la «svalutazione dei valori» è diventata una «condizione normale»
«Ognuno è gli altri, nessuno è se stesso»
Ernst Jünger in Oltre la linea (1955) sviluppa una comprensione del nichilismo come espressione di una «svalutazione dei valori», diventata una «condizione normale», onniavvolgente e onnipresente. Per Jünger ogni contatto con l’assoluto è diventato impossibile o problematico. Lo scrittore tedesco distingue un nichilismo attivo e uno passivo, forte e debole, ma resta fedele ad una concezione del nichilismo che consente un contro movimento salvifico; Jünger pensa che sia possibile, in qualche modo, uscire fuori del nichilismo, andare «oltre» la «linea». Insomma, Jünger ha una visione ancora ottimistica del nichilismo, pensa ancora in termini di «superamento» e di «contro movimento» a partire dalla diagnosi di Nietzsche e di Dostoevskij. Jünger pensa sì, in conformità con Nietzsche, che ciò che sta per cadere deve essere lasciato cadere, anzi, aiutato a cadere, ma vede al termine di questa caduta, l’orizzonte di un cominciamento, di un «contro movimento», vede possibile l’attraversamento del nichilismo, che, insomma, la meta ultima si avvicina. Attraversare la «linea» significa giungere in una dimensione dove il nichilismo diventa una condizione normale e un aspetto normale della realtà. Dove tutto è in gioco, scrive, non si tratta di gettare ponticelli sopra l’abisso, non sono sufficienti le strategie di contenimento… Jünger raccomanda una sorta di «resistenza» che consenta, nel mezzo del nichilismo dispiegato, di trovare delle «oasi» di sopravvivenza, di libertà (la morte, l’amicizia, l’arte, l’eros) nelle quali coltivare territori di verginità della interiorità nelle quali l’individuo riesca a contenere l’avanzare del «deserto» del nichilismo. Ecco come Franco Volpi sintetizza la posizione di Jünger :
“Come in quest’epoca la poesia autentica si muove nelle prossimità del niente, parimenti nel campo dello spirito ogni sicurezza si fa problematica, si sgretolano le costruzioni sistematiche delle filosofie barocche e il pensiero va in cerca di nuovi appigli: la gnosi, i presocratici, gli eremiti della Tebaide. Il comune carattere sperimentale di pensiero e poesia corrisponde in modo essenziale alla situazione epocale del nostro tempo. In questo senso Jünger è solidale con la tesi heideggeriana della «viaticità» del pensiero, del suo essere continuamente «in cammino» per sentieri «interrotti», del suo orientarsi su semplici «segnavia»”.
Chi non ha sperimentato su di sé l’enorme potenza del niente
e non ne ha subìto la tentazione conosce ben poco la nostra epoca
Che cosa mai sarebbe servito dire ai Troiani mentre i palazzi di Ilio rovinavano,
che Enea avrebbe fondato un nuovo regno?
La difficoltà di definire il nichilismo sta nel fatto che è impossibile per la mente giungere
a una rappresentazione del niente. La mente si avvicina alla zona in cui dileguano
sia l’intuizione sia la conoscenza, le due grandi risorse di cui essa dispone.
Del niente non ci si può formare né un’immagine né un concetto.
Perciò il nichilismo, per quanto possa inoltrarsi nelle zone circostanti,
antistanti il niente, non entrerà mai in contatto con la potenza fondamentale stessa
allo stesso modo si può avere esperienza del morire, non della morte. 1]
La difficoltà di definire il nichilismo sta nel fatto che è impossibile per la mente giungere a una rappresentazione del niente.
La mente si avvicina alla zona in cui dileguano sia l’intuizione sia la conoscenza, le due grandi risorse di cui essa dispone. Del niente non ci si può formare né un’immagine né un concetto.
Perciò il nichilismo, per quanto possa inoltrarsi nelle zone circostanti, antistanti il niente, non entrerà mai in contatto con la potenza fondamentale stessa.
