foto di Richard Vergez
Tre poesie di Alfredo de Palchi da Foemina tellus, 2010, Joker
Fredda
brilla di sole freddo al mattino
la zolla capovolta
con svolazzi di passere
su mucchi di letame che fumano l’odore
astringente
intorno gli spineti fioriti di ghiaccio sulle spine
i cortili medievali
che ti svuotano ai campi dove nei solchi
calchi il brulichio di verminai
di semenze
che a caso crescono gramigne
fiori campestri
spighe di grani selvatici
e papaveri per sfogliarsi
alla tua presenza losca di nero
nella calura che vibra
di clangori
dissonanza d’ogni
città al di là del fiume.
(4 dicembre, 2006)
*
Autunno
precocemente m’inganni con un giorno di luce
e un altro giorno di acqua che svuota le panche
della piazza e vento
che spiazza i colombi le passere
e scombuglia gli scoiattoli tra ventagli
di ramaglie tenaci a tenersi un po’ di foglie
non come tu sei
io sono tale e qual ero nel tuo corpus
mistico di vulva
un giorno così e un altro così
senza la fretta di arrivare là dove tu arrivi.
(17 ottobre, 2006)
*
potessi rivivere l’esperienza
dell’inferno terrestre entro
la fisicità della “materia oscura” che frana
in un buco di vuoto
per ritrovarsi “energia oscura” in un altro
universo di un altro vuoto
dove
la sequenza della vita ripeterebbe
le piccolezze umane
gli errori subordinati agli orrori
le bellezze alle brutture
da uno spazio dopo spazio
incolume e trasparente da osservarla io solo
rivivere senza sonni le audacie
e le storpiature
persino le finestre divelte
i mobili il violino il baule
dei miei segreti
tutti gli oggetti asportati da figuri plebei
miseri femori.
(21 giugno, 2009)
Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa
In questa poesie si intravvede la presenza del fantasma che «scombuglia» l’ordine costituito dall’io. È la prima apparizione del fantasma che agisce liberamente e spezza, riduce in frantumi la sintassi e la sua logica, dissolve la poesia di paesaggio in una miriade di appercezioni. La sovradeterminazione stilistica è un simbolo di un conflitto presente che si dirama nelle ramificazioni scendenti di questa discendenza simbolica nei momenti in cui le forme verbali incrociano i nodi della struttura linguistica. Quando affermo con convinzione che la poesia di Alfredo de Palchi è la progenitrice della poesia di oggi, quella stilisticamente più evoluta, la nuova poesia, alludo a qualcosa di analogo a quel che intendeva in un commento di qualche tempo fa, Lucio Mayoor Tosi:
«In ognuna di queste poesie si avverte il bisogno di stare nel viaggio introspettivo, verso la conoscenza di sé ma tra le cose; quindi con l’intento di non fermarsi alla psicanalisi ma di trovare senso ontologico nell’esistere. Al lettore non interessa quale sia la psiche del poeta, quali i suoi tormenti, gli interessa di trovarsi coinvolto nel percorso introspettivo. Si tratta infatti di una nuova dimensione, tra psicanalisi e storia, una dimensione del tutto inedita e inusuale.
Tra cent’anni, che diranno le persone di noi? Non sarà come adesso quando cerchiamo di leggere tra le rovine di civiltà passate: di noi si saprà tutto!».
Verissimo. Appunto, «di noi si saprà tutto»
Per questo affermo che «di noi» non si saprà niente, perché quello che al lettore del futuro posteriore interesserà sarà sapere «qualcosa» circa il funzionamento della nostra psiche, conoscere ciò che noi siamo stati capaci di rappresentare di noi stessi. Per tutto il resto ci saranno miliardi e miliardi di immagini, della televisione e di internet che lo renderanno edotto. Quello che al lettore del futuro importerà sarà conoscere «qualcosa» che non è contenuto in quelle miliardi di immagini e di informazioni che navigano nell’etere di internet. Chiaro? Di questo si occupa la «nuova ontologia estetica». Per chi ancora non abbia afferrato il concetto.
L’io, dice Freud, è soprattutto inconscio.1]
Siamo di fronte a un problema cruciale. Una tale affermazione sembrerebbe a prima vista contraddire l’evidenza che l’io sia quella parte della psiche che gode della facoltà di corrispondere al pensiero cosciente. Per comprende la portata di una tale affermazione, occorre innanzitutto chiarire cosa sia l’inconscio, o almeno quale sia la sua estensione nel sistema freudiano, al fine di poter darne ragione e cogliere successivamente il luogo e lo statuto dell’io.
