Giorgio Linguaglossa
22 settembre 2017 alle 9:08
E adesso, una mia poesia.
(alla maniera di Ewa Lipska)
Cari Signori Gino Rago, Giorgio Linguaglossa,
Mario Gabriele, Lucio M. Tosi e compagnia varia…
Vi porgo i miei saluti
dal Labirinto, quel luogo dal quale non è più
possibile trovarsi, dove non c’è neanche bisogno
di cercare le sorgenti dell’amore.
Le parole, egregio Signor Linguaglossa,
in questo luogo sono fuori posto.
Mi perdoni questa ovvietà,
ma lei, mi dicono, è un poeta!
Vede? Cado anch’io a volte nella trappola della geometria.
Che vuole, mi piacciono i triangoli scaleni,
gli eptaedri, i vertici acuti, i numeri primi.
Tutto ciò che ci ha amato,
cari Rago e Linguaglossa, cari Gabriele e Tosi,
e quanti altri della nuova ontologia estetica
non ha più ragione d’essere…
Sì, mi attendo da Voi una risposta. Una sola, però.
Per questo vi dò il mio indirizzo:
“Quartier Generale dell’Aldilà
dove scorre il fiume dell’aldiquà
al numero civico 777 piano terzo scala D,
attigua alla abitazione di Dio, perbacco!”.
Mario M. Gabriele
22 settembre 2017 alle 14:16
Signor K, e Signor Cogito, Sig.Gab e Sig.na Evelyn, Sig.ra Schubert, Sig Tosi e Sig. Rago, Sig. Steven e tanti altri Signori e Commodori,ma dove vi siete incontrati? Al Palazzetto dello Sport Linguistico? Abbiamo tutti un indirizzo ed è: il “Quartier Generale dell’ALDILA’, al numero civico 777, vicino alla abitazione di Dio. Ciò che ci ha amato se ne è andato dalla ciminiera Al Centro Impiego cercano “Spazzini”.
Carlo Livia
22 settembre 2017 alle 12:37
La decomposizione delle strutture morfosintattiche, come strumento d’indagine di nuove relazioni tra linguaggio e ontologia, come nell’opera di Zanzotto o Celan, può essere mutata in una decontestualizzazione semantica di sintagmi e frammenti diegetici che rimangono strutturalmente integri, ma assumono diversa funzione noetica, nella trasgressione dell’ordine logico-relazionale, con il risultato di mettere in luce l’irrazionalità latente nella logica convenzionale, come avviene in Lipska e Linguaglossa; è la stessa differenza, più o meno, che sussiste fra la pittura di Braque e quella di Magritte. Ecco un testo in cui ho tentato un’integrazione delle due procedure espressive.
Altra ferita del silenzio
Il corpo allucinante risplende
e scompare nella risata del vento
coi suoi frutti segreti mangiati vivi
L’amore sprofonda nello specchio
pugnalato dalla memoria
Dietro i pozzi degli antenati
vecchie femmine lunatiche sorvegliano l’entrata
Trascino il mio letto per campi lamentosi
la madre s’allontana su fondali d’erba
E’ finita l’attesa
quella lotta d’alberi e belve
dietro la casa di cenere
Ma non riesco a dormire
sotto lo sguardo di questi spettri
Donatella Costantina Giancaspero
22 settembre 2017 alle 20:13
gentile Carlo Livia,
seguo sempre con attenzione e stima i suoi interventi e le sue poesie. Complimenti sia per il commento che per la poesia, molto interessante e coinvolgente… si vede che anche lei sta cercando una poesia diversa da quella che si legge in Italia… inserisca pure le sue poesie sono una lettrice attenta e priva di pregiudizi. Questo è un Laboratorio all’aperto, fatto per poeti senza tacchi a spillo. Ho un appunto da farle. La prima strofa io la scriverei così, togliendo due aggettivi. Secondo me la strofa corre meglio:
Il corpo risplende e scompare nella risata del vento
coi suoi frutti i mangiati vivi…
a me sembra più scorrevole…
saluti.
Carlo Livia
22 settembre 2017 alle 20:59
Grazie, gentilissima, faccio quello che posso, i tacchi a spillo non li ho mai amati, nemmeno come simbolo, malgrado sia di pochi centimetri più alto di Woody Allen. Un caro saluto.
