Fernando Pessoa (1888-1935), Poesie scelte di Álvaro de Campos,  Tre estratti dalle Odi di Ricardo Reis

Giorgio Linguaglossa[Nulla mi lega a nulla – Pessoa nella grafica di Lucio Mayoor Tosi]

 

Fernando Pessoa (1888 – 1935) Per tutta la vita, trascorsa per la maggior parte in una stanza ammobiliata in affitto a Lisbona, dove sarebbe morto in solitudine, Fernando Antonio Nogueira Pessoa rimase pressoché sconosciuto al mondo editoriale ed al grande pubblico. Oggi egli viene comunemente riconosciuto come il più importante poeta portoghese moderno, membro più rappresentativo del Gruppo Modernista conosciuto anche come Orpheu.
Era nato a Lisbona, il padre Joaquim de Seabra Pessoa morì di tubercolosi quando Fernando era poco più che un bambino, la madre si risposò con il console portoghese per il Sud Africa dove la famiglia si trasferì nel 1896. Qui restò per tre anni, imparando perfettamente la lingua inglese ed interessandosi alla lettura delle opere di Shakespeare e Milton. Tornò a Lisbona nel 1905 per iscriversi all’Università, avrebbe tuttavia abbandonato gli studi molto presto per iniziare a lavorare come traduttore per conto di aziende commerciali. Nel frattempo Fernando Pessoa iniziò a scrivere lettere ed articoli per riviste letterarie quali l’Orpheus, suscitando spesso vivaci polemiche per le idee ed i termini anticonformisti. La sua prima collezione di poesie Antinous fu scritta in lingua inglese ed apparve nel 1918. Pure in inglese furono redatte le successive due raccolte e soltanto nel 1933 pubblicò il primo libro, Mensagem, in portoghese che, come i precedenti, passò completamente inosservato. 

La maggior parte delle sue poesie apparvero su riviste letterarie quali Athena da lui stessa diretta e sotto gli pseudonimi di Álvaro de Campos, Riccardo Reis e Alberto Caeiro, veri e propri alter ego, ciascuno dotato di una differente personalità e di un proprio background (Campos un ingegnere affascinato da Walt Whitman, Reis un dottore epicureo dalla solida cultura classica) che spesso animavano le pagine di Athena dandosi battaglia, ora lodando ed ora criticando le “reciproche” opere.
Fernando Pessoa morì il 30 Novembre 1935, la sua fama iniziò a diffondersi, in Portogallo e poi in Brasile, a partire dal 1940 e tutte le sue opere furono pubblicate postume. Ricordiamo Poesias de Fernando Pessoa (1942) ed Odes de Ricardo Reis (1946). La sua autobiografia scritta sotto lo pseudonimo di Bernardo Soares, apparve solo nel 1982.

 

 (Marco Roberto Capelli Fonte: http://www.progettobabele.it)

 

Giorgio Linguaglossa
Ciò che oggi sono è come l’umidità nel corridoio in fondo alla casa

 

Appunto di Giorgio Linguaglossa

 

Ci tenevo a postare, prima o poi, un articolo con le poesie di Fernando Pessoa. Personaggio di poeta così complesso e sfaccettato che non è possibile racchiudere in una formula. Uno dei principali poeti del novecento europeo, uno dei massimi poeti del modernismo europeo. Oggi mi chiedo chi siano in Italia gli eredi del modernismo europeo, se c’è stato in Italia un modernismo europeo. E qui chiedo aiuto a Carlo Livia, lui so che ha meditato su questo problema. Che cosa significa oggi essere in Italia un poeta della nuova ontologia estetica è una cosa che è in rapporto, in qualche modo, con il modernismo portoghese ed europeo, è questo il senso profondo di riproporre la lettura di un poeta come Pessoa e dei suoi eteronimi. Pessoa il poeta che impersona la grande crisi della cultura europea degli anni venti e trenta.

 

Forse nessuno in Europa come Pessoa ha avvertito i segnali, i campanelli di allarme che tintinnavano dovunque. In Italia noi, in piena autarchia, avevamo un Cardarelli e il ritorno all’ordine de “La Ronda”… Così anche oggi quando leggo la poesia che va di moda. Un poeta, la grandezza di un poeta la si misura dalla sua capacità di andare in profondità del proprio tempo, di sondare la crisi del proprio tempo. Non si capisce niente di Pessoa e della grande poesia europea di quegli anni se non teniamo presente la crisi dell’Europa: la poesia di Mandel’stam, Eliot, Pessoa sta lì a dimostrare che alcuni poeti avevano intravisto, molto in anticipo sui propri contemporanei, la crisi di civiltà e di valori della cultura del loro tempo. Non si capisce nulla della poesia di Pessoa se non si tiene bene aperto davanti agli occhi il registro del nichilismo, quel morbo invisibile che attecchì le menti degli abitanti dell’Europa di allora. Non si capisce niente del mondo di oggi se non teniamo bene aperto il quaderno del nichilismo di oggi. La poesia è tra le arti forse quella più idonea a rappresentare la crisi di un mondo, del nostro mondo…

 

da Il libro dell’inquietudine:

 

Mi ero alzato presto e mi attardavo a prepararmi ad esistere [147]

 

La generazione cui appartengo, quando è nata, ha trovato un mondo sprovvisto di fondamenta per chi abbia cervello e un cuore. Il lavoro di distruzione delle generazioni anteriori aveva fatto in modo che il mondo, sul quale siamo nati, non ci potesse dare nessuna sicurezza sul piano religioso, nessun aiuto sul piano morale, nessuna tranquillità sul piano politico. Siamo nati ormai in piena ansia metafisica, in piena ansia morale, in piena agitazione politica. Ebbre delle formule esteriori, dei meri procedimenti della ragione e della scienza, le generazioni che ci hanno preceduto hanno abbattuto i fondamenti della fede cristiana… [173]

 

Giorgio Linguaglossa 

 

Fernando Pessoa 

Trippa alla maniera di Oporto

 

Un giorno in un ristorante fuori del tempo e dello spazio,
mi servirono l’amore come trippa fredda.
Dissi delicatamente al missionario della cucina
che la preferivo calda,
che la trippa (ed era alla maniera di Oporto) non si mangia fredda.