Inconscio è innanzitutto la sede di quei contenuti, di quelle rappresentazioni che, per via dell’azione della rimozione, non raggiungono la coscienza. Nel sistema freudiano si distinguono rappresentazioni inconsce e rappresentazioni consce. Nella Nota sull’inconscio in psicoanalisi (1912) Freud chiama conscia «soltanto la rappresentazione che è presente nella nostra coscienza e di cui abbiamo percezione»2]. L’ovvietà di una simile definizione serve a tracciare la strada per il suo opposto, ossia per la definizione dell’inconscio:
«Una rappresentazione inconscia è quindi una rappresentazione che non avvertiamo ma la cui esistenza siamo pronti ad ammettere in base a indizi e prove di altro genere».3]
L’esistenza dell’inconscio lo si deduce da « indizi e prove di altro genere». Quali? Freud risponde: lapsus, atti mancati, motti di spirito, sogni; tutto ciò che sorprende il soggetto e lo coglie in fallo rispetto al suo voler-dire. Ed io aggiungo: poesie. Nella rappresentazione poetica coabita il paradosso che negli enunciati, nel già detto, si nasconde e viene ad evidenza il non detto, il non enunciato, il linguaggio latente, il rimosso, che distorce e deforma il linguaggio rendendolo così idoneo alle necessità della nuova significazione.
La poesia di Lucio Mayoor Tosi, come quella di Donatella Costantina Giancaspero, la mia, quella di Mario Gabriele, di Francesca Dono ma anche quella di Alfonso Cataldi, di Carlo Livia, di Mauro Pierno e di altri poeti della nuova ontologia estetica è ricchissima di referti, di lessemi, di stracci dell’inconscio il cui linguaggio è, sostanzialmente, un linguaggio onirico, visionario, allucinogeno, ma anche sommamente razionale, ordinato in una scansione logica inafferrabile ma cogente… non dico cose così bizzarre se affermo che nel nuovo indirizzo della poesia italiana un posto centrale è occupato dalla indagine sull’inconscio.
L’inconscio per Freud «comprende da un lato atti che sono meramente latenti, provvisoriamente inconsci, ma che per il resto non differiscono in nulla dagli atti consci, e dall’altro processi come quelli rimossi, che, se diventassero coscienti, si discosterebbero necessariamente, e nel modo più reciso, dai rimanenti processi consci».4]
Come è noto, l’inconscio sfocia nel sistema Preconscio, un sistema che è in contatto e in comunicazione con il sistema Conscio e con l’Inconscio sia sul piano propriamente dinamico che sul piano topologico. Sul piano geografico il sistema Inconscio si differenzia per caratteristiche peculiari che lo pongono in una dimensione di estraneità tanto dal sistema Preconscio che da quello percezione-coscienza. Assenza di contraddizione e di negazione, intemporalità, mobilità degli investimenti, e una relativa indipendenza dalla realtà esterna, sono i tratti salienti dell’inconscio.
Suzanne Musard André Breton, 1929
L’Inconscio non è un abisso, non è un flusso di energia cieco
Esso è piuttosto il luogo in cui accadono eventi, in cui cadono, sotto la spinta della rimozione, le rappresentazioni di cose, le rappresentanze pulsionali, che sono investimenti, residui delle immagini mnestiche della cosa, di tracce mnestiche più lontane che derivano da quelle immagini, come asserisce Freud. L’inconscio sarebbe un sistema di tracce mnestiche, non impronte, da cui derivano rappresentazioni di cose. La differenza, adesso, tra rappresentazione inconscia e rappresentazione conscia consiste, ribadisce Freud, «in due distinte trascrizioni di uno stesso contenuto». Ecco, credo che la nuova poesia che noi stiamo indagando tratti proprio queste, diciamo così, «trascrizioni», lessico del linguaggio freudiano, wortvorstellungen, lemmi dotati di semantica e di mantica.
Scrive Freud: «La rappresentazione conscia comprende la rappresentazione della cosa più la rappresentazione della parola corrispondente, mentre quella inconscia è la rappresentazione della cosa e basta. Il sistema Inconscio contiene gli investimenti che gli oggetti hanno in quanto cose, ossia i primi e autentici investimenti oggettuali; il sistema Prec nasce dal fatto che questa rappresentazione della cosa viene sovrainvestita in seguito al suo nesso con rappresentazioni verbali».5]
1] Cfr. S. Freud, Das Ich und das Es, in Gesammelte Werke, S. Fischer Verlag, Frankfurt a/M, (18 voll.); trad. it. a cura di Musatti C., in Opere vol. 9. L’Io e l’Es e altri scritti (1917-1923), Bollati Boringhieri, Torino 1977, §. L’Io e l’Es, p. 482.
