Donatella Costantina Giancaspero, Lettera a un poeta – Poesie di Donatella Costantina Giancaspero, Giorgio Linguaglossa, Alfonso Cataldi, Mauro Pierno, Ewa Lipska, Charles Simic, Tomas Tranströmer – con un Commento di Gino Rago

 Giorgio Linguaglossa
«quel che accade ha spezzato al pensiero metafisico speculativo la base della sua compatibilità con

l’esperienza» (Th.W.Adorno) – «Sono invisibili, ma io li vedo./ A tentoni… giro una maniglia» (G. Linguaglossa)

 

Donatella Costantina Giancaspero
24 luglio 2018 alle 14:47 

 

«quel che accade ha spezzato al pensiero metafisico speculativo la base della sua compatibilità con l’esperienza» (Th. W. Adorno)

 

Gentile Roberto Maggiani,

 

da quando sono ne L’Ombra, è in assoluto la prima volta che mi trovo in una situazione così incresciosa. E mi sorprende moltissimo! Mi sorprende ricevere tale genere di rimprovero: «l’educazione vorrebbe che…». Ehi, ehi, andiamoci piano con «l’educazione»! Mi pare di essere una persona attenta e corretta, e più di un esempio può testimoniarlo. Ma veniamo ai fatti:

 

1. l’«invito in casa» (per riprendere le Sue parole) l’ha stabilito il nostro coordinatore, Giorgio Linguaglossa;

 

2. questa «casa» (ovvero la rivista) è di tutti, è libera, è di chiunque voglia intervenire, apportando con onestà il proprio contributo;

 

3. i commenti, a volte, possono sembrare slegati dall’articolo proposto; e qui sottolineo “possono sembrare”, perché niente, in realtà, è «fuori tema», o nasce per caso (come andrò a dimostrare proprio riguardo all’intervento di Mario Gabriele e alla mia conseguente risposta. Vedrà quanto invece sia inerente a questo articolo il senso – attenzione, ho detto “senso” – di quelli che Lei definisce genericamente «altri temi»);

 

4. questa «casa» non è «mia»: semmai, se proprio di qualcuno dev’essere questa casa, vivaddio!, sarà della Poesia. E qui, ne L’Ombra delle Parole, tutti hanno considerazione per tutti, almeno «un minimo», anche attraverso il silenzio, se vuole, qualora si preferisca astenersi da ogni commento diretto. Una libera scelta anche questa. E va rispettata;

 

5. ne L’Ombra, il fatto di «parlare con i miei amici dei miei temi» non esiste proprio, perché il web offre altre piattaforme preposte a questo: Facebook, in primis. Viceversa, nella rivista, i cosiddetti «temi» riguardano tutti, coinvolgono tutti, perché affrontano problematiche estetiche, storiche, filosofiche… In pratica, tutto ciò che può riguardare la nostra comune ricerca finalizzata a una Nuova Ontologia.

 

Chiariti questi punti, dirò che mi sono sentita in dovere di rispondere all’interlocutore Mario Gabriele (badi bene, ho detto “interlocutore”, perché qui siamo tutti interlocutori, prima ancora di essere amici), insomma, ho sentito la necessità di intervenire, poiché ho compreso il “senso” implicito del suo commento. E, nella mia risposta, ho inteso esplicitare questo “senso”, riproponendo la posizione di Th. W. Adorno nella sua Dialettica negativa (1966), a proposito della Poesia e dell’Arte in generale, dopo Auschwitz, dopo l’Olocausto. Il filosofo dichiara:

«nessuna poesia, nessuna forma d’arte, nessuna affermazione creatrice è più possibile. Il rapporto delle cose non può stabilirsi che in un terreno vago, in una specie di no man’s land filosofica».

 

Con queste parole, Adorno assume quella tragedia storica come simbolo universale della messa in scacco dell’idea di un «senso di ciò che è».

In questa condizione, il dovere del filosofo e, nondimeno, del poeta, è quello di farsi carico della realtà.

 

Sì, farsi carico della realtà. Quale realtà? Questa realtà. Questa nostra, del XXI secolo. Hic et Nunc il poeta deve farsi carico della propria epoca.

Molti cambiamenti epocali, e drammatici, si sono verificati nell’ultimo (quasi) ventennio. In particolare dopo le stragi delle Torri Gemelle. The day after l’11 settembre 2001, il mondo non è più, irreversibilmente, lo stesso di prima.

 

Dopo Auschwitz, dopo Hiroshima e Nagasaki (di cui si avvicina l’anniversario), la strage delle Torri Gemelle rappresenta la tragedia del XXI secolo che segna l’inizio della terza guerra mondiale “a pezzi” (l’ha detto Qualcuno…).

