Adeodato Piazza Nicolai è nato nel 1944 a Vigo di Cadore (BL). Poeta, traduttore e saggista,nel ’59 è emigrato negli Stati Univi, vicino a Chicago dove ha frequentato il liceo e si è laureato nel ’69 dal Wabash College (Indiana). Ha lavorato per la “Inland Steel Company” per 30 anni. Nel 1989 ha ottenuto il Master of Arts dall’Università di Chicago in lingua e letteratura italiana. Ha iniziato a scrivere poesie nella sua lingua ladina nel ’59 per non perdere le radici linguistiche e culturali. Ha pubblicato 4 volumi di poesie in inglese, ladino e italiano. Del Piazza Nicolai il prof. Glauco Cambon ha presentato alcune poesie ladine su Forum Italicum. (1987). Rebecca West ha scritto l’introduzione al volume La doppia finzione (1988) e la poetessa Giulia Niccolai ha scritto la prefazione al volume Diario Ladin (2000). Le sue traduzioni di poeti “dialettali” sono apparsi sulle antologie Via Terra: An Anthology of Contemporary Italian Dialect Poetry (Legas, 2000) e Dialect Poetry of Northern and Central Italy (Legas, 2001). In inglese ha tradotto vari poeti italiani, Donatella Bisutti, Eugenio Montale, Silvio Ramat, Cesare Ruffato, Milo de Angelis, Arnold de Voss, Mia Lecomte, Luigina Bigon, Marilla Battilana etc. e dall’inglese all’italiano Adrienne Rich, Erica Jong, Luigi Ballerini, Luigi Fontanella, Peter Carravetta, Liz Waldner, W. S. Merwin, Mark Strand, ecc. Finaziariamente assistito dalla N.I.A.F, (The National Italian American Foundation) ha tradotto e curato l’antologia Nove poetesse afro-americane (Vanilia Editrice, 2012). Nel 2014 è apparso sulla antologia Poets of the Italian Diaspora (“Poeti italiani della diaspora”) pubblicata dalla Fordham University Press di New York – insieme ad Alfredo de Palchi il Piazza Nicolai è il secondo poeta della regione veneta inserito in quella prestigiosa antologia. È membro del Comitato Scientifico dell’Istituto Culturale della Comunità dei Ladini Storici delle Dolomiti Bellunesi e nell’autunno del 2017 sarà direttore della “Accademiuta Ladina de l’Oltrepiave”. Di prossima pubblicazione L’Apocalisse e altre stagioni e Quatro àne de poesie ladine.
Alcuni pensieri di Giorgio Linguaglossa
L’«Evento» è quella «Presenza»
che non si confonde mai con l’essere-presente,
con un darsi in carne ed ossa.
È un manifestarsi che letteralmente sorprende, scuote l’io,
o, sarebbe forse meglio dire, lo coglie a tergo, a tradimento
Il soggetto è scomparso, ma non l’io poetico che non se ne è accorto,
e continua a dirigere il traffico segnaletico del discorso poetico
La parola è una entità che ha la stessa tessitura che ha la «stoffa» del tempo
La costellazione di una serie di eventi significativi costituisce lo spazio-mondo
Con il primo piano si dilata lo spazio,
con il rallentatore si dilata e si rallenta il tempo
Con la metafora si riscalda la materia linguistica,
con la metonimia la si raffredda
Nell’era della mediocrazia ciò che assume forma di messaggio viene riconvertito in informazione, la quale per sua essenza è precaria, dura in vita fin quando non viene sostituita da un’altra informazione. Il messaggio diventa informazionale e ogni forma di scrittura assume lo status dell’informazione quale suo modello e regolo unico e totale. Anche i discorsi artistici, normalizzati in messaggi, vengono silenziati e sostituiti con «nuovi» messaggi informazionali. Oggi si ricevono le notizie in quella sorta di videocitofono qual è diventato internet a misura del televisore. Il pensiero viene chirurgicamente estromesso dai luoghi dove si fabbrica l’informazione della post-massa mediatica. L’informazione abolisce il tempo e lo sostituisce con se stessa.
È proprio questo uno dei punti nevralgici di distinguibilità della «nuova ontologia estetica»: il tempo non si azzera mai e la storia non può mai ricominciare dal principio, questa è una visione «estatica» e normalizzata; bisogna invece spezzare il tempo, introdurre delle rotture, delle distanze, sostare nella Jetztzeit, il «tempo-ora», spostare, lateralizzare i tempi, moltiplicare i registri linguistici, diversificare i piani del discorso poetico, temporalizzare lo spazio e spazializzare il tempo…
Ovviamente, ciascuno ha il diritto di pensare l’ordine unidirezionale del discorso poetico come l’unico ordine e il migliore, obietto soltanto che la nostra (della nuova ontologia estetica) visione del fare poetico implica il principio opposto: una poesia incentrata sulla molteplicità dei «tempi», sul «tempo interno» delle parole, delle «linee interne» delle parole, del soggetto e dell’oggetto, sul «tempo» del metro a-metrico, delle temporalità non-lineari ma curve, confliggenti, degli spazi temporalizzati, delle temporalisation, delle spazializzazioni temporali; una poesia incentrata sulle lateralizzazioni del discorso poetico. Ma qui siamo in una diversa ontologia estetica, in un altro sistema solare che obbedisce ad altre leggi. Leggi forse precarie, instabili, deboli, che non sono più in correlazione con alcuna «verità», ormai disabitata e resa «precaria».
