Gif animato, la chiacchiera
Aksinia Mihaylova è nata il 13 aprile 1963 nel nord-est della Bulgaria. Dopo il Liceo di lingua francese si è laureata all’Università degli Studi di Sofia “San Clemente di Ocrida”, facoltà di lingue slave. Nel 1990 è la co-fondatrice della rivista letteraria “Ah, Maria” dove collabora anche in prima persona come redattrice. Autrice di sei raccolte di poesia apparse in bulgaro. Considerata una della maggiori poete bulgare, è stata tradotta e pubblicata in 15 lingue. Sue poesie sono presenti in diverse antologie e diverse riviste letterarie cartacee e on line in Francia, Belgio, Canada, USA, Italia, Spagna, Moldavia, Romania, Slovacchia, Serbia, Croazia, Macedonia, Slovenia, Lituania, Lettonia, Turchia, Grecia, Egitto, Cina, Australia e Giappone.
Ha pubblicato i seguenti libri di poesia in Bulgaria: Тревите на съня (Le erbe del sogno) София, Български писател, 1994; Луна в празен вагон (Luna in un vagone vuoto) София: ФБЛ Аквариум Средиземноморие, 2004; Три сезона / Trois Saisons (Tre stagioni), libro bilingue in bulgaro e francese, издателство ЛЦР, 2005; Най-ниската част на небето (La parte più bassa del cielo) София: ФБЛ, 2008; Разкопчаване на тялото (Sbottonare il corpo). Пловдив, Жанет 45, 2011 (Premio nazionale di poesia Hristo Fotev, 2012 e Premio nazionale di letteratura Miloch Ziapkov, 2012); Смяна на огледалата (Cambio degli specchi). Пловдив, Жанет 45, 2015
È autrice della raccolta di poesia scritta in francese Ciel à perdre (Gallimard, Collection Blanche, 2014; 73° Prix Apollinaire) e due raccolte di poesia tradotte e pubblicate in slovacco Domptage, LIC, Bratislava (2007) e in arabo En attendant le vent, Cairo, (2013).
In qualità di traduttrice ha trasposto in bulgaro una trentina di opere. Tra gli autori tradotti si possono menzionare George Battaille, Pierre Bourgeade, Vénus Khoury-Ghata, Liliane Wouters, Guy Goffette, Sylvie Germain, Anise Koltz, Linda Maria Baros, Rose-Marie François, Jean-Claude Villain, Lambert Schlechter, Anne Wiazemsky, Alexis Jenni e altri. Nel 1992 è stata tra i fondatori del movimento Cap à l’Est, che riunisce poeti dell’Europa centrale ed orientale, sotto la direzione del “Théâtre Molière – Maison de la poésie” di Parigi.
È stata curatrice e tradutrice di un’antologia della poesia lettonе, pubblicata in bulgaro (2008) e di un’antologia della poesia lituanа (2007). Ha partecipato a numerosi festival e eventi di poesia e ricevuto svariati premi in Bulgaria e all’estero per le sue poesie e le sue traduzioni tra cui emerge il premio francese Guillaume Apollinaire, 2014 per il suo libro scritto in francese Ciel à perdre (Gallimard, 2014).
la traduzione è fatta dalla versione bulgara pubblicata nel libro bulgaro di Aksinia Mihaylova Разкопчаване на тялото (Sbottonare il corpo), Жанет 45, 2011
Aksinia Mihaylova, foto di Radostina Rodanova
Commento di Alessio Alessandrini
La «sincerità» è la base compositiva della scrittura di questa poetessa che dichiara apertamente come ci sia una fortissima divergenza tra lo scrivere poesie e il poetare, il primo è un atto che nasce dentro, un gesto propulsivo non negoziabile, il secondo è invece qualcosa che non muove al cuore e lascia il vuoto dell’esibizione forzosa. Ebbene, in nessuna lirica di Aksinia Mihaylova, ci troviamo di fronte a un estetismo di maniera, a un tintinnare opaco e vuoto della parola, piuttosto essa, nella sua semplificazione e limpidezza, si fa, pur nei rimandi e nei richiami, sacra e incorruttibile.
