Tomas Tranströmer (1931-2015) – Poesie da La lugubre gondola (1996) – Brani dalla Introduzione di Gianna Chiesa Isnardi a Sorgegondolen, Herrenhaus, 2003

Giorgio Linguaglossa
gunnar-smoliansky-1976

Tomas Tranströmer, premio Nobel per la Letteratura nel 2011, è morto venerdì 27 marzo 2015 a 82 anni. Quando vinse il Premio dell’Accademia era stato colpito da undici anni  da un ictus che gli aveva inibito la capacità di parlare.  Psicologo di professione, era il massimo esponente della generazione di intellettuali che si è affermata dopo la Seconda Guerra mondiale. Convinzione di Tranströmer era che l’esame poetico della natura fornisce intuizioni sull’identità umana e sulla sua dimensione spirituale. La sua poesia sconfina spesso in territori metafisici. “L’esistenza di un essere umano non finisce dove terminano le sue dita”, ha scritto un critico svedese della sua poesia, definendo i suoi lavori “preghiere secolari”.
La sua notorietà nel mondo anglofono derivava dalla sua amicizia con il poeta americano Robert Bly, che ha tradotto gran parte del suo lavoro dallo svedese all’inglese, una delle 50 lingue in cui le sue poesie sono apparse.

Notizie sull’autore

Tomas Tranströmer, unanimemente ritenuto il maggiore poeta svedese contemporaneo, più volte candidato al Premio Nobel, è nato a Stoccolma nel 1931. Di professione psicologo, dopo aver lavorato alcuni anni all’Università, nonostante il successo della sua poesia, ha continuato a svolgere attività terapeutiche in centri di riabilitazione di varie città svedesi. Pianista di notevole talento, ha spesso composto i suoi testi ispirandosi a ritmi e forme musicali. Benché una grave malattia gli abbia provocato una dolorosa paralisi, non ha smesso di scrivere, come testimonia la sua ultima opera Sorgegondolen (La gondola a lutto), del 1996, e il volume di traduzioni di poeti europei e americani Tolkingar (Interpretazioni), del 1999. Ha pubblicato sinora dodici brevi raccolte: 17 Dikter (17 Poesie), 1954; Hemligheter på vägen (Segreti sulla vita), 1958; Den halvfärdiga himlen (Il cielo incompiuto), 1962; Klanger och spår (Echi e tracce), 1966; Mörkerseende (Colui che vede nel buio), 1970; Ur stigar (Fuori dai sentieri), 1973; Östersjöar (Mari Baltici), 1974;Sanningsbarriären (La barriera della verità), 1978; Det vilda torget (La piazza selvaggia), 1983; För levande och döda (Per vivi e morti), 1989; Minnena ser mig (I ricordi mi vedono), 1989; Sorgegondolen (La gondola a lutto), 1996.

Giorgio Linguaglossa

Leggere la sua poesia non è un percorso lineare: è come entrare in una labirintica chiocciola. La concentrazione dei concetti in immagini conduce alla contrazione degli elementi connettivi, dei passaggi logico-sintattici, alla prevalenza dei sintagmi nominali. La capacità di realizzare densità poetica non è in Tranströmer tanto imputabile alla parola, al singolo lessema semanticamente pregnante, ma alla rete capillare di nessi che vengono a stabilirsi tra le parole. Tale sottile interazione, non facile a cogliersi immediatamente, dà spazio alla molteplicità interpretativa, alla pluralità del senso, lasciando spesso misteriosi i referenti delle metafore. Questa “oscurità”, comune a molta poesia contemporanea, in Tranströmer nasce dalla volontà di fuggire ai vuoti schemi della comunicazione massificata, di contrapporsi ai linguaggi pubblicitari, rifuggendo dall’univocità e proclamando la “polivocità” della parola.