Giorgio Linguaglossa
22 settembre 2017 alle 13:00
Il problema messo bene a fuoco da Carlo Livia
è quello di pensare alle fondamenta espressive del linguaggio, alla sua essenza ontologica. Credo che questo problema era lontanissimo dalla sensibilità di uno Zanzotto che, per generazione e formazione culturale era alieno ad adottare una impostazione culturale diversa dal quadro normativo in cui alloggiava lo sperimentalismo.
Oggi, caro Livia, dobbiamo (siamo costretti) a de-contestualizzare il «frammento», decontestualizzarlo e ricontestualizzare il «frammento», come tu dici «diegetico».
Anch’io ho ammirato non poco la poesia di Herbert per quella severa qualità nomenclatoria presente nella sua poesia. Con le parole di Brodskij:
“quella «miscela di ironia, disperazione ed equilibrio» che già incantava Brodskij; e rimangono i temi che sempre sono stati al centro della sua ricerca espressiva: la memoria come vicinanza al passato e alla tradizione, l’azione corrosiva del tempo”.
Un equilibrio tra disperazione e ironia (io direi meta ironia), come scrive Brodskij. È questo il nostro obiettivo.
Francesca Dono
22 settembre 2017 alle 13:37
L’ha fatto tante volte in un giorno , gentile signorina Kantera . Proprio ieri alle sette e trenta ne avevo contate dieci. Sono troppe. Nessun rimedio. Non mi chieda il nome di quello lì né se la caldaia del palazzo funzioni a dovere. I termosifoni sono nel gelo più bruciante. Ad esempio; il signor Hush sbatte il cancelletto dell’ingresso e i bambini dei vicini lanciano aeroplanini di carta fino al cavedio . Gentile signorina Kantera, in fondo, mi chiedo se questo formicaio è un agghiacciante allevamento di corpi o l’antenatale della tomba a cui siamo destinati. Il gatto? Si nutre con rapidi colpe di zampe. Non me ne voglia. Sembra domestico, ma si è ormai inselvatichito da tempo . C’è aria di inverno . La nuova inquilina ha i tacchi rumorosi. Per darle un’idea di un altro imbroglio ; l’ascensore è in blocco da novecento minuti. Naturalmente non incontro nessuno eccetto un’ ombra dalle gambe incrociate. Ha senso essere il numero 23 sul citofono? Ecco perché tutta le lettere tornano indietro.
Cordialmente
(Fritz Hertz)
Giorgio Linguaglossa
22 settembre 2017 alle 14:00
Il mio modesto parere è che questo Signor Fritz Hertz ha dei tratti di genialità. Anche la poesia di Carlo Livia va nella giusta direzione. Verso la nuova ontologia estetica? Penso di sì, perché conosco da circa trenta anni Carlo Livia e so la serietà del suo impegno nel costruire una poesia «nuova e diversa».
Francesca Dono
22 settembre 2017 alle 14:01
grazie Giorgio. E’ un mio caro amico. Credo anche lui…..
Giorgio Linguaglossa
22 settembre 2017 alle 14:23
Posto una poesia di Nelly Sachs tradotta da Chiara Catapano
. . . Und wenn diese meine Haut zerschlagen sein wird,
. . . so werde ich ohne mein Fleisch Gott schauen
. . . . Hiob
O die Schornsteine
Auf den sinnreich erdachten Wohnungen des Todes,
Als Israels Leib zog aufgelest in Rauch
Durch die Luft –
Als Essenkehrer ihn ein Stern empfing
Der schwarz wurde
Oder war es ein Sonnenstrahl?
O die Schornsteine!
Freiheitswege für Jeremias und Hiobs Staub –
Wer erdachte euch und baute Stein auf Stein
Den Weg für Flüchtlinge aus Rauch?
O die Wohnungen des Todes,
Einladend hergerichtet
Für den Wirt des Hauses, der sonst Gast war –
O ihr Finger,
Die Eingangsschwelle legend
Wie ein Messer zwischen Leben und Tod –
O ihr Schornsteine,
O ihr Finger,
Und Israels Leib im Rauch durch die Luft!
*
E quando questa mia pelle sarà dissolta
Allora contemplerò Dio senza la mia carne.
Libro di Giobbe
Oh i camini
Sulle ingegnose dimore della morte,
quando il corpo d’Israele si disperde in fumo
per l’aria –
come uno spazzacamino una stella l’accolse
e divenne nera
oppure era un raggio di sole?