 

E l’Uomo? Che cosa è diventato l’Uomo? E la metafisica? «La metafisica è paralizzata, perché quel che accade ha spezzato al pensiero metafisico speculativo la base della sua compatibilità con l’esperienza», scriveva Adorno dopo Auschwitz.

 

E la poesia? Parafrasando Adorno potremmo dire: “quel che accade ha spezzato alla poesia la base della sua compatibilità con l’esperienza”.

 

A questo fanno eco le parole di Giorgio Linguaglossa nella sua «Ermeneutica» alle poesie di Roberto Maggiani: “Il mondo nel frattempo è mutato e la «nuova» poesia avverte che qualcosa è cambiato, che occorrono parole diverse, nuove, non usurate”.

 

Ecco il punto: dove sono le «parole diverse, nuove, non usurate», nella poesia di Roberto Maggiani? La sua poesia «è da tempo impegnata alla riunificazione del discorso umanistico e del discorso scientifico» (Linguaglossa): sì, vero!, ma non è più questo che oggi occorre alla poesia: «oggi la poesia ha bisogno di un modus dis-propriante, dis-allontanante, de-angolante…» (cit.).

 

Le parole appartenute all’ontologia estetica del Novecento risultano inadeguate al dire del XXI secolo. E già l’ultima parte del Novecento ha preparato la Storia al nostro cambiamento epocale. Ovvero, il «vecchio» ha spinto al «nuovo». Ora la Storia ci rovescia addosso i più tragici avvenimenti.

 

L’Occidente (in senso lato) è devastato. “In tutto l’Occidente”, il sole, quello che Roberto Maggiani vede “più luminoso”, “le cui dita tocchino i tetti e le strade/ come qui a Lisbona”, è morto. A Lisbona come in tutto il resto del mondo. Quella che gli appare, così elegiaca, è una visione di superficie, appunto, apparente. C’è qualcosa aldilà dei tetti, delle strade e perfino oltre le molecole, che la sua poetica non vede, non coglie. Forse sarebbe stato meglio soffermarsi su quel “sottile disagio” finale. E che il disagio, da sottile, fosse diventato “spesso”, “duro”. Invece, la poesia mette il punto e chiude. Trasvola proprio su quell’unica cosa importante: il disagio. Disagio di oggi, della nostra epoca. Disagio di vivere. Disagio che è dramma attuale dell’Uomo, al centro di un nuovo Esistenzialismo, che pone inquietanti interrogativi sulla condizione etico-civile dell’individuo. Tutti noi dobbiamo prendere atto di questo. Ma più di tutti deve farlo il poeta, perché senza tale consapevolezza non possiamo parlare di Poesia.
Il primo passo verso tale coscienza consiste nel farsi carico della realtà in cui siamo, salutando il Novecento. Senza rimpianto.

 

Giorgio Linguaglossa
Versi di Lucio Mayoor Tosi –  «quel che accade ha spezzato alla poesia la base della

sua compatibilità con l’esperienza» (D.C. Giancaspero)

 

Donatella Costantina Giancaspero

 

Le strade mai più percorse:
esse stesse hanno interdetto il passo
– alla stazione Bologna della metro blu, una donna. Sospesa.
In anticipo sulla pioggia –.

 

Qualcuno ha voltato le spalle senza obiettare,
consegnato alla resa gli occhi che tentavano un varco.

 

Le ragioni mai sapute vanno. Inconfutate 
– scampate al giudizio – per i selciati – gli stessi 
ritmati di prima – gli stessi – 
da martellante fiducia – nell’equivoco di chi c’era.

 

Per un’aria che non rimorde – l’ombra 
sulla scialbatura – avvolte da scaltrito silenzio.

 

Giorgio Linguaglossa

 

Giorgio Linguaglossa

 

Omega

 

[…] 
A tentoni. Corridoio. Andito. Corridoio.
Ambiente climatizzato. Pareti bianche, soffitto bianco,

 

corridoio bianco.
Un pianoforte bianco e dei bambini anch’essi bianchi.

 

A destra e a sinistra ci sono porte sprangate. 
Saracinesche. Inferriate. Oblò.

 

D’istinto, mi dirigo a destra [a destra (!?)], 
[perché a destra (!?)] 
[…]
La prima porta, la apro.
Il sole tramonta su un mare nero.

 

Archi di trionfo. Templi diroccati. Colonne.
[…]
La seconda porta. 
Ci sono i morti che hanno inghiottito il buio.

