Mauro Pierno, Il Fattore T. (tempo) nella poesia – Poesie inedite – Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa – Il mondo è una Nutella spiaccicata sul disordine della razionalità globale – Il diario desultorio e sussultorio dell’esserci

Giorgio Linguaglossa

Mauro Pierno, nato a Bari nel 1962, vive a Ruvo di Puglia. Autore di testi teatrali, scrive poesia da diversi anni. È vincitore della terza edizione del premio di poesia organizzata  dall’A.I.C.S. “G.Falcone” di Catino (Bari). Animatore culturale. È presente nell’antologia – il sole nella città -2006 La Vallisa, Besa editrice, sue poesie sono presenti in rete su Poetarum Silva LITblog, Critica Impura, Pi Greco Aperiodico di conversazioni Poetiche. Promuove in rete il blog “ridondanze”. Nel 2017 ha pubblicato  nella collana “I Quarzi” la prima raccolta in versi  “Ramon” con Terra d’ulivi edizioni.

 

Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa

 

Il diario desultorio e sussultorio dell’esserci

 

Queste poesie scritte sotto l’influsso della nuova ontologia estetica segnano davvero un fatto nuovo nella poesia di oggi, un passo in avanti rispetto alla precedente poesia di Mauro Pierno in quella coabitazione spaesante di tutti i fattori linguistici tipica della sua poesia; qui davvero i polinomi frastici e antifrastici collidono e litigano, eteronomi e transeunti come del resto ogni cosa del nostro mondo che va a formare il diario desultorio e sussultorio dell’esserci.

 

Innanzitutto, sembra essersi dileguato da questa poesia il Fattore S. (sostanza), almeno nella concezione di quella «cosa» che si vuole eguale a se medesima, conciossiacosaché con essa si dilegua anche l’«essenza» del mondo, in consonanza con quanto afferma Wittgenstein: «ciò che appartiene all’essenza del mondo il linguaggio non lo può esprimere», potendo esso esprimere solo l’effettiva sostanzialità data dagli oggetti, in quanto «gli oggetti formano la sostanza del mondo».1] Vengono così a depauperarsi in questo genere di poesia «le abbondanze rimetiche,/ i riverberi, le incontinenze,/ dichiarare l’inutilità del verso», viene insomma ad essere perento tutto un arsenale di tropi e di tropismi della tradizione novecentesca, anche la stessa certezza del discorso poetico qui viene ad essere infirmata, essendo, in fin dei conti, la poesia nient’altro che aporia. Questo per dire che è caduta, probabilmente per sempre, la visione di una contemplazione tipica del pensiero identificante che costruisce le forme rassicuranti dell’esserci e della sua abitazione nella casa dell’esserci, essendo il mondo una Nutella spiaccicata sul disordine della razionalità globale.

 

Giorgio Linguaglossa

 

La problematica del Fattore T. (tempo) è anch’esso centrale nella «nuova poesia» di derivazione ontologica.

 

Qui Mauro Pierno si arrischia a scrivere una poesia fatta tutta tra i ritagli del «presente», una poesia irriflessiva, estemporanea, casuale… si badi, non affatto parole in libertà quanto parole tra le fessure del presente, che galleggiano nel presente. Cosa affatto semplice. Anche questa è una modalità per catturare il Fattore T, il tempo, il quale, nella sua essenza, è composto di un non-tempo.

 

Io, per esempio, adotto un’altra strategia. Lascio le mie poesie per molti anni semivive, nella mia memoria  e fuori della mia memoria (due modi di esistenza del fattore T.); in questo modo, la poesia resta aperta come sul tavolo dell’obitorio, dissezionata… All’improvviso, accade durante gli anni che varie esperienze di letture e di vita mi portano nuovi stimoli, nuove idee, nuove frasi che mi chiedono di entrare in quella o in quell’altra poesia… Così le mie poesie crescono e concrescono, come foreste tropicali, grazie all’ausilio attivo del Fattore T.