Oh i camini!
Vie di libertà per le ceneri di Job e Geremia –
Chi vi ha inventati ed edificato pietra su pietra
Il sentiero dei fuggiaschi di fumo?
Oh le dimore della morte
Accogliente imbandita
per il padrone di casa, che altrimenti era ospite –
Oh voi dita
Che posate la soglia
Come un coltello tra vita e morte –
Oh voi camini,
oh voi dita
e il corpo d’Israele in fumo nell’aria!
Mario Gabriele
22 settembre 2017 alle 14:16
Signor K, e Signor Cogito, Sig.Gab e Sig.na Evelyn, Sig.ra Schubert, Sig Tosi e Sig. Rago, Sig. Steven e tanti altri Signori e Commodori,ma dove vi siete incontrati? Al Palazzetto dello Sport Linguistico? Abbiamo tutti un indirizzo ed è: il “Quartier Generale dell’ALDILA’, al numero civico 777, vicino alla abitazione di Dio. Ciò che ci ha amato se ne è andato dalla ciminiera Al Centro Impiego cercano “Spazzini”.
Chiara Catapano
22 settembre 2017 alle 14:33
Vorrei partecipare con alcuni miei versi. Dopo aver apprezzato ed essermi gustata i versi della Lipska e di molti poeti della NOE
Una notte d’aprile, a casa di Giacinto Scelsi
In questa sconfinata fioritura di buio, anche il nero
dell’ombra si colora, per significare.
Dal terrazzo vuoto verticale giù a picco
e più sotto strada-solco di ammansite simmetrie,
oltre lo sconfino dei Fori Imperiali, del bianco che ignora
– che vuole ignorare –
quella fiorita voragine-culla di millenni,
più eterna della città.
Solo, il tempo si spegne e regala i suoi sensi, una madre oscura,
latte segreto dal seno di note risuonate giù abbasso:
un segreto rinascere
e riapparire del mondo dall’uovo di puro suono
che trattiene luce nell’interno vertiginoso, intatto. Ma percepito.
Tutta la notte il suono ha suonato se stesso,
il dove e il quando appesi all’unica nota
uovo schiuso di qualsiasi immagine.
Lucio Mayoor Tosi
22 settembre 2017 alle 16:31
Gli ultimi tre versi! simili al mio Bianco dipinto su se stesso ma estesi a “qualsiasi immagine” sono per me memorabili. Ho l’impressione che il verso lungo non sempre ti favorisca, che alcune immagini ne restano penalizzate; tipo una madre oscura, latte segreto… un segreto riconoscere. Qualche parola di troppo. Ma è solo una mia idea, niente che s’avvicini alla presunzione. Un parere.
Chiara Catapano
22 settembre 2017 alle 16:43
No, hai ragione… in realtà non è tanto il verso lungo, ma un’altra sovrabbondanza di parole. In certe poesie dal verso esteso le parole sono tutte necessarie, in altre poesie è vero che c’è un leggero sovraccarico. Su questo lavoro ora, in particolare. Per cui ben vengano le impressioni, altrimenti si resta ciechi! grazie Lucio
Giorgio Linguaglossa
22 settembre 2017 alle 17:38 caro Lucio,
il verso lungo ha senso se viene seguito o preceduto da un verso breve o brevissimo. Così si instaura una discromia, una frattura, una discrasia, e il lettore viene tenuto all’in piedi. Io toglierei il verso finale, che mi sembra non aggiunga nulla di decisivo, e poi, dopo “colora” inserirei un punto. dopo “verticale” il inserirei una frase, tipo: “si scende”, per dare l’idea al lettore che si sta scendendo. La poesia ha degli spunti brillanti e l’insieme tiene molto bene. Complimenti Lucio.