La verità, diceva Nietzsche, è diventata «precaria».
L’uomo, ha detto una volta Nietzsche, rotola via dal centro verso la X. Si allontana dal proprio luogo certo, verso un luogo incerto, un’incognita. Possiamo tentare di indicare, descrivere, raccontare questa incognita? Forse sì, Adeodato Piazza Nicolai percorre il sentiero contrario: ritorna indietro alla sua lingua primigenia, il ladino. E con essa disegna la cornice del «centro». Ascoltiamolo.
Adeodato Piazza Nicolai, Vigo notturna, agosto 2017
Adeodato Piazza Nicolai
Toche de segne sognade
L cianpanil bate le cuatro de nuote,
su par la Riva dela Madona
tre lanpioi somea navi spathiali
sorprese sora la tera a fei da spia.
La fontana sul fianco de la piatha
cianta le vecie litanie
de pì de thento àne fa. Sospesa
tel tenpo-spathio na pena se bete a scrive
come n robot.
Chi ese che sporca la pagina bianca,
na testa piena de malinconia
e de memorie? No sei neanche
l motivo che pende la mente a bete do segne,
probabilmente toche de sogne che vien a gala:
la prima morosa, na stela alpina,
le poesie de Luigina
Vito che camina con Birba tel Bosco dei Sogne
me mare che sea
me pare che giusta na roda del careto
la luna che sbraita fin a bonora, na thuìta
ancora ndormenthada, na man
che masena parole tel nuia …
(Vigo di Cadore, 8 agosto, ore 5,05)
Pezzi di segni sognati
Il campanile batte le quattro di notte,
su verso la Riva della Madonna
tre lampioni sembrano navi spaziali
sorprese sopra la terra a fare le spie.
La fontana sul fianco della piazza
canta le vecchie litanie
di oltre cento anni fa. Sospesa
nel tempo-spazio una penna si mette a scrivere
come un robot.
Chi è che sfora la pagina bianca,
una testa piena di malinconia
e di memorie? Non so neppure
il motivo che spinge la mente e buttare giù segni
probabilmente pezzi di sogni che vengono a galla:
la prima morosa, una stella alpina
Vito che cammina con Birba nel Parco dei Sogni
mia madre che sfalcia
mio padre che aggiusta la ruota del carretto
la luna che sbraita fino al mattino
una civetta mezzo addormentata, la mano
che macina parole nel nulla …
(Adeodato Piazza Nicolai)
A dialogà con l’autro ego
“Se l parla dighe che l tase.”
François Villon.
I, Prima parte
1.
I vecie ciapaa l’alloro par sbrigà
scartofie sula Via dele Colline
come i so pare assasine. I corea
davoi ale parole come fumo te la
testa, i vuore che sonaa la chitrarra
col vento. Daspò i se desmenteaa
de quasi duto chel che restaa; i se
perdea via a dugà ala briscola te
calche bar e i ruaa cioche a ciasa
par fei barufa co le so femene, èle
senpre davoi a fei sarvise, laurà
tei cianpe e te le vare. Cassù
i omis laoraa puoco e beea tanto.
2.
Camino dò verso la Piave che brontolea
come ncathada fora de ogni mesura.
La core verso la pianura par portà aga
ai contadin che à tanto bisuoi. Vado te le onde
tra le père, vardo calche ramo seco e spacou
n medo ala Piave. Nessun cà pesca na trota.
Se vede massa scoathe biciade te l’aga
e, porca miseria, no son neanche bon de noà.
3.
Adés vado a ciasa, é ora de dì a magnà
par medodì. Daspò dute laora tei bosche
i cianpe, le vare: se thapa par giavà su
patate, se sea par parecià fien par le vacie
e le fede. De sera dugòn al balon ntorno
al cianpanil e daspò ntin se va a dormì.
Doman bonora se va a scola par inparà
a scrive ‘talian e anche parlà ladin cadorin.
‘Nparon anche aritmetica e caligrafia;
se torna a ciasa de nuou par fei le solite
robe: lethion e dì a laurà come senpre.
Se à puoco tenpo par ciatàse morose …
4.
Paès de montagna sentha cultura,
ben puoca arte e puoca storia; chela
locale l’é te le ciese sui quatro mure
dipinte dai nostre artiste spethiali.
La dente li vede qualche i va a messa
durante la domenia e daspò basta.
I vilegiante se ‘nteressa n’tin de pì de
de le robe prethiose cassù tel Cadore.
L nostro pioan predica despès de fei
i brae durante la stemana, de no bestemià
o fei àte ‘npure senò bisogna di subito
a confesàse …
5.
Ca da noi solo i none e le none fa i
babysitter, ‘nsegna ai pupe i vecie
ideali, calche proverbio e modo de dì
come che i vuore disea alora. Bisogna
scoltà chel che i disea senò se
perdea le nostre radis e le tradithion.
Na pianta sentha radìs no l’é bona de stà
su dreta, e prima o dopo la toma par tera.
Me recordo che cuanche i bocie ciapàa
na malatia era le none che savea curai.
Deone puoco a vede l dotor: bisognàa
sta tanto mal prima de di te farmacia
e l farmacista pì o manco savea come
bètene a posto de nuou.
6.
Ca massa dovin de l’Oltrepiave
va a l’estero par laurà—tel Belgio
Olanda, Francia Germania o te
le Americhe e lassà a ciasa le
soe fameie. Se i é fortunade i manda
i schei a ciasa ma tante torna davoi
pì puarete de cuanche i era partide
parché l destin l’é conpai pardute:
sea i bone che i cative …
7.