 

Si irritarono con me.
Non si può mai avere ragione, nemmeno al ristorante.
Non mangiai, non chiesi altro, pagai il conto,
e me ne andai a passeggio per l’intera strada.

 

Chi lo sa cosa vuol dire questo?
Io non lo so, ed è capitato a me…

 

(So benissimo che nell’infanzia di ognuno c’è stato un giardino,
privato o pubblico, o del vicino.
So benissimo che il fatto di giocarci era il padrone del giardino.
E che la tristezza è di oggi).

 

So questo molte volte,
ma, se io chiesi amore, perché mi portano
trippa alla maniera di Oporto fredda?
Non è un piatto che si possa mangiare freddo,
ma me lo portarono freddo,
non si può mai mangiare freddo, ma arrivò freddo.

 

Tabaccheria

 

Ho sognato di più di quanto Napoleone abbia realizzato.
Ho stretto al petto ipotetico più umanità di Cristo.
Ho creato in segreto filosofie che nessun Kant ha scritto.
Ma sono, e forse sarò sempre, quello della mansarda,
anche se non ci abito;
sarò sempre quello che non è nato per questo;
sarò sempre soltanto quello che possedeva delle qualità;
sarò sempre quello che ha atteso che gli aprissero la porta davanti a una parete senza porta,
e ha cantato la canzone dell’Infinito in un pollaio,
e sentito la voce di Dio in un pozzo chiuso.
Credere in me? No, nè in niente.

 

 

Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa

 

 

Ode sensazionista

a José de Almada-Negreiros
Lei non immagina quanto Le sono grato per il fatto che Lei esista
(Álvaro de Campos)

I
[…]
Porto dentro il mio cuore,
come in uno scrigno troppo pieno per chiudersi,
tutti i luoghi dove sono stato,
tutti i porti a cui sono arrivato,
tutti i paesaggi che ho visto da finestre o da oblò,
o da casseri, sognando,
e tutto questo, che è molto, è poco per quello che voglio.
[…]
Ho viaggiato per più terre di quelle che ho toccato…
Ho visto più paesaggi di quelli su cui ho posato gli occhi…
Ho provato più sensazioni di tutte le sensazioni che ho sentito,
perché, per quanto sentissi, mi è sempre mancato qualcosa da sentire
e la vita sempre mi dolse, fu sempre poco, e io infelice.
[…]
Non so se la vita è poco o è troppo per me.
Non so se sento troppo o troppo poco, non so
se mi manca scrupolo spirituale, punto d’appoggio dell’intelligenza,
consanguineità col mistero delle cose, scossa
ai contatti, sangue sotto i colpi, sussulto ai rumori,
o se per questo c’è un altro significato più comodo e felice.
Sia come sia, era meglio non essere nato,
perché, con tutto l’interesse che ha in ogni momento,
la vita arriva a dolere, a nauseare, a tagliare, a sfiorare, a stridere,
a dar voglia di gridare, di saltare, di restare per terra, di uscire
fuori da tutte le case, da tutte le logiche e da tutti i balconi,
e andare a essere selvaggi verso la morte fra alberi e dimenticanze,
fra cadute e pericoli e mancanza di domani,
e tutto ciò dovrebbe essere qualche altra cosa più simile a ciò che penso,
a ciò che io penso o sento, che non so neppure cosa sia, oh vita.
[…]
Fernando Pessoa
22 maggio 1906 – 10 aprile 1923
(Traduzione di Antonio Tabucchi)
da Poesie di Álvaro de Campos, Adelphi Edizioni, 1993

*
de Passagem das Horas

 

 

Ode sensazionista

a José de Almada-Negreiros
Almada-Negreiros: você não
imagina como eu lhe agradeço o facto de você existir
(Álvaro de Campos)

I
Trago dentro do meu coração,
Como num cofre que se não pode fechar de cheio,
Todos os lugares onde estive,
Todos os portos a que cheguei,
Todas as paisagens que vi através de janelas ou vigias,
Ou de tombadilhos, sonhando,
E tudo isso, que é tanto, é pouco para o que eu quero.
[…]
Viajei por mais terras do que aquelas em que toquei…
Vi mais paisagens do que aquelas em que pus os olhos…
Experimentei mais sensações do que todas as sensações que senti,
Porque, por mais que sentisse, sempre me faltou que sentir
E a vida sempre me doeu, sempre foi pouco, e eu infeliz.
[…]
Não sei se a vida é pouco ou demais para mim.
Não sei se sinto de mais ou de menos, não sei
Se me falta escrúpulo espiritual, ponto-de-apoio na inteligência,
Consangüinidade com o mistério das coisas, choque
Aos contatos, sangue sob golpes, estremeção aos ruídos,
Ou se há outra significação para isto mais cômoda e feliz.
Seja o que for, era melhor não ter nascido,
Porque, de tão interessante que é a todos os momentos,
A vida chega a doer, a enjoar, a cortar, a roçar, a ranger,
A dar vontade de dar gritos, de dar pulos, de ficar no chão, de sair
Para fora de todas as casas, de todas as lógicas e de todas as sacadas,
E ir ser selvagem para a morte entre árvores e esquecimentos,
Entre tombos, e perigos e ausência de amanhãs,
E tudo isto devia ser qualquer outra coisa mais parecida com o que eu penso,
Com o que eu penso ou sinto, que eu nem sei qual é, ó vida.

 

Fernando Pessoa, Poesie di Álvaro de Campos, © 1993 Biblioteca Adelphi 279

 

Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa

 

 

Diluente

 

La vicina del numero quattordici rideva oggi sulla porta
da dove un mese fa è uscito il funerale del figlio piccolo.
Rideva in modo naturale con l’anima nel volto.
D’accordo: è la vita.
Il dolore non dura perchè il dolore non dura.
D’accordo.
Ripeto: d’accordo.
Ma il mio cuore non è d’accordo.
Il mio cuore romantico fa delle sciarade con l’egoismo della vita.
Ecco la lezione, o anima di gente!
Se la madre dimentica il figlio che uscì da lei ed è morto,
chi si prenderà la briga di ricordarsi di me?