Chiara Catapano
22 settembre 2017 alle 19:25
Mi scrive Claudio Borghi quanto segue, parlando degli ultimi versi della mia poesia:
“con piacere mi ha ricordato un passaggio dell’ultimo paragrafo de Il seme nella notte, ne L’anima sinfonica:
Creo per folgorazioni. Inseguo la formula, la visione chiusa in una sintesi di potenza, uovo di tutte le immagini, cuore della possibilità della fantasia che si rivela, la parola che trattiene il tempo e lo condensa in nuclei di vita sottratta al divenire, senso e sensazione di una bellezza che non parla. Da sempre in tensione verso il punto di non luce, di non sensibilità che raccoglie l’infinita manifestazione (miraggio della sintesi suprema in cui il creato si spiega prima di dispiegarsi), cerco gli occhi attraverso cui la coscienza non riesce più a filtrare, attratto dalla fonte quieta e potente, infanzia e divinità insieme, principio del nascere, legge dell’aprirsi, semplice dinamica dello svolgimento dal centro-cuore, abbraccio sotto la volta del senzatempo. ”
E desidero condividerlo: perché non ho letto quel passaggio da l’Anima sinfonica, in realtà. E però proprio questo è interessante, quest’immagine dell’uovo delle immagini ci sottolinea un fatto. Che i tempi di mutamento si colgono nell’etere, e noi come antenne li cogliamo. Queste convergenze sono solo in parte stupefacenti, e ci mostrano che il terreno è dissodato, pronto.
Scusate eventuali scivolate sintattiche, scrivo stanca morta! Un augurio di buon lavoro a tutti!
Chiara Catapano
22 settembre 2017 alle 19:30
caro Giorgio, condivido qui un passaggio di un lavoro in fieri, che certo al momento giusto condividerò sull’Ombra per intero. Dove cerco di scavare in questa direzione…
*
La scala ingoia l’ombra, gradatamente applicando ciò che l’occhio abbraccia in un momento.
L’intervista avviene nel vano della Tomba dei Leopardi.
I passi misurati, per non incespicare.
Passo-misura e fremito sepolcrale. Intervistato e intervistatore,
come ali risalgono il flusso del discorso: racchiudono in cicli altissimi
le correnti ascensionali
spingendo nei
vani di
senso
i cocci del loro incavo, lo scavo: frammenti di memoria,
cui l’intervistato aggiunge solida nausea, vezzo tutto personale.
“Cosa si sente? Lei si sente male…”
Strozzo-respiro nel pomo rigonfio del petto.
C’è che quanto appreso fino qui, nel nostro ora luminoso, fuori dalla tomba
risalendo a
ritroso quei
gradini è
ancora il non-senso.
Respiro profondo.
Ci immergiamo sempre più stratificando
ciò che siamo, e sempre siamo
stati.
Dentro il sepolcro, si festeggia.
Voglia spingere l’occhio fino al fondo, la parete uterina della tomba
le rivelerà
i nostri volti affrescati per l’eternità.
Donatella Costantina Giancaspero
22 settembre 2017 alle 20:45
cara Chiara,
stai lavorando molto bene, si vede che l’aria della nuova ontologia estetica fa bene anche alla tua Musa! Apprezzo particolarmente le interruzioni, i salti bruschi, gli stop, l’alternanza dei versi brevissimi e quelli lunghissimi… e poi i lemmi composti (questa è una caratteristica della tua poesia) che servono da elementi frenanti della composizione e da elementi “pesanti”. Tutto molto bene. L’unico avvertimento che mi permetto di suggerire è di fare molta attenzione agli aggettivi, meglio un aggettivo in meno che uno in più, e i verbi ridotti all’essenziale… Complimenti.
Chiara Catapano
23 settembre 2017 alle 6:43
Cara Costantina, quella degli aggettivi e di certa sovrabbondanza è in effetti per me lo sfrondo più difficile. Ci sto lavorando, perché – come dicevo anche a Tosi – c’è consapevolezza, ma questi confronti continui mi aiutano a tarare la bilancia! Grazie!
Giorgio Linguaglossa
22 settembre 2017 alle 15:41
La poesia moderna è stata ridotta allo stato di frammento. «Ciò che è Perduto non può essere ritrovato se non nella forma di “frammento”, che non indica il Tutto se non come un tutto frammentato e disperso. Di qui il “dolore” della poesia».1]
1] Foucault M. Le parole e le cose trad. it. 1975, p. 139
Giorgio Linguaglossa
22 settembre 2017 alle 17:30
La raccolta Austerloo comprende una settantina di poesie tratte da precedenti raccolte, pubblicate tra gli anni ’80 e ’90 del Novecento, vale a dire nel periodo della dittatura romena e nel decennio successivo. La poesia di Daniela Crasnaru non è una poesia particolarmente “politica”, ma per il sistema di censura di Ceausescu era già sospetto il fatto stesso di essere poetessa. Nella poesia altamente indiretta e traslata della Crasnaru la politica costituisce lo sfondo simbolico ma come invisibile, inafferrabile.
da http://www.casadellapoesia.org
Daniela Crasnaru
Austerloo
Sia i detrattori sia i sostenitori sanno ugualmente
dove ha perso e dove ha vinto il Generale.