 

In questo mio lavoro di attivo coinvolgimento del Fattore T., il tempo interviene attivamente, si introduce nella casa linguistica come un padrone; io, il mio Ego, si è nel frattempo fatto da parte, anzi, è stato fatto sloggiare. Adesso la casa linguistica è abitata solo dal Fattore T., è esso che guida la composizione verso il suo sviluppo. Qualche giorno fa, ascoltando delle canzoni jazz della cantante svedese Gunhild Carling con la sua band straordinaria, ho avuto in regalo la visita del Fattore T.: molti spezzoni di frasi hanno bussato alla porta delle mie case linguistiche ed hanno chiesto di entrare, alcune sono entrate di prepotenza senza neanche bussare o chiedere permesso; sono loro, mi sono detto, i veri padroni delle mie case linguistiche!.

 

Invece, Mauro Pierno procede in modo opposto, vuole abitare esclusivamente tra i ritagli del «presente»; ma, caro Pierno, il «presente» assoluto non esiste!, questo lo sappiamo da Agostino di Ippona e da Derrida i quali hanno fatto una disamina precisissima della inesistenza del «presente»; anche Husserl ha precisato che il «presente» in sé non esiste, che il «presente» è fatto di un «non-presente»… E allora cosa dovremmo dedurne? Che la poesia di Mauro Pierno non esiste? In effetti è così, la poesia di Mauro Pierno, nei suoi momenti più riusciti, è fatta di presente e di non-presente, di presenza e di assenza.

 

È proprio questa l’aporia della «cosa» di cui ho parlato altre volte: la «cosa» che esiste soltanto nel «presente», o che addirittura è scomparsa dal «presente» perché si è perduta, è andata distrutta, è stata rubata etc… ecco, dicevo, quella «cosa» misteriosa è una insopprimibile aporia del mio pensiero, sta qui e non sta qui, è nella mia memoria e non più nella mia memoria… c’è e non c’è, è qualcosa di incontraddittorio che chiama la massima contraddittorietà…

 

Per fare un esempio diverso: la poesia di Donatella Costantina Giancaspero è tutta basata su fotogrammi impressi nella memoria. Si tratta di ricordi che sono stati elaborati dall’inconscio e che si sono fissati, raggelati. In quei fotogrammi il Fattore T. è stato raggelato, fermato, se ne sta lì, immobile, tagliato fuori dalla vita reale, dall’esistenza nel presente (che è formato da un non-presente). Il lavoro della poetessa si muove «attorno» e «dentro» questo fotogramma, gli dà uno sviluppo metaforico e metonimico. La metafora e la metonimia sono i due binari lungo i quali si sviluppa la sua poesia, sono i trasformatori che traslocano la pulsazione debole del fotogramma-rammemorazione in icone linguistiche, in segni, in parole. È una strategia di cattura del Fattore T., (il tempo). Il tempo viene messo in scatola, viene inscatolato, e così neutralizzato. E questa è ancora un’altra procedura tipica della sensibilità della «nuova ontologia estetica». Non più una poesia a pendio elegiaco come quella della tradizione del novecento italiano ed europeo, ma una poesia della pianura della prosa, una poesia alla maniera di Katarina Frostenson,  Peter Kral, che impiegano fraseologie piane, ipotoniche, lessico basso e raffreddato, ritmi ipotonici, toni cloridrici, ma che può impiegare anche ritmi compulsivi e spezzati del jazz come questa di Mauro Pierno…

 

La forma predicativa per eccellenza del pensiero identificante nella poesia di Mauro Pierno o di Donatella Costantina Giancaspero, che  si rinviene nella copula «è», è rarissima in quanto la loro poesia è il prodotto di una predicazione non identificante: ovvero, «è» equivale a «non-è». Quando e nella misura in cui ciò riesce, nella poesia scatta la molla del Fattore S. (Sorpresa), del fattore spaesamento. La poesia di Pierno  si ciba di questo continuo spaesamento sbalordimento e stupefazione delle forme espressive. È il suo punto di forza.