 

Sono invisibili, ma io li vedo.
A tentoni… giro una maniglia. 
[…]
Apro la terza porta. 
Ci sono gli uomini che hanno mangiato la mela.

 

Adesso sono visibili.
«Davvero, che gioco è questo (!?)».

 

Avanzo con circospezione, nel corridoio… c’è un terrazzo. 
Una ringhiera si affaccia su un mare nero.

 

«Questo è il posto del Re», dice il Re di denari.

 

Giorgio Linguaglossa

 

Giorgio Linguaglossa

 

Charles Simic

 

Scolari con la testa grigia

 

I vecchi fanno brutti sogni,
Per questo dormono poco.
Camminano scalzi
Senza accendere la luce,
O si alzano appoggiandosi
Ai loro tetri mobili,
Ascoltando il battito dei loro cuori.
L’unica finestra, all’altro lato della stanza
È nera come una lavagna.
Ogni anziano è solo
In questa classe, mentre sforza lo sguardo
Su quella sottile linea di gesso
Che divide l’essere-qui
Dal non-essere-più-qui.
Non importa. Era un bicchier d’acqua
Stavano per arrivare,
Ma non ancora.
Restano in ascolto dei topi nel muro,
Di un’auto che passa per la via,
Dei padri morti che si trascinano davanti a loro

 

Quando vanno in cucina

 

Giorgio Linguaglossa

 

Giorgio Linguaglossa

 

Ewa Lipska

 

La memoria

 

Cara signora Schubert, lei scrive che la memoria si dimentica di noi. Sì, è vero. In sua assenza ho ritirato le nostre carte valori, ho venduto le obbligazioni e la pelliccia di volpe nera con cui abbiamo superato la tempesta. Non so perché si tiene alla larga dai luoghi dei nostri incontri agognati e non riconosce gli indirizzi dove ha abitato. Qualcuno l’ha vista mentre, attorniata da monumenti di pietra, ci spargeva in giro per distrazione.

 

Giorgio Linguaglossa

 

 

Tomas Tranströmer

 

Silenzio

 

Passa oltre, sono sepolti…
Una nuvola scivola sul disco del sole.

 

La fame è un edificio elevato
che si sposta nella notte

 

nella camera da letto si apre la colonna
scura della tromba di un ascensore verso le viscere.

 

Fiori nel fosso. Fanfara e silenzio.
Passa oltre, sono sepolti…

 

Le posate d’argento sopravvivono in grandi sciami
giù nel profondo dove l’Atlantico è nero

 

Giorgio Linguaglossa

 

Commento di Gino Rago

 

Interpretiamo i 3 testi scelti dei 3 poeti messi a confronto [Charles Simic, Ewa Lipska, Tomas Tranströmer].

 

Da Roland Barthes ne Il grado zero della scrittura, abbiamo da tempo appreso che lo studioso utilizza le lettere A, B e C per rappresentare alcuni attributi del linguaggio, che Barthes intende come decorativi, e che stanno a significare, rispettivamente, A il metro, B il ritmo e C il “rituale delle immagini”, vale a dire la sonorità e la forza di queste ultime, e possiamo insieme tentare di stabilire una sorta di equivalenze:

 

poesia = prosa +A+B+C A= metro; B= ritmo; C= ‘rituale delle immagini’ ovvero forza delle immagini e la loro sonorità

Poesia= Prosa+ metro+ ritmo+ rituale delle immagini

 

Prosa = Poesia -A-B-C

 

Sempre rimbalzando fra senso e suono, tra forma e contenuto, possiamo pronunciarci anche su due grandi generi contemporanei: la poesia in prosa e la prosa poetica.
Utilizzando lo schema barthesiano siamo in grado di tentare la differenza tra le due categorie nel modo seguente:

 

poesia in prosa = prosa -A+B+C

 

prosa poetica = poesia -A-B+C

 

La poesia in prosa, insomma, come la prosa poetica, non ha metro ma, al contrario di quest’ultima, ha ritmo (B) e una particolare densità (C) che endiadicamente, per dirla con Giorgio Linguaglossa, si sostengono a vicenda.