Persino gli abitanti di Sant’Elena sanno tutti
cos’è stato a Waterloo e cos’è stato ad Austerlitz.
Solo io ho confuso sempre
la sconfitta con la vittoria,
i campi di battaglia, i rapporti di forza,
le bandiere e il nemico.
E questo non è stato un semplice caso
da allievo ripetente al soldo
della frivola posterità. Tutta la mia vittoria
è stata piuttosto una sconfitta.
Tutto il bottino preso dal mio esercito di parole
marciando stordito
in mezzo a questa eterna siberia del dubbio
si è dimostrato rimpinguato col mio sangue.
Persino «l’odore della morte così prossimo all’odore dell’amore
come il viola all’indaco nello spettro della luce».
Con le migliori divisioni dimezzate
i miei anni a rimpinzare l’humus di questi fogli di carta.
Con i miei tiratori scelti
schiacciati fra le copertine dei miei libri.
Austerloo, 14 giugno
e la mia mano che scrive il diario dal fronte senza sapere
se è morta
o viva.
*
Mi chiedo, e vi chiedo: cos’è che fa di questa poesia una poesia di livello superiore? Qual è il differenziale di valore estetico?
Molto semplicemente, la poesia della Crasnaru è fondata su una figura retorica dominante: il traslato; tutte le altre figure retoriche vengono, come dire, sotto utilizzate e ridotte ad una funzione di contorno.
Il traslato è quella figura retorica attorno al quale si organizza il discorso poetico della Crasnaru. Il vantaggio è presto detto, che utilizzando questo espediente retorico tutto il volume dell’interpretazione viene accreditato sul lettore; è il lettore il vero protagonista della poesia (non più l’autore), è il lettore che deve sciogliere il dilemma di che cosa si sta parlando e di che cosa si tratta. Non è tanto importante il dictum ma ciò cui il dictum allude, ciò che esso indica per interposta persona. Così la composizione acquista poliedricità, sfaccettatura.
Traslato [dal lat. translatus, part. pass. di transferre “trasferire, trasportare”]. – ■ agg. (ling.) [trasformato per metafora o altro tipo di espressione figurata: parola usata in senso t.] ≈ figurato, metaforico. ‖ simbolico. ↔ letterale, proprio. ■ s. m. 1. (crit.) [figura retorica consistente nel sostituire una parola con un’altra in base a un rapporto di similitudine fra le due] ≈ metafora, (ant.) traslazione. 2. (estens., crit.) [qualsiasi forma figurata del linguaggio] ≈ figura retorica, tropo. ⇓ metafora, metonimia, sineddoche….
Forse una delle principali ragioni di debolezza della poesia italiana contemporanea (con la felice eccezione di alcuni autori, e tra questi Anna Ventura con le poesie inedite postate recentissimamente in questo blog), è proprio lo scarsissimo o quasi nullo impiego di questa piegatura del linguaggio che il traslato consente. Tutta appiattita sul quotidiano e sul privato la poesia italiana maggioritaria è chiaramente minoritaria sul piano estetico rispetto alla poesia europea più evoluta.
Lucio Mayoor Tosi
22 settembre 2017 alle 18:08
Queste poesie di Ewa Lipska sono piene di humour, il modo migliore per porgere l’amarezza e altri sentimenti che le sono affini. Se il dolore è più profondo, lo humour ha dalla sua che spesso è più intelligente. Difficile mantenersi così, serve una Cara signora Schubert! In due si può fare poesia politica, come tra donne, in confidenza; e uscire così da certi stereotipi che poi sono rendiconto, pretese della ideologia, il giusto-sbagliato che azzera la creatività. E perdinci, se ce n’è bisogno!
Giorgio Linguaglossa
22 settembre 2017 alle 18:09
Posto una poesia inedita di Lucio Mayoor Tosi
Lui e Lei avevano due simil gatti:
Andersen e l’altro Eckersberg. Entrambi maschi.
E castrati.
Andersen amava le camicie bianche
Eckersberg il contatto con la nudità.
“Fetente ma raffinato”, così recitava
la pubblicità.
Ma Lei aveva a cuore Andersen.