Tutta la poetica di Aksinia Mihaylova potrebbe essere racchiusa nell’opposizione tra una vocazione al concedersi, all’aprirsi, all’esporsi, e quella al chiudersi, al trattenersi al difendersi; è questo sicuramente l’aspetto prevalente e il motore di ricerca del suo scrivere. D’altronde, quasi come per sigillare una circolarità interna, la lirica “A volo d’uccello sembrano bufali”, contiene un altro verso spia che suona, per l’appunto, così: cercando di rimanere in equilibrio / come bambini / che imparano a camminare.
E’ questo sapiente equilibrio che Aksinia Mihaylova va cercando, un equilibrio tra i molteplici e duplici versati, potremmo dire “rive”, del suo viaggio: tra il corpo e lo spirito, tra il desiderio e la paura, tra il materico, l’oggettuale e l’astratto e l’impalpabile, tra il sogno e la realtà, tra l’abbandono e l’incontro, in un’ esigenza intensissima di conciliazione e condivisione che è matrice inequivocabilmente sintomatica di tutta la sua poesia.
Nella lirica “Addio con gli avverbi”, troviamo esplicitati quattro caratteristiche della poesia di Aksinia Mihaylova, uno per ogni avverbio menzionato. Come per questo addio in versi, anche per lo scrivere dell’autrice bulgara valgono i singoli sintagmi: ardentemente, paganamente, umilmente e armoniosamente.
Ardentemente soprattutto, perché non c’è verso in Aksinia Mihaylova che non trasudi l’energia propulsiva e il fuoco della passione che accende e genera.
Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa
Il processo di de-psicologizzazione e ri-metaforizzazione della poesia odierna
Nella riflessione del Wittgenstein maturo, nelle Ricerche filosofiche in poi, è all’opera un tentativo di de-psicologizzazione del linguaggio psicologico, vale a dire un’indagine grammaticale relativa al modo in cui parliamo delle nostre esperienze «interne». Centrale, in quest’ultimo tratto del percorso wittgensteiniano, è il termine «atmosfera» (Atmosphäre): attraverso una critica di tale concetto, il filosofo austriaco analizza il nostro modo di parlare dei processi psicologici e, in particolare, della comprensione linguistica, intesa come esperienza mentale «privata». Contro l’idea che il significato accompagni la parola come una sorta di alone di senso, come un sentimento o una tonalità emotiva (Stimmung), Wittgenstein valorizza l’aspetto comunitario e già da sempre condiviso dell’accordo (Übereinstimmung) tra i parlanti. Il richiamo al modello musicale dell’accordo armonico tra le voci consente così di recuperare la dimensione atmosferica dell’esperienza linguistica, in cui si assiste a una «sintonizzazione» tra i parlanti, coinvolti in un comune sentire.
Invece, nella migliore poesia di oggi, come in questa di Aksinia Mihaylova, si assiste ad una de-psicologizzazione e una ri-metaforizzazione della forma-poesia. La poetessa bulgara ha uno squisito ed alto concetto di ciò che deve veicolare una poesia e delle complicazioni interne che deve costruire con intermezzi adiacenti e trasversali tali da «disturbare» il tema principale; o meglio, qui non sembra rinvenibile un tema principale, o almeno, a me sembra abilmente occultato tra le metafore e le complicazioni che infoltiscono il testo. In questa accezione, io non parlerei di «sincerità» dell’autrice, termine equivoco che può diventare fonte di equivoci sommi nella lettura di una poesia, ma di autenticità della sua scrittura poetica.