Anche iò ei fato l migrante visin
a Chicago, a Hammond, adotou
da barba Tonin che fardel de me
mare Marcela. Partiu da Vigo tel ’59
son stou lavia par pì de 40 ane.
Ei patiu rathismo e l’anti-italianismo
par tante àne in America.
Me son maridou tel ’66 e avon fato
doi fioi, cressude par ben. Tel 2000
son tornou a Vigo par podè scoltà
le nostre cianpane, la nostra dente
e caminà tei nostre bosche incantade.
Ala fin vuoi ése sepolto tel thimitero
sul Col Baiùs.
Dialogare con l’alter ego
“Se parla, digli che chiuda il becco.”
François Villon
• Parte prima
1.
I vecchi portavano l’alloro per scartare
rifiuti sulla Via delle Colline come
i loro padri/padroni assassini. Seguivano
parole come fumo nel cervello,
loro che suonavano la chitarra
insieme al vento. Dopo dimenticavano
quasi tutto il resto; si distraevano
col gioco della briscola in qualche bar,
arrivavano a casa ubriachi e barruffavano
con le mogli quando loro facevano tutti
i lavori in casa e fuori: nei campi e nei prati.
Da noi gli uomini lavoravano poco e
bevevano tanto.
2.
Cammino verso il Piave che brontola
come fosse incazzato fuori misura.
Corre verso la pianura per dare acqua
ai contadini bisognosi. Vado a sguazzare
fra i sassi, vedo dei rami secchi spaccati
in mezzo alle onde. Nessuno qui pesca
le trote. Troppe immondizie nel fiume
e, porca miseria, non so neppure nuotare.
3.
Adesso vado a casa, ora di mangiare,
è mezzodì. Dopo, tutti lavorano nei boschi
campi, e prati: falciano erba per vacche
e capre. Di sera giochiamo al pallone intorno
al campanile e poco dopo andiamo a dormire.
Domani presto andremo a scuola per dis-
imparare italiano e non parlare ladin-cadorino.
Memorizziamo aritmetica e calligrafia
ritornando a casa di nuovo per fare i soliti
mestieri: lezioni e lavoro come sempre.
C’è poco tempo per ricordare la fidanzata …
4.
Paesi di montagna senza cultura,
scarsa l’arte, poca la storia; quella
sul posto stà nelle chiese sui muri
dipinti da qualche artista locale.
La gente li vede quando va a messa
per la domenica e dopo basta.
I villeggianti s’interessano più
delle cose preziose del Cadore.
Il nostro pievano predica spesso
di fare i bravi durante la settimana
e non bestemmiare altrimenti
bisogna andare subito a sconfessare …
5.
Da noi soltanto i nonni e le nonne fanno
i babysitter, insegnano ai piccoli gli antichi
ideali, qualche proverbio e modo di dire
come allora sapevano fare. Bisognava
ascoltarli quando parlavano altrimenti
si perdono radici e tradizioni. Un albero
senza rizomi non è capace di stare
dritto e prima o dopo cadrà per terra.
Ricordo che quando noi bocie prendevamo
una malattia i nonni sapevano come curarci.
Correvamo poco dal dottore: dovevamo sentire
tanto dolore prima di visitare la farmacia
dove il farmacista sapeva più o meno come
metterci a posto di nuovo.
6.
Qui troppi giovani dell’Oltrepiave emigrano
all’estero per lavorare: in belgio, olanda
francia, germania, australia, le americhe
lasciando indietro le loro famiglie.
Se fortunati spedivano dei soldi a casa
ma tanti ritornavano più poveri di quando
erano partiti dal paese poiché il destino
è spesso uguale per tutti: buoni e cattivi …
7.
Anch’io sono stato emigrante vicino
a Chicago, a Hammond, adottato da
barba Toni, fratello di mia madre.
Lasciato Vigo nel ’59 sono rimasto
in America per 40 anni. Sofferto
razzismo e anti-italianismo per tanto
tempo. Sposato nel ’66 sono nati due
figli cresciuti bene. Nel 2000 ritornai
a Vigo di Cadore per risentire
le campane, la nostra gente
e passeggiare nwei boschi quasi
addormentati e dimenticati.
Alla fine vorrei essere sepolto nel cimitero
sul Col Baiùs.
Pezzi di segni sognati
Il campanile batte le quattro di notte,
su verso la Riva della Madonna
tre lampioni sembrano navi spaziali
sorprese sopra la terra a fare le spie.
La fontana sul fianco della piazza
canta le vecchie litanie
di oltre cento anni fa. Sospesa
nel tempo-spazio una penna si mette a scrivere
come un robot.
Chi è che sfora la pagina bianca,
una testa piena di malinconia
e di memorie? Non so neppure
il motivo che spinge la mente e buttare giù segni
probabilmente pezzi di sogni che vengono a galla:
la prima morosa, una stella alpina
Vito che cammina con Birba nel Parco dei Sogni
mia madre che sfalcia
mio padre che aggiusta la ruota del carretto
la luna che sbraita fino al mattino
una civetta mezzo addormentata, la mano
che macina parole nel nulla ...
A dialogà con l’autro ego
“Se l parla dighe che l tase.”
François Villon.
I, Prima parte
1.
