divano bianco con frammenti colorati
postati da Giorgio Linguaglossa
9 settembre 2017
Ewa Lipska (da Cara signora Schubert, 2012)
Il testamento
Cara signora Schubert, le scrivo da Amsterdam,
dove sono in borsa di studio per scrivere
il mio testamento. Il nostro amore l’ho lasciato al Passato
che, come sempre, rimettiamo al Futuro.
L’ho sottratto al sonno. Sono spuntate le rondini.
Il cielo era superfluo.
(trad di Marina Ciccarini, da Ewa Lipska, L’occhio incrinato del tempo, Armando, 2013)
Ecco, questa poesia potrebbe essere annoverata alla nuova ontologia estetica per il suo modo di essere scritta.
Ewa Lipska (da Cara signora Schubert, 2012)
Tra
Cara signora Schubert, mi chiedo dove andremo ad abitare Dopo. Dopo, cioè là dove prima c’era la fabbrica che produceva la vita d’oltretomba. Sarà tra ciò che non abbiamo fatto e ciò che non faremo più.
(trad di Marina Ciccarini, da Ewa Lipska, L’occhio incrinato del tempo, Armando, 2013)
Ecco, questa poesia potrebbe essere annoverata alla nuova ontologia estetica per il suo modo di essere scritta.
Ewa Lipska (da Cara signora Schubert, 2012)
Il nostro mondo
Cara signora Schubert, il nostro mondo è come una lettera scritta di proprio pugno dagli Dei, ma lo stile non vale niente…
(trad di Marina Ciccarini, da Ewa Lipska, L’occhio incrinato del tempo, Armando, 2013)
Ecco, questa poesia potrebbe essere annoverata alla nuova ontologia estetica.
*
Dunya Mikhail
La tazza
La donna capovolge la tazza tra le lettere
spegne le luci a parte una candela
poggia il dito sulla tazza
ripete parole come formula magica
Spirito… se ci sei rispondi sì
La tazza si sposta verso destra per dire – sì –
– sei veramente lo spirito di mio marito che è stato ucciso?
la tazza si sposta verso destra per dire – sì –
– perché mi hai lasciato così presto?
la tazza indica le lettere: n o n d i p e n d e d a m e
– perché non sei scappato?
la tazza indica le lettere: s o n o s c a p p a t o
– e come ti hanno ucciso allora?
la tazza indica le lettere: a l l e s p a l l e
– che faccio di tutta la mia solitudine?
la tazza non si muove
– mi manchi
la tazza non si muove
– mi ami?
la tazza si sposta verso destra per dire – sì –
– posso farti restare qui?
la tazza si sposta verso sinistra per dire – no –
– vengo con te?
la tazza si sposta verso sinistra
– ci saranno cambiamenti nella nostra vita?
la tazza si sposta verso destra
– quando?
la tazza indica 1996
– stai bene?
la tazza – dopo un attimo di esitazione – si sposta verso destra
– che mi consigli di fare?
s c a p p a
– per andare dove?
la tazza non si muove
– ci sarà un’altra disgrazia?
la tazza non si muove
– che raccomandazione mi lasci?
la tazza indica una successione di lettere senza senso
– ti sei stancato di rispondere?
la tazza si sposta verso sinistra
– posso farti ancora domande?
la tazza non si muove
dopo un attimo di silenzio – la donna balbetta:
Spirito… vai in pace
poi chiama il figlio che è in giardino
a catturare insetti con un elmetto forato.
[ Traduzione di Elena Chiti, This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it. ]
Anche questa poesia potrebbe essere ascritta alla nuova ontologia estetica.
Dunya Mikhail
La guerra lavora molto
La guerra
com’è
seria
attiva
e abile!
Sin dal mattino
sveglia le sirene
invia ovunque ambulanze
scaglia corpi nell’aria
passa barelle ai feriti
richiama la pioggia dagli occhi delle madri
scava nel terreno
dissotterra molte cose dalle macerie
alcune luccicanti e senza vita
altre pallide e ancora vibranti.
Suscita più interrogativi
nelle menti dei bambini.
Intrattiene gli dei lanciando
missili e proiettili
in cielo.
Pianta mine nei campi
semina buche e vuoti d’aria
sollecita le famiglie a emigrare
affianca i sacerdoti
quando maledicono il diavolo
(disgraziato, la sua mano è ancora infuocata. Brucia.)
La guerra è inarrestabile, giorno e notte.
Ispira i lunghi discorsi dei tiranni
conferisce medaglie ai generali
e argomenti ai poeti.
Contribuisce all’industria di arti artificiali
fornisce cibo alle mosche
aggiunge pagine ai libri di storia
mette sullo stesso piano vittima e assassino.