 

Sono solo al mondo, come un mattone rotto…
Posso morire come la rugiada si asciuga…
Per un’arte naturale della natura solare…
Posso morire per volontà dell’oblio,
posso morire come nessuno…
Ma questo duole,
questo è indecente per chi ha un cuore…
Questo…
Sì, questo mi rimane nella strozza come un sandwich alle lacrime…
Gloria? Amore? L’anelito di un’anima umana?
Apoteosi alla rovescia…
Datemi acqua minerale, che voglio dimenticare la Vita!…

 

Non sono nulla

 

Non sono nulla, non posso nulla,
non perseguo nulla.
Illuso, porto il mio essere con me.
Non so di comprendere,
né so se devo essere,
niente essendo, ciò che sarò.
A parte ciò, che è niente, un vacuo vento
del sud, sotto il vasto azzurro cielo
mi desta, rabbrividendo nel verde.
Aver ragione, vincere, possedere l’amore
marcisce sul morto tronco dell’illusione.
Sognare è niente e non sapere è vano.
Dormi nell’ombra, incerto cuore.

 

Anniversario

 

Al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno,
io ero felice e nessuno era morto.
Nella casa antica, perfino il mio compleanno era una tradizione secolare,
e l’allegria di tutti, e la mia, era giusta come una religione qualsiasi.

 

Al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno,
avevo la grande salute di non capire alcunché,
di essere intelligente per quelli della famiglia,
e di non aver le speranze che gli altri avevano in mia vece.
Quando arrivai ad avere speranze, non sapevo più avere speranze.
Quando arrivai a guardare la vita, avevo perso il senso della vita.

 

Sì, quello che fui di supposto per me stesso,
quello che fui di cuore e famiglia,
quello che fui di veglie di semiprovincia,
quello che fui perché mi amavano e perché ero bambino,
quello che fui – Dio mio!, quello che solo oggi so di essere stato…
Com’è lontano!…
(Nemmeno l’eco…)
Il tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno!

Ciò che oggi sono è come l’umidità nel corridoio in fondo alla casa,
che provoca muffa nelle pareti…

Ciò che oggi sono (e la casa di quelli che mi hanno amato trema attraverso le mie
[lacrime),
ciò che oggi sono è che abbiano venduto la casa,
è che tutti siano morti,
è che io sia sopravvissuto a me stesso come un fiammifero freddo…

 

Al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno…
Quale oggetto d’amore è per me quel tempo, come una persona!
Desiderio fisico dell’anima di essere lì un’altra volta,
attraverso un viaggio metafisico e carnale,
con una dualità da me a me…
Mangiare il passato come pane per l’affamato, senza tempo di burro sotto i denti!

 

Vedo tutto ancora una volta con una nitidezza che mi rende cieco alle cose presenti…
La tavola apparecchiata con dei posti in più, con la porcellana migliore, con dei
[bicchieri in più,
la credenza con molte cose – dolci, frutta, il resto nell’ombra sotto la scansia –,
le vecchie zie, i cugini estranei, e tutto era per me,
al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno…

 

Fermati, cuore mio!
Non pensare! Lascia il pensiero alla testa!
Oh mio Dio, mio Dio, mio Dio!
Oggi non compio più gli anni.
Perduro.
I miei giorni si addizionano.
Sarò vecchio quando lo sarò.
Nient’altro.
Rabbia di non aver portato in tasca il passato rubato!

 

Il tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno!…

 

15 ottobre 1929

 

Da: Fernando Pessoa, Poesie di Álvaro de Campos, (a cura di Maria José de Lancastre, traduzione di Antonio Tabucchi), Adelphi, Milano 1993.

 

Giorgio Linguaglossa

Ho sognato di più di quanto Napoleone abbia realizzato

 

 

Nulla mi lega a nulla

 

Nulla mi lega a nulla.
Voglio cinquanta cose allo stesso tempo.
Bramo con un’angoscia di fame di carne
quel che non so cosa sia –
definitamente l’indefinito…
Dormo irrequieto e vivo in un irrequieto sognare
di chi dorme irrequieto, mezzo sognando.
Mi hanno chiuso tutte le porte astratte e necessarie,
Hanno abbassato le tende dal di dentro di ogni ipotesi che avrei potuto vedere dalla via.
Non c’è nel vicolo trovato il numero di porta che mi hanno dato.
Mi sono svegliato alla stessa vita a cui mi ero addormentato.
Perfino i miei eserciti sognati sono stati sconfitti.
Perfino i miei sogni si sono sentiti falsi nell’essere sognati.
Perfino la vita solo desiderata mi stanca; perfino questa vita…
Comprendo a intervalli sconnessi;
scrivo a intervalli di stanchezza;
e perfino un tedio del tedio mi getta sulla spiaggia.
Non so quale destino o futuro compete alla mia angoscia disalberata;
non so quali isole del Sud impossibile mi aspettano naufrago;
o quali palmeti di letteratura mi daranno almeno un verso.
No, non so né questo né altro né niente…
E in fondo al mio spirito, dove sogno quel che sognai,
nelle estreme pianure dell’anima, ove ricordo senza motivo
(il passato è una nebbia naturale di lacrime false),
nelle strade, nei sentieri di remote foreste
ove ho supposto il mio essere,
fuggono in rotta, ultimi resti
dell’illusione finale,
i miei sognati eserciti, sconfitti senza essere esistiti,
le mie coorti ancora da esistere, sgominate in Dio.