I vecie ciapaa l’alloro par sbrigà
scartofie sula Via dele Colline
come i so pare assasine. I corea
davoi ale parole come fumo te la
testa, i vuore che sonaa la chitrarra
col vento. Daspò i se desmenteaa
de quasi duto chel che restaa; i se
perdea via a dugà ala briscola te
calche bar e i ruaa cioche a ciasa
par fei barufa co le so femene, èle
senpre davoi a fei sarvise, laurà
tei cianpe e te le vare. Cassù
i omis laoraa puoco e beea tanto.
2.
Camino dò verso la Piave che brontolea
come ncathada fora de ogni mesura.
La core verso la pianura par portà aga
ai contadin che à tanto bisuoi. Vado te le onde
tra le père, vardo calche ramo seco e spacou
n medo ala Piave. Nessun cà pesca na trota.
Se vede massa scoathe biciade te l’aga
e, porca miseria, no son neanche bon de noà.
3.
Adés vado a ciasa, é ora de dì a magnà
par medodì. Daspò dute laora tei bosche
i cianpe, le vare: se thapa par giavà su
patate, se sea par parecià fien par le vacie
e le fede. De sera dugòn al balon ntorno
al cianpanil e daspò ntin se va a dormì.
Doman bonora se va a scola par inparà
a scrive ‘talian e anche parlà ladin cadorin.
‘Nparon anche aritmetica e caligrafia;
se torna a ciasa de nuou par fei le solite
robe: lethion e dì a laurà come senpre.
Se à puoco tenpo par ciatàse morose …
4.
Paès de montagna sentha cultura,
ben puoca arte e puoca storia; chela
locale l’é te le ciese sui quatro mure
dipinte dai nostre artiste spethiali.
La dente li vede qualche i va a messa
durante la domenia e daspò basta.
I vilegiante se ‘nteressa n’tin de pì de
de le robe prethiose cassù tel Cadore.
L nostro pioan predica despès de fei
i brae durante la stemana, de no bestemià
o fei àte ‘npure senò bisogna di subito
a confesàse …
5.
Ca da noi solo i none e le none fa i
babysitter, ‘nsegna ai pupe i vecie
ideali, calche proverbio e modo de dì
come che i vuore disea alora. Bisogna
scoltà chel che i disea senò se
perdea le nostre radis e le tradithion.
Na pianta sentha radìs no l’é bona de stà
su dreta, e prima o dopo la toma par tera.
Me recordo che cuanche i bocie ciapàa
na malatia era le none che savea curai.
Deone puoco a vede l dotor: bisognàa
sta tanto mal prima de di te farmacia
e l farmacista pì o manco savea come
bètene a posto de nuou.
6.
Ca massa dovin de l’Oltrepiave
va a l’estero par laurà—tel Belgio
Olanda, Francia Germania o te
le Americhe e lassà a ciasa le
soe fameie. Se i é fortunade i manda
i schei a ciasa ma tante torna davoi
pì puarete de cuanche i era partide
parché l destin l’é conpai pardute:
sea i bone che i cative …
7.
Anche iò ei fato l migrante visin
a Chicago, a Hammond, adotou
da barba Tonin che fardel de me
mare Marcela. Partiu da Vigo tel ’59
son stou lavia par pì de 40 ane.
Ei patiu rathismo e l’anti-italianismo
par tante àne in America.
Me son maridou tel ’66 e avon fato
doi fioi, cressude par ben. Tel 2000
son tornou a Vigo par podè scoltà
le nostre cianpane, la nostra dente
e caminà tei nostre bosche incantade.
Ala fin vuoi ése sepolto tel thimitero
sul Col Baiùs.
DIALOGARE CON L’ALTER EGO
“Se parla, digli che chiuda il becco.”
François Villon
- Parte prima
1.
I vecchi portavano l’alloro per scartare
rifiuti sulla Via delle Colline come
i loro padri/padroni assassini. Seguivano
parole come fumo nel cervello,
loro che suonavano la chitarra
insieme al vento. Dopo dimenticavano
quasi tutto il resto; si distraevano
col gioco della briscola in qualche bar,
arrivavano a casa ubriachi e barruffavano
con le mogli quando loro facevano tutti
i lavori in casa e fuori: nei campi e nei prati.
Da noi gli uomini lavoravano poco e
bevevano tanto.
2.
Cammino verso il Piave che brontola
come fosse incazzato fuori misura.
Corre verso la pianura per dare acqua
ai contadini bisognosi. Vado a sguazzare
fra i sassi, vedo dei rami secchi spaccati
in mezzo alle onde. Nessuno qui pesca
le trote. Troppe immondizie nel fiume
e, porca miseria, non so neppure nuotare.
3.
Adesso vado a casa, ora di mangiare,
è mezzodì. Dopo, tutti lavorano nei boschi
campi, e prati: falciano erba per vacche
e capre. Di sera giochiamo al pallone intorno
al campanile e poco dopo andiamo a dormire.
Domani presto andremo a scuola per dis-
imparare italiano e non parlare ladin-cadorino.
Memorizziamo aritmetica e calligrafia
ritornando a casa di nuovo per fare i soliti
mestieri: lezioni e lavoro come sempre.
C’è poco tempo per ricordare la fidanzata …
4.
Paesi di montagna senza cultura,
scarsa l’arte, poca la storia; quella
sul posto stà nelle chiese sui muri
dipinti da qualche artista locale.
La gente li vede quando va a messa
per la domenica e dopo basta.
I villeggianti s’interessano più
delle cose preziose del Cadore.