Se lo teneva in braccio o sulle spalle,
anche stando in piedi mentre cucinava:
sapori dell’India per loro e bianchi
ma finti spaghetti per Gatto Eckersberg
il nudista.
Lei stava morendo. Lo faceva ogni giorno.
Lui se non aveva da leggere svitava
e avvitava qualsiasi cosa.
John Lennon, Miles Davis, Natasha Thomas.
Lei quei pontili sospesi sul lago. Ma senza nebbia
e nemmeno dragoni. Solo cose per Andersen.
(Se la noia non vi assale, penso io
vuol dire che siete fumatori).
– Tutta l’Europa del sud è un canile.
A cominciare da Courbet. Non è vero, Eckersberg?
Quell’Origine del mondo, appena concepito
con furore. Quel leccarsi le dita…
Lei non rispondeva (stava morendo).
Contemplava le forme molli di un cubo
le bollicine dell’axterol, le lancette
dell’orologio sull’ora e i secondi.
– Probabilmente il sole. Disse Lei.
E non tornarono sull’argomento.
Tranne un giovedì, allorché Lei disse:
– Credo che ad Andersen farebbe bene
un piatto di trippa ogni tanto.
Il cargo dei viveri Okinawa era in ritardo
ormai di tre settimane (sei mesi terrestri).
Salgari sarebbe già partito in missione
con a bordo almeno tre robot ambasciatori
di marca tedesca.
Ma era stagione di polveri.
Difficile poter comunicare, inutile sprecare
Metafore. Si sarebbero perse nel vuoto
tra le lune. Quindi Lui e Lei si misero d’accordo
per spedire un messaggio criptato
al sovrintendente dei beni umani,
Ork il maligno; in realtà un povero cristo
circondato da macchine, alcune a vapore
(per via della pelle che nella stagione delle polveri
gli si seccava. Puntualmente e orribilmente).
“Aghi OrK”, così iniziava il messaggio
“Le bdhko di lk snmlir8jk! Andersen bd in vgeytz!
Si dia una mossa”.
La risposta non si fece attendere:
“Mi sono informato: niente trippa sul cargo Okinawa.
Ma posso mettervi da parte dei pomodori irlandesi”.
E in un secondo messaggio aggiunse:
“Per il gatto ho un Mickey Mouse del ’63.
Il mio l’ha già letto. Lo so, non è divertente”.
Le quattro linee del tramonto si stavano fondendo
nel sogno turco di Moon light.
Lui si tolse le spalline di cristallo, si strofinò gli occhi
e senza dire una parola volle intrattenersi ancora un po’
con Lei, che nel frattempo aveva terminato
di raddrizzare, così diceva, tutti i rametti del prezzemolo.
Fecero programmi. Il letto scandinavo ondeggiava
rumorosamente.
Vista dal giardino lenticolare, la casa sembrava
un traforo di merletti. Ork il maligno, come al solito
stava trasmettendo pensieri sconclusionati.
Lo chiamava Ozio dei poveri. Oppure
a seconda del momento, solo ‘Zio.
Lucio Mayoor Tosi
22 settembre 2017 alle 19:12
Andersen sappiamo tutti chi è, ma forse non tutti sanno di Eckersberg. Era un pittore danese, arrivato dopo il neoclassicismo di Bertel Thorvaldsen e prima di quel meraviglioso pittore che fu Vilhelm Hammershøi. Fantastica la storia dell’arte danese! Direi che è la culla del nichilismo. Eckersberg dipinse dei nudi memorabili, paragonabili ma più raffinati rispetto al noto quadro di Courbet, L’origine del mondo. Fermo restando che senza Courbet saremmo ancora qui a levigarci le pettinature.
Francesca Dono
22 settembre 2017 alle 18:44
Belle letture. Personalmente sto imparando a potare i rami secchi; persino ad accorciare la lunghezza delle chiome. Non so se riuscirò mai nell’impresa. Un giorno Giorgio mi scrisse: il compito più arduo di un poeta è :tagliare e tagliare i versi della propria poesia. Aveva ragione….. scusate gli errori …..la visuale del display sul cellulare (per me) è micidiale.
Gino Rago
(alla maniera di Ewa Lipska)
22 settembre 2017 alle 19:32
“Cara signora Schubert,
ancora si chiede dove andremo ad abitare Dopo?