Insegna agli innamorati come si scrivono le lettere
insegna alle ragazze ad aspettare
riempie i giornali di storie e fotografie
fa rullare ogni anno i tamburi per festeggiare
costruisce nuove case per gli orfani
tiene occupati i costruttori di bare
dà pacche sulle spalle ai becchini
sorride davanti al capo.
La guerra lavora molto
non ha simili
ma nessuno la loda.
(da Non ho peccato abbastanza, antologia di poetesse arabe contemporanee, a cura di Valentina Colombo, Oscar Mondadori 2007)
*
Annalisa Comes
Assenza
L’impronta sulla poltrona.
Il bicchiere posato sul comodino.
Il libro che stavi leggendo
con il segnalibro rosso
le annotazioni a margine
fermo a pagina 23
il libro di John Fante – Aspetta la Primavera –
immobile a pagina 23.
Tu questa primavera non l’hai
saputa aspettare.
Ma gennaio ti ha comunque
regalato piccole margherite
e i giochi del sole sui
vetri accanto al letto.
Il corpo non c’è più.
Il tuo corpo non so dove
sia.
Se non che la sua impronta,
il suo profumo
scalda ancora la stanza
la parola il libro.
E anch’io sono allora incerta
della mia esistenza.
Se tu non sei qui a
vedermi –
anch’io sono impronta
e libro
e mi ostino a non esserci.
*
Specchio
Che rimandi oggi?
Chi rimandi a me?
In piedi, in punta di piedi
guardo, controllo, domando.
Niente da indossare per i giorni
di festa.
Nessuno spettacolo.
A nessuno il sorriso.
A nessuna – il testimone dell’alba e
della notte.
Specchio, curva, immagine e
fantasma.
*
Forse c’è un aldilà.
È per questo che ci preparano
ben vestiti.
Abbandonate le passeggiate
nei boschi di abeti e di betulle,
abbandonate le scarpe
all’angolo delle scale.
Mentre l’erba
così fragile
eppure rimane ben distesa
magari a guardarci
ora in orizzontale.
Né perde il suo colore
Ma solo il corpo diventa leggero
e sulla terra
la nostra assenza non ha orme.
Laura Canciani
Una lampada viva
non elimina il buio ma consente di attraversarlo.
*
Laura Canciani
Anna Albert
Degli Albert ricordo il cane nero, feroce
e bellissimo, il filo arrugginito lungo il quale
correva all’impazzata e abbaiava.
Lei aspettava la lettera dal fronte
come un imputato la sentenza
Arrivò una busta:
«se maschio, è buono per Hitler»
Senza rumore al cimitero fu aggiunta una croce
Maria Rosaria Madonna
da Stige (1992)
A giudicare dal lento movimento
dei corvi che in alto nel cielo disegnano vortici
di strida
non ci resta che imitare la conversatione degli Angeli
invetrare e invetriare una lingua tutta nostra
che sia monda dagli stilemi del peccato
e dall’usura delle stelle.
E se il candido Abele è stato ucciso
il giusto Salomone e la corrotta corte
di Babilonia caddero
e il lusso di Creso disparve
quid juris?.
Aeternitas est merum hodie.
Non erubesco meae miseria
plango non esse quod fuerim.
*
Caecata sum da mea libidine
et aurum atque orpella lentescens
supra mei capillum brillabant.
*
Ave, Maris stella
tra tutte la più bella.
Ave, gratia plena
io sola sono in pena.
*
Toto pulchro est amico meo
et macula non est in te.
*
In oculos meos sunt ferramenta
in mei auris sunt ligna
in mea mens sunt procella et turbine
et blasfemia mei persecutori resplango.
Donatella Costantina Giancaspero
Scrivere per «frammenti»
A scanso di equivoci per chi legge, vorrei puntualizzare che scrivere frammenti in poesia non significa “elencare frammenti senza nesso” e non è meno difficile che impostare la scrittura s’una consequenzialità manifesta di immagini e di legami sintattici. Nelle composizioni per frammenti (almeno in quelle autenticamente tali), quella logica, che sembra mancare, in realtà si cela dietro una cortina di articolate associazioni mentali, molte delle quali apprese dall’inconscio: la consequenzialità è data dal manifestarsi di molti «frammenti», che si succedono o sovrappongono, creando così due o più dimensioni temporali. Il «frammento», come scrive Giorgio Linguaglossa, “è colto da una preveggenza, oppure da uno stato sonnambolico nel quale la vigilanza della coscienza si affievolisce. Il «frammento» compare all’improvviso, nell’immenso disordine degli oggetti, è esso stesso un prodotto di quel disordine, ma, affinché vi sia «frammento» esso deve sortire fuori da una marcatura del tempo. È il tempo il demiurgo del «frammento», suo capostipite e suo padrone”.
