il vestito strappato che è la tua vita
John Taylor, poeta, scrittore e traduttore, e Caroline François-Rubino, pittore, lavorano insieme dal 2014. Il loro primo libro, Boire à la source / Drink from the Source, è pubblicato da Éditions Voix d’encre in marzo 2016. Il loro secondo libro, Hublots / Portholes, sarà pubblicato questa estate da Éditions L’Œil ébloui. John Taylor è anche autore di altre sei opere di racconti, di prose brevi e di poesie, di qui The Apocalypse Tapestries (2004) e If Night is Falling (2012). The Apocalypse Tapestries è stata pubblicata in italiano con il titolo Gli Arazzi dell’Apocalisse (Hebenon) et la sua raccolta di prose brevi, If Night is Falling, con il titolo Se cade la notte (Joker), i due libri nella traduzione di Marco Morello. John Taylor è editor e co-traduttore d’una ampia raccolta dei testi del poeta italiano Alfredo de Palchi, Paradigm: New and Selected Poems (Chelsea Editions, 2013). Ha ottenuto nel 2013 una borsa notevole dell’Academy of American Poets per il suo progetto di tradurre le poesie di Lorenzo Calogero — libro che è stato pubblicato: An Orchid Shining in the Hand: Selected Poems 1932-1960 (Chelsea Editions). Sito di John Taylor http://johntaylor-author.com/
Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa
Ogni linguaggio poetico ha una propria Grundstimmung (tonalità dominante), e ogni linguaggio poetico designa incessantemente «le rien du je que je suis» (R.Barthes); ogni linguaggio poetico rende evidente che il linguaggio non è il predicato di un soggetto ma è esso stesso il soggetto di questa soggettività che è assenza, e l’assenza è produzione di forme significanti che prendono il luogo della parola. Il soggetto è un vuoto che pulsa, vuoto che respinge il pieno nel momento medesimo che lo produce. Ogni poesia nasce da una mancanza di senso e di pieno e dal negativo del vuoto e dal tentativo di trovare un senso del vuoto per il tramite del pieno delle parole. È impossibile per la poesia moderna partire da un pieno, perché il pieno si dà sempre nella configurazione del vuoto. Possiamo anche dire così: ogni poesia ha una propria tonalità e direzione di senso. Ogni poesia ha, come dire, una sorta di auto coscienza, ogni poesia pone una distanza tra l’io del poeta e il poetatum, questa distanza è appunto la tonalità dominante: una vibrazione di elementi sonori che sono prima della parola. Proviamo a dirlo in altri termini: noi tutti sperimentiamo ogni giorno il grado di estraneità a noi stessi, e questa estraneazione ha la sua ubicazione nel linguaggio poetico che adottiamo. Possiamo dire che ogni poeta espropria questa estraneità per trasferirla nel proprio linguaggio poetico? Se sì, allora questo libro di John Taylor manifesta questo fenomeno ben visibile nella disseminazione, nella discontinuità, nella frammentarietà, nella frantumazione della versificazione; si tratta quindi di espropriazione, e non di una riappropriazione di alcunché. Il linguaggio poetico è lo specchio ustorio che ci mostra il vero volto della nostra estraneità a noi stessi, è un simulatore di senso anche e soprattutto quando il senso non c’è, un simulatore di senso che scalda i motori a far luogo da una assenza, da un vuoto. Nella simulazione non è possibile «mentire» e non è neanche possibile dire la «verità», la simulazione non è un predicato di un soggetto ma è il linguaggio stesso in azione; menzogna e simulazione sono due aspetti della stessa procedura.
Il nostro abitare spaesante il linguaggio è la precondizione affinché vi sia linguaggio poetico
Il nostro abitare spaesante il linguaggio è la precondizione affinché vi sia linguaggio poetico, giacché non v’è possibilità di adire al linguaggio poetico senza questa pre-condizione soggettiva. C’è un esercizio dell’«abitare poeticamente il mondo» che è la precondizione affinché vi sia un linguaggio poetico, ma noi non sappiamo in cosa consista questo «abitare poeticamente il mondo» e non potremo mai scoprirlo se non mediante la poesia stessa. In questo «abitare spaesante» il linguaggio si ha un abbandono e un ritrovarsi, un trovarsi che è un abbandonarsi in ciò che non potrà mai essere né abbandonato né ritrovato, perché se lo trovassimo cesserebbe l’abbandono e se lo abbandonassimo lo potremmo sempre ritrovare per davvero, e non c’è maieutica che lo possa ricondurre dalle profondità in cui questa condizione è sepolta. Non c’è maieutica che ci possa garantire l’ingresso nel portale del «poetico», giacché esso non è un dato, né un darsi, ma semmai è un ritrarsi, un oscurarsi.