 

Giorgio Linguaglossa

 

Giorgio Linguaglossa 
23 dicembre 2017 alle 12:15 
La linea della minima resistenza nella poesia di Mauro Pierno

 

Scrive Roman Jakobson:

«Vi sono poesie che sono tutte intessute di metonimie, e la prosa narrativa può essere costellata di metafore… ma in fondo l’affinità del verso con la metafora e della prosa con la metonimia è senza alcun dubbio più stretta. Il verso poggia sull’associazione per somiglianza, la somiglianza ritmica dei versi è un presupposto indispensabile per la loro ricezione, il parallelismo ritmico viene percepito nel modo più vivo se esso è accompagnato da una simiglianza (o da una contrapposizione) delle immagini. La prosa non conosce un’articolazione volutamente vistosa in segmenti di uguali caratteristiche, l’impulso fondamentale della prosa narrativa è l’associazione per contatto».2]
Ecco, siamo arrivati al punto. La poesia di Mauro Pierno nasce e si muove da una associazione per contatto, vuoi per il contatto elettromagnetico con la poesia della «nuova ontologia estetica», vuoi per il contatto elettromagnetico con altri testi, nel caso di queste poesie, con un testo teatrale di Edoardo De Filippo.
Ora, queste contaminazioni per contatto, sono un caso molto frequente nella poesia degli autori della «nuova ontologia estetica», e questo non è senza significato. Come in ogni meteora che si va formando anche la poesia di Mauro Pierno si ingrossa a contatto con i gas e le piccole meteoriti che galleggiano nello spazio galattico. In questo spazio, l’associazione per contatto è il modo più proficuo e più rapido per trarre spunto dalla poesia del vicino di casa. In questo tipo di poesia, il «presente» (ovvero, l’istante, l’adesso-ora), regna sovrano (è lo stesso Mauro Pierno che lo dice e lo ripete). Il contatto genera attrito, scintille e, infine, combustione dei materiali infiammabili. E sappiamo quanto la materia poetica sia, per definizione, un materiale altamente infiammabile!

Ci soccorre ancora una volta Jakobson con un’altra osservazione particolarmente brillante:

 

«La linea della minima resistenza è costituita per la metafora dal verso e per la metonimia dalla prosa il cui soggetto sia smorzato o rimosso…».3]

 

Mauro Pierno trova giovamento da questa «linea della minima resistenza» perché proprio lì trova l’energia per lo slancio delle sue poesie, le quali hanno necessità di una spinta, di una forza applicata per iniziare la loro navigazione inerziale.

 

1]L. Wittgenstein, Osservazioni filosofiche, Torino, Einaudi, 1976, p. 40

 

2] Roman Jakobson, Note sulla prosa di Pasternak in Poetica e poesia, trad it. Einaudi, 1985 p. 65

 

3] Ivi, p. 66

 

Giorgio Linguaglossa

Mauro Pierno

 

Mauro Pierno
Abbiamo bisogno di nuovi miti
22 dicembre 2017 alle 18:42

 

Il tempo stesso presente è azione incondizionata. “Questo Natale si è presentato come comanda Iddio”… La poesia dimostra con la sua esistenza la storia…”Co’ tutti i sentimenti si è presentato! “Il passato è esistenza viva da salvaguardare.

Il poeta combatte con il proprio metodo questo presente inesistente che si sfalda inesorabilmente.”Fa freddo, fa freddo, il freddo non l’ho inventato io.”

L’aporia non l’ho inventata io, come l’inverno di Luca Cupiello, “fa freddo…”.
Lo deve fare, è il tempo suo.

“Il advient que notre coeur soit comme chassé de notre corps.
Et notre corps est comme mort.”

“Avviene che il nostro cuore sia come
cacciato dal corpo. E il corpo
è come morto.”
Due rive ci vogliono.

(René Char- traduzione di Vittorio Sereni)

 

*i titoli di questa piccola silloge sono tratti dal testo Natale in casa Cupiello
di Eduardo De Filippo.

 

*

 

“È incominciato il telegrafo senza fili”

 

Evidentemente come gli occhi socchiusi
che piangono, che a mente
ricordano i sogni, la vita,
la tua, Francesco, un breve scroscio divenne.
Mista così ad una giornata
di sole, la pioggia, che riconoscesti
acerba, fugace.

 

*

 

“Sei vecchia, ti sei fatta vecchia!”

 

Artistica sei
come la Maraini,
la Wertmüller,
gli occhiali sulla fronte di Squitieri,
immodificabili;
tu però anche
ti porti in fronte
la voglia matta della vecchiaia,
il sigillo canuto, lo strazio,
il canto, la voce amara di un sorriso
pieno, un cuore aspro solo
umano, in comunicato
solenne, sincera
dimenticanza d’esistere.