(dalla prefazione di Maria Cristina Lombardi in Poesia dal silenzio, Crocetti editore, 2011)

Tomas Tranströmer
da La lugubre gondola (1996)

I
Due vecchi, suocero e genero, Liszt e Wagner, abitano sul Canal Grande
insieme alla donna irrequieta che è sposata con il re Mida
quello che trasforma tutto ciò che tocca in Wagner.
Il verde freddo del mare penetra attraverso i pavimenti nel palazzo.
Wagner è segnato, il celebre profilo da maschera1) è più stanco di prima
il volto una bandiera bianca.
La gondola è gravata dal peso delle loro vite, due biglietti di andata e ritorno
e uno di andata.

II
Una finestra del palazzo si spalanca e si fanno smorfie alla corrente improvvisa.
Fuori sull’acqua compare la gondola dell’immondizia spinta da due banditi con un solo remo.2)
Liszt ha buttato giù alcuni accordi, così pesanti3) che dovrebbero essere mandati
all’istituto mineralogico di Padova per l’analisi.
Meteoriti!
Troppo pesanti per trovar quiete, possono solo sprofondare sempre di più
dentro il futuro giù
fino agli anni delle camicie brune.4)
La gondola è gravata dal peso delle pietre del futuro rannicchiate.

Sguardi5) sul 1990

III
25 marzo. Inquietudine per la Lituania.6)
Ho sognato che visitavo un grande ospedale.
Niente di personale. Tutti erano pazienti.
Nello stesso sogno una bambina appena nata
che parlava con espressioni compiute.

IV
Accanto al genero che è uomo del suo tempo Liszt è uno sciupato grandseigneur.
È un travestimento.
L’abisso che prova e respinge tante maschere ha scelto proprio quella per lui –
l’abisso che vuol far visita agli uomini senza mostrare il suo volto.

V
L’abate Liszt è abituato a portarsi da solo la valigia nel nevischio e sotto il sole
e quando un giorno morirà nessuno lo aspetterà alla stazione.
Una tiepida brezza d’un generoso cognac lo rapisce nel bel mezzo di
un compito.
Ha sempre dei compiti.
Duemila lettere all’anno!
Lo scolaro che scrive cento volte la parola sbagliata prima di poter andare a casa.
La gondola è gravata dal peso della vita, è semplice e nera.

VI
Di nuovo nel 1990
Ho sognato che avevo guidato per duecento chilometri inutilmente.
Poi tutto si fece grande. Passeri grossi come galline
cantavano in maniera assordante.
Ho sognato che avevo disegnato tasti di pianoforte
sul tavolo di cucina. Io ci suonavo sopra, erano muti.
I vicini venivano ad ascoltare.

(traduzione di Gianna Chiesa Isnardi, Sorgegondolen, Herrenhaus, 2003)

Giorgio Linguaglossa
Tomas Tranströmer, grafica di Lucio Mayoor Tosi

Altre poesie

SULLA STORIA (PARTE V)

Fuori, sul terreno non lontano dall’abitato
giace da mesi un quotidiano dimenticato, pieno di avvenimenti.
Invecchia con i giorni e con le notti, con il sole e con la pioggia,
sta per farsi pianta, per farsi cavolo, sta per unirsi al suolo.
Come un ricordo lentamente si trasforma diventando te.

MOTIVO MEDIEVALE

Sotto le nostre espressioni stupefatte
c’è sempre il cranio, il volto impenetrabile. Mentre
il sole lento ruota nel cielo.
La partita a scacchi prosegue.
Un rumore di forbici da parrucchiere nei cespugli.
Il sole ruota lento nel cielo.
La partita a scacchi si interrompe sul pari.
Nel silenzio di un arcobaleno.

(traduzione di Enrico Tiozzo)

Giorgio Linguaglossagunnar-smoliansky-1956

dalla Introduzione di Gianna Chiesa Isnardi a Sorgegondolen, Herrenhaus, 2003

«La lingua marcia al passo dei carnefici. / Perciò dobbiamo cercarci una lingua nuova» (T.T.)

