Francesco Gallieri, Poesie inedite da Trascendenza del π greco – Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa

 

Francesco Gallieri, imprenditore e libero professionista, ha praticato e pratica l’ingegneria chimica dei prodotti solidi. Ha pubblicato, per i tipi di Elmi’s World, il suo primo libro di poesie Fuori dal coro. È fotografo, ha vinto fra l’altro il premio come miglior foto naturalistica al 13° Concorso Nazionale San Simone di Mirabello e come miglior foto di carro allegorico al 9° Trofeo Nazionale del Carnevale di Cento. Dipinge al computer con lo pseudonimo OPENHARTIG.

 

Francesco Gallieri è un ingegnere, lui che coabita con la matematica non fa fatica e coabitare anche con la poesia, la poesia è come quel π, un numero irrazionale; «il π in matematica è definito trascendente, cioè un numero non algebrico – il che fra l’altro rende impossibile la cosiddetta quadratura del cerchio- spiega l’autore nella nota in premessa – Trentanove cifre decimali di π sono sufficienti a calcolare la circonferenza di un cerchio che circonda tutto l’universo conosciuto, con un errore non superiore al raggio di un atomo di idrogeno.»

 

Ma è quella asimmetria, quella interruzione della simmetria, quella simmetria azzoppata ciò che interessa il poeta ingegnere: come sia possibile quella irregolarità dei numeri irrazionali, quella irrazionalità che attecchisce all’intero universo.

 

Negli anni cinquanta il musicista statunitense Morton Feldman, morto nel 1988, parlava di «asimmetrie» e di «crippled simmetry», della «memoria» «crippled»; e che cosa sono queste cose se non quello che noi della nuova ontologia estetica chiamiamo «frammenti»?, ovvero, delle unità interrotte, dei sintagmi spezzati, snodati, disarticolati, delle icone vuote, dei surrogati frastici…  La grande arte del novecento ha saputo fare tesoro di questi inciampi, di questa smagliature del reale e dei sistemi segnaletici nell’arte figurativa, nella musica, nel romanzo e nella poesia. Gallieri forte di queste convinzioni fa di questi azzoppamenti della simmetria, delle dismetrie il suo punto di forza nella convinzione che la poesia italiana del secondo novecento è rimasta legata ad una visione pacificatrice e unilineare della poesia con il suo verso lineare di matrice «zdanoviano-pretesca» secondo la pittoresca espressione di Maria Rosaria Madonna perché segue docilmente la struttura del tempo cronometrico.
Feldman sosteneva che quando si fa una musica della memoria bisogna introdurre una «disorientation of memory». L’osservazione coglie in pieno il centro del bersaglio concettuale: la «crippled simmetry» e la «memoria» «crippled» indicano che nell’arte di moderna la simmetria non può che essere «crippled». Che cosa significa? Significa che in un’opera d’arte che si fa oggi nel Dopo il Moderno, l’invariante stilistica è data dalla «memoria azzoppata», interrotta, deviata, intermessa, lateralizzata, o come altro vogliamo indicarla… il punto centrale è inserire tra le cerniere della sintassi (i verbi) e tra gli elementi connotativi (gli aggettivi), tra i sintagmi denotativi, delle interruzioni, degli azzoppamenti, degli squilibri delle dismetrie… pena la ricaduta in un linguaggio da realismo mimetico, nella poesia convenzionale che riposa sulla sicurezza della tradizione e della convenzione letteraria. Scrive Gallieri:

 

La coscienza e il sé
sono soltanto effetti secondari,
epifenomeni.

 

Ma la realtà che oggi la fisica – quantistica – ci impone è stocastica, discontinua, dislocata.

 

La poesia di Francesco Gallieri, che qualcuno ha definito «tellurica», lo è rispetto alla piatta leggibilità di certa poesia contemporanea; è una poesia nuova e antica insieme: «antica» perché recepisce secoli di cultura letteraria, e «nuova» per via della collisione tra cultura letteraria e cultura scientifica, ed è da questa collisione che nascono bagliori di intensa significazione. Prendiamo ad esempio questi versi:

 

che il collasso della funzione d’onda
che determina il mondo macroscopico
sia da assegnare a una coscienza universale
che informa il tutto,
che mette insieme immanenza e trascendenza,
scienza e religione.