Dopo. Cioè là dove prima c’era una fabbrica strana
che produceva la vita d’oltretomba.
E inquinava le menti. Avvelenava il mondo.
Ha riconosciuto la mia scrittura.?
Sì sono io. Sono l’autrice di tutte le lettere.
Si chiede sempre dove andremo ad abitare Dopo?
Senza timori vada
al Quartier Generale dell’Aldilà.
Al numero civico 777, piano terzo, scala D,
attigua alla abitazione di Dio.
Al Quartier Generale tutti e tutte lo sanno.
Il Dopo sarà tra ciò che non abbiamo fatto
e ciò che non faremo più.
Cara signora Schubert, e per conoscenza,
care signore Dzieduszycka, Ventura, Dono, Colonna,
al Quartier Generale dell’Aldilà ben sanno
e lo sapete bene anche voi che l’onda d’urto dell’Oscurità
assale i poeti alla stessa ora del mondo.
Cara signora Schubert, e per conoscenza,
care signore Leone, Giancaspero e Catapano,
la vita è un negozio di ferramenta.
E Dio è un meccanico supino che stringe i bulloni lenti del mondo.
Al Quartier Generale dell’Aldilà
l’acqua si beve in bicchieri di plastica.
E nessuna fa poesia coi tacchi a spillo.
Un caicco taglia il blu della laguna. Il cielo è fermo.
A nessuno interessano i moti dell’alta e della bassa marea.”
Donatella Costantina Giancaspero
22 settembre 2017 alle 20:24
caro Gino,
queste tue poesie fatte con gli scampoli della Lipska e di Giorgio sono dei capolavori!, mi auguro che questo dialogo incrociato possa continuare. questa è la nuova poesia della nuova ontologia estetica!!! La nuova poesia italiana!
Lucio Mayoor Tosi
22 settembre 2017 alle 19:40
Grande gioia, pagine di creatività in diretta. Come si conviene a chi sa stare nell’accadimento.
Antonio Sagredo
23 settembre 2017 alle 3:05
Tentativi di definizione
Poesia
sono tornei tra mare e cielo,
sembianti esotici, geometrie terribili.
Labirinti dove soli si azzuffano ringhiando,
universi che imitano apocalissi.
Poesia
sono tornei di tenerezze inaudite,
teatri di rugiade, prodigi evanescenti.
Finzione dei tarocchi che sognano destini,
immagini di fate e di leggende.
Poesia
sono tornei fra misteri di cristallo,
rubini dei cristalli, disperate corone.
Vanità delle lune dove s’indugiano i poeti,
cavalieri erranti, antiche sinfonie.
Poesia
sono tornei tra cielo e terra,
cigni in lagrime, donne innamorate.
Rosari di canicole dove smania la tortora,
deliri di madreperla, narcisi impazziti.
Praga, 28 gennaio 1977
Mario M. Gabriele
23 settembre 2017 alle 9:08
Cari Amici, Gino Rago, Giorgio Linguaglossa, Lucio Tosi, Antonio Sagredo ecc. vi porto i miei saluti dal Giardino dei fiori.
Il nostro male ha prodotto assenzio.
Non ci sono più i figli dei fiori e Jimi Hendrix.
Un’officina è nata al centro della Pergamena.
Chi ha rinnovato le parole ha cambiato anche il vecchio paese.
A fuochi spenti rimettiamo i tizzoni .
L’Ospedale è cresciuto di stambecchi.
Torniamo alle faccende domestiche
aiutando Clara a rifare il letto.
Affonda la barca dei sogni.
Corrici dietro, Simon, prima che venga l’autunno.
con il suo lettino di foglie.
Tutti vogliono vedere la chiesetta del Sacrè Coeur.
Turisti dappertutto .
Lasciamo l’ingresso della Senefelderplatz
dove si è è ammassata la stirpe cubana.
Nick Cave ha cantato we came along this road.
Per i prossimi 15 anni non dobbiamo preoccuparci
né dei canguri e né dei chihuahua.
Giselle ha compiuto 12 anni e già pensa alla Cresima.
Uno, vicino all’altare fotografa Cristo.
Mercoledì c’è un mercatino di robe vecchie.
Al prestigiatore è scappato di mano la colomba
come la fortuna di Alexander alle slot machine.
Tu basti che preghi
Ma a chi è servito questo viaggio?
Tutto il martirio l’abbiamo già compiuto, padre Brown!