 

Da: Fernando Pessoa, Lisbon revisited (1926) Poesie di Álvaro de Campos

 

Stanchezza

 

Quello che c’è in me è soprattutto stanchezza
non di questo o di quello
e neppure di tutto o di niente:
stanchezza semplicemente, in sé,
stanchezza.
La sottigliezza delle sensazioni inutili,
le violente passioni per nulla,
gli amori intensi per ciò che si suppone in qualcuno,
tutte queste cose –
queste e cio’ che manca in esse eternamente –
tutto ciò produce stanchezza,
questa stanchezza,
stanchezza.
C’è senza dubbio chi ama l’infinito,
c’è senza dubbio chi desidera l’impossibile,
c’è senza dubbio chi non vuole niente –
tre tipi di idealisti, e io nessuno di questi:
perchè io amo infinitamente il finito,
perchè io desidero impossibilmente il possibile,
perchè voglio tutto, o ancora di più, se può essere,
o anche se non può essere…
E il risultato?
Per loro la vita vissuta o sognata,
per loro il sogno sognato o vissuto,
per loro la media fra tutto e niente, cioè la vita…
Per me solo una grande, una profonda,
e, ah, con quale felicità, infeconda stanchezza,
una supremissima stanchezza,
issima, issima, issima,
stanchezza…

 

Da: Fernando Pessoa, Poesie di Álvaro de Campos

 

Giorgio Linguaglossa

 

Giorgio Linguaglossa

 

Licantropia

 

In qualche luogo i sogni diventeranno realtà.
C’è un lago solitario
illuminato dalla luna per me e per te
come nessuno per noi soli.

 

Lì la scura bianca vela spiegata
in un vago vento non sentito
guiderà la nostra vita-sonno
laddove le acque si fondono

 

in un lido di neri alberi,
dove i boschi sconosciuti vanno incontro
al desiderio del lago di essere di più
e rendono il sogno completo.

 

Là ci nasconderemo e svaniremo,
tutti vanamente al confine della luna,
sentendo che ciò di cui siamo fatti
è stato qualche volta musicale.

 

L’abisso

 

Tra me e la mia coscienza
c’ è un abisso
nel cui fondo invisibile scorre
il rumore di un fiume lontano dai soli,
il cui suono reale è cupo e freddo –
Ah, in qualche punto del pensare della nostra anima,
freddo e scuro e incredibilmente vecchio,
in se stesso e non nella sua dichiarata apparenza.

 

Il mio ascoltare è diventato il mio vedere
quel sommerso fiume senza luogo.
Il suo rumore silenzioso libera sempre
il mio pensiero dal potere del mio pensiero di sognare.
Una temibile realtà appartiene
a quel fiume di mute, astratte canzoni
che parlano della non realtà
del suo andare verso nessun mare.
Ecco! Con gli occhi del mio sognato sentire
io sento il non visto fiume trasportare
verso dove non va tutte le cose
di cui è fatto il mio pensiero – il Pensiero
in Sé, e il Mondo, e Dio, che
fluttuano in quell’ impossibile fiume.

 

Ah, le idee di Dio, del Mondo,
di Me stesso e del Mistero,
come da uno sconosciuto bastione colpito,
scorrono con quel fiume verso quel mare
che non ha raggiunto né raggiungerà mai
e apparterrà al suo moto legato alla notte.
Oh, ancora verso quel sole su quella spiaggia
di quell’ inattingibile oceano!

 

L’Altrove

 

Andiamo via, creatura mia,
via verso l’Altrove.
Lì ci sono giorni sempre miti
e campi sempre belli.

 

La luna che splende su chi
là vaga contento e libero
ha intessuto la sua luce con le tenebre
dell’immortalità.

 

Lì si incominciano a vedere le cose,
le favole narrate sono dolci come quelle non raccontate,
là le canzoni reali-sognate sono cantate
da labbra che si possono contemplare.

 

Andiamo via, creatura mia,
via verso l’Altrove.
Lì ci sono giorni sempre miti
e campi sempre belli.

 

La luna che splende su chi
là vaga contento e libero
ha intessuto la sua luce con le tenebre
dell’immortalità.

 

Lì si incominciano a vedere le cose,
le favole narrate sono dolci come quelle non raccontate,
là le canzoni reali-sognate sono cantate
da labbra che si possono contemplare.

 

Il tempo lì è un momento d’allegria,
la vita una sete soddisfatta,
l’amore come quello di un bacio
quando quel bacio è il primo.

 

Non abbiamo bisogno di una nave, creatura mia,
ma delle nostre speranze finché saranno ancora belle,
non di rematori, ma di sfrenate fantasie.

 

Oh, andiamo a cercare l’Altrove

 

Giorgio Linguaglossa

 

Il violinista pazzo

 

Non fluì dalla strada del nord
né dalla via del sud
la sua musica selvaggia per la prima volta
nel villaggio quel giorno.
Egli apparve all’improvviso nel sentiero,
tutti uscirono ad ascoltarlo,
all’improvviso se ne andò, e invano
sperarono di rivederlo.
La sua strana musica infuse
in ogni cuore un desiderio di libertà.
Non era una melodia,
e neppure una non melodia.
In un luogo molto lontano,
in un luogo assai remoto,
costretti a vivere, essi
sentirono una risposta a questo suono.
Risposta a quel desiderio
che ognuno ha nel proprio seno,
il senso perduto che appartiene
alla ricerca dimenticata.
La sposa felice capì
d’essere malmaritata,
L’appassionato e contento amante
si stancò di amare ancora,
la fanciulla e il ragazzo furono felici
d’aver solo sognato,
i cuori solitari che erano tristi
si sentirono meno soli in qualche luogo.
In ogni anima sbocciava il fiore
che al tatto lascia polvere senza terra,
la prima ora dell’anima gemella,
quella parte che ci completa,
l’ombra che viene a benedire
dalle inespresse profondità lambite
la luminosa inquietudine
migliore del riposo.
Così come venne andò via.
Lo sentirono come un mezzo-essere.
Poi, dolcemente, si confuse
con il silenzio e il ricordo.
Il sonno lasciò di nuovo il loro riso,
morì la loro estatica speranza,
e poco dopo dimenticarono
che era passato.
Tuttavia, quando la tristezza di vivere,
poiché la vita non è voluta,
ritorna nell’ora dei sogni,
col senso della sua freddezza,
improvvisamente ciascuno ricorda –
risplendente come la luna nuova
dove il sogno-vita diventa cenere –
la melodia del violinista pazzo.