 

L’autore riprende una delle ultime teorie scientifiche del «collasso della funzione d’onda», quella «funzione» che permetterebbe alla materia e alla luce e ad altro di percorrere distanze siderali in quanto è predisposta nell’etere una, come dire, strada, diciamo così, privilegiata che, come binari ferroviari, sostengono il treno del movimento delle particelle nel cosmo; ma quel sintagma «collasso della funzione d’onda» è anche una potente metafora poetica che apre nuovi spazi alla significazione estetica. Ecco finalmente un poeta che ci ragguaglia non su fittizie problematiche dell’io ma su questioni che hanno un stringente attualità teoretica e pratica.

 

«Scopo della poesia è suscitare emozioni, non soltanto ovviamente in chi le scrive ma anche in chi le legge, altrimenti è soltanto sterile onanismo letterario», scrive l’autore; asserzione ineccepibile beninteso, ma a patto che le emozioni estetiche siano il risultato di un lavoro fatto sull’oggettività del linguaggio, sulla sua natura non estetica.

 

 La poesia di Gallieri è intensa, atipica, ben diversa dall’anemico linguaggio della poesia massmediatica che va di moda oggi, e chissà che nel prossimo futuro non possa contribuire a  rinvigorire i serrati ranghi della «nuova ontologia estetica».

 

(Giorgio Linguaglossa)

 

Giorgio Linguaglossa

 

Nota introduttiva dell’Autore

 

Nella geometria euclidea la costante Pi greco (π) è definita come il rapporto fra la misura della circonferenza e la misura del diametro di un cerchio, indipendentemente dal cerchio scelto.

 

In matematica il π viene definito come un numero irrazionale. Ciò significa che dato il valore di un diametro il valore della corrispondente circonferenza non potrà mai essere calcolato esattamente qualunque sia il numero delle cifre usate, e, ovviamente, il viceversa. 
In più, il π in matematica è definito trascendente, cioè un numero non algebrico – il che fra l’altro rende impossibile la cosiddetta quadratura del cerchio. I numeri trascendenti devono il loro nome al matematico Eulero che, riferendosi ad essi, ebbe a dire: “questi numeri trascendono il potere dei metodi algebrici”

 

Trentanove cifre decimali di π sono sufficienti a calcolare la circonferenza di un cerchio che circonda tutto l’universo conosciuto, con un errore non superiore al raggio di un atomo di idrogeno. Prime trentanove cifre decimali del π:

 

3.141592653589797323846264338327950288420

 

Poesia sul π  di Wislawa Szymborska

 

Segno di meraviglia è il numero π
tre virgola uno quattro uno.
Le sue cifre seguenti sono ancora tutte iniziali,
cinque nove due, perchè non ha mai fine.
Non si fa abbracciare sei cinque tre cinque con lo sguardo,
otto nove con il calcolo,
sette nove con l’immaginazione,
e neppure tre due tre otto per scherzo, o per paragone
quattro sei con qualsiasi cosa
due sei quattro tre al mondo.
Il più lungo serpente terrestre dopo una dozzina di metri s’interrompe.
Così pure, anche se un po’ più tardi, fanno i serpenti delle favole.
La fila delle cifre che compongono il numero π 
non si ferma al margine del foglio,

 

riesce a proseguire sul tavolo, nell’aria,
su per il muro, il ramo, il nido, le nuvole, diritto nel cielo,
per tutto il cielo atmosferico e stratosferico.
Oh come è corta, quasi quanto quella di un topo, la coda della cometa!
Quanto è debole il raggio di una stella, che s’incurva nello spazio!
Ed ecco invece due tre quindici trecento diciannove
il mio numero di telefono il tuo numero di camicia
l’anno mille novecento settanta tre sesto piano
numero di abitanti sessanta cinque centesimi
giro dei fianchi due dita una sciarada e una cifra,
in cui vola vola e canta, mio usignolo
e si prega di mantenere la calma,
e così il cielo e la terra passeranno,
ma il π no, quello no,
lui sempre col suo bravo ancora cinque,
un non qualsiasi otto, un non ultimo sette,
stimolando, oh sì, stimolando la pigra eternità
a durare.

 

Oltre al significato di “trascendente” in ambito matematico, il termine trascendente nel suo significato etimologico viene attribuito a ciò che è al di sopra dell’esperienza sensibile. In questo ambito il cerchio, e il π che ne è il simbolo, rappresenta l’infinito e non misurabile mondo trascendente, mentre il quadrato rappresenta il manifesto, misurabile ed immanente mondo reale. 

