Franco Di Carlo, Poesia inedita, Il pensiero poetante, con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa – La verità è diventata precaria

Giorgio Linguaglossa
Tutto è in ordine nella casa.

 Franco Di Carlo (Genzano di Roma, 1952), oltre a diversi volumi di critica (su Tasso, Leopardi, Verga, Ungaretti, Poesia abruzzese del ‘900, l’Ermetismo, Calvino, V. M. Rippo, Avanguardia e Sperimentalismo, il romanzo del secondo ‘900), saggi d’arte e musicali, ha pubblicato varie opere poetiche: Nel sogno e nella vita (1979), con prefazione di G: Bonaviri; Le stanze della memoria(1987), con prefazione di Lea Canducci e postfazione di D. Bellezza e E. Ragni: Il dono (1989), postfazione di G. Manacorda; inoltre, fra il 1990 e il 2001, numerose raccolte di poemetti: Tre poemetti; L’età della ragione; La Voce; Una Traccia; Interludi; L’invocazione; I suoni delle cose; I fantasmi; Il tramonto dell’essere; La luce discorde; nonché la silloge poetica Il nulla celeste (2002) con prefazione di G. Linguaglossa. Della sua attività letteraria si sono occupati molti critici, poeti e scrittori, tra cui: Bassani, Bigongiari, Luzi, Zanzotto, Pasolini, Sanguineti, Spagnoletti, Ramat, Barberi Squarotti, Bevilacqua, Spaziani, Siciliano, Raboni, Sapegno, Anceschi, Binni, Macrì, Asor Rosa, Pedullà, Petrocchi, Starobinski, Risi, De Santi, Pomilio, Petrucciani, E. Severino. Traduce da poeti antichi e moderni e ha pubblicato inediti di Parronchi, E. Fracassi, V. M. Rippo, M. Landi. Tra il 2003 e il 2015 vengono alla luce altre raccolte di poemetti, tra cui: Il pensiero poetante, La pietà della luce, Carme lustrale, La mutazione, Poesie per amore, Il progetto, La persuasione, Figure del desiderio, Il sentiero, Fonè, Gli occhi di Turner, Divina Mimesis, nonché la silloge Della Rivelazione (2013) 

Giorgio Linguaglossa
il morto/ pensa e vive direzioni senza via

Il pensiero poetante

Tutto è in ordine nella casa. Gli umani
si avvicinano ai divini e al cielo, visitati
dalle cose. Insieme al mondo vengono
chiamati, si fanno vicini, si compongono
nella differenza, compiendo l’unità
nella divisione del dolore che riunisce.
Pura luce dorata acquieta e raduna,
raccoglie gli eventi al suono della quiete.
Indica il luogo del cammino del pensare
e del dire, l’osserva sorgere l’essenza
occulta. L’anima solitaria scende
al tramonto, nel fiume azzurro, tra verdi
rami intrecciati. Procede pallido il passo
del morto, oscuro e silenzioso, imbruna
il bosco, distrutto nell’ora crepuscolare.
Declina lieve il giorno e l’anno appare,
saldo ricordo del processo nella notte d’argento.
Scivola via il celeste oblìo nella sera autunnale.
Tenero riluce il suono chiaro e azzurro del fascio
sacro di fiori e di fiere, rigidi volti nella
muta potenza della pietra del dolore,
sfrenatezza dei sensi bestiali e dei sessi,
genere umano duale e abbrutito che cerca
in una mite duplicità, la giusta via,
della semplice unità. Nuova umanità
nasce perciò inseguendo l’Altro, quello
che è sparito via, in alto è partito.
Perduto nell’azzurro crepuscolo, scomparso
nella dolce sera vespertina tra pareti
lacerate, infuocate mura, putride querce.
Perviene a una parola nuova il volto nascosto
su cui meditano i filosofi e cambia senso
e forma su cui cantano i poeti, il loro
parlare conduce all’inizio il declino
della sera, dove tutto confluisce, è salvato
custodito preparato al nuovo giorno,
quando la parola dice il canto della partenza,
lo sguardo medita nel suo destino.
Folli sentieri in altri luoghi, il morto
pensa e vive direzioni senza via, segue
il mite fanciullino alla ricerca della quiete,
ora è dipartito nel mattino d’inverno
che raccoglie il placato e mite animale
che pensa, non ancora espresso pienamente
né ancora giunto al suo luogo d’origine.
Stirpe inquieta e disfatta, caduta antica,
bestia che si trasforma tra fredde oscure
selve metalliche, notturni boschi brucianti
smarriti tormenti, nella perduta via sporge
una figura umana? Di selvaggia natura
fatta di spine aggrovigliate, anima senza
cammino e senza vento nel nero sentiero
che il morto percorre nel buio velame.
Quando silenziosi, i dolci violini nel lago
stellato, tacciono i loro lamenti, s’ode
soltanto la fresca voce della luna e
il tenue dileguarsi dell’anima invernale
dell’anno spirituale, attinge la terra
e la sua linfa pura, umanità maledetta
e sfatta nella sua decomposizione, colpita
dal conflitto tra fratello e sorella.
Separati dagli altri, i viandanti seguono
il Diverso, discordia dirompente, cieca
donando calma e riposo all’arsura
e alla devastazione dell’invecchiato genere
umano, quando prende vita l’oscura forma
e la voce dorata dell’altro. Oltre il cimitero
silvestre ha attraversato il petroso ponte
purgatoriale sanguinante, lontani Miti
ormai dimenticati che raccontano strane leggende
di boschi fiumi laghi celesti e ninfe.
E’ passato al di là, senza morire, ma nella
vita del nulla lucente, un folle volo verso
l’inizio dell’essere ancora non nato
che conserva sereno la quiete della puerizia
spirituale, promettendo il risveglio in letizia
della stirpe impreparata e in disfacimento.
L’impronta azzurra di un bianco congedo straniero
tra gli umani, solo e pensoso, mite il suo
distacco navigando dolcemente, nulla detraendo
al vero, sulla barca dorata un unico
sentiero che porta alla giustizia. Un tempo
unico, singolare, i cui giorni tutti conducono
alla partenza senza svolgimento né durata
o successione. Un avvenimento primordiale
di ciò che è andato e raccoglie il presente
e lo nasconde nel lago di stelle mattutine,
pazienti sorelle della notte e del suo silenzio.
Pallido ricordare di venti leggeri e dormienti
che alimentano la Fiamma che arde e dà
luce, tormenta, incenerisce e risplende,
indica il cammino verso il linguaggio.
Una vita nuova.