 

Giorgio Linguaglossa

 

Giorgio Linguaglossa

 

Ode alla notte

 

Vieni, Notte antichissima e identica,
Notte Regina nata detronizzata,
Notte internamente uguale al silenzio, Notte
con le stelle, lustrini rapidi
sul tuo vestito frangiato di Infinito.
Vieni vagamente,
vieni lievemente,
vieni sola, solenne, con le mani cadute
lungo i fianchi, vieni
e porta i lontani monti a ridosso degli alberi vicini,
fondi in un campo tuo tutti i campi che vedo,
fai della montagna un solo blocco del tuo corpo,
cancella in essa tutte le differenze che vedo da lontano di giorno,
tutte le strade che la salgono,
tutti i vari alberi che la fanno verde scuro in lontananza,
tutte le case bianche che fumano fra gli alberi
e lascia solo una luce, un’altra luce e un’altra ancora,
nella distanza imprecisa e vagamente perturbatrice,
nella distanza subitamente impossibile da percorrere.
Nostra Signora
delle cose impossibili che cerchiamo invano,
dei sogni che ci visitano al crepuscolo, alla finestra,
dei propositi che ci accarezzano
sulle ampie terrazze degli alberghi cosmopoliti sul mare,
al suono europeo delle musiche e delle voci lontane e vicine,
e che ci dolgono perché sappiamo che mai li realizzeremo.
Vieni e cullaci,
vieni e consolaci,
baciaci silenziosamente sulla fronte,
cosi lievemente sulla fronte che non ci accorgiamo d’essere baciati
se non per una differenza nell’anima
e un vago singulto che parte misericordiosamente
dall’antichissimo di noi
laddove hanno radici quegli alberi di meraviglia
i cui frutti sono i sogni che culliamo e amiamo,
perché li sappiamo senza relazione con ciò che ci può
essere nella vita.
Vieni solennissima,
solennissima e colma
di una nascosta voglia di singhiozzare,
forse perché grande è l’anima e piccola è la vita,
e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo,
e arriviamo solo fin dove arriva il nostro braccio
e vediamo solo fin dove vede il nostro sguardo.
Vieni, dolorosa,
Mater Dolorosa delle Angosce dei Timidi,
Turris Eburnea delle Tristezze dei Disprezzati,
fresca mano sulla fronte febbricitante degli Umili,
sapore d’acqua di fonte sulle labbra riarse degli Stanchi.
Vieni, dal fondo
dell’orizzonte livido,
vieni e strappami
dal suolo dell’angustia in cui io vegeto,
dal suolo di inquietudine e vita-di-troppo e false sensazioni
dal quale naturalmente sono spuntato.
Coglimi dal mio suolo, margherita trascurata,
e fra erbe alte margherita ombreggiata,
petalo per petalo leggi in me non so quale destino
e sfogliami per il tuo piacere,
per il tuo piacere silenzioso e fresco.
Un petalo di me lancialo verso il Nord,
dove sorgono le città di oggi il cui rumore ho amato come un corpo.
Un altro petalo di me lancialo verso il Sud
dove sono i mari e le avventure che si sognano.
Un altro petalo verso Occidente,
dove brucia incandescente tutto ciò che forse è il futuro,
e ci sono rumori di grandi macchine e grandi deserti rocciosi
dove le anime inselvatichiscono e la morale non arriva.
E l’altro, gli altri, tutti gli altri petali
– oh occulto rintocco di campane a martello nella mia anima! –
affidali all’Oriente,
l’Oriente da cui viene tutto, il giorno e la fede,
l’Oriente pomposo e fanatico e caldo,
l’Oriente eccessivo che io non vedrò mai,
l’Oriente buddhista, bramanico, scintoista,
l’Oriente che è tutto quanto noi non abbiamo,
tutto quanto noi non siamo,
l’Oriente dove – chissà – forse ancor oggi vive Cristo,
dove forse Dio esiste corporalmente imperando su tutto…
Vieni sopra i mari,
sopra i mari maggiori,
sopra il mare dagli orizzonti incerti,
vieni e passa la mano sul suo dorso ferino,
e calmalo misteriosamente,
o domatrice ipnotica delle cose brulicanti!
Vieni, premurosa,
vieni, materna,
in punta di piedi, infermiera antichissima che ti sedesti
al capezzale degli dei delle fedi ormai perdute,
e che vedesti nascere Geova e Giove,
e sorridesti perché per te tutto è falso, salvo la tenebra e il silenzio,
e il grande Spazio Misterioso al di la di essi… Vieni, Notte silenziosa ed estatica,
avvolgi nel tuo mantello leggero
il mio cuore… Serenamente, come una brezza nella sera lenta,
tranquillamente, come un gesto materno che rassicura,
con le stelle che brillano (o Travestita dell’Oltre!),
polvere di oro sui tuoi capelli neri,
e la luna calante, maschera misteriosa sul tuo volto.
Tutti i suoni suonano in un altro modo quando tu giungi
Quando tu entri ogni voce si abbassa
Nessuno ti vede entrare
Nessuno si accorge di quando sei entrata,
se non all’improvviso, nel vedere che tutto si raccoglie,
che tutto perde i contorni e i colori,
e che nel cielo alto, ancora chiaramente azzurro e bianco all’orizzonte,
già falce nitida, o circolo giallastro, o mero diffuso biancore, la luna comincia il suo giorno.

In qualche luogo i sogni diventeranno realtà

 

 

Giorgio Linguaglossa

 

 

Ho pena delle stelle

 

Ho pena delle stelle
che brillano da tanto tempo,
da tanto tempo…
Ho pena delle stelle.
Non ci sarà una stanchezza
delle cose,
di tutte le cose,
come delle gambe o di un braccio?
Una stanchezza di esistere,
di essere,
solo di essere,
l’essere triste lume o un sorriso…
Non ci sarà dunque,
per le cose che sono,
non la morte, bensì
un’altra specie di fine,
o una grande ragione:
qualcosa così, come un perdono?

