Marina Petrillo TABULA ANIMICA, POESIE, OPERE GRAFICHE di Marino Iotti 2016, Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa
Opera grafica di Marino Iotti

 

Marina Petrillo è nata a Roma, città nella quale da sempre vive. Ha pubblicato l’unico libro Il Normale Astratto (1986) per Le Edizioni del Leone. Poesie sono apparse su antologie e premi letterari, ultimo dei quali a Spoleto nel 2014 nell’ambito del Festival di Spoleto.

 

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

 

Avevo scritto in altra sede: “Forse nessun’altra poesia quanto questa di Marina Petrillo comprova quanto asserito da Adorno: «I segni dello sfacelo sono il sigillo di autenticità dell’arte moderna».”1

 

Indubbiamente queste poesie scaturite dalla lettura delle composizioni grafiche di Marino Iotti, ci confermano delle qualità di Marina Petrillo, del suo saper trovare una dizione icastica ed un lessico essenziale. Ut pictura poesis dicevano i latini. E in effetti l’arte poetica non è altro che un’arte derivata dalla pittura e che spesso alla pittura ritorna. La Poiesis ha bisogno della «icona», se ne nutre, si mantiene in salute. La poesia che si fa avendo in mente una «icona» acquista una speciale sensibilità verso la spazialità e la temporalità. Infatti, in queste poesie Marina Petrillo dimostra di essersi saputa calare nella interpretazione delle icone fotografiche di Marino Iotti con indubbia capacità partecipativa ed empatica.

 

Quanto più la soggettività si rifugia nell’unico posto in cui può rinserrarsi, nella pura interiorità, ecco che essa fuoriesce non domata e reclama la forza costrittiva della «forma» per essere espressa. La lirica di Marina Petrillo si trova tutta qui, in questo imbuto, in questo nodo scorsoio dove forza e debolezza, espressione e anti espressione, lirica e anti lirica si trovano fuse in un unico maelström, in lotta reciproca, perché il «domato» si converte subito in «inespresso», e il «non domato» diventa «espressione», espressione poetica, infirmata e inferma, codicillo del dolore, codificazione dello sfacelo. Ecco la ragione della versificazione franta, spezzata, in punta di stilo, in punta di piedi, per dire cose che non si possono dire con il linguaggio di tutti i giorni, come quando la poetessa romana ci dice, quasi in sordina e in diminuendo, in modo elusivo: «Sappiamo della nostra presenza».

 

Appunto, fare una poesia della «presenza» significa dover fare i conti con la «immediatezza e incontraddittorietà dell’essere», per dirla con il linguaggio di un filosofo italiano, Emanuele Severino; con la fuggevolezza del «presente» immerso nella freccia del tempo. La nuda «presenza», è  inappariscenza, contraddittorietà nella linea del tempo dileguantesi. Diremo: «incontraddittorietà dell’essere» e contraddittorietà degli esistentivi. Diremo allora che «incontraddittorio» è l’essere e contraddittoria è la sua «presenza» nel tempo, in questo vuoto guscio che si dilegua e si allontana dove si può esperire, appunto, «il vuoto trafelare dei giorni» e null’altro, in atti paralleli e divergenti che sversano in un «liquido amniotico». Ed ecco i colori plumbei che hanno il nero come fondotinta: «fiotto carminio / esasperato in plumbea notte», le atmosfere da «sogno», tra la «nebbia» e «turbinii», dove « ogni cosa / è colta nel suo cambiamento», e gli eventi si susseguono come assenti con implacabile aleatorietà e crudeltà… quand’ecco che, subito dopo, in un altro componimento, la frase chiave:

 

ma non ci coglie
impreparati
il vuoto trafelare dei giorni

 

In quella perifrasi: «vuoto trafelare dei giorni» c’è tutta la inestricabile condizione umana riprodotta in vitro e al microscopio, con quel verbo, «trafelare», posto di sbieco alla significazione, come per alludere alla trafilatura e al trasalimento mediante un verbo piegato alle esigenze espressive della significazione. È una poesia che si apre in interiore animo, scavata tra gli specchi doppi e le fessure della interiorità. La Petrillo esperisce l’impotenza del linguaggio di fronte all’essere, e reagisce con un confronto serrato con il linguaggio. Quel linguaggio che si muove sulle «tracce» dell’Essere, rimanda dunque a qualcosa che un tempo lontano fu originario, ma decentra anche in qualche modo l’originarietà fondativa della domanda sull’Essere. Secondo Derrida, non poggiando su una datità della Parola, del Verbo, né tantomeno su fondatezze metafisiche, il linguaggio è per propria natura solo traccia, ovvero scrittura (écriture), presenza di una non-presenza, supplemento, simulazione e raddoppiamento della «presenza».