Giorgio Linguaglossa
da sx Franco Di Carlo e Giorgio Linguaglossa, Roma, 2017 Biblioteca Rispoli

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

Nell’era della mediocrazia ciò che assume la forma di messaggio viene riconvertito in informazione, la quale per sua essenza è precaria, dura in vita fin quando non viene sostituita da un’altra informazione. Il messaggio diventa informazionale e ogni forma di scrittura assume lo status dell’informazione quale suo modello e regolo unico e totale. Anche i discorsi artistici, normalizzati in messaggi, vengono  silenziati e sostituiti con «nuovi» messaggi informazionali. Oggi si ricevono le notizie in quella sorta di videocitofono qual è diventato internet a misura del mouse. Il pensiero viene chirurgicamente estromesso dai luoghi dove si fabbrica l’informazione della post-massa mediatica. L’informazione abolisce il tempo e lo sostituisce con se stessa.

L’atto dello scrivere, corre sempre il rischio di porsi come invasione dello spazio della scrittura da parte del soggetto, corre sempre il rischio di trasformarsi in immagine intransitiva, positiva, autoreferenziale, di risolversi in una retorizzazione del soggetto. Dinanzi alla poesia «in vitro» di oggi potremmo parlare di un pensare scrivendo; in ogni scritto si celano due testi: uno esplicito e l’altro segreto, due inseparabili dimensioni: il testo «in chiaro» e la sua dimensione «nascosta».

Aristotele ha sostenuto che i segni scritti sono immagine di ciò che «è nella voce», Platone invece come ha rilevato Derrida, ha presentato il discorso orale come ripercussione di una inattingibile archi-scrittura al di qua della voce sensibile, una archiécriture che è la poesia stessa nell’atto del suo prendere forma. Per contro, la scrittura che «appare» non può che agire quale «comunicazione del comunicabile», come affermò genialmente Walter Benjamin, ossia corre sempre il rischio di essere mera trasmissione e pubblicizzazione di significati attraverso i suoi segni pubblici. Penso a certa ingenua immediatezza di certa  «scrittura poetica» di oggi che pensa ancora possibile e attingibile la scrittura poetica come eloquio frontale confessionale. È qui, a mio avviso, in questa impostazione categoriale aporetica e ingenua, che sussulta e frigge, qui è la posizione della poesia che si fa oggi in Italia, in questa oscillazione tra una archiscrittura (celata) e una scrittura dell’immediatezza manifesta. La «poesia» che si fa oggi è talmente eloquente non si pone più il problema della poiesis.