L’entrata in questa radura di oscurità apre all’Ego la dimensione illusoria e simulatoria del linguaggio poetico, essendo l’illusorietà il parente più prossimo al dire originario in quella linea genealogica che collega il linguaggio poetico al «dire originario» del quale abbiamo smarrito per sempre il filo conduttore e la chiave del senso. Allora, non resta che accettare tutto il peso del gravame di cui ci diceva Nietzsche per gettarlo a mare come inutile zavorra e alleggerirci alla massima potenza, accettare di impiegare i resti e gli scampoli, gli stracci e i frantumi quali elementi consentanei alla nostra condizione esperienziale.
La poesia di John Taylor è sensibilissima nel recapitare questa dis-connessione di tutte le cose, la frammentazione delle parole e del senso; ciò che resta è «solo il passaggio di una mano// il suo coinvolgimento// il suo coinvolgimento di allora/ nella tua vita».
è ciò che fu abbandonato
ciò che rimane in piedi
benché perduto.
Come un sensibilissimo sismografo John Taylor procede a tentoni con uno stile de-materializzato con una metratura rarefatta e pericolante che accetta il rischio di sbriciolarsi definitivamente all’atto della lettura, di assottigliarsi come scrittura per fare ingresso nel nulla dalla quale la poesia proviene nella sua linea genealogica e nel suo DNA. La poetica di Taylor ha qui il suo punto fondante: che si fonda sulla impermanenza della scrittura stessa, come un oggetto «abbandonato// l’impalcatura/ che cede la sua forma/ rivetto dopo rivetto/ sbarra dopo sbarra/ all’inevitabile inondazione…».
Taylor inserisce una distanza tra un verso e l’altro, tra una strofa e l’altra, e questa distanza è propriamente l’estraneazione di cui la poesia si fa carico, e non può non farsene carico se è poesia, quella medesima estraneazione che ci separa da noi stessi per adire un linguaggio più interno a noi stessi. Abitare una condizione esperienziale e abolirla subito dopo averla esperita è la risultanza paradossale del nostro essere nel mondo. È questo il nocciolo credo della esperienza poetica di questo libro: l’aver scoperto che in questo grattacielo di dis-connessioni e di disseminazione della sintagmazione frastica non v’è certezza se non nella «perdita» e nella avulsione.
John Taylor
Poesie da L’oscuro splendore
having left behind so much
except your first, your final weakness
persistent
like a forgotten heart
your only force left
—language, uncertain
fragments of faded homeland
(a homeland of sounds, of voiceless words) strands of stories
shreds of feelings from the greater cloth
you still imagine
with those voiceless words that do not fade into silence that beat like a heart
that sew and tear and resew
the torn garment that is your life
*
avendo lasciato indietro così tanto
tranne la tua prima e ultima debolezza
persistente
come un cuore dimenticato
come tua sola forza residua una lingua incerta
frammenti di patria sbiadita
(una patria di suoni, di parole afone) trefoli di storie
brandelli di sentimenti da un tessuto più grande
tu ancora immagini con quelle parole afone
che non si smorzano nel silenzio quel battito come un cuore
che cuce e strappa e ricuce
il vestito strappato che è la tua vita
The Five Languages
your five languages
like five streams five hills
inner landscape
*
you cup your hand to drink the water
ever something new anew
though it descends the same slope
*
words still emerge the womb unseen seen
they hesitate they doubt
motionless against the current dead branches
or trout
remembering the source
Le cinque lingue
le tue cinque lingue
come cinque ruscelli cinque colline paesaggio interiore
*
metti le mani a coppa per bere l’acqua
sempre qualcosa di nuovo da capo
anche se scende dallo stesso pendio
*
emergono ancora parole l’utero non visto
visto
esitano dubitano
immobili contro la corrente rami morti
o trote
che ricordano la sorgente
*
other words their flatness fits the thumb the first finger
you remember impossible fortune
skipping
across the rippled surface
*
where streams meet
you stand on the narrow bank
behind you is the endless wood sometimes you wish
for the silence of those trees windlessness
wish to walk away into the white shadows
*
imagining one language a cold current
another warm
from some deeper source
you are downstream from all the sources
*
altre parole
la loro piattezza s’adatta al pollice al primo dito
ti ricordi
che fortuna sfacciata saltellare
sulla superficie increspata
*
dove i ruscelli s’incontrano tu stai sulla stretta riva
dietro di te il bosco infinito a volte desideri
per il silenzio di quegli alberi assenza di vento
desideri incamminarti nelle ombre bianche
*
immaginando una lingua
una corrente fredda un’altra calda
da qualche sorgente profonda
tu sei a valle
di ogni sorgente
*
le tue cinque lingue/ come cinque ruscelli cinque colline paesaggio interiore
you know
those streambed stones they have been sheened
countless caresses of water
you must move on the sparkling
the whirlpools you must move on
