Cara signora Schubert
Ewa Lipska, poetessa e pubblicista, è nata a Cracovia il 10 ottobre 1945. Nella stessa città si è diplomata presso l’Accademia di Belle Arti. Dal 1970 al 1980 responsabile del settore poesia della casa editrice Wydawnictwo Literackie. Dal 1995 al 1997 direttrice dell’Istituto Polacco di Vienna. Cofondatrice e redattrice di diverse riviste letterarie, tra cui il mensile “Pismo”. Vicepresidente del PEN Club polacco. Ha ricevuto diversi importanti premi per la sua creazione letteraria. Le sue poesie sono state tradotte in molte lingue. Autrice di numerose raccolte poetiche, tra le ultime: Ja (Io, 2004), Pogłos (Rimbombo, 2010), per la quale ha ricevuto il premio “Gdynia”, e Droga pani Schubert… (Cara signora Schubert…, 2012).
Per il suo anno di nascita e per quello del debutto, avvenuto nel 1967 con il volume Wiersze (Poesie), Ewa Lipska appartiene al gruppo di poeti della “Nowa Fala”, in polacco “nuova ondata” o “nouvelle vague”, o detta anche “generazione ‘68”, vale a dire gli autori nati intorno alla metà degli anni ’40, come: Stanisław Barańczak, Adam Zagajewski, Ryszard Krynicki, Julian Kornhauser e Krzysztof Karasek (nato nel 1937). La poetessa tuttavia rifiuta ogni appartenenza a qualsivoglia gruppo e da anni manifesta coerentemente la propria individualità creativa, sempre peculiare, come peculiari ed espressivi sono la sua dizione poetica, le metafore, la densità di significato, il paradosso. Qualcuno a tale proposito ha detto che la creazione di Ewa Lipska è nella poesia polacca contemporanea, quello che l’ablativo assoluto è nella sintassi latina, cioè un sintagma a sé stante. La sua poesia si concentra sui sentimenti della sofferenza e della paura, sulla fragilità dell’esistenza condannata a morire. Piotr Matywiecki, poeta, critico letterario e saggista scrive:
«La poesia di Ewa Lipska si distingue per la sua immaginazione insolitamente vivace. Con sorprendente disinvoltura nel suo mondo si può paragonare una classe scolastica alla storia dell’umanità, il traffico stradale al moto della mente, una malattia a un avvenimento pubblico. (Questo è anche il “metodo” poetico della Szymborska). Si avrebbe voglia di dire la Lipska è una poetessa sociale nel senso che non c’è per lei niente di intimo che non sia al tempo stesso quotidiano, formulabile sociologicamente».
(Paolo Statuti)
grafica Malika Favre
Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa
Il titolo originale del libro è Cara signora Schubert, chissà perché poi cambiato, dall’editore italiano, con quell’orribile e banale L’occhio incrinato del tempo. Forse all’editore sembrava troppo «semplice» quel titolo. Anche qui, come vedete, è in azione il filtro del conformismo e della omologazione verso il basso, addirittura i titoli dei libri vengono cambiati in stile «ultroneo». La forma prescelta da Ewa Lipska è la più semplice in assoluto, una serie di lettere indirizzate ad una signora dal nome corrivo e convenzionale: Schubert. E che si dice in queste lettere? Niente di trascendentale, si parla di un reale poroso, corrivo, sciatto, convenzionale, in uno «stile [che] non vale niente», scritte di «pugno degli Dei», ovvero, degli uomini del nostro tempo corrivo e banale. E la poesia? La poesia di Ewa Lipska non può che sortire fuori dalla metratura di questo «mondo». Chiede la poetessa: «dove andremo ad abitare Dopo»?. Domanda corriva che richiede, ovviamente, una poesia corriva.
Ecco, mi piace questa poesia fatta di stracci, di corrivo, di rottami linguistici, scritta in uno stile minimalista, terra terra, volgare come è volgare il nostro «mondo», dove ci sono tante cose: «Una cena con Nerone / all’Hotel Hassler di Roma»; ci sono pezzi di cronaca: «l’Unione Europea? Il XXI secolo»; ci sono incisi mozzafiato: «Tutto ciò che ci ha amato, cara / signora Schubert, non ha più via d’uscita»; «cara signora Schubert le porgo i miei saluti dal Labirinto»; dove «Greta Garbo è sempre più simile a Socrate». E, infine, l’ironico augurio: « siccome credo nella vita d’oltretomba, ci incontreremo senz’altro nel Grande Collisore di Adroni».