A una lettura superficiale, la logica che lega i frammenti può passare inosservata: va dunque ricercata, in ogni caso, percepita, poiché tutta la nostra vita e il nostro pensare, anche quello più comune e quotidiano (o forse soprattutto quello) è composto da frammenti: quante volte, nella giornata, prendendo in mano un oggetto, o compiendo un’azione qualsiasi, non affiora alla mente il «frammento» di qualcos’altro, di qualcosa accaduta altrove, nel tempo… “Il frammento lo abbiamo davanti agli occhi in ogni istante della nostra giornata. La fenomenologia del mondo si dà in forma di frammento”. (G. Linguaglossa)
Tutta questa dinamica come può produrre una scrittura facile, basata s’una “elencazione frammentaria di immagini e situazioni in funzione straniante”? Tutto questo non conduce, semmai, a un sistema complesso e articolato di rappresentazione del mondo?
Giorgio Linguaglossa
La questione del «frammento» in poesia era già stata messa a punto da Tynianov più di un secolo fa,
Il «frammento» coinvolge il problema della «pausa» insieme a quello del «frammento», nonché il problema degli «equivalenti», degli isoritmi, cioè di quelle proposizioni di equivalente lunghezza timbrica e fonica. Gli «equivalenti» nella poesia moderna sono stati usati da tutti i poeti, non è un segreto per nessuno, ma è utile capire come e in quale modo gli «equivalenti» possono essere impiegati, cioè dis-locati all’interno di ogni singola proposizione. a rigore, ogni verso proposizionale è un «equivalente» di qualcos’altro, sta accanto e/o contro qualcos’altro. Nella poesia di Tranströmer ogni proposizione è un «equivalente» separato dall’altro e in attrito simbolico e iconico prima che semantico.
In Tranströmer
la semantica va in secondo piano. È lo slittamento semasiologico simbolico che assume un ruolo assolutamente preponderante. Chi non comprende questo punto non può fare, a mio avviso, poesia moderna. Farà ovviamente della rispettabilissima letteratura.
Riprendo una riflessione da Jurij Tynjanov:
«La pausa è un elemento omogeneo del discorso, in cui occupa solo un posto che è suo, mentre l’equivalente è un elemento eterogeneo, che si differenzia per le sue stesse funzioni dagli elementi in cui viene introdotto. Questo spiega la non coincidenza dei fattori di equivalenza con l’impostazione acustica del verso:
l’equivalente non ha espressione acustica; acusticamente si esprime solo la pausa. In qualsiasi modo siano pronunciati i frammenti attigui, qualsiasi pausa venga a sottolineare lo spazio vuoto, il frammento resta appunto frammento: ma la pausa non ha significato di strofa, resta pur sempre una pausa che non occupa nessun posto altrui, a parte il fatto che essa non ha il potere di esprimere la quantità dei periodi metrici e dunque nemmeno il ruolo costruttivo di equivalente».1]
Grammont
nel suo trattato sul verso francese, per esempio, «dichiara illegittimi, erronei, tutti i casi di ritmo non motivato. Perciò egli considera, per esempio, errore tutto il vers libre moderno, in quanto le variazioni dei gruppi ritmici non coincidono in esso con altrettante variazioni semantiche.
In base ad una siffatta impostazione del problema è naturale che il ritmo poetico venga già in partenza investito di funzioni che gli sono proprie solo su un piano comune di discorso (emozionalità e comunicatività)».2]
È ovvio che Grammont non rileva l’espressività del ritmo in se stesso, ma intende il ritmo in quanto giustificato semanticamente. Se Grammont leggesse una poesia di Tranströmer, non c’è dubbio che la liquiderebbe con l’annotazione di: «errata corrige». Sfugge a Grammont il fatto che l’equivalente spezza l’automatismo del metro. Questo è un punto decisivo per la poesia moderna del Dopo Grammont, direi; cioè il fatto di comprendere che la poesia contemporanea è da tempo indirizzata a rompere le equivalenze metriche e a dissolverle in una nuvola gassosa di «frammenti» in stato di agitazione.
Si tenga presente l’interessante annotazione di Tynjanov
a proposito di una strofa di Puskin: «L’incompiutezza diventa in questo caso un fatto estetico», e commenta: «ancora più evidente appare qui l’insufficienza di una spiegazione acustica degli equivalenti». In una parola, fare una poesia di «frammenti» è cosa alquanto diversa dal fare una poesia «frammentaria», come da più parti mi si è rimproverato da chi non capiva il mio discorso.