 

Autopsicografia

 

Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.

 

E quanti leggono ciò che scrive,
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.

 

E così sui binari in tondo
gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore.

 

Giorgio Linguaglossa

 

Giorgio Linguaglossa

 

Sensazione

 

I miei pensieri sono qualcosa che la mia anima teme.
Fremo per la mia allegria.
A volte mi sento invadere da
una vaga, fredda, triste, implacabile
quasi-concupiscente spiritualità.
Mi fa tutt’uno con l’erba.
La mia vita sottrae colore a tutti i fiori.
La brezza che sembra restia a passare
scrolla dalle mie ore rossi petali
e il mio cuore arde senza pioggia.
Poi Dio diventa un mio vizio
e i divini sentimenti un abbraccio
che annega i miei sensi nel suo vino
e non lascia contorni nei miei modi
di vedere Dio fiorire, crescere e splendere.
I miei pensieri e sentimenti si confondono e formano
una vaga e tiepida anima-unità.
Come il mare che prevede una tempesta,
un pigro dolore e un’inquietudine fanno di me
il mormorio di un incalzante stormo.
I miei inariditi pensieri si mescolano e occupano
le loro interpresenze, e usurpano
gli uni il posto degli altri. Non distinguo
nulla in me tranne l’impossibile
amalgama delle molte cose che sono.
Sono un bevitore dei miei pensieri
l’essenza dei miei sentimenti inonda la mia anima…
La mia volontà vi si impregna.
Poi la vita ferma un sogno e fa sfiorire
la bellezza nel dolore dei miei versi.

 

Non sto pensando a niente

 

Non sto pensando a niente,
e questa cosa centrale, che a sua volta non è niente,
mi è gradita come l’aria notturna,
fresca in confronto all’estate calda del giorno.

 

Che bello, non sto pensando a niente!

 

Non pensare a niente
è avere l’anima propria e intera.
Non pensare a niente
è vivere intimamente
il flusso e riflusso della vita…
Non sto pensando a niente.
E’ come se mi fossi appoggiato male.
Un dolore nella schiena o sul fianco,
un sapore amaro nella bocca della mia anima:
perché, in fin dei conti,
non sto pensando a niente,
ma proprio a niente,
a niente…

 

Giorgio Linguaglossa

 

Giorgio Linguaglossa

 

Tutte le lettere d’amore

 

Tutte le lettere d’amore sono
ridicole.
Non sarebbero lettere d’amore se non fossero
ridicole.

 

Anch’io ho scritto ai miei tempi lettere d’amore,
come le altre,
ridicole.

 

Le lettere d’amore, se c’è l’amore,
devono essere
ridicole.

 

Ma dopotutto

solo coloro che non hanno mai scritto
lettere d’amore
sono
ridicoli.

 

Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo
senza accorgermene
lettere d’amore
ridicole.

 

La verità è che oggi
sono i miei ricordi
di quelle lettere
a essere ridicoli.

 

(Tutte le parole sdrucciole,
come tutti i sentimenti sdruccioli,
sono naturalmente
ridicole).

 

Magnificat

 

Quando passerà questa notte interna, l’universo,
e io, l’anima mia, avrò il mio giorno?
Quando mi desterò dall’essere desto?
Non so. Il sole brilla alto:
impossibile guardarlo.
Le stelle ammiccano fredde:
impossibile contarle.
Il cuore batte estraneo:
impossibile ascoltarlo.
Quando finirà questo dramma senza teatro,
o questo teatro senza dramma,
e potrò tornare a casa?
Dove? Come? Quando?
Gatto che mi fissi con occhi di vita,
chi hai là in fondo?
Si, sì, è lui!
Lui, come Giosuè, farà fermare il sole
e io mi sveglierò;
e allora sarà giorno.
Sorridi nel sonno, anima mia!
Sorridi anima mia: sarà giorno!

 

Giorgio Linguaglossa

La morte è la curva della strada

Questo

 

Dicon che fingo o mento
quanto io scrivo. No:
semplicemente sento
con l’immaginazione,
non uso il sentimento.

 

Quanto traverso o sogno,
quanto finisce o manco
è come una terrazza
che dà su un’altra cosa.
É questa cosa che è bella.

 

Così, scrivo in mezzo
a quanto vicino non è:
libero dal mio laccio,
sincero di quel che non è.
Sentire? Senta chi legge.

 

La morte è la curva della strada

 

La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s’è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.

 

Amo tutto ciò che è stato

 

Amo tutto ciò che è stato,
tutto quello che non è più,
il dolore che ormai non mi duole,
l’antica e erronea fede,
l’ieri che ha lasciato dolore,
quello che ha lasciato allegria
solo perché è stato, è volato
e oggi è già un altro giorno.

 

Le isole fortunate

 

Quale voce viene sul suono delle onde
che non è la voce del mare?
È la voce di qualcuno che ci parla,
ma che, se ascoltiamo, tace,
proprio per esserci messi ad ascoltare.
E solo se, mezzo addormentati,
udiamo senza sapere che udiamo,
essa ci parla della speranza
verso la quale, come un bambino
che dorme, dormendo sorridiamo.
Sono isole fortunate,
sono terre che non hanno luogo,
dove il Re vive aspettando.
Ma, se vi andiamo destando,
tace la voce, e solo c’è il mare.

 

Giorgio Linguaglossa

 

Nulla

 

Gli angeli vennero a cercarla
la trovarono al mio fianco,
lì dove le sue ali l’avevano guidata.
Gli angeli vennero per portarla via.
Aveva lasciato la loro casa,
il loro giorno più chiaro
ed era venuta ad abitare presso di me.
Mi amava perché l’amore
ama solo le cose imperfette.
Gli angeli vennero dall’alto
e la portarono via da me.
Se la portarono via per sempre
tra le ali luminose.
È vero che era la loro sorella
e così vicina a Dio come loro.
Ma mi amava perché
il mio cuore non aveva una sorella.
Se la portarono via,
ed è tutto quel che accadde.