Qual è la differenza tra la poesia di Ewa Lipska e quella che si confeziona in Italia oggi? (in particolare mi riferisco alla antologia di poesia femminile pubblicata da Einaudi a cura di Giovanna Rosadini nel 2014). La poesia maggioritaria che si fa oggi in Italia consta di commenti, una fenomenologia para giornalistica che va verso la narrazione indiscriminata delle questioni dell’io e delle sue adiacenze, una fenomenologia del banale, priva di direzionalità laterali e trasversali, priva di verticalità, di diagonalità, di salti posizionali, temporali e spaziali. Direi che questa è un modo di scrittura che privilegia la banalità. È la negazione dello stile, con l’io posticcio e artefatto governatore del piccolo mondo dell’io e delle sue adiacenze. Ewa Lipska invece va dritta dentro i problemi di oggi, la poetessa polacca lascia cadere le domande, una dopo l’altra, come una collana di perle nere, con apparente negligenza: «Cara signora Schubert, che fare dell’eccesso di memoria?»; «Come si entra nella storia, cara signora Schubert?». Ma si tratta di domande fondamentali, quelle di cui dovrebbe occuparsi la poesia di serie “A”.
grafica Malika Favre
Uno spettro si aggira per l’Europa: una fame di riconoscibilità,
una sete di omologismo. Il problema cui si trova davanti la poesia di oggi è quello di una forma-poesia riconoscibile. Gli scrittori e soprattutto i «poeti» mirano a creare qualcosa di immediatamente riconoscibile e identificabile. Il problema di una forma-poesia riconoscibile, è sempre quello: se l’«io» sta in un luogo, immobile, anche l’«oggetto» sta in un altro luogo, immobile anch’esso.
Il discorso poetico diventa un confronto tra il qui e il là, tra l’io e il suo oggetto, tra l’io e il suo doppio, e il discorso lirico assume un andamento lineare. Ma, se poniamo che l’oggetto si sposta, l’io vedrà un altro oggetto che non è più l’oggetto di un attimo prima; di più, se anche l’io si sposta di un metro, vedrà un oggetto ancora differente, anche posto che l’oggetto se ne fosse stato fermo nel suo luogo tranquillamente per un bel quarto d’ora. E così, il discorso lirico (o post-lirico) si può sviluppare tra due postazioni in stazione immobile. Altra cosa è invece se le due posizioni, ovvero, i due attanti, cambiano il loro luogo nello spazio; ne consegue, a livello sintattico, un moto di ripartenza, di stacco e di arresto e, di nuovo, di stacco. Avremmo una poesia che non si muove più secondo un modello lineare ma secondo un modello non-lineare. Voglio dire che già Mallarmé aveva distrutto il modello lineare dimostrando che esso era una convenzione e null’altro e, come tutte le convenzioni, bisognava derubricarla e passare ad uno sviluppo non più lineare ma circolare della poesia.
Gran parte della poesia contemporanea che si fa in Europa parte da un assunto acritico: dalla stazione immobile dell’io, con l’io al «centro del mondo», attorno al quale ruota tutta la fenomenologia degli oggetti; in modo consequenziale i giri sintattici, anche se di illibato nitore e rigore metrico, si dispongono in modo lineare, come tipico di una tradizione recente: l’io di qua e gli oggetti di là, in un costante star-di-fronte.
Questo tipo di impostazione, intendo quello della stazione immobile dell’io e della distanza fissa tra l’io e gli oggetti, conduce, inevitabilmente, al pendio elegiaco. L’elegia ti costringe a cantare la «distanza». L’elegia è tipicamente consolatoria. In definitiva, il dialogo tra l’io ed il suo oggetto si rivela essere un dialogo posizionale, posizionato, «convenzionale». Infine, chiediamoci: che genere di poesia scrivere in un’epoca afflitta, come scrive la Lipska, da «eccesso di memoria»? E non è questa la domanda cruciale che si pongono anche i poeti della «nuova ontologia estetica»?
Ewa Lipska
da Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012)
Tra
Cara signora Schubert, mi chiedo dove andremo ad abitare Dopo. Dopo, cioè là dove prima c’era la fabbrica che produceva la vita d’oltretomba. Sarà tra ciò che non abbiamo fatto e ciò che non faremo più.
Il nostro mondo
Cara signora Schubert, il nostro mondo è come una lettera scritta di proprio pugno dagli Dei, ma lo stile non vale niente…
UE
Cara signora Schubert, ricorda ancora
l’Unione Europea? Il XXI secolo, Quanti anni sono trascorsi…
ricorda il grano ecologico? la depressione del lusso?
e il nostro letto che sfrecciava sull’Autostrada del Sole? Era la [nostra]
giovinezza, cara signora Schubert, e per quanto gli orologi
persistano nella propria opinione, tengo questo tempo
ben stretto nel pugno.