«Le mie poesie sono luoghi di incontro. Vogliono stabilire un legame inatteso tra le parti della realtà che le lingue e i modi di vedere convenzionali sono soliti mantenere separate. Piccoli e grandi dettagli del paesaggio si incontrano, culture e uomini differenti confluiscono in un’opera artistica, la natura incontra l’industria e così via. Ciò che ha l’apparenza di un confronto svela un legame. Le lingue e i modi di vedere convenzionali sono necessari quando si tratta di relazionarsi col mondo, di raggiungere scopi limitati, concreti. Ma nei momenti più importanti della vita abbiamo spesso sperimentato che non funzionano. Se riescono a dominarci completamente si va verso la mancanza di contatto e la rovina. Considero la poesia, tra l’altro, come una controtendenza nei confronti di questo processo. le poesie sono meditazioni attive che non vogliono addormentare ma ridestare». (T.T.)

Il testo poetico si pone come luogo d’incontro in cui si congiungono sul piano dell’accostamento orizzontale e su quello dell’intersezione verticale da un lato le immagini e dall’altro tutto ciò che esse simboleggiano o evocano.

[…] Estrema semplicità significa in Tranströmer estrema concisione. La prima impressione che scaturisce dalla lettura dei testi di questo autore è infatti quella di un perfetto nitore delle figure poetiche proposte cui fanno immediato contrappunto le riflessioni che ne scaturiscono. Pressocché totale è l’assenza di elementi non direttamente aderenti all’immagine e alla sensazione evocata e la concentrazione – che egli stesso ha definito come essenza del parlare poetico . è massima. Precisione nelle scelte lessicali e strutturali, prevalenza delle frasi affermative e della struttura lineare, relativa povertà verbale, laconicità, ricorso in misura minima agli elementi connettivi del discorso, frasi talora apparentemente frammentarie, costruzioni ellittiche, uso misurato della ripetizione con l’unico scopo di ricondurre l’attenzione del lettore al punto focale della riflessione poetica, attrazione reciproca fra elementi contrastanti, ossimori, associazione (seppure non immediatamente percepibile) di immagini e conseguentemente di idee, forza espressiva della parola portata all’estremo: un’arte della concisione che risale, almeno in parte, a grandi modelli del ‘900 come, soprattutto, Ezra Pound (del quale viene spesso ricordata l’espressione: “Great literature is simply language charged with meaning to the outmost possible degree“), T.S. Eliot o – per restare nell’ambito della letteratura svedese – il grande Harry Martinson.

Volendo scegliere, fra i tanti possibili, un esempio ineccepibile di questo atteggiamento stilistico pare opportuno trarlo qui innanzi tutto da una “poesia in prosa”, un genere di componimento che Tomas Tranströmer ha talora privilegiato, ogni qual volta tale tipo di espressione appaia immediatamente confacente al ritmo assunto dallo spunto della riflessione poetica. Per quanto vicino ai modi della poesia questo genere resta infatti, per il suo intrinseco e mai rescindibile legame con la prosa, più facilmente soggetto a tentazioni di sovrabbondanza o anche, più semplicemente, di superfluità verbale: l’estrema capacità di concentrazione poetica con cui Tranströmer sa costruire anche questi testi testimonierà dunque qui ampiamente le proprie qualità straordinarie. Si legga:

Nella foresta c’è una radura inaspettata che può essere trovata solo da chi si sia perduto. / La radura è racchiusa da una foresta soffocata in se stessa