2] S. Freud, A note on the Unconscious in Psychoabalysis (1912), in Gesammelte Werke, op. cit.; trad. it. a cura di Musatti. C., in Opere vol. 6. Casi clinici e altri scritti (1906- 1912), Bollati Boringhieri, Torino 1974, Nota sull’inconscio in psicoanalisi (1912), p. 575.
3] Cfr., Nota sull’inconscio in psicoanalisi (1912), cit; p. 576
4] S. Freud., Metapsicologia, § L’inconscio, in Gesammelte Werke, op. cit.; trad. it. a cura di Musatti. C., in Opere vol. 8. Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti (1915-1917), Bollati Boringhieri, Torino 1976 (2000), Metapsicologia(1915)., p. 49.
5] Cfr., Nota sull’inconscio in psicoanalisi (1912), cit; p. 576.
Tomas Tranströmer scrive:
La casa assomiglia al disegno di un bambino.
Un’innocenza sostitutiva che si è sviluppata perché troppo presto qualcuno ha rinunciato all’incarico di essere bambino. Apri la porta, entra! Qui dentro c’è inquietudine nel tetto e pace nelle pareti
*
Il tema della «finestra» quale luogo o zona dalla quale si può passare da una dimensione all’altra è molto presente nella poesia di Tranströmer. Così nella poesia di Carlo Livia il tema della «grande sala», del «salone» è il tema che consente all’autore di rappresentare e immaginare cose che altrimenti sarebbero irrappresentabili.
*
Lontano mi capita di fermarmi davanti a una delle nuove facciate.
Molte finestre che vanno a formare un’unica finestra.
la luce del cielo notturno vi è catturata e il movimento delle chiome degli alberi.
È un luogo riflettente senza onde, innalzato nella notte d’estate.
*
Il risveglio è un salto col paracadute dal sogno.
Libero dal turbine soffocante il viaggiatore
sprofonda verso lo spazio verde del mattino.
*
È doloroso passare attraverso le pareti, ci si ammala
ma è necessario.
Il mondo è uno. Ma le pareti…
E la parete è una parte di te –
uno lo sa o non lo sa ma è così per tutti
tranne che per i bambini piccoli. Per loro niente pareti.
*
Ma non sono maschere ora bensì volti
che emergono attraverso la bianca parete dell’oblio…
emergono attraverso la parete ridipinta dall’oblio
la parete bianca
scompaiono e ricompaiono.
*
Ho trascorso la notte nella casa densa di rumori.
Molti vogliono entrare attraverso le pareti
ma i più non arrivano fin là:
le loro voci sono sopraffatte dal brusio bianco dell’oblio.
Un canto anonimo sprofonda attraverso le pareti.
Ecco, da questi pochi esempi abbiamo la riprova e l’esemplificazione di quanta parte ha l’inconscio e le sue immagini nella ricerca della poesia moderna, anzi, si può dire che la parte prevalente, la più evoluta della poesia moderna europea ha a che fare con l’inconscio, con le sue inimmaginabili diramazioni, le sue complessità. Il senso di minaccia, il presentimento che «qualcosa» stia per avvenire che non avevamo previsto, ci turba e ci getta nell’angoscia:
… Qualcosa di oscuro
stava presso la soglia dei nostri cinque
sensi, senza oltrepassarla.
*
Entrammo. Un’unica enorme sala,
silenziosa e vuota, dove la superficie del pavimento era
come una pista da pattinaggio abbandonata.
Tutte le porte chiuse. L’aria grigia.
*
Più debole del fruscio di una conchiglia
si udivano suoni e voci dalla città
che volteggiavano nella stanza deserta,
sussurrando e cercando un potere.
*
Una musica si sprigionò
e avanzò nella neve vorticante
con lunghi passi.
*
Una musica abbozzata come dalla
forza dell’orchestra prima che lo spettacolo abbia inizio.
*
Quando l’oscurità scese io stavo quieto
ma la mia ombra batteva
sul tamburo dello sconforto.
Quando i colpi cominciarono ad affievolirsi
vidi l’immagine di un’immagine.
*
Spengono la lampada e il suo globo brilla
per un attimo prima di sciogliersi
come una compressa nel bicchiere dell’oscurità.
*
… l’anima /sfregava contro il paesaggio come una barca /sfrega contro il pontile a cui è ormeggiata.