Il protagonista del romanzo
Cara signora Schubert, il protagonista del mio romanzo
trascina un baule. Nel baule ci sono la madre, le sorelle, la famiglia,
la guerra, la morte. Non sono in grado di aiutarlo.
Si tira dietro quel baule per duecentocinquanta pagine.
Non si regge più in piedi. e quando finalmente esce dal romanzo,
viene derubato di tutto. Perde la madre,
le sorelle, la famiglia, la guerra, la morte. In un forum
su internet scrivono che gli sta bene,
Forse è un ebreo o un nano? I testimoni
affermano che taceranno su questo argomento.
(grafica degli “Strilli” di Lucio Mayoor Tosi)
La storia
Come si entra nella storia, cara signora Schubert?
All’assalto, come i tiranni? Timidamente, come i poeti?
Va applaudita, quando concede il bis su richiesta
del pubblico? di quale pubblico? Bisogna tacere,
quando invia come spie il caso e il destino?
Si può uscirne fuori? Un incendio esperto
batte sulla fronte del fuoco.
Il testamento
Cara signora Schubert, le scrivo da Amsterdam,
dove sono in borsa di studio per scrivere
il mio testamento. Il nostro amore l’ho lasciato al Passato
che, come sempre, rimettiamo al Futuro.
L’ho sottratto al sonno. Sono spuntate le rondini.
Il cielo era superfluo.
Lo specchio
Cara signora Schubert, mi capita di vedere
nello specchio Greta Garbo. È sempre più simile
a Socrate. Forse a la causa è una cicatrice sul vetro.
L’occhio incrinato del tempo. O forse è solo una stella
che sbraita nel vaudeville locale.
Nerone
Cara signora Schubert, non ho concesso la parola alla mia
immaginazione, eppure è successo. Una cena con Nerone
all’Hotel Hassler di Roma. “Sparlano ancora
di me?”. Ma Lucio, dico, adesso hanno altri
problemi, il dollaro è in caduta libera. mangiamo porri con l’olio.
Intorno a noi volteggiano gonne di Gucci. Oggi hai
un concerto, dico, suoni il liuto, leggi poesie.
Nei dintorni della morte regna sempre un caldo insopportabile,
ma chi se ne ricorda più?
Il labirinto
Cara signora Schubert, le porgo i miei saluti
dal Labirinto, ambigua stazione termale
che mi induce in errore. Cerco le sorgenti
calde del nostro amore, le fonti di parole minerali,
le ore curative in coppia. Mi perdo in ricordi
tortuosi, in vie che si incrociano:
cado nella trappola della geometria. Mi aggroviglio
nei cavi delle date. Tutto ciò che ci ha amato, cara
signora Schubert, non ha più via d’uscita.
Il fulmine
Cara signora Schubert, non le tradurrò le
parole che non ho pronunciato. Sono impigliate
in una scusa puerile. Nel prato le mucche emanavano vapore,
e noi correvamo sul posto, come colpiti da un fulmine.
Il Grande Collisore di Adroni
Cara signora Schubert, siccome credo nella vita d’oltretomba, ci incontreremo senz’altro nel Grande Collisore di Adroni. Lei sarà certamente una particella di numero che addizionerò a me stesso. La somma non avrà bisogno di alcuna spiegazione. A questo su per giù ammonta l’amore. Meno il disastro.
Giocare a “mondo”
Cara signora Schubert, ricorda ancora quando giocavamo a “mondo”? Il mondo crudele e malvagio, in agguato sotto i nostri letti? Aveva quattro piccole ruote e un occhio d’acciaio. Ci parlava con un frastuono di parole e usava una sintassi metallica. Una volta l’ho pestato a morte. gemeva, implorava perdono, ma l’ho fatto fuori lo stesso. Tutto questo accadeva in assenza della storia, mentre in cucina la mia tata preparava per merenda la caduta di Roma.
L’amore
Cara signora Schubert, la temperatura del nostro amore è di 1200 gradi Celsius. È sufficiente a fondere l’oro. Ciò che è iniziato nel fuoco ha qualche possibilità di divenire incendio? e facciamo ancora in tempo a fuggire in una fredda vecchiaia che possa prolungarci tutte le date di scadenza?
La memoria
Cara signora Schubert, lei scrive che la memoria
si dimentica di noi. Sì, è vero. In sua assenza
ho ritirato le nostre carte valori, ho venduto
le obbligazioni e la pelliccia di volpe nera con cui
abbiamo superato la tempesta. Non so perché si tiene
alla larga dai luoghi dei nostri incontri
agognati e non riconosce gli indirizzi dove
ha abitato. Qualcuno l’ha vista mentre, attorniata
da monumenti di pietra, ci spargeva in giro
per distrazione.