In queste righe introduttive va rilevata innanzi tutto la linearità dell’espressione verbale affidata alla semplicità della costruzione della frase principale cui è connessa in modo immediato la secondaria relativa. Il procedere perfettamente coerente della descrizione si limita a fornire elementi essenziali quali un dove e un che cosa che è, daltronde, da identificare con il dove medesimo: la radura che sta nel cuore della foresta è  al contempo il cuore della foresta. L’aggettivo che definisce la radura «inaspettata», è richiamato nella relativa dal riferimento a «chi si sia perduto»: solo chi abbia smarrito la direzione, cioè chi sia uscito dalla prevedibilità delle strade consuete (dal linguaggio convenzionale?) potrà infatti imbattersi in un incontro inatteso. Una sola riga è dunque sufficiente al poeta per definire un luogo concentrandovi la sensazione di distacco dalla realtà ordinaria e, insieme, lo stato d’animo che la rende possibile e l’accompagna. Che si sia di fronte a una situazione di improvviso isolamento è del resto chiaro dalla scelta dell’immagine della «radura»: luogo perfettamente definibile nei suoi contorni proprio perché circondato da una foresta «soffocata in se stessa» a formare una barriera nella quale è delimitata una netta linea di separazione dal resto del mondo. 

Giorgio Linguaglossa
gunnar-smoliansky-1976

La radura diviene così il centro sul quale far convergere ogni attenzione e al quale riferire ogni riflessione poetica. La tecnica di far convergere l’attenzione su un elemento semplice e definito nella sola essenza distraendo al contempo da tutto ciò che vi sta attorno, è un procedimento che consente di focalizzare le energie su un unico punto nel quale tutto lo spazio della mente, sensitivo e intellettivo (sensi, intuizione, presa di posizione, memoria), viene senza distinzione assorbito, confluendovi in perfetta coesione… “Concentrare” quindi nel senso proprio di “attrarre verso un centro”: un risultato raggiunto grazie alla perfetta sovrapposizione di elementi lessicali (affidati a un impianto sintattico il più semplice possibile) che si mostrano capaci di catturare le sensazioni e i pensieri del lettore, che solo in quel centro si sentono perfettamente espressi. Un risultato che costituisce tuttavia solo il punto di partenza per l’indagine poetica, perché… in quella «radura», luogo del corpo, della mente e del sentimento troveranno spazio nuove ricerche. («nello spazio aperto l’erba è incredibilmente vera e viva»), si leggerà poco più avanti nel testo.

Se tale è la regola della concentrazione in una  “poesia in prosa” non sarà difficile comprendere quanto più la disciplina formale sarà rigorosa nei versi veri e propri, là dove la precisione delle immagini, la capacità di comprimere il testo, la perspicacia delle scelte lessicali, la precisa organizzazione dell’impianto poetico costituiscono una caratteristica determinante di questo autore fin dalla raccolta del debutto […] Va qui sottolineato tuttavia che (forse proprio per rispondere a questo desiderio di concisione) negli ultimi tempi il poeta è venuto sempre più privilegiando le composizioni brevi o molto brevi – in particolare sul modello orientale, cinese e soprattutto su quello giapponese del haiku, per il quale egli mostra forte inclinazione. La poesia haiku rappresenta… un tipo di espressione che intende corrispondere a ciò che nella filosofia di vita giapponese viene espresso con il termine satori, che significa «comprensione intuitiva», «illuminazione»: una conoscenza cioè che oltrepassando ogni confine logico superi lo spazio e il tempo. Lo scopo di un tale componimento è, nella sostanza, quello di rendere poeticamente tale concetto facendo rivivere tale esperienza. Un haiku, si precisa opportunamente, non è un aforisma: piuttosto può essere definito «arte dell’illusione». Non ha infatti tono sentenzioso, né percettivo, né di riflessione o commento sulla realtà, bensì piuttosto si propone di fornire gli strumenti linguistico-formali tramite i quali una situazione oggettiva venga trasformata in un processo mentale di conoscenza… Ha dunque bisogno di una lingua che consenta di tradurre elementi concreti (talvolta tratti da una realtà persino banale) in esperienza intuitiva e dunque immediata:

I pensieri sono fermi
come le tessere di un mosaico
nel cortile del palazzo

Una tecnica che potrebbe essere definita della delineazione, con ciò intendendo che essi ci appaiono, per così dire, ‘tradotti in linee’ che disegnano le traiettorie o intersecano le superfici in una nitida ed essenziale geometria che ne fa la cornice d’una sorta di ‘specchio magico delle fiabe’, finestra sull’ignoto…

… finché è tempo di uscire
e vagare a lungo nella foresta.
Seguire le orme del tasso.
Si fa scuro, è difficile vedere.
Là, nel muschio, ci sono delle pietre.
Una delle pietre è preziosa:
Può trasformare tutto
può far brillare l’oscurità.