*
Il vento procedeva lentamente come se spingesse davanti a sé/ una carrozzina.
*
Il sogno in cui il dormiente sta disteso
diventa trasparente. Egli si muove, comincia
a cercare a tastoni gli utensili dell’attenzione –
quasi nello spazio.
*
Rivivo un sogno. Che io sto in un cimitero
da solo. Tutt’intorno splende l’erica
a perdita d’occhio. Chi aspetto? un amico. Perché
non viene? È già qui.
*
Due verità si avvicinano l’una all’altra. Una viene da fuori
e là dove si incontrano c’è una possibilità di vedere se stesso.
*
La strada non finisce mai. L’orizzonte corre in avanti.
(T. Tranströmer)
Da dove viene l’inconscio?
«Non sono sicuro, dubito», è per Freud la frase che accende l’attenzione dell’analista allorquando il paziente parla, racconta ad esempio un sogno. E questo perché il dubbio, ci dice Freud, rappresenta una «resistenza»,1] è «il segno della resistenza». Bisogna fare riferimento al capitolo 6) de L’interpretazione dei sogni,2] in particolare al problema dell’«elaborazione secondaria». Quando possiamo pensare di avere accesso all’inconscio, di carpirne almeno in parte la sua presenza, la sua traccia nel discorso, per così dire, cosciente? Quando il soggetto dubita, quando non sa – risponde Freud – quando il soggetto mostra «incertezza» circa quello che ci racconta o ricostruisce, è allora che veniamo a sapere che c’è «resistenza», che qualcosa impedisce, mostra l’accesso a un contenuto diverso da quello manifesto, espresso.
È in quel momento che apprendiamo la via che porta all’inconscio, che qualcosa cioè nel celare mostra quanto cela in base alla dialettica del velo e della traccia, un discorso che possiede i tratti dell’alétheia. Nel sogno, infatti, l’io è ovunque, spezzettato, dissolto, disseminato accanto ad altri personaggi, disperso fra tutti i pensieri che vi sciamano. L’elaborazione diurna, il cosiddetto sogno ad occhi aperti, il sogno in stato di coscienza vigile, ha portato Freud a trovarsi di fronte al «vacillamento», all’impasse; quei buchi di memoria punteggiati di «non so, forse, non sono sicuro», sono tutte forme dubitative, in cui sovente colui che racconta si ritrova, e si perde. In ciò Freud ha visto il tratto saliente del soggetto dell’inconscio, le sue «resistenze» a quanto nel sogno si è manifestato attraverso e oltre la censura. «La via regia» verso l’inconscio non è altro, lo vediamo, che l’intoppo, il blocco, la sincope nel racconto che svela una resistenza, non intenzionale, certo, ma attuale con cui l’io si oppone al manifestarsi di pulsioni inconsce. Si tratta di un vacillamento contemporaneo dello stesso svuotamento del soggetto Ego che ha condotto dal dubbio alla certezza e dalla certezza di nuovo al dubbio; all’enunciato dell’io penso subentra l’io dubito; rimane comunque in questa sospensione della certezza che Freud reperisce il soggetto dell’inconscio, ovvero, l’Altro dell’Io.
Vediamo all’opera la duplice azione della Verdichtung (condensazione) e della Verschiebung (spostamento), istanze che agiscono sotto l’imperio della censura, una vera e propria rappresentazione di un sogno ad occhi aperti. Scrive Lacan:
«L’Entstellung, tradotta: trasposizione, in cui Freud mostra la precondizione generale della funzione del sogno, è ciò che sopra abbiamo designato con Sassure come lo scivolamento del significato sotto il significante, sempre in azione (da notare: inconscia) nel discorso.
La Verdichtung, o condensazione: cioè la struttura di sovrapposizione dei significanti in cui prende campo la metafora, e il cui nome, condensando in sé la Dichtung, indica la naturalità di questo meccanismo con la poesia, fino al punto di includere la funzione propriamente tradizionale di quest’ultima.
La Verschiebung, o spostamento: cioè, più vicino al termine tedesco, il viraggio della significazione dimostrato dalla metonimia e che, fin dalla sua apparizione in Freud, è presentato come il mezzo dell’inconscio più adatto a eludere la censura ».3]
1] Cfr. J. Lacan La scienza e la verità, in Scritti II, trad. it. Einaudi, p. 860
2] Cfr. S. Freud, Interpretazione dei sogni, cit., p. 297
3] J. Lacan, L’istanza della lettera nell’inconscio freudiano, in Scritti I, p. 506.