La memoria
Cara signora Schubert, non so perché non mi ha riconosciuto in sogno. Mi presentavo e le porgevo biglietti da visita cifrati. Mi richiamavo alle cicatrici sul cuscino e alle città attraverso cui correvano come telegrafi le nostre corde vocali. riferivo dei nostri concerti aromatici. Cannella. Zenzero. Descrivevo i segni particolari degli istanti: tutti in una volta e ognuno separatamente. e lei mi guardava controluce, una luce che fuggiva da me, si spegneva… e proprio allora mi svegliò la tosse.
L’eccesso di memoria
Cara signora Schubert, che fare dell’eccesso di memoria? Ci ho vagabondato insieme per città e continenti sconosciuti. L’ho lasciata nei depositi bagagli e nelle biblioteche comunali Ma mi ha sempre ritrovato nei ricordi abbandonati, nelle lettere, nei sogni. Una volta è stata assalita dalla paura, che le ha chiesto di darle tutti i suoi gioielli. La memoria ha opposto resistenza, ma la paura le ha strappato alcuni anni di diamante. Lei sarebbe pronta ad accogliere una parte della mia memoria nel suo destino? Non ignori questa proposta, che ancora non ammette sconfitta.
La materia oscura dei tulipani
Cara signora Schubert, è certamente curiosa di sapere cosa è successo nella mia camera da letto quando il terzo Cavaliere dell’Apocalisse si è svegliato di colpo. Non è successo niente. Alla porta ha bussato un sicario, un figlio del vulcano, un assassino a pagamento. Il proiettile esploso nel mio corpo cinque secondi più tardi tuttora non mi dà pace. Queste sono di sicuro le stesse ore di straordinario del rimpianto, la materia oscura dei tulipani.
Un nuovo pianeta
Cara signora Schubert, prometto che scoprirò un nuovo pianeta sul quale stamperò il suo cuore. Sono il committente di alcuni profeti, sui quali faccio affidamento. Come sa, tutto ciò che è impossibile si addice alla vita.
Re Edipo
Cara signora Schubert, eppure re Edipo questo non l’aveva voluto… Ma c’era già stato l’oracolo. Perciò dovette uccidere suo padre e sposare sua madre. Avrebbe potuto non lasciare Corinto, o non tornare a Tebe. Il fato arrogante sfoglia il giornale nel vicino caffè. Nelle notizie di cronaca tutto come al solito: i corpi sono stati rimossi dalla strada, il sangue è stato lavato. Sempre gli stessi maturandi del crimine, lo stesso sorgere del sole con un accenno sul tramonto.
La nostalgia
La nostalgia, cara signora Schubert, è un negozio di ferramenta. Dadi, viti, chiodi. Alla parete un attestato di ore interminabili. Arte su eBay. Inoltre, la memoria che si avvita senza sosta. Nel gesso. Nel legno. Nel cemento. lancetta d’acciaio dell’orologio, che cade dall’occhio. E una lunga notte inossidabile, un kit per il montaggio.
L’illusione
Cara signora Schubert, un mio amico pittore ritiene che la vita sia un inganno. “Dipingo l’illusione. Mi inducono in errore l’occhio e la contraffazione della luce. E anche la paura del talento e il raggiro del blu oltremare”. Mi specchio da anni nel suo autoritratto, sfregandomi via dalle labbra un acquerello taciturno. Le risparmio la provenienza ambigua delle domande che non porrò.
L’oscurità
Cara signora Schubert, l’onda d’urto dell’Oscurità è sei volte più rapida della pallottola sparata da una pistola. Si muove alla velocità di alcune migliaia di metri al secondo e mi assale sempre alla stessa ora del mondo.
Teorie di complotto
Cara signora Schubert, non mi chieda su commissione di chi viviamo e perché l’ombra del sospetto, caduta sulla sua tavola dalla finestra accanto, abbia frantumato la statuina di Temide di porcellana di Meissen. Non chieda delle decisioni di retroscena dei nostri sentimenti di complotto, né delle voci a proposito dei gioielli delle città. Aspiro ad avere egemonia su di lei? Ma sono anni, ormai, che abbiamo un sodalizio segreto nel quale la leggo in continuazione, con frasi degli anni passati.
Come va
Cara signora Schubert, mi chiede come va… Niente di nuovo. I crimini sono diventati adulti. Ormai sono autosufficienti. Lo stesso monologo del toro che va al patibolo. Gli stessi picadores con facce da bambino. Lo stesso boia, un bell’imbusto disincantato, un toreador. La stessa euforia della rivoluzione, un grido armato fino ai denti, le esplosioni delle gole. La stessa stanchezza. L’umiliazione della fame, sotto il cui naso agitiamo un pasticcino rosa.