*
when you come to a halt
take a rest
the sediment has risen over the stones
over the tongue of stones
or there are no more stones only movement
*
conosci
quelle pietre del fondale sono state lustrate
innumerevoli carezze d’acqua
devi proseguire lo spumeggiare i mulinelli
devi proseguire
*
quando giungi a fermarti
a riposarti
il sedimento è risalito sopra le pietre
sopra la lingua delle pietre
oppure non ci sono più pietre solo movimento
*
all the other words are water now
this water that water
you sip
you swallow still your life shapeless
like this water
like all the other words ever further
it fans out into the ocean
*
through a plain you traced five streams
now they flow together now they are formless
faraway
at the end of landscape
*
tutte le altre parole sono acqua adesso
quest’acqua quell’acqua
tu ancora sorseggi e inghiotti
la tua vita informe
come quest’acqua
come tutte le altre parole sempre più lontano
si apre a ventaglio nell’oceano
*
hai tracciato cinque ruscelli attraverso la pianura
ora scorrono insieme ora sono amorfi
via lontano
alla fine del paesaggio
*
The Lakebed
but the textures the architectures
are behind you almost all the words
just these messages mostly faded upstrokes downstrokes
only the passage of a hand its involvement
its involvement back then in your life
*
Il fondo del lago
ma le tessiture le architetture
sono dietro di te quasi tutte le parole
solo questi messaggi in gran parte sbiaditi
pennellate in su e in giù
solo il passaggio di una mano il suo coinvolgimento
il suo coinvolgimento di allora nella tua vita
*
Man Ray, foto, Lee Miller
above the unseen shaft
the imagined shaft
is what was abandoned
what remains upright though lost
abandoned
scaffolding yielding its shape rivet by rivet
bar by bar
to the inevitable flood
to the unseen imagined shaft
also filling with water a shaft recalled
a scaffolding recalled
you seek to recover them
(as you would someone dear lost from your life
as it moved onward now abruptly pauses)
to hollow out again build again
*
sopra la galleria non vista
la galleria immaginata
è ciò che fu abbandonato
ciò che rimane in piedi benché perduto
abbandonato l’impalcatura
che cede la sua forma
rivetto dopo rivetto sbarra dopo sbarra
all’inevitabile inondazione
alla non vista immaginata galleria
che pure si riempie d’acqua
una galleria ricordata un’impalcatura ricordata
tu cerchi di recuperarle
(come faresti con qualcuno che ti è caro perduto alla tua vita
mentre va avanti
ora di colpo si ferma)
per scavare ancora ricostruire
*
but now shaft and scaffolding are one
with the ending with the origin
*
so much already
has been borne away from your life
yet at the beginning there was a firmament a foundation
how they were fashioned
here and there remains visible vestige of the vestiges
when you stand before these ruins you see
you never saw
all this was pieced together
*
già così tanto
è stato portato via dalla tua vita
eppure all’inizio c’era un firmamento un fondamento
com’erano modellati resta visibile qua e là vestigio delle vestigia
quando stai di fronte a queste rovine capisci
che non hai mai capito
che tutto questo era un insieme
*
fossils remnants shreds
scattered
the visible dead the discarded
with a bit of warmth
from this unexpected sunlight
with a bit of comfort as they are half-buried in sludge
that must be soothing
but is there something like blood running through veins
in these raindrops
these mirror-like puddles
*
fossili resti frammenti
sparpagliati
il morto visibile lo scartato
con un po’ di calore da questo sole inatteso
con un po’ di conforto
mentre vengono semicombusti nella melma
che deve lenire
ma c’è qualcosa come il sangue che corre nelle vene
in queste gocce di pioggia queste pozzanghere-specchio
*
But It Was Not Yet Night
sometimes / for a while you no longer know
this dusk will be darkness at the end
an absence of light
not this soothing twilight over the snow
*
sometimes it is thicker haze
every slope almost imaginary a slope
a plain
as it happens they are there
*
Ma non era ancora notte
a volte / per un po’ non sai più
che questo crepuscolo sarà oscurità alla fine
un’assenza di luce
non questa mezza luce consolante sopra la neve
*
a volte è
nebbia più spessa
ogni pendìo quasi immaginario un pendìo
un pianoro a seconda
sono là
Marco Morello
Nasce a Torino nel 1956. Si laurea in inglese nell’80 e lo insegna da allora nelle superiori. Scrive poesie liriche dal ’72 al ’79, virando successivamente verso lidi ludolinguistici, attestati da fitta collaborazione con il Bartezzaghi di “Tuttolibri”, Accavallavacca, Anno sabbatico, ”Lessico e nuvole”. Pubblica tre raccolte di versi: Semplicità (’76), Quartine per ‘Lù (’01), e 111 haiku (‘05). Dirige per anni l’aperiodico “Poesia nella Strada” e collabora come critico e traduttore a “Hebenon”, rivista internazionale di letteratura. Sue punzecchiature letterarie, oltre a giochi di parole e poesie, sono ospitate dal foglio elettronico “il giornalaccio”.