 

Giorgio Linguaglossa

 

 

Se qualcuno…

 

Se qualcuno un giorno bussa alla tua porta,
dicendo che è un mio emissario,
non credergli, anche se sono io;
ché il mio orgoglio vanitoso non ammette
neanche che si bussi
alla porta irreale del cielo.
Ma se, ovviamente, senza che tu senta
bussare, vai ad aprire la porta
e trovi qualcuno come in attesa
di bussare, medita un poco. Quello è
il mio emissario e me e ciò che
di disperato il mio orgoglio ammette.
Apri a chi non bussa alla tua porta.

 

Tra il sonno e il sogno

 

Tra il sonno e il sogno
tra me e colui che in me
è colui che suppongo,
scorre un fiume interminato.
È passato per altre rive,
sempre nuove più in là,
nei diversi itinerari
che ogni fiume percorre.
È giunto dove oggi abito
la casa che oggi sono.
Passa, se io medito;
se mi desto, è passato.
E colui che mi sento e muore
in quel che mi lega a me
dorme dove il fiume scorre –
questo fiume interminato.

 

Giorgio Linguaglossa

 

Altri avranno
un focolare, qualcuno che sappia, amore, pace, un amico.
L’intera, nera e fredda solitudine
mi accompagna.
Per altri forse
vi è qualcosa di caloroso, eguale, affine
nel mondo reale. Il mio turno
mai arriva.
«Che importa?», dico.
Ma solo Dio sa che non lo credo.
Neppure un casuale mendicante sulla mia porta
sedersi vedo.
«Chi dovrebbe essere?»
Men non soffre chi lo riconosce.
Soffre chi finge di disprezzare la sofferenza
poiché non scorda.
Questo, fino a quando?
Solo mi consola
l’avere gli occhi che si vanno all’oscurità
abituando.

 

(13 gennaio 1920 )

 

*

 


Contemplo il lago silenzioso
che la brezza fa rabbrividire.
Non so se penso a tutto
o se tutto mi dimentica.
Nulla il lago mi dice
né la brezza cullandolo.
Non so se sono felice
né se desidero esserlo.
Tremuli solchi sorridono
sull’acqua addormentata.
Perché ho fatto dei sogni
la mia unica vita?

Giorgio Linguaglossa
No: non voglio nulla./ Ho già detto che non voglio nulla

 

 

Tre estratti dalle ”Odi di Ricardo Reis”

 

1
“Nessuno, nell’ampia foresta vergine
del mondo innumero, finalmente
vede il Dio che conosce.
Solo quel che la brezza reca si ode nella brezza
Quel che pensiamo, sia amore o dei,
passa, perché passiamo.”

 

2
“Non so di chi ricordo il mio passato
che altro fui quando fui, né mi conosco
come se con la mia anima sentissi
quell’anima che nel sentire ricordo.
Da un giorno all’altro ci lasciamo.
Nulla di vero a noi ci unisce:
siamo chi siamo, e chi siamo stati fu
cosa vista di dentro.”

 

3
“Se ad ogni cosa un dio compete,
perché non ci sarà di me un dio?
Perché io non lo sarò?
E’ in me che il Dio dà vita
perché io sento.
Il mondo esterno chiaramente vedo:
cose, uomini, senz’anima.”

 

Brani estratti da Odi di Ricardo Reis, La vita felice – Milano

 

Giorgio Linguaglossa

……
No: non voglio nulla.
Ho già detto che non voglio nulla.
Non mi si venga con conclusioni!
L’unica conclusione è morire.
Non mi si venga con estetiche!
Non mi si parli di morale!
Mi si porti via di qui la metafisica!
Non mi si proclamino sistemi completi, non mi si elenchino conquiste
delle scienze (della scienze, mio Dio, delle scienze!) –
delle scienze, delle arti, della civiltà moderna!
Che male ho fatto io agli dèi tutti?
Se avete la verità, tenetevela!
Sono un tecnico, ma ho tecnica solo dentro la tecnica.
A parte questo sono pazzo, con tutto il diritto di esserlo.
Con tutto il diritto di esserlo, capito?
Non mi seccate, per l’amor di Dio!
Mi si voleva sposato, quotidiano e tassabile?
Mi si voleva il contrario di questo, il contrario di qualcosa?
Se io fossi un’altra persona tutti asseconderei.
Così, come sono, abbiate pazienza!
Andate al diavolo senza di me,
o lasciatemi andare al diavolo da solo!
Perché dovremmo andarci insieme?
Non mi si afferri il braccio!
Non mi piace che mi si afferri per il braccio. Voglio essere solo,
ho già detto che sono solo da solo!
Ah, che seccatura voler che io sia di compagnia!
O cielo azzurro -lo stesso della mia infanzia-
eterna verità vuota e perfetta!
O ameno Tago ancestrale e muto,
piccola verità in cui il cielo si riflette!
O amarezza rivisitata, Lisbona di un tempo e di oggi!
Nulla mi date, nulla mi togliete, nulla che io mi senta siete.
Lasciatemi in pace! Non m’attardo, che io non m’attardo mai…
E finché s’attardano l’Abisso e il Silenzio voglio stare solo!

 

*

 

Spero? No.
Dovrei Sperare?
Non lo so. Perché esisto lo ignoro,
Voglio dormire e dimenticare.

 

Se solo ci fosse un balsamo per l’anima
Capace di calmarla,
Condurla in una sorta di pace
Che, senza pensare,

 

Possa durare tutta la vita,
Che possa contenere tutti i pensieri –
Poi […]

 

Giorgio Linguaglossa

 

La Poesia

 

Nella mia mente è scolpita una poesia
che esprimerà la mia anima intera

 

La sento vaga come il suono e il vento
eppure scolpita in piena chiarezza.

 

Non ha strofa, verso né parola
non è neppure come la sogno.

 

E’ un mero sentimento, indefinito,
una felice bruma intorno al pensiero.

 

Giorno e notte nel mio mistero
la sogno, la leggo e riprovo a sillabarla,

 

e sempre la parola precisa è sul bordo di me stesso
come per librarsi nella sua vaga compiutezza.