Giorgio Linguaglossa
da sx G. Linguaglossa, D.C. Giancaspero, F. Di Carlo, e S. Caronia

Per Franco Di Carlo la poesia intesa come «pensiero poetante» è sempre una idea di scrittura anche quando essa assume la forma manifesta del parlato o del colloquio «sublime» sulle cose della «terza navigazione», in realtà si tratta di un’altra lingua, diversa da quella che usiamo tutti i giorni. La poesia è per Franco Di Carlo sempre un «pensiero poetante», è un «cammino verso il linguaggio», è un linguaggio che deve essere trovato.

Il discorso «manifesto» non può comunicare pubblicamente i suoi messaggi se non si è già attivata la misteriosa danza dell’invisibile idea di scrittura. Ogni poesia non può non tendere l’orecchio  dell’ascolto del segreto di quella danza nascosta. Ogni poesia è un porre in atto mediante la voce e le parole ciò che è affetto da secondarietà. Franco Di Carlo ne è consapevole e si comporta di conseguenza, evitando di cadere nell’errore di credere che la poiesis offra la garanzia di primarietà; non si dà alcuna primarietà, lo stesso «pensiero poetante» viene attinto dalla secondarietà. È questo credo l’aspetto saliente nella operazione del poeta di Genzano, iniziata nel 1979 e tuttora in corso, e questa sua fedeltà alla propria ricerca è il suo miglior pegno di autenticità.

La «nuova ontologia estetica», almeno questo è il mio pensiero, non è né una avanguardia né una retroguardia, è un movimento di poeti che ha detto BASTA alla deriva epigonica della poesia italiana che durava da cinque decenni. Deriva da un atto di sfiducia (adoperiamo questo gergo parlamentare), dalla decisione di sfiduciare il governo parlamentare che durava da decenni nella sua imperturbabile deriva epigonica. Occorreva dare una svolta, imprimere una accelerazione agli eventi. E deriva da un atto di fiducia, fiducia nelle possibilità di ripresa della poesia italiana.

L’acmeismo, per esempio, non è stato un movimento di avanguardia o di retroguardia, è stato qualcosa di diverso e di proficuo se ha battezzato poeti come Mandel’stam, Achmatova, Chodasevich, Gumilev e altri… e la sua importanza va molto oltre il valore dei singoli poeti protagonisti di quella stagione letteraria, quindi anche qui non bisogna fare di tutte le erbe un fascio. Senza Mandel’stam non ci sarebbe stato un Milosz, un Celan, e qui da noi un Ripellino, il modernismo europeo senza i poeti russi dell’acmeismo perderebbe il 50 per cento della sua influenza.

È proprio questo uno dei punti nevralgici di distinguibilità della «nuova ontologia estetica»: abbiamo introdotto nell’immobilismo della poesia italiana la «rottura», anche se sappiamo bene che il tempo non si azzera mai e la storia non può mai ricominciare dal principio. Tuttavia, in certi momenti storici, dobbiamo mettere da parte un concetto estatico e normalizzato del tempo e ricominciare da principio, il che non equivale alla parola d’ordine di porsi in posizione di avanguardia; sia l’avanguardia che la retroguardia sono concetti della domenica delle Palme; bisogna invece «spezzare» il tempo, introdurre delle «rotture», delle «distanze», sostare nella Jetztzeit, il «tempo-ora», spostare, lateralizzare i tempi, moltiplicare i registri linguistici, diversificare i piani del discorso poetico, temporalizzare lo spazio e spazializzare il tempo…

Occorre una «nuova poesia», una poesia che abbia alle spalle una serrata critica dell’economia estetica…

Ovviamente, ciascuno ha il diritto di coltivare il proprio orticello, coltivare l’ordine unidirezionale del discorso poetico come l’unico ordine e il migliore, ci mancherebbe, obietto soltanto che la nostra (della «nuova ontologia estetica») visione del fare poetico implica il principio opposto: non una unidirezionalità del tempo lineare e della linearità sintattica ma una molteplicità dei «tempi» e degli «spazi», il «tempo interno» delle parole, le «linee interne» delle parole piuttosto che quelle esterne; il soggetto e l’oggetto spazializzati e temporalizzati; il «tempo» del metro a-metrico, delle temporalità non-lineari ma curve, confliggenti, degli spazi temporalizzati, delle temporalisation, delle spazializzazioni temporali. Una poesia incentrata sulle lateralizzazioni del discorso poetico. Ma qui siamo in una diversa ontologia estetica, in un altro sistema solare che obbedisce ad altre leggi. Leggi forse precarie, instabili, deboli, che non sono più in correlazione con alcuna «verità», ormai disabitata e resa «precaria».

La verità, diceva Nietzsche, è diventata «precaria».