima l’oscura pienezza: l’oscurità vicina
del tuo sferico splendore.

Tu lassù così veloce
che ti raggiungo in un istante.
Perché la trasparenza più profonda,
senza vetri, di là dalle distanze,
è solo quest’aria sottile

e l’orizzonte di questo mondo, avulso.

Tu parli, antico poeta,
non come voce nella voce,
ma come uno diviso 
nel tuo suono indiviso.

Possa io stanotte
dimenticando la distanza

dire l’oscura sfera della tua pienezza

Supersimmetrie, 1995

*

Rome, Bombay

Via degli Astalli, 1968

Through the deep nights
a fountain in the courtyard dripped
endless water. Fragrance
came over the rooftops, the city
rose in a glimmer to the brim of our being.

Now in my mind’s eye I open the door
and peer down the dimly lighted hallway: 
those who came have just left –
I hear the elevator groaning its way
down the shaft

but a suppressed excitement
warps the row of expressionless windows.

I can never remember:
who was standing behind the door,
a glass of dark water in his hand?

Altmount Rd., 1997

I’m walking up Altmount Road, to reach the top:
the way familiar, peopled with memories
and homes I no longer recognize
in this crowd of alien windows.

Of those I knew some have moved away,
some become estranged.
Others stayed on in their vast apartments,
old friends I’ve come to meet again, brooding
now the sun has rounded the corner.

Down in the garden
children still play on the sparkling lawn
under the pipal tree that has lost its leaves.

And the older siblings,
as good as grown up,
bursting in the front door 
with excitement, and… news!

But the afternoon late, the sunset 
so deep and self-sufficient,
this life is a full glass
set before us who’ve no thirst to quench.

Soon I’ll reach the top, look out over the city,
I’ll glimpse the Arabian Sea

After dusk, past the balcony’s black void
I sensed that sighing body 
spread remotely around the night, 
how it encircled our clutch of drinks
and anxious lights

myself mirror-less – and all my profusion of tongues,
the trouble to grasp and express
simply a guide around the well-turned phrase

till words, pointing to their opposite,
left me groping in blindness.

Night follows on dusk, dawn on night:
though closely shadowed, our world is too sudden –
it flows in a manner akin to narration.

Down there, beyond the sprawling city,
ships’ horns are hooting – 
crows croak from all the trees 
in the smoky air before daylight.

There is no silence anywhere.
Only at the centre of the heart.

Roma, Bombay

Via degli Astalli, 1968

Nelle notti profonde
dalla fontana giù in cortile gocciava
acqua senza tregua. Un profumo
giungeva da sopra i tetti, le luci della città
riempivano fino all’orlo le nostre vite.

Adesso immagino di aprire la porta,
scruto il corridoio in fioca luce:
loro sono venuti e subito andati via – 
sento la gabbia dell’ascensore 
scendere a terra ansimando

ma una eccitazione soffocata
storce la fila impassibile di finestre.

non riesco mai a ricordare:
chi stava in piedi dietro la porta,
un bicchiere di acqua scura nella mano?

Altmount Rd., 1997

Risalgo Altmount Road, per raggiungere la cima:
la via familiare, popolata di memorie e case
familiari, ormai introvabili
in questa folla di finestre ignote.

Di coloro che conobbi chi è andato via,
chi è diventato estraneo.
Altri sono rimasti nei loro grandi appartamenti,
vecchi amici incupiti che io visito
ora che il sole ha girato l’angolo.

Giù in giardino
i bambini ancora giocano sul prato luccicante
sotto il peepal che ha perso le foglie.

E i figli grandi,
ormai quasi adulti,
irrompono dalla porta d’ingresso
pieni d’entusiasmo… e quante notizie!

Ma la sera inoltrata, il tramonto
così profondo e pago di sé
questa vita è un bicchiere pieno
che non abbiamo più sete di vuotare.

Presto raggiungerò la vetta, guarderò la città dall’alto
rivedrò il Mar Arabico

Dopo l’imbrunire, oltre il vuoto nero del terrazzo
ho sentito sospirare quel corpo lontano,
inanellato intorno alla notte,
come stringeva d’assedio i nostri aperitivi
e le nostre luci inquiete –

Io, irriflesso – e tutta la ricchezza delle mie lingue,
la difficoltà di cogliere ed esprimere
solo una guida per sfuggire alla frase tornita

finché le parole indicandomi il loro contrario
mi lasciarono a tentoni come un cieco.

La notte viene dopo l’imbrunire, l’alba dopo la notte:
il mondo lo spio come un’ombra: ma lui è troppo veloce,
scorre libero come un racconto dei tempi antichi.

Da laggiù, oltre la città sconfinata,
arriva il fischio delle navi – 
i corvi gracchiano da tutti gli alberi
nell’aria fumosa prima della luce.

In nessun luogo c’è silenzio.
Solo al centro del cuore.

*

Bottling wine on a high balcony


to a learned friend in Tokyo

Your flowering plum… a fragrance not of scholars!
Delusion, madness lifted you into the sky
where Heian poets wander forever
in their disembodied yearning:
the petals of those phantom minds mingling 
with your dark, three-quarters sterile mind!
And time, devotion, labour: smouldering ashes.