Il nostro pievano predica spesso
di fare i bravi durante la settimana
e non bestemmiare altrimenti
bisogna andare subito a sconfessare …
5.
Da noi soltanto i nonni e le nonne fanno
i babysitter, insegnano ai piccoli gli antichi
ideali, qualche proverbio e modo di dire
come allora sapevano fare. Bisognava
ascoltarli quando parlavano altrimenti
si perdono radici e tradizioni. Un albero
senza rizomi non è capace di stare
dritto e prima o dopo cadrà per terra.
Ricordo che quando noi bocie prendevamo
una malattia i nonni sapevano come curarci.
Correvamo poco dal dottore: dovevamo sentire
tanto dolore prima di visitare la farmacia
dove il farmacista sapeva più o meno come
metterci a posto di nuovo.
6.
Qui troppi giovani dell’Oltrepiave emigrano
all’estero per lavorare: in belgio, olanda
francia, germania, australia, le americhe
lasciando indietro le loro famiglie.
Se fortunati spedivano dei soldi a casa
ma tanti ritornavano più poveri di quando
erano partiti dal paese poiché il destino
è spesso uguale per tutti: buoni e cattivi …
7.
Anch’io sono stato emigrante vicino
a Chicago, a Hammond, adottato da
barba Toni, fratello di mia madre.
Lasciato Vigo nel ’59 sono rimasto
in America per 40 anni. Sofferto
razzismo e anti-italianismo per tanto
tempo. Sposato nel ’66 sono nati due
figli cresciuti bene. Nel 2000 ritornai
a Vigo di Cadore per risentire
le campane, la nostra gente
e passeggiare nwei boschi quasi
addormentati e dimenticati.
Alla fine vorrei essere sepolto nel cimitero
sul Col Baiùs.
II. DE NUOU SE PARTE DA NUIA
1.
È ruàda l’ora de spacà e canbià duto,
biciàlo te le scoathe: se parte dal nuia.
Cancelo l passou l presente l futuro.
Vivoda solo, son divorthiou coi doi
fioi lontan te l’America; conpai coi
neode. Vuoi continuà a scrive le mee
poesie: parole pararomantiche sentha
retorica ma sogno de fei autre versi:
olistici e postmoderne come che
i parla al d’ de ncuoi. I poete vecie
i è tanto contrarie a chesa idea, abituade
e pì contente de l’asuefathion al posto de
comunion e agnithion. Continuo a dorà
l koiné ladin cadorin, la mea lenga materna
che puoco a da fei co l’italian. Ane fa ei scrito
robe confessionali (come Anne Sexton e
Sylvia Plath); daspò ei nparou dale poetesse
Afro Americane la poesia civil, ironica, ostile
ala politica globale e le industrie internathio-
nali che magna fora l pianeta celeste. Son ruou
a scrive poesie microstoriche, personali, n’tin
come la prosa/poesia de Jack Kerouac “On the
Road” autro che post-modernismo e/o olismo.
Chesta é duta n’autra roba che ncora no capisso
ma la nasse tel cuor cossì la coltivo come na
pithola quercia tel palmo de la man.
2.
L’arloio bate le 3 de nuote. Scrivo come core
le aghe dela Piave, sporca turbolenta feroce
veloce ma no son bon de fei cme ela …
le me parole descrive solo meda realtà
no la ricrea come che l’é veramente.
Da tenpo ei perso la fede par strada, no sei
aonde che l’ei lassada cuanche ero bocia
e faseo l chierichetto. Credo ben puoco a
l’umanità: mito vendesto al consumismo,
ma sento che rua l’apocalisse insieme a
n’autro Ulisse, scaltro, furbo e maligno
pì che benigno. Sta nuote me porta rumori
e tanto casin da calche parte. Fora, la luna
somea na fortuna, l’é na sorpresa che amo.
Vivo te n sgabuthin sepeliu dai libre dute
acatastade ntin da par duto. Liedo tanto
ma nparo puoco o anche nuia – la testa é
na thucia marthida dal tenpo e dala paura.
Muoro ogni dì ma me dessero quasi
ogni bonora, almanco fin a chesto punto.
Doman no sei chel che toma, bel o bruto
tenpo no inporta. Vèrdo la porta e vardo
l saroio. Chesto me basta. Daspò camino
tel bosco e me fermo tel thimitero. L thiel
somea fato de vièro, semi trasparente come
la dente che ciato par strada. Therco
l segreto de l’arte che me tien vivo par
calche secondo …
3.
Tel comun de Vigo ei solo un vero amigo
che me capisse; l’é come n fardel parché
l’é n’artista che laora in bianco e nero. L fa
foto che parla dei sentimente che l’sente,
che l’vede e calche sorpresa che no l se spièta.
Alora me sento pì vivo te la mea morsa de
ogni dornada: par me contra la storia de come
se vive e no de cuanche se muore. Volo da solo
n medo ale crode e inte tel bosco anche se
tante òte i trevisan che vien cassù a ciatà
funghe i bicia scoathe tel sotebosco e iò
me ncatho e daspò le tolo su dute, le beto
te na scarsela par portàle a ciasa. Penso
despès al lago del Centro Cadore: d’estade
l diventa come un cratere sula luna. L’aga
sparisse par di a irigà la pianura aonde
i fa schei co le verdure e l’ua par l prosecco.