 

Per Jung il cerchio è l’immagine archetipa della totalità della psiche, del Sé, contrapposto al quadrato, simbolo della materia, della realtà, del corpo. Essa è l’immagine dinamica del passaggio tra terra e cielo, tra imperfetto e perfetto, dell’aspirazione a un mondo superiore.

 

E il compito di “far la quadratura del cerchio”, cioè di trasformare un cerchio in un quadrato della stessa superficie, sintetizza gli inutili sforzi dell’uomo per raggiungere conoscenza e qualità divina.

 

E ancora, il filosofo neoplatonico Niccolò Cusano paragona la conoscenza della verità a una circonferenza in cui è inscritto un poligono, i cui punti di contatto con la circonferenza rappresentano la conoscenza umana. L’uomo cerca di raggiungere la verità aumentando i lati del poligono, cioè aumentando i punti di contatto, senza però che mai sia possibile far coincidere il poligono con la circonferenza.

 

Giorgio Linguaglossa
Punto,/ che contiene tutte le forme,/ primigenio

I – Geometria

 

Punto,
che contiene tutte le forme,
primigenio,
ma che non puoi conoscere,
non puoi misurare.

 

Per la misura occorre un movimento, 
un atto che proceda alla manifestazione.
Il risultato è la linea, 
proiezione del punto all’esterno di sè, 
da potenzialità ad atto compiuto. 
Il moto arriva – con infinite possibilità – a un nuovo punto.
Il movimento del nuovo punto, 
indissolubilmente legato al primo, 
non può che generare un cerchio.
Il cerchio è unità conclusa in sè, 
racchiude l’unità perfetta del punto di origine, 
non ha inizio nè fine, semplicemente è,
ed è misura di tutte le cose.

 

 

II – Campo di punto zero

 

Nella misteriosa fisica dei quanti
quattro salti all’indietro e uno avanti
se credi che il vuoto 
indeterminato
sia privo del vigore ed energia
di strane coppie che incessantemente
si distruggono l’un l’altra
nel balletto
virtuale ma reale,
vibrando alla frequenza
che più gli fa piacere,

 

non sei aggiornato,
informato,
up-to-date.

 

Non capisci
che l’energia di punto zero
è la più bassa possibile in natura
ma integrata
è la più grande enorme e spaventosa
che un volume possa contenere.

 

Se sei confuso
puoi sempre rivolgerti alla rete,
che ti chiarirà,

 

al passo coi tempi,

quanto fuorvianti
fossero Newton Einstein Darwin e Descartes,

 

ti farà capire il mistero del residuo,
delle tue memorie, credenze, 
insegnamenti animici,
la falsità dei dogmatici sostenitori 
del principio di conservazione
e di tutta la termodinamica.

 

O no?
Abbi fede

 

 

III – La morte e il cavaliere

 

Ma quanto è giusto e vantaggioso
cercare un cavallo
per fuggire a Luz, Samarra, Isfahan o Samarcanda
“se i piedi di un uomo sono responsabili per lui, 
e lo portano nel luogo 
dove egli è atteso?” 
( Salomone, Talmud babilonese )

 

Non è forse più sensato 
pensare con Pascal
che sia più nobile 
accettare di dover morire,

 

e scoprire, amico mio,
che in ciò consiste 
la vera dignità?

 

 

IV – Sulla via di Damasco

 

Se un radicale cambiamento di pensiero 
avvenuto in modo inaspettato 
rischia di folgorarti sulla strada

 

ricordati di Saulo di Tarso
circonciso nell’ottavo giorno
ebreo figlio di ebrei
persecutore della Chiesa di Cristo
ma amato da Cristo
quando ne era il nemico.

 

Non aver paura
di diventare Paolo

 

di dare un nome all’ombra 
della tua insicurezza

 

di fare del cammino 
della tua conoscenza 
– via da Gerusalemme per Damasco –
l’impegno e l’orizzonte 
del tuo viaggio,
per terra, per mare.

 

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

 

VI – Shah a mat

 

Il pezzo degli scacchi chiamato re 
si chiama in realtà shah.
Come si sa 
lo scopo del gioco è la presa del re, 
che in farsi si dice “shah a mat “, il re è morto, 
scacco matto.

 

Balla e canta mio capitano
avanti là in fondo c’è posto

 

il re è morto,
viva la poesia,
viva il re.