 

So che non sarà mai scritta.
So che non so che cosa sia.

 

Ma sono contento di sognarla,
e una falsa felicità, benché falsa, è felicità.

 

Sogno

 

Era un luogo solitario
di silenzio e di luna.
Tutto come una laguna.
Non vi penetrava alcun affanno
tranne il vago deliquio del vento.

 

Paesaggio intermedio
tra sogni e terra.
Il vento si era placato, soffiando piano.
Ricche di alghe erano le acque
dove immergevamo la nostra mano.

 

Lasciavamo la mano vagare
nell’acqua non vista.
I nostri occhi erano abbagliati
dal meandro illuminato di luna
nello scenario della foresta.

 

Perdevamo lo spirito
del nostro quieto essere noi stessi.
Eravamo liberi come fate,
non avendo da ereditare
niente dall’essere.

 

Lì le fate e i folletti
imporporavano i loro strascichi illuminati dalla luna.
Lì per un pò conquisteremo
l’inafferrabilità dell’io
che non si può mai ottenere.

 

Giorgio Linguaglossa

 

Episodio

 

Qualunque cosa sognamo,
ogni sogno è realtà.
Tutto quel che appare,
Dio lo fa visibile
e dunque è
reale come ogni cosa.

 

Tutto ciò che desideriamo,
lo otteniamo altrove,
ora, sempre ora, e qui
siamo ricchi dell’al di là.
Nel nostro sentirci io
autodiscerniamo Dio.

 

A volte penso che la speranza
possa tramutare tutto in realtà,
ma mi fermo, brancolo
e la vita, la paura e il dolore
è tutto ciò che resta.
Perché dunque queste pene,

 

quest’inquietudine che fa fremere
di una possibile gioia
tutto il dolore che colma
la nostra speranza fino a nausearla?
Perché tutto questo, perché,
se tutto è incerto?
Oh, concedetemi una brezza
su di un prato di questa terra,
e lasciate che quella brezza appaghi
benché io non capisca.
Per ogni angoscia c’è
un vago desiderio di felicità.

 

Poco importa da dove la brezza…

 

Poco importa da dove la brezza
trae l’aroma che in essa viene.
Il cuore non ha bisogno
di sapere cos’è il bene.
A me basti a quest’ora
la melodia che culla.
Che importa se, lusingando,
le forze dell’anima spegne?

 

Chi sono, perché il mondo si perda
dietro quel che penso sognando?
Se mi avvolge la melodia
solo il suo avvolgermi io vivo…

 

Giorgio Linguaglossa

 

Guardando il Tago

 

Ella guidò il suo gregge al di là delle colline,
la sua voce riecheggia verso di me nel vento,
e una sete per il suo dolore colma
in me quanto è indefinito.

 

Laghi spirituali cinti di rocce
dormono nel vuoto della sua canzone.
Lì la sua astersa nudità indugia
e guarda a lungo la sua ombra ristagnata.

 

Ma, di tutto questo, è reale
solo la mia anima, la sera, il molo
e, ombra del mio sogno di tutto,
il dolore di un nuovo dolore in me.”

 

Va’: non hai niente da perdonare

 

“Va’: non hai niente da perdonare.
Sognare è meglio che vivere.

 

Ma vedrà il sorgere del sole
colui che lascia ogni cosa incompiuta;
il cui pensiero si allontana dal dover pensare
come il sostituirsi di una maschera.

 

Solo errerà attraverso valli ancora più verdi
di quelle che splendono dalle finestre
delle favole per bambini,
colui che pensa che il mondo si rinnova.

 

Solo per colui che siede e canta
presso gli steccati dimenticando la propria strada
il passero fatato spiega le sue ali
e i fiori magici crescono più rigogliosi.

 

Non troverà una mano che nutra
le fonti silenziose del suo desiderio.

 

Nessuno gli indicherà il ruscello dove
possa appagare la sete dell’infanzia.

 

Ma vallate più verdi dell’Oggi
e pensieri più cari del Lontano
busseranno alla sua finestra e sveglieranno
la sua freschezza altre seti da appagare.

 

Così come una silenziosa sartina seduta
alla finestra all’ora del tramonto
in un villaggio sconosciuto
egli non apparterrà a nulla di insano,

 

ma, incorporea come un augurio,
la sua anima attraverserà come un arcobaleno
i pascoli verde – pioggia del suo perdersi
e la terra diventerà parola.”

 

Giorgio Linguaglossa

 

Sono pallido e tremo

 

Sono pallido e tremo.
Quale potere del chiar di luna
vibrante sotto il fiume
mi addolora così con diletto?

 

Quale incantesimo raccontato dalla luna
libera la mia anima intera?
Oh, parlami! Svengo!
Cede in me il dominio sulla vita!

 

Io sono uno spirito lontano, perfino
nel luogo sentito di me stesso.
O fiume troppo sereno
per la mia tranquillità!

 

O mal di vivere!
O tristezza per un qualcosa!
O luna – dolore che mi dai la consapevolezza
di essere inutilmente re

 

Nel magico confine di un reame muto,
in una solitaria terra lunare!
O sofferenza di un flauto che muore
mentre vorremmo che continuasse a suonare!”

 

Incantesimo

 

“Dalla sponda dei sogni illuminata dalla luna
tendo le mani vinte verso te,
oh, declinanti altri fiumi
che gli occhi possano pensare di vedere!
Oh, incoronati con la luce dello spirito!
Oh, velati di spiritualità!

 

I miei sogni e i miei pensieri piegano
i loro stendardi ai tuoi piedi.
Oh, angelo nato troppo tardi
perché ti incontri un uomo affranto!
In quale nuova condizione dei sensi
potrebbero le nostre vite unite sentire tenerezza?

 

Quale nuova emozione devo
sognare per pensare che mi appartieni?
Quale purezza della lussuria?
Oh, cirri della vite
attorno alla mia vagheggiata speranza!
Oh, sogno – pigiato vino – anima!”