[Il nichilismo. Non serve a niente metterlo alla porta, perché ovunque, già da tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciò che occorre è accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia]
A Jünger risponde Heidegger nel 1960 correggendo il tiro e la gittata della sua riflessione sul nichilismo. Ma Heidegger pensa invece in modo più radicale il fenomeno del nichilismo che non può essere confinato in una sorta di «malattia» da cui se ne può uscire, in qualche modo, guariti dopo aver apprestato delle cure. Il filosofo tedesco pensa semplicemente che dal nichilismo non se ne esca affatto e che tutto sta nel prenderne atto. Sostare e camminare nel nichilismo, soltanto questo possiamo fare, e «soltanto un dio ci può salvare.
Il tentativo di attraversare la linea resta in balia di un rappresentare che appartiene all’ambito in cui domina la dimenticanza dell’essere. Ed è per questo che esso si esprime ancora con i concetti fondamentali della metafisica (forma, valore, trascendenza).
In che linguaggio parla lo schema fondamentale del pensiero che prefigura un attraversamento della linea? Il linguaggio della metafisica della volontà di potenza, della forma e del valore deve essere salvato al di là della «linea» critica? E in che modo, se proprio il linguaggio della metafisica e la metafisica stessa, sia essa del Dio vivente o del Dio morto, hanno costituito in quanto metafisica il limite che impedisce il passaggio oltre la linea, cioè l’oltrepassamento del nichilismo? Se le cose stessero così, l’attraversamento della linea non dovrebbe necessariamente implicare una trasformazione del dire, e richiedere un mutato rapporto con l’essenza del linguaggio? E ancora, il suo riferimento al linguaggio non è tale da richiedere anche da parte sua un’altra caratterizzazione del linguaggio concettuale delle scienze? Se spesso ci si rappresenta questo linguaggio come nominalismo, è perché ancora si rimane irretiti nella concezione logico-grammaticale dell’essenza del linguaggio.
Scrivo tutto questo in forma di domande, perché non vedo che cosa oggi un pensiero potrebbe fare di più se non pensare incessantemente su ciò che provoca queste domande. Forse arriverà il momento in cui, per altre vie, l’essenza del nichilismo si mostrerà più chiaramente e in una luce più viva. Per ora mi accontento di presumere che il solo modo in cui potremmo meditare sull’essenza del nichilismo sia quello di imboccare innanzitutto la via che conduce a una localizzazione dell’essenza dell’essere. Solo per questa via è possibile localizzare la questione del niente. Senonché, la questione dell’essenza dell’essere si estingue se essa non abbandona il linguaggio della metafisica, perché il rappresentare metafisico impedisce di pensare la questione dell’essenza dell’essere.
Dovrebbe risultare evidente che la trasformazione del dire che pensa all’essenza dell’essere è sottoposta ad altre esigenze che non al cambio di una vecchia terminologia con una nuova.
*
Ognuno è gli altri, nessuno è se stesso.
Il nichilismo. Non serve a niente metterlo alla porta,
perché ovunque, già da tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa.
Ciò che occorre è accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia.
(Martin Heidegger)
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Franco Volpi: «la poesia autentica si muove nelle prossimità del niente»
Ecco cosa scrivevo in una lettera postuma all’amico poeta Ubaldo de Robertis [qui sopra], dopo la sua dipartita:
Ecco, caro Ubaldo, il senso di quanto ti volevo dire…
io penso che dobbiamo giungere al punto che dobbiamo cessare di ragionare in poesia come se fossimo nel mezzo di un discorso politico che si fa nell’agorà, dobbiamo pensare più in grande e in altezza al discorso poetico come quel luogo nel quale cessiamo di ragionare con le categorie della metafisica che conosciamo. Soltanto così possiamo sperare di giungere al punto più alto di quella metafisica, quel punto, in cima ad una collina, dal quale lo sguardo può dilagare e osservare con distacco quanta strada abbiamo percorso, senza la presunzione di essere giunti al traguardo ma accettando quel limite che è interno al nostro guardare come al punto più alto cui possiamo tendere.