 

 

VII – Ognuno ha il finale che si merita

 

Transitorio
ondeggia fluttua cresce
varia slancia intensifica
trionfale mai trionfalistico
mito nascente
musa umbratile
proemio
peana di ringraziamento
aurora dell’attualità bruciante della storia del mondo
pena inespressa
sorriso e commiato di sfinge
ossessione

 

ognuno ha il finale che si merita

 

 

VIII – Quale fra questi il ruolo?

 

Maggio impietoso

 

crudele anelito 
di fiori di ciliegio
di colori di profumi di terra 
di mare

 

attesa e confronto mistico
incomprensibile

 

preghiera di imprecazioni e di bestemmie
contro il sacro che contamina
di rabbia e frustrazione
vittime innocenti
di peccati primordiali

 

nuovo affresco del futuro
che accoglie senza remore
il pastore-bambino

 

quale fra questi il ruolo?

 

 

IX – Il godimento subito (con gli slogan si fa prima)

 

Però dovresti sapere
quanto sia facile perdere due punti
di quoziente intellettivo

 

se, sotto gli slogan, niente.

 

Se la pressione evolutiva
smette di premiare le persone intelligenti
ma privilegia la massa degli idioti, 
l’assenza di pensiero, 
il vuoto di sostanza,

 

si abbatteranno 
le colonne del tempio,

 

non le potrai rialzare.

 

Ricorda che la natura, a lasciar fare,
tende al disordine, aumenta l’entropia.
Costa certo fatica 
– ma ne val la pena – far sì 
che tu non ti disperda,
ti degradi.

 

 

XI – L’antifona

 

Se l’antifona 
è più lunga del salmo,
nessuno, mio capitano,
starà volentieri ad ascoltarti.

 

Il tuo canto liturgico
hallelujah hallelujà, preghiamo e lodiamo,
sarà come sabbia in un giorno di vento 
fastidiosa
del tutto inutile
che erode le poche certezze
che ancora con cetra e salterio
il manto d’oro e la porpora,
bronzo oscuro, 
primordiale, 
ci intona il dio-pastore.

 

Capita l’antifona?

 

 

XIII – L’orrenda bestia

 

Se vuoi mangiare 
diversamente 
devi prima apparecchiare il tavolo,
mon capitaine.

 

Occorre conoscere, capire, collegare, 
svelare radici e implicazioni.
E se
“ancor fecondo è il ventre che partorì l’orrenda bestia”
è questo il modo – ricorda –
affinchè 
nessuno un giorno possa dirci: 
voi sapevate, ma cosa avete fatto?

 

 

Giorgio Linguaglossa
Francesco Gallieri

 

 

XV – Monismi

 

Capisaldi metafisici del monismo 
materialista
( cioè solo ciò che è fisico è reale )
sono fra l’altro, ontologicamente,
il determinismo causale, la continuità, la localizzazione.
La coscienza e il sé
sono soltanto effetti secondari, 
epifenomeni.

 

Ma la realtà che oggi la fisica – quantistica – ci impone
è stocastica, discontinua, dislocata.

 

E in più’,
e similmente, per il monismo spirituale
( basato cioè sullo spirito trascendente 
come solo principio informatore)
tutta la materia e il sè
sono soltanto epifenomeni, 
sono solo soggettivi.

 

E allora?
Se tutti gli “ ismi “ ti hanno un po’ confuso
ho buone notizie, stai sereno:

 

pare
che il collasso della funzione d’onda 
che determina il mondo macroscopico
sia da assegnare a una coscienza universale
che informa il tutto,
che mette insieme immanenza e trascendenza, 
scienza e religione.

 

Perfetto!

 

Anche se al riguardo puoi esprimere – licet – 
qualche forma ragionevole di dubbio.

 

 

XIX – Mi sto perdendo un po’

 

Se data la lunghezza di un segmento
non sarà mai possibile sapere 
con assoluta precisione,
vista la natura del π,
la lunghezza della circonferenza 
che ha come diametro il segmento,

 

e fin qui è tutto chiaro,

 

più intrigante è il pensare
– non trovi?-

 

che nel mondo dei quanti
le sovrapposizioni coerenti
di funzioni d’onda 
debbano collassare 
per diventare attualità.

 

E se anche gli oggetti macroscopici
sono soltanto 
onde di possibilità,
seppure molto lentamente
costretti all’espansione…

 

confesso a questo punto, apertamente,
che nell’ultima affermazione
mi sto perdendo 
un po’.