Tel Cadore i paesane resta co le man te
scarsèla; i se neta le mardèle che cola
dal nàs. Che furbe che son. No credo che
chesta realtà ne porte tanta fortuna ne
vilegianti tei nostre paes.Don a nparà na
lethion dai auronthane che tien l so lago
rienpiu de aga par duto l’an. Forse credon
che see meo cossì, con dute ste ciase vuote,
i dovin che camina. I vecie che crepa ogni dì.
4..
Par adès ei scrito anche massa. È ora de dì
a dormì ma prima me fumo n’autra thigareta.
P. S. : l professor Valesio me à dito che scrivo
na cronistoria de la mea vita. Credo che l’ebe
rason.
5.
Ncuoi le parole toma dò come tòche de pèra
dale Dolomiti cuanche l giatho le spaca durante
l’inverno; anche èle pian pian le deventa
sabia tel deserto. Son solo n grano de chela
sabia spandesta dai vente e le bufere: calche
parola é sbatuda come na bandiera e forse
na bariera contro la realtà. Sona belo medodì,
ei da feime da magnà; me à apena telefonou
l’amigo Aristide che é sempre pessimistico
de la soa salute; therco de tiralo su de morale
Adés me parecio spaghete co n tin de ragù
e na insalata coi pomodore. Ei betesto da parte
la biro e tolto n cuciaro par messedàme la salsa.
Magno e daspò vado con Vito Vecellio
A Pordenon. L’à da smontà la soa mostra
de foto; vado solo a vidàlo. Con noi é
vignesta anche Laura. Sora le nostre teste
l saroio splende che l’é na meraveia. Te n’ora
e meda son ruade a Pordenon. La mostra
de Vito é stupenda – la pì bela che ei mai visto
de dute le so esposithion.
5.
Bisogna che torne davoi tel tenpo (n flashback):
me son ricordou che se era ficiou na fregola de pan
te la gola; no riussiu a respirà e Vito me à fato na
manovra spethial prima de partì verso Pordenon.
Adès respiro ben. No sei parché ma é duta la bonora
che sento te la me testa che Borgesme parla: che
vuolo dime? Therco de scoltàlo e de capilo.
Me ciato tel so labirinto de la soa biblioteca
senta printhipio e senta fin ma forse l’é solo
na mea ilusion/osession. Magàre savèse nparà
dal so genio. Son massa limitou da la geografia
l’educathion, la mea cultura; ei na strutura pì
na brutura e tortura. I suoi personaggi originali
i é tanto meo de tanta dènte che ciato par strada
e de seguro pì vere del vero de chei che va n giro
par Vigo. È ora che vade do verso Prigo e forse là
vedo n pethuò che se gode l saroio. Me bicio
sora la dema e sento i aghe che me conta na storia
de cuanche ero n bocia. È scominthiou a vignì do
na pioa fina che bianda la tèra; iò torno a ciasa,
tiro fora la scoa e neto par tera piena de fregole
e de autre robe lassade sul pavimento par massa tenpo…
Sul tapeto biandou é tomou una poesia; vuò dì che
é ora de bete via duto fin a doman de bonora.
Me fetho na docia daspò me beto a liede de nuou
Dotor Zivago e anche Yevtushenko. Chissà che
prima o dopo no i riesse a feime capì algo …
6.
A Pordenon ei cognosesto na tosata inamorada
de poesia (almanco cossì la me à dito) no son
stou bon de verificà le soe parole. Se son sentade
su l’erba, i pisaliete balàa tel vento. Se parlon
solo coi ocie par la timidetha. Penso al concèto
de sublimathion che ei liedesto sta nuote te n libro.
Forse l disea algo de vero. Me s-ciaudo col sarojo …
Ei capiu che cuanche l’istinto l’é massa forte
noi sublimon par no sbandà da la solita strada
che son usade a dorà. Idee nuove ne fa paura
alora seron i rubinete nvethe de dialogà. Ei apena
finiu de magnàme la thena e torno a bicià do
parole, parole, parole. No me straco mai de proà.
È come na fiumana dela Piave che se spande e va
do par i condute finché la rua tel mar.
7.
L smartfone me manda messaggi astruse.
Lo lasso serou parché no vuoi scoltalo.
Lo fetho cuanche me piase. Se ei vuoia
liedo le solite castronerie che ciucia massa
energie. No vuoi perde tenpo a risponde,
vuoi fei le robe inportanti come studià
le sfacetature de n diamante che brilla te
la mea testa. La inventhion dei palmares
tole l piather de carethà na margherita
cresuda tel prà o anche un pupo che core
davoi a so mare co le gianbe malferme.
Fra puoco toma la nuote e spero tanto de
riussì a sognà. Se me dessedo sarae pì che
contento de podè capì chel che l sogno
vuò dìme e anche no dìme ….
8.
Daspò n per de àne me son betesto in contato
con l’amiga-poetessa Giulia Niccolai che vive
a Milan. Ei liedesto de nuou i suoi libre “Frisbies”
e “Autre Friesbies”—l’ultimo libro par i pì vecie.
L so é n conceto originale: un frisbee vien biciou
dala poetessa a chi che liède e i vuore lo tira davoi
a l’autor con i suoi pensieri daspò dela lettura,
proprio chel che dovarae fei la poesia. La Niccolai
à fato la storia dela poesia italiana, a partì dal ’68
con la rivista Tam Tam, nsieme a Spatola, seguiu
da la poesia concreta e visiva e pì de recente da
chela musical. Deventada na monaca buddista
e tanto amiga del Dalai Lama, la vive i valori
del buddismo ogni dì.