Aksinia Mihaylova,
foto di Laska Laskova
Aksinia Mihaylova
da Cambio degli specchi, 2014
Les filles de l’Est
Che cosa cerchi
in questo cielo sfogliato
nessun uccello
dentro il bosco di nuvole
Belle come icone sono
le ragazze dell’Est
nelle foto bianco-nere
Adesso è un altro autunno
non dimenano più il pane
le ragazze dell’Est
i figli all’estero a far fortuna
nelle valli silicee
le madri
alle madri altrui portano acqua
sotto altri cieli
tace la nuvoletta bianca
Richiudi le vecchie foto
sono come le donne di Rubens ora
le ragazze dell’Est
di silicone
Dilmano, Dilbero
masticano semilavorati
ruminano la loro libertà
Vorrei vivere con una donna
non con un’icona
mi dice
e ingoia la cupola di “Santa Marina”
con lo zoom della sua macchina da presa
Dall’altra parte della libertà
Ha per casa un mare intero
e molte finestre per gli ospiti.
Cacciate via quel gallo della scala di pietra,
la sua cresta di fuoco brucerà all’alba
le vele della quiete
per la quale affondò
nei suoi occhi
tutte le Itache.
Cacciate via quel gallo
adesso sta imparando
ad amare se stessa
e il suo corpo flessibile si abitua all’asceta
adesso accompagna la sua fragile gioia
nel giardino
e non sospetta ancora
quante morti l’aspettano
in tutte quelle finestre
nell’assedio del mare.
Addio con gli avverbi
Erano nostri i sette colori della montagna
e le due direzioni di quello
che non si racchiude negli occhi
perché è più grande delle parole.
Poi uno di noi perse il fazzoletto
per l’addio
in una stazione ricoperta di cardi
poi il fico che avevamo trapiantato insieme
si inselvatichì.
Adesso chi è rimasto impara a nominare il mondo:
ardentemente
per le due gerbere che estraggo
dalla fotografia del bouquet nuziale
paganamente
per il gallo sepolto vivo nella fossa fresca
sullo sfondo di un cristianesimo
vecchio tredici secoli
umilmente
per l’inverno di Vivaldi, un inverno esiliato
tra siringhe e pentole che non servono più
e l’odore di aceto
armoniosamente
per il Concerto Grosso
che nella miseria di una cucina estiva
scioglie tutti violini del mondo
per saziare le fauci spalancate
di luglio.
Soli stanchi
Un uomo non deve mangiare da solo, diceva mia nonna,
perché così invita il diavolo a tavola.
Siamo in terrazza, innocenti
come la fontana che fotografo
con l’angolo del mio occhio:
lui – preso dal suo pranzo
io – seduta al posto del diavolo,
provo invano a deglutire
il sasso dell’addio fermo nella gola.
Il vento raccoglie e disperde mazzi di papaveri
nel cielo di ottobre, spruzza gocce
sulla faccia dei passanti,
ma io sono altrove e
solo il tubare di un piccione solitario
sotto al tavolo vicino
dilata quest’attimo
e lo salda con l’eternità.
Lo osservo mentre sta pranzando.
Sa tutto dei sassi nella mia gola
sempre gli stessi da anni e così numerosi
che il loro tintinnare assorda la fontana
e non riesco a parlargli attraverso il vetro
che a volte scende fra di noi.
Il senso delle cose trasparenti
non sempre è comprensibile.
Mi piace guardarlo mentre si fa la barba per me
davanti allo specchio appannato del bagno
e a lungo le sue labbra raccolgono
tutti i soli stanchi
incollati sulla mia pelle.
Poi è subito sera
le linee della metropolitana
cambiano i loro colori e
la porta si chiude veloce
tagliando il piccolo ponte di parole
che lui sta gridando: non è mai avuto…
Ma io abito un’altra fermata del buio
e non so chi abbia inventato questo vetro.
‘’ (poesia senza titolo)
A volo d’uccello sembrano bufali
sdraiati nei pascoli del mare
ma i loro cuori battono
a ritmo con il continente.
Non puoi andartene dalle isole –
quei figli della terraferma mai cresciuti –
prima che l’alba dissolva i loro cerchi rugginosi
e i suoni della notte scorrano verso ovest.
Il mattino con le latte del latte
scalpiccia sul lungomare
le passerelle delle navi
alzano le loro mani materne
invitano le isole a seguirle
ma loro barcollano assonnate
cercando di rimanere in equilibrio
come bambini
che imparano a camminare.
da Смяна на огледалата (Cambio degli specchi), Жанет 45, 2015