Il «fantasma»
Qui noi stiamo trattando del «fantasma» in poesia come equivalente di «maschera», di «personaggio» non «reale». Per accedere alle potenze numinose dell’inconscio, per rappresentare il teatro dei pupi dell’inconscio, non possiamo fare a meno di riferirci al «fantasma» e alle sue modalità di comparizione sul palcoscenico della «nuova poesia».
Inoltre, una caratteristica precipua del «fantasma» è che questi «non parla», appare sulla scena come limite dell’ordine simbolico, al confine tra l’immaginario e il simbolico, in quel sottile limen che mette in azione il simbolico e l’immaginario. Il mutismo del «fantasma» sarebbe necessitato affinché l’inconscio possa invece parlare. È il presupposto che fonda il linguaggio dell’inconscio…
È bene ricordare che nell’algebra lacaniana il fantasma possiede sì una dimensione «reale», nel senso in cui il «reale» è quanto risiede nell’oggetto a, ossia nel rapporto tra soggetto (barrato) e l’impossibile oggetto del godimento. Il« reale» è in un certo senso rappresentato dall’intera formula del fantasma, ma intesa come significazione assoluta, ossia in quanto frase che, letteralmente, (non) significa nulla. E in questo “non” messo tra parentesi c’è tutto il valore differenziale di cui il fantasma consiste, nel senso in cui non si può affatto affermare che il fantasma significhi il nulla di das Ding, perché, in quanto
assioma, significazione assoluta, il fantasma rimane sciolto dal legame di rimando proprio della significazione.
Il fantasma è un assioma, bisogna intendere con questa asserzione che la sua posizione rimane isolata nell’ambito della significazione. Un assioma in logica è un enunciato messo all’inizio, da cui per deduzione deriva ogni altro enunciato. Come tale un assioma è un inizio assoluto, ciò da cui tutto discende.
«Cos’è un assioma in logica? Essenzialmente è qualcosa di posto all’inizio. In qualunque trattato di logica ci sono definizioni di termini e assiomi; sono enunciati: primo, secondo, terzo, messi lì una volta per tutte, postulati. Non si possono discutere in nessun luogo, perché è a partire da essi che si possono produrre verità e falsità, cioè verifiche. Però prima di essi non c’è niente; sono un punto di partenza e un punto limite». 1]
Così il «fantasma», in quanto nel soggetto viene ad occupare la funzione di una «significazione assoluta», ovvero si pone come quel «significante purificato» che chiude la catena significante, che designa un limite oltre il quale non c’è più nulla da significare.
Il tempo del «fantasma» è l’istante, l’istantanea presenza del presente.
Il «fantasma» è lì dove il linguaggio manca. Pone un termine, un alt alle possibilità del linguaggio, perché è il presupposto affinché vi sia linguaggio.
Il silenzio è dentro il linguaggio, è contenuto nel linguaggio come suo presupposto, come confine «interno». Se non vi fosse il silenzio, non sorgerebbe neanche il linguaggio. Quindi, il linguaggio non deriva dal silenzio come una nota vulgata vorrebbe farci credere, ma è all’interno del linguaggio. Di conseguenza il «fantasma» sarebbe nient’altro che il commissario rappresentante del silenzio all’interno del linguaggio. La sentinella del linguaggio.
Il soggetto si risarcisce del fatto «che egli non è» – o meglio, che egli si trova in quel «posto in cui si vocifera che ‘l’universo è un difetto nella purezza del Non-Essere’».2]
Dire che il «fantasma» è un assioma significa che non vi è una «storia» del fantasma, un’origine a cui sia possibile risalire. Il «fantasma», a differenza del sintomo, non ha interpretazione, non mette in atto un lavoro della metafora e della metonimia per significare il desiderio inconscio. Il «fantasma» si pone come assolutezza, dotato di singolarità in virtù del suo fondamento assiomatico, di mero inizio. Ed è questa la ragione del fatto che Lacan pone il «fantasma» nel registro del Reale. Il reale è infatti quanto resta fuori-senso, quanto resta fuori dal simbolico. Il reale è il reale della mancanza. Il «reale», afferma Lacan, «è l’ambito di ciò che sussiste fuori dalla simbolizzazione”3]; e ancora: «Se lo si intende, è da un rifiuto che il reale prende esistenza; ciò di cui l’amore fa il suo soggetto è ciò che manca nel reale; ciò a cui il desiderio si arresta, è il sipario dietro cui questa mancanza è figurata nel reale».4]
Il «fantasma» non genera significato, non genera significanti, non produce senso. Abbiamo detto: il «fantasma» è un assioma