Magari savesse seguì l so esenpio ma therco
de fei l meo che puoi…Ncuoi é l 30 de avril,
na rondine visin ala ciasa in therca del so nido
aonde par tante àne la vien a fei nasse le soe
rondinele. Doe pupe davante al Bar Central
se core davoi le ride e bala ntorno ala nona
Maria e a so pappiTommy. È na domenia
meravigliosa col sarojo che s-ciauda parfin
le père. Ei scrito le robe che ei visto e sentiu
e son contento. Ringrathio la musa che me
à guidou.
Copyright 2017 Adeodato Piazza Nicolai
Vigo di Cadore, 26-30 aprile 2017
SI PARTE DI NUOVO DA ZERO
1.
È arrivata l’ora di rompere, di cambiare
ogni cosa, buttarla nell’immondizia: si parte
dal nulla. Dimentico passato presente futuro.
Vivo da solo, da tempo divorziato con
due figli e quattro nipoti in America.
Vorrei continuare a scrivere poesie: dei versi
pseudoromantici senza retorica ma
sogno di saper fare altri versi conversi:
holistici e postmodernisti, come
qualcuno ha ipotizzato fino a ieri.
I vecchi poeti restano contrari a questo
approccio, abituati all’assuefazione
invece di qualsiasi comunione e/o
rara agnizione. Continuo a usare il koiné
ladin-cadorino, lingua protomaterna
che poco a da fare con l’italiano.
In passato scrivevo versi confessionali
(alla Anne Sexton e Sylvia Plath).
Dopo mi hanno ispirato le poetesse
afro-americane, la loro poesia civile,
ironica e ostile all politiche globali
e alle industrie internazionali che
divorano il pianeta verde azzurro. Sono
arrivato a scrivere versi microcosmetici,
e personali un po’ come la prosa/poesia
di Jack Kerouac “On the Road” altro
che post-occultismo oppure olismo.
Questo è già un altro argomento che
ancora non capisco ma nasce così nel mio
cuore allora lo coltivo come una quercia
nel palmo della mano.
2.
L’orologio batte le tre di notte. Scrivo come
scorrono i flussi del Piave, sporchi, feroci.
turbolenti, veloci ma non riesco a fare
come loro: parole che descrivono soltanto
metà della realtà senza saperla ricreare
com’è veramente. Da qualche tempo
ho perduto la fede per strada; non so né
dove né quandosia sparita, forse sepolta
qunado ho smesso di fare il chierichetto.
Credo ben poco nell’umanità: mito svenduto
dal consumerismo; sento arrivare l’apocalisse
insieme all’altro Ulisse scaltro, furbo, maligno
e forse benigno. La notte mi porta rumori
bianchi e casini da ogni parte. Fuori la luna reca
sfortuna – doni e sorprese che non apprezzo.
Vivo in uno sgabuzzino, sepolto da libri semi-
accatastati un po’ dapertutto, Leggo tanto
imparo quasi niente – la mia testa una
zucca ammaccata da tempo e paura.
Muoio ogni notte e mi risveglio ogni
giorno per almeno un secondo. Domani
non so se farà bel tempo oppure cattivo,
però non importa. Apro la porta e scruto
il sole. Mi basta. Passeggio nella foresta
e mi fermo nel cimitero. Il cielo s’è fatto
di vetro semi-trasparente, sembra la gente
che incontro lungo il sentiero. Ricerco
il segreto dell’arte che rinnova la vita
per qualche istante …
3.
Nel comune di Vigo ho solo un vero amico
che mi comprende; è come un fratello poiché
artista. Lavora in bianco e nero. Scatta le foto
che parlano dei sentimenti visti vissuti che
qualche volta sorprendono quando meno
ce lo aspettiamo. Allora mi sento più vivo
nella tana del giorno: per me conta la micro
storia di come vivo, non della morte. Sorvolo
da solo in mezzo alle rocce e dentro al bosco
anche se tante volte i trevigiani che arrivano
per cogliere funghi, scaraventano immondizie
nel sottobosco; m’incazzo ma poi le raccolgo,
le ficco in tasca, le per porto a casa.
Penso spesso al Lago del Centro Cadore:
durante l’estate è come un cratere lunare.
L’acqua sparisce per irrigare i campi della
pianura dove tanti guadagnano con frutta,
verdura e prosecco. I paesani del Cadore
rimangono con mani vuote nelle tasche; si
puliscono le gocce che colano dal naso. Che
furbi che siamo. Non credo questa realtà
porti fortuna né villeggianti nei nostri paesi.
Impareremo una rara lezione dagli auronzani?
Loro mantengono il lago pieno per tutto l’anno.
Forse ci crediamo più svegli, con tante case
vuote, giovani che se ne vanno, vecchi che
spariscono di giorno in giorno …
4.
Per ora ho scritto anche troppo. È giunta l’ora
di andare a dormire ma prima mi fumo
la penultima sigaretta, come un Italo Svevo.
.
P.S.: L’amico Valesio ha detto che scrivo
la cronistoria della mia vita. Avrà ragione…
5.
Oggi parole cadono come frammenti di pietra
dalle Dolomiti quando il ghiaccio li spacca
durante l’inverno; pure loro pian piano
ritornano sabbia nel deserto. Sono solo
un granello di quella sabbia asportata dai venti
e dalle bufere mentre qualche parola sventola
come bandiera
o forse una barriera contro le realtà. Già suona
un altro mezzogiorno, devo farmi da mangiare.