Alla ricerca di una lingua poetica

Interrotto nel mezzo di un discorso
che il silenzio porta avanti
ma con forza ancora più grande.

Si torna così al problema dal quale si è partiti: come dar voce agli spunti poetici che si affacciano alla coscienza senza che essi vengano in qualche modo ‘corrotti’ nell’atto di trasporli in parole? Per un poeta come Tomas Tranströmer, il cui percorso si muove in direzione di una concentrazione sempre più marcata, l’atteggiamento nei confronti della lingua pare gradatamente muovere verso un crescente scetticismo.

In un testo che risale al 1980, il poeta, dichiarata la propria stanchezza nei confronti di tutti coloro che si presentano con parole, rivela di aver cercato rifugio nella natura:

Stanco di tutti quelli che si presentano con parole, parole ma nessuna lingua
sono andato sull’isola coperta di neve
[…]
La natura non ha parole.
Le pagine non scritte si estendono in tutte le direzioni!

Sulla neve, bianca come un foglio immacolato, le orme degli animali selvatici: «Lingua, ma niente parole».
Immediatezza e semplicità; il bisogno di lasciare lo spazio al linguaggio della natura, che ha… come interlocutori privilegiati i bambini (cioè coloro che ancora posseggono il dono di una intuitività incorrotta.

Una natura morta fatta di tronchi sulla neve mi rese pensieroso.
Domandai loro:
“Mi accompagnate fino alla mia infanzia?” Risposero “sì”.

Dentro ai cespugli si sentiva un mormorio di parole in una lingua nuova:
le vocali erano il cielo azzurro e le consonanti i rami
scuri e parlavano così pacatamente sulla neve.

Una lingua nuova, in realtà, antichissima. […] la considerazione della minaccia, sempre presente, che la lingua possa essere (come in effetti è) utilizzata come strumento di potere, come prigione nella quale rinchiudere l’uomo in celle costruite con parole che appartengono a convenzioni da taluno imposte e da altri subite. davanti a tutto questo solo la letteratura e in particolare la poesia può forse offrire una via d’uscita.

Giorgio Linguaglossa
gunnar-smoliansky-1970

Note

1] In svedese Kasper è una maschera del teatro delle marionette, una sorta di Arlecchino.
2] Vi è qui un gioco di parole, intraducibile, tra enarade banditer “banditi a un sol remo” (con evidente allusione al modo in cui i gondolieri spingono la loro imbarcazione) e l’espressione svedese enarmad bandit, letteralmente “bandito con un solo braccio”! con cui si fa riferimento a una slot machine. Ciò, secondo S. Bergsten sottolinea l’aspetto di buffonata da fiera che assumerà il culto di Wagner.
3] L’allusione è probabilmente al fatto che sullo spartito Liszt ha inseriro l’indicazione «pesante».
4] Chiara allusione al fatto dall’ideologia nazista della figura e dell’opera di Wagner.
5] Letteralmente, in svedese glugg (plurale gluggar) indica una “apertura” o una “piccola finestra”.
6] Non si dimentichi che dal punto di vista storico i Paesi baltici hanno da sempre rivestito una grande importanza per gli Svedesi. Si consideri inoltre che Tomas Tranströmer, oltre ad avere rapporti personali di amicizia con intellettuali di quell’area, ha dedicato alla distesa del Mar Baltico (quello che al “tempo della grande potenza” [stormakstid], 1630-1721, poteva essere considerato il mare nostrum svedese) l’opera Österjöar (“Mari baltici”, 1974), nel cui titolo l’uso di un plurale apparentemente improbabile vuole invece sottolineare la molteplicità degli elementi naturali e culturali che la caratterizzano.