Prosa poetica, d’altissimo valore, di certo è ‘La memoria’ di Ewa Lipska, per esempio.
Mentre i testi di Charles Simic e di Tomas Tranströmer sono, accanto alla esattezza esemplare della parola, disseminati di metafore cinetiche, immagini metaforiche, ecc. Il testo di Roberto Maggiani tende verso questi alti esiti estetici ma sento che un grande lavoro attende questo poeta verso la verità del mondo che non coincide con il ruotare intorno agli stati d’animo e alle dinamiche piccole dell’Io. Salamov nell’omaggio a Mandels’tam a un certo punto di Cherry-brandyci dà l’illuminazione che i poeti della NOE hanno da tempo fatta propria [e lo testimoniano i loro versi]:

 

“La vita entrava per conto suo dentro di lui [Mandels’tam], come una dispotica padrona: lui non la chiamava, ma lei gli pervadeva egualmente il corpo, il cervello, entrava come poesia, ispirazione. E, per la prima volta, il significato di questa parola gli si rivelò in tutta la sua pienezza. La poesia era la forza vivificante di cui lui viveva. Precisamente così. Lui non viveva per la poesia, viveva della poesia”
… Viveva della poesia… E qui c’è tutto il destino del poeta.

 

(Gino Rago)

 

Giorgio Linguaglossa

 

Alfonso Cataldi

 22 luglio 2018 alle 13.04

 

Versi nati inizialmente grazie all’ispirazione di Gino Rago, con il quale ho provato a contaminarmi, qui cercano una propria strada.

 

to be continued
la suzione mani avanti

non-ti-mollo
scopre all’alba un contadino curvo

a Sambacanou
soggiogato a sentimenti inaspettati

del suo terreno ostile.

 

La compagnia di Piero, un’ora al giorno,

non serve più
il ricovero degli animali

-un rompicapo al seno-
è scampato a un naufragio notturno

un sogno provvidenziale ha bruciato foglie e rami secchi.

 

La piscina al molo shopping 8.44 ha il fondo scuro

una bambina timorosa tutta l’estate
butta via i braccioli, sorprendendo la madre

si avvicina al bordo
chiede notizie dal mondo reale.

 

Aboubakar sta raccontando la riconsegna
di un investimento infranto

nella regione di Kayes

 

lungo il tragitto mostra il ricordo

di un pallone calciato
a una latitudine che taglia le radici.

 

Mauro Pierno

21 luglio 2018 alle 16.02

 

E mettici i resti della sostanza, che
avanza. Nelle suppellettili e nelle credenze.

Nei cucchiaini.
Nei buchi neri, nelle topaie.

Negli avanzi sotterranei,
nelle tranvie,

nelle metropolitane.

 

In fondo al mare,

per questo avanzano le parole.

 

Negli specchi muti delle sorgenti.

E nelle luci, più minuscole,
nei corridoi di ceramica

e nelle tazze
che sfarfallano.

 

Giorgio Linguaglossa

 

Commento di Giorgio Linguaglossa

 21 luglio 2018 alle 18.52

 

Complimenti Mauro Pierno,

 

questa è una composizione che sfarfalla un po’ da tutte le parti, scombiccherata com’è giusto che una poesia di oggi deve essere, ricca di humour e povera, poverissima di mimesis. Tuttavia, questo tuo sotto vuoto parla più chiaramente di tutte le poesie che vogliono esibire il «pieno», pieno di senso, pieno di significato, pieno di «io», pieno di «voi», di «loro»… come il pieno di benzina del serbatoio (con il combustibile che costa sempre di più), con la guerra dei dazi che sostituisce in modo incruento la guerra dei tank e delle bombe atomiche. Il fatto è che oggi la guerra (dei dazi) tra le superpotenze la si fa in vetrina, avviene nei monitor asettici dei nostri palazzi, negli appartamenti dei nostri condomini… e non è che la nuova guerra dei dazi sia meno cruenta di quella vecchia maniera, i morti li fa, eccome, e li farà sempre più numerosi, ma saranno i morti di fame, quelli contano niente, non fanno numero, siamo già troppi sul mappamondo del mondo. Forse dobbiamo dire grazie a quel mastino ignorante e zotico di Trump e dei suoi accoliti se pensiamo che il presidente americano ci ha messo davanti alla nuda e cruda realtà della bancarotta del realismo mimetico, forse l’unico modo di fare poesia oggi è questa tua: sottrarre senso al senso e al non-senso, sottrarsi, non stare al gioco… tutto sommato dobbiamo essere grati ai nostri piccoli e insulsi trumpini, Salvini e Di Maio e i loro accoliti, abbiamo molto da imparare da questa invasione dei nuovi barbari… ma i prodromi si erano già visti con quel figuro di Renzi e dei suoi accoliti…

 

Ardengo Soffici:

 

L’imbecillità è la legge mostruosa del Tutto-Nulla. […]
Il cuore ha chiuso gli sportelli, come le banche,
per una moratoria di tristezza.