What can I offer you but the wine I decant 
on this moonless night of March:
this open-ended sky, black-starred origin
high in the numinous ravine;
this wine I translate into a whirlwind
streaming out the drunken inner blossom…

And the wakas, now, breathing depth – 
subtlety – fascination!

Supersymmetries – Florence, 1999

*

Imbottigliando vino su un alto terrazzo


per un amico erudito a Tokyo

il tuo susino fiorito… profumo non di filologi!
Con l’auto-inganno e la follia hai scalato il cielo
dove i poeti Heian vagano per sempre
nel loro anelito spettrale;
i petali di quel pensiero sfuggente, frammisti
alla tua mente buia, sterile per tre quarti!
E il tempo, la devozione, la fatica: brace morente.

Cosa posso offrirti, ho solo il vino che travaso
in questa notte di marzo senza luna:
questo cosmo a imbuto, alto lignaggio, 
tenebra di stelle sul dirupo numinoso:
questo vino, che traduco in un turbine,
spira dall’inebriato, più interno fiore …

E dei waka, adesso, il respiro –
il fascino sottile!

Supersimmetrie – Firenze, 1999

 

*

The painter’s portrait

 

Before setting to his work, 
the painter of this image should remember:
Who is he portraying? and reflect
how the narrow corridor through our world of chance
lies strewn with breakable misery 
and fear of violent mishap
and sudden bottomless manholes:

for, clearly, the likeness of a distinguished forebear
or even the vision of all humankind 
unlocking in one single flower,
are not what lies in his heart of hearts:

but considering that he may no longer
be shielded from thought of accident,
know the only way to be the way forward,
the whole face he dare not envision.

Then he will do his work in the best of ways,
and accomplish what he had always striven for,
knowing this to move strangely
between waking dream and recognition

and play down the importance of individual traits,
putting them surprisingly
where they are – much as meaning 
rises out of words that sleep:
the city at night
resembling itself, intently
outside the window, enveloped in darkness.

So that his image may finally be expressed.

Then the painter will not only render
cheekbones and shading,
not only conjure light in the eyes.

His portrait will be memory itself.

2003

Il ritratto del pittore

Prima di mettersi al lavoro
il pittore di questa immagine ricordi:
Chi vuole rappresentare? e rifletta come
l’angusto corridoio attraverso questo mondo dell’alea
è cosparso di umana disperazione
e del timore di violenti sinistri 
e di improvvise botole senza ritorno:

perché la somiglianza di un illustre predecessore,
o anche la visione di tutto il genere umano
schiusa in un unico fiore,
non sono certo quello che lui ha nell’animo:

invece, sapendo di non avere più riparo
dal pensiero di sciagure, 
capisce che l’unica via è la via che va avanti,
il volto intero che non osa immaginare.

Allora svolgerà il suo lavoro nel migliore dei modi,
realizzando ciò che da sempre si era prefisso,
e che lui ben sa muoversi strano
fra sogno ad occhi aperti e riconoscimento

e senza dare troppa importanza alle fattezze del viso,
le porrà dove già si trovano:
così come il senso scaturisce 
dalle parole che dormono:
città di notte
assorto specchio di sé, 
fuor di finestra, avvolta nel buio.

Affinché la sua immagine possa compiersi.

Allora il pittore non avrà solo reso
zigomi e ombreggiature,
non solo evocato la luce negli occhi.

Il suo ritratto sarà la memoria stessa.

2003

*

He entered a pearl

He entered a pearl inside the world
passed through walls muffling all cries

someone called it stealth
but the blue-lit night station was full of tears

The estrangement between you and me
wasn’t him – we
forgot each other standing face to face,
while He sat threading
this wrecked dream’s own escape
through good turned bad turned
good
through the same places that came back
and back

On such a rugged upward path
the way was changed into air!

into a dome of twilight, with persons
going in and going out,
as each fashioned
his own swarm of thoughts,
cocooned phantoms and naiads of image,
hanging them
in a white wilderness

Slowly he encompassed, slowly
encompassed us
till he hid

Oh, my I, now my clown,
on a fingertip spin the ball
I balance on

My heaven has split from top to bottom

And then we, unknowing prisms,
returned in brilliance
to our prisons

till I thought this life will last forever

Entrò in una perla

Entrò in una perla dentro il mondo
attraversò muri che tacquero ogni grido

qualcuno ne parlò come di un segreto 
ma l’azzurra stazione di notte era piena di lacrime

L’estraneità fra te e me
non era lui: noi
ci dimenticammo l’un l’altro pur stando faccia a faccia, 
mentre lui, seduto, infilava questo sogno infranto 
nella cruna della sua stessa fuga,
attraverso il bene che volge al male che volge 
al bene,
attraverso gli stessi luoghi che tornarono
e ritornarono

Su un sentiero così impervio
la via si tramutò in aria!

in una cupola d’ombra
con persone che entrano ed escono,
mentre ciascuno si fabbrica
il proprio sciame di pensieri,
larvati spettri e naiadi d’immagine,
e li appende
in una bianca desolazione

Lui lentamente ci circondò,
circondò da ogni parte
finché rimase nascosto

Ah, mio Io, mio pagliaccio ormai,
sulla punta del dito fai ruotare
la sfera su cui oscillo

Il mio firmamento si è squarciato da cima a fondo

E allora noi, prismi ignari,
tornammo a splendere
nelle nostre prigioni

finché pensai che questa vita durerà in eterno