 

*

 

“Conce’, fa freddo fuori?”
Quella mano che non ritrovo
quando a letto ti accarezzo
ed i piccoli tizzoni dei tuoi piedi
che trattengo a stento,
sono le stesse smozzicate parole,
amore, che assidero
burbero, silenzioso, assuefatto.
“Fa freddo fuori ?”.
La sostanza non cambia,
sto a ripetermi che nulla accanto
mi appassiona, eccetto te,
e non so spiegartelo!

 

*

 

Giorgio Linguaglossa

 

“Scetate, songh’ e nnove”


Stamani raccolti nelle
pieghe delle mani addormentate,
ripristina i tuoi sogni,
soddisfa appieno il dolore
che sopravviene, cosi come
la luce, scopriti, rianimati.
Di sovrumana eccitazione
perdurano le nostre ore;
semmai dovessi accorgerti del tempo,
a tempo respirerai.

 

*

 

“O Presepio… Addò stà o Presepio?”

 

Intanto un sogno hai lasciato
che al mattino svelandosi
hai rivestito. Un corpo fantasma,
ridicolo, inanime, esangue sostanza.
Colpendolo al volto
e più volte sul corpo
nemmeno una lacrima
un rivolo strano.
Sopravvivi di certo,
la sostanza non cambia,
passeggiando con accanto
un pullecenella di pezza.

 

*

 

“O Presebbio!?

Chi è stato che ha scassato o’ Presebbio?”

 

Quante sconfitte allineate
cadenzano; frammentano
la via e sono pure rovine
quelle che addentrandoti scopri.
Trascini sequenze d’immagini
e la sofferenza perdura
e non vengono volti
non vengono visi a rallegrarmi.
Cade perenne quest’ultimo urlo
che un cuore sepolto
palpita invano. La regola
aura son costruzioni di
sangue & mattoni,
– vie Falcone e Borsellino -; eppure
risuonano alti i boati,
gli asfalti divelti.
Rammento soltanto
un silenzio di polvere
pulviscola quiete, acquiescente &
sparsa.

 

*

 

“-…ma tu faie overamente?
-Faccio overamente!”


E questa è una rivoluzione
fanno, overamente.
Di impegno entro venerdì,
caro Leopoldo,
lo smantellano il Senato,
fanno overamente;
ci toccherà allora rivedere
i parametri, i confronti,
le misure anche della poesia
ed abbattere, sfoltire
i rami secchi,
le abbondanze rimetiche,
i riverberi, le incontinenze,
dichiarare l’inutilità del verso
a verso avverso e nella nota
della salute appuntare pure “però
con qualche malattia!”

 

*

 

“Questo è un altro capolavoro tuo!”

 

Imminente lo sguardo
che ti coglie impreparato
ad osservarli adulti
già belli & cresciuti
così come semi dispersi
che giorni addietro spargesti e che
invero sopraggiunsero come
rami e tronchi ad osservarti;
chiome altissime perturbate,
remote radici, vaganti vagiti
urla di incolpevoli refoli:
allora ferirvi non era dolore
ma un perpetrare d’amore
che sopraggiungeva a strati
decomposto, vivo.

 

*

“Niculì, questo poi…
è materia tua, te ne intendi: è corno vero.”

 

L’odore fuori era di mare assolato
ed arancione, l’aria propensa d’un
adulterio salmastro e
sebbene t’avessi vista e
d’accorgermi non ne avevo voglia,
stropicciandomi gli occhi,
senza sconvolgermi rinveniva
adagio incombente una marea
antica, una canzone, mi tradivi.

 

*

 

“Aspetta Pasca’… Stuta, stuta: sta parlanno”

 

Dalla tua bici
cadendo poi
non è così difficile
mi dirai di certo
che è anche facile
simulare, adagiarsi e scomparire.
Dalla tua bici
così vicino
casuale il trapasso
un passo breve
ridicolo, accidentale.

 

*

 

“E mettece duie pastore ncoppa, come vanno vanno”

 

Si è fatta polvere
anche la nostra verità
fastidiosa tra noi
ed impalpabile. Una costante
di punti, inafferrabile,
il tempo univoco dell’inesistenza.
Abbiamo mani e piedi
di un mammifero errante,
la blasfemia dell’informatico.
Proteggici ovunque.