Mi ha appena telefonato l’amico Aristide
così pessimista per la sua salute; cerco di
tirarlo su col morale. Preparo spaghetti
al ragù e un’insalata coi pomodori. Ho messo
da parte la vicchia biro e preso un cucchiaio
per rigirare la salsa. Mangio e poi parto con
Vito Vecellio per Pordenone: deve smontare
una mostra di fotografie, Vado a dargli
una mano. Con noi c’è Laura De Marchi.
Sopra le nostre teste volteggia il sole.
Che meraviglia! Un’ora e mezza e siamo
arrivati a Pordenone. La mostra di Vito
è magnifica – la più bella
mai vista di tutte le sue esposizioni.
6.
Dovrò fare dei passi indietro nel tempo
(un flashback):ricordo come e dove
si era conficcata una crosta di pane
nella gola; non riuscivo a respirare e lui
mi ha subito fatto la manovra speciale prima di
andare a Pordenone. Ora respiro bene, non so
perché ma è tutta la mattina che sento nella testa
bisbigliarmi il Borges: cosa vorrà dirmi? Cerco
di ascoltare e di capire. Mi scopro nel solito labirinto
della sua biblioteca senza inizio né fine. Forse
è solo illusione/ossessione. Magari sapessi
imparare qualcosa dal suo incomparabile genio.
Resto troppo limitato dalla geografia,
educazione, cultura; suddito della struttura--
bruttura/tortura. I suoi personaggi argentini
sicuramente sono migliori di tante persone
che incontro per strada e certamente più
veri del vero di quelli che osservo in giro
per Vigo. È ora che scenda giù verso Prigo
forse vedrò l’abete innamorato del sole.
Sdraiato nel sottobosco ascolto gli aghi
raccontarmi la storia di quand’ero bambino.
Incomincia a cadere una lieve pioggerellina
che disseta la terra. Ritorno a casa, tiro fuori
la scopa, pulisco il tappeto pieno di fregole
e altre sporcizie lasciate sul pavimento per
tanto tempo … Sul parqet bagnato
è caduta la poesia, significa che è giunta l’ora
di mettere via tutto a riposare fino a domani
mattina? Faccio la doccia poi incomincio
a rileggere Dottor Zhivago e Yevtushenko.
Chissà se prima o dopo riuscirò a captare
qualche cosa …
7.
A Pordenone incontrai una giovane donna
innamorata della poesia (così mi ha detto),
non sono riuscito a verificare le sue parole.
Seduti sul prato, i tarassaci ballavano lenti
nelle nostre memorie assolate …
Timidi, dialoghiamo soltanto con gli occhi
e penso al concetto di sublimazione letto
questa notte in un libro. Forse diceva una
verità. Mi riscaldo con i raggi del sole …
Ho capito che quando l’istinto
è troppo estremo noi lo sublimiamo
per non sbandare con il solito
pensiero che siamo abituati a sfruttare.
Idee premature novelle forse pericolose
fanno paura allora chiudiamo i rubinetti
invece di dialogare. Finito di mangiare
ritorno a trangugiare parole, parole
parole, mai stanco di riprovare. Ricordano
la fiumana del Piave che scorre e si spande
dentro le fogne finché si ferma nel mare.
8.
Lo smarfone mi manda messaggi balordi.
Lo tengo chiuso, non voglio ascoltarlo.
Lo farò a mio piacere. Quando avrò voglia
leggerò le solite castronerie che risucchiano
troppa energia. Non voglio perdere tempo
a rispondere, desidero fare cose più
importanti: studiare le sfaccettature di un
diamante che brilla sulla mia capocchia.
L’invenzione del palmares toglie la gioia
di accarezzare la margherita spuntata
dal prato vicino e abbracciare una bimba
che corre con gambe malferme dietro
alla mamma. Fra poco cadrà la notte,
spero di riuscire ancora a sognare. Se mi
risveglio sarò felice di riuscire a capire quello
che il sogno forse sognava di dirmi-non dirmi …
9.
Dopo alcuni anni mi sono rimesso in contatto
con l’amica poetessa Giulia Niccolai che vive
a Milano. Ho letto di nuovo i suoi libri “Friesbies”
e “Altri Frisbies” – quest’ultimo più adatto per
gli anziani. Un suo concetto originale: un friesbie
viene lanciato dal poeta a coloro che leggono
e loro rimandano i pensieri all’autore: proprio
quello che dovrebbe fre la poesia. La Niccolai
ha fatto la storia della poesia italiana partendo
dal ’68 con la rivista Tam Tam, insieme a Spatola,
seguita dalla poesia concreta, visiva e dodecafonica.
Diventata monaca e amica vicina del Dalai Lama,
adesso vive il suo buddismo ogni giorno
Sapessi seguirla nel il suo esempio, … ma cerco
di far del mio meglio … Oggi è il 30 di aprile,
una rondine vicino alla casa cerca il suo nido
dove ritorna da tanti anni per partorire nuovi
rondinetti. Due piccole bambine davanti
al Bar Centrale ridono, si rincorrono, ballano
intorno a nonna Maria e papà Tommy.
Una Domenica dolce, il sole scalda perfino
le pietre. Ho descritto le cose che ho visto
e sentito. Sono felice. Grazie alla musa per
questo dono…
Copyright 2017 Adeodato Piazza Nicolai
Traduzione italiana del poemetto ladino A DIALOGÀ
CON L’AUTRO EGO. Tutti i diritti riservati.