Qui, mi sembra stia un punto decisivo per comprendere la migliore poesia moderna.
Sempre da Tynjanov: «la dinamica della forma è una continua trasgressione dell’automatismo, un continuo porre in risalto il fattore costruttivo, con la conseguente deformazione dei fattori subordinati.
L’antinomicità della forma risiede, in questo caso, nella continuità stessa della sua interazione (ossia della lotta) con l’uniformità dello svolgimento che ne autorizza la forza. Perciò il cambiamento del rapporto fra il fattore costruttivo e gli altri fattori è una delle esigenze imprescindibili di una
forma dinamica. Sotto tale aspetto la forma è un continuo montaggio di equivalenti diversi che incrementa il dinamismo dell’insieme».3
Un altro degli spunti di Tynjanov
che mi sentirei di sottoscrivere in pieno è il seguente:
«Sul significato dinamico degli equivalenti può essere basato in parte il significato artistico del “frammento” come genere».
È ammirevole la lucidità e l’acutezza di questa osservazione: qui il critico russo definisce il «frammento» come genere», anticipando di cento anni circa le nostre conclusioni sulle funzioni del «frammento» nell’ambito della poesia moderna.
Ed ecco il passo decisivo con il quale il critico formalista liquida la questione del «metro»:
«Il metro, come sistema regolatore di accenti, può anche non esservi: esso trova infatti fondamento non tanto nella presenza del sistema quanto piuttosto in quella del suo principio. Il principio del metro consiste nel raggruppamento dinamico del materiale del discorso in base agli accenti. E dunque la cosa più semplice e fondamentale sarà la designazione di un qualsiasi gruppo metrico come unità; questa designazione è nel tempo stesso anche l’anticipazione dinamica di un gruppo seguente e analogo (non identico, ma precisamente analogo); se l’anticipazione metrica arriva a compimento, ecco che abbiamo un sistema metrico; il raggruppamento metrico passa attraverso:
1) l’anticipazione dinamica della successione metrica e,
2) la resoluzione metrica dinamico-simultanea, che unifica le unità metriche in gruppi superiori o interi metrici.
La prima costituirà evidentemente un elemento di propulsione progressivo del raggruppamento, mentre la seconda agirà in senso regressivo. anticipazione e resoluzione (e insieme ad esse anche unificazione) possono andare in profondità dividendo le unità in parti (cesure, piedi); oppure possono operare anche su gruppi d’ordine superiore e portare al riconoscimento della forma metrica (il sonetto, il rondò, ecc., in quanto forme metriche). Questa caratteristica ritmica progressivo-regressiva del metro è una delle cause per cui esso è una delle componenti principali del ritmo […] un verso siffatto sarà metricamente libero, vers libre, vers irreguliers: il metro come sistema viene sostituito dal metro come principio dinamico, come orientamento sul metro, come equivalente del metro».4]
Dirò di più: il «metro»,
inteso come unità di misura di rapporti stabili di durata che uniscono fra loro suoni di varia provenienza e in gruppi diversi, il «metro» inteso come il prodotto di una «durata», e quindi con un concetto di rigidità di tali rapporti, non esiste più da tempo. Non è da confondere con il concetto di «dinamica» inteso dalla poesia di un Tranströmer, cioè non più semplicemente come una serie di suoni in un dato tempo, ma come un campo di forze in continuo movimento e in perenne instabilità suscettibile di perdite di equilibrio e di dis-continuità. In questo contesto di pensiero la «pausa» morta del metro rigido tradizionale non c’è più e bisogna sostituirla con un nuovo concetto di «pausa dinamica» che si muove in «tempi differenti» e in «spazi differenti». La «pausa» cessa così di essere un tempo irrazionale vuoto utilizzata in funzione separatoria di proposizioni eufoniche, e diventa un elemento attivo che entra all’interno delle determinazioni frastiche dinamiche. Non si hanno più nella poesia moderna gruppi fonici ma «campi fonici in perpetuo cinetismo». In questo nuovo contesto di pensiero, mi rendo conto che ci stiamo avviando verso un tipo di poesia che non conoscevamo e che non abbiamo ancora conosciuto.
E riporto una annotazione geniale di Tynjanov a pag. 35 del medesimo libro:
«il metro, come regolare sistema di accenti, può anche non esservi».
È agevole capire da questi pochi accenni come qui stia sorgendo un nuovo modo di concepire e scrivere poesia.
1J. Tynjanov, Saggi di arte e letteratura, Il Saggiatore, Torino, 1968 pp. 29, 30.
2 Ibidem, p. 57.
3 Ibidem, p. 32, 33.
4 Ibidem, p. 36.