 

Certo, sbaglierebbe chi elencasse la poesia di Marina Petrillo nella lirica intimistica o dell’interiorità, a me sembra invece il prodotto di una grande combustione interna, anzi, di una auto combustione, di una grande tensione espressiva. È una poesia esistenziale e metafisica, intende raffigurare per allusioni e in sordina, con riluttanza e riservatezza, la inesauribile miniera di contraddizioni proprie dell’«esistenza»; materia, come sappiamo, altamente «contraddittoria». Ciò che resta al termine del viaggio in fondo alla notte, sono le parole dello «sfacelo» strappate al silenzio e al rumore, ma senza sfarzo, senza imposizione, senza il rutilare di superflue affluenze; in fin dei conti, la lirica rastremata di Marina Petrillo intende situarsi in quel limen strettissimo che sta tra il rumore del tempo, il silenzio delle parole, il vuoto cosmico  e la «contraddittorietà» degli esistentivi come «partoriti… dal sogno».

 

C’è in questa poesia un confine armato e presidiato a difesa di una interiorità stilisticamente rastremata e disartizzata, perché «la bellezza è signoria sulla signoria»2 e la poesia è il trionfo della bellezza, disumanizzazione.

 

1 T.W. Adorno Teoria estetica, Einaudi, 1970

 

Giorgio Linguaglossa
Opera grafica di Marino Iotti

 

 

Poesie di Marina Petrillo

 

Giardino d’aria

 

Ebbi visione
di un giardino d’aria.
Non v’era alcun richiamo alla vita
solo spazio
in un pulviscolo di cielo.

 

una preghiera posta in verticale
sradicata dal cosmo delle Anime
implosa nell’azzurrità preziosa.

 

una traccia della visione prima
del Creato
quando il Verbo nominava Cose
e l’aria ebbe da Colui che È
il resspiro.

 

Ora torna a noi
nella brezza della sera
quando nulla più
può essere detto
perché del solitario mondo
siam seguaci
eletti
ma non amanti.

 

 

Verso l’alto

 

Una scala
insidia la luna
sdraiata
a pallor di cielo.

 

Ha in sé
incompiuta vertigine
e tra le ali stringe
una Madre dolente.

 

Non giunge a compimento
il frutto
se del seme gettato
non si ha cura.

 

Per cui traballa
l’ardita torre
e in equilibrio instabile
rovina
in precipizio di fuoco
lambita
da una Terra gestante
di linee avverse.

 

Impietosa.

 

La vita che fu
e che procede.

 

Mai desta del tutto.

 

La vita, appunto.

 

 

Giorgio Linguaglossa

 

Azzurrità

 

Sommuove
un antico sentimento
il cielo aperto
a maremoto.

 

 

Piccoli frammenti
partoriti
da un simbolo cobalto
a gemma di orizzonte.

 

Una linea ventosa
annuncia
un simbolo smarrito
nel silenzio
di un pensoso inverno.

 

Non era forse primavera
quel soffio alitato
in onda smeraldina…

 

Ora tace
dei due infiniti
il Mondo
se silenzio placa
ogni umano sguardo
e gioia lo accoglie
del divino intento
sposo.

 

Lì si dona,
a strato sognante
cibo di celeste offerta
sulla via della Città Ideale
ove non regna oblio
né eterno.

 

Solo Azzurrità
in spazi
dal candore
avvinti.

 Opera grafica di Marino Iotti

 

Giorgio LinguaglossaLa rosa

 

Non esprime il sogno
l’Angelo al mattino
se dal ceruleo incanto
ancor non si ridesta.

 

La lode ha posto nel cuore
e della notte aspira
soave l’aria.

 

Ai piedi della Madre
reclina il capo
e di amena visione
coglie il canto.

 

Se a noi giungesse
un sol suono
tutto in vertigine divina
lasceremmo andare.

 

Sol di noi
Anime ignare
del raggio d’oro
avremmo memoria
e nella mano
porteremmo un fiore: la Rosa.

 

I poeti del sospiro

 

Ecco del sospiro
l’acerbo angelo
cielo di provvida memoria.

 

Non giunge suono
né desolato battito del mondo.

 

Solo
avanza regale un tempo
mai sazio
viscera incompiuta
ciclo mutevole
incarnato in tragica forma.

 

Nel tacito sogno apparve
Il solitario Custode
ad indicare la via
ma, del clamore tramutato in pianto,
nessuno ebbe conforto.

 

Un piccolo ramo
si staglia a profilo di vento:
in tenera forma
continua ad amare
il giorno,
la vita in sé compiuta.

 

 Opera grafica di Marino Iotti

 

Omaggio a Pier Paolo Pasolini

 

Vide
dell’oscura nebbia
il volto
di cui mai ebbe vanto
né perdono.

 

Percorse a ritroso
la strada dei morenti
giacendo accanto
alla sua ombra apocrifa.

 

Scese nell’Ade
sfidando a dadi
la sorte
su marciapiedi
presaghi
del futuro inganno.

 

Cadde alfine
ai piedi
della Sacra Montagna
ad onta di Poeta
vilipeso.
Non ebbe in lui
fecondo verso

 

la rosa
né patì dell’amore
l’obliqua ombra.

 

Se fu notte
tacque
ai margini di un prato.

 

Al risveglio
solo Pier Paolo,
in rugiada avvolto.