«Il più inquietante fra tutti gli ospiti», il nichilismo, è qui.)
io penso che dobbiamo accettare tutta la responsabilità del «niente» che ci sovrasta e ci sommerge, dobbiamo stare tutti quanti nella stessa barca anche in mezzo alle agitate onde del mare, dobbiamo prendere atto di questa situazione senza pensare di uscirne con dei giochi o dei mottetti di spirito come fanno i poeti deboli, i quali giocano con le parole come bambini pensando che il gioco li metta al riparo dai pericoli di essere sommersi dal mare. Questi sono semplicemente dei bambini che suonano le trombette e i tamburi mentre scrivono al pc le loro piccole poesie dello svago. No, io penso che compito del poeta sia lo stare «in cammino» senza illudersi di giungere ad una pur qualsivoglia oasi dove si possa sostare per riposarsi dal viaggio, no, questa è una mera illusione da spiriti deboli, noi non possiamo che continuare il nostro cammino, non ci è data altra scelta…
(Giorgio Linguaglossa)
il nihilismo è inoltrepassabile
Giacomo Marramao
Quello che Nietzsche chiama «oltrepassamento» (Uberwindung), per Heidegger altro non è che un «compimento» (Vollendung). E ciò per la semplice ma fondamentale ragione che il nihilismo è inoltrepassabile. Con identico schema, la morsa della tenaglia si stringe puntualmente anche sulla proposta jüngeriana di andare über die Linie, oltrepassando il «meridiano zero» del nihilismo: «Il tentativo di oltrepassare la linea», obietta Heidegger a Ernst Jünger, «resta in balia di un rappresentare che appartiene all’ambito in cui domina la dimenticanza dell’essere». Ogni tentativo di oltrepassamento della metafisica è per sua natura destinato a replicarne i caratteri, ridisegnando la traiettoria di quel paradossale cammino che si trova stranamente ricacciato in circolo. Da sempre inclusa nel nihilismo è, sotto questo profilo, ogni idea di redenzione: non solo in quanto si esprime con «i concetti fondamentali della metafisica (forma, valore, trascendenza») ma in quanto implica un’eccedenza energetica, dunque una potenza, tale da produrre una fuoriuscita dal tempo storico.
La formula chiave adottata al riguarda da Heidegger è che «il rovesciamento di una tesi metafisica rimane una tesi metafisica». Non si vede però perché mai una tale formula, nel suo carattere di pass-partout, non possa essere applicata anche al suo stesso pensiero della differenza ontologica, bollando così «la questione dell’essere» come mero «rovescio del guanto» della nomenclatura ontica. Una tale mossa vale, naturalmente, per quel che è: pura e semplice ritorsione. Essa appare tuttavia pienamente autorizzata dalla necessità di fronteggiare il dispositivo a tenaglia heideggeriano, facendo innanzitutto valere nei suoi confronti un contro-argomento decisivo: investire sempre e comunque l’errore della luce destinale della verità è un modo di neutralizzarlo, ribaltando così la questione della verità stessa in quella della legittimazione, in ultima analisi dispotica, di ogni «accadere».
(Giacomo Marramao Minima temporalia. Tempo spazio esperienza, luca sossella ed., 2005)
Letizia Leone con Pepito e, dietro, si notano Antonio Sagredo e Giuseppe Talia – Roma, Fiera del Libro, Convention Center,
8 dicembre 2017, Sala Marte, Presentazione della collana di poesia di Progetto Cultura e della rivista ‘Il Mangiaparole’
Letizia Leone
Due poesie inedite in tema “Nichilismo”
I
Non era terra. Era farina nera
dell’Impero scartata
allorché scavarono la galleria.
Qualche chicco calcareo strozzò la pinza.
Tutte le macchine del cantiere, allora,
si incepparono
nel dolore. Perché anche l’uva
rinvenuta ha un sottosuolo
di crateri e nodi.
Quel vino spento
lubrificò gli attrezzi
nel fianco chiuso dell’enorme sasso.
Polverizzata roccia
terra barbara
e denti d’oro
voltolarono
all’avviamento dei compressori.
II
Sacchi di sale.
Sacchi amari e calce bianca dirompente
Per costruire i solidi che credevamo
Monumenti.
Qualcuno o qualcosa ancora lavora
Alla salatura dei sassi. Ad allineare
I ciottoli bianchi asciutti
il suono raggelato di meteoriti marine.
Ma chi sfracella la pietra
(astrale inerte fisarmonica)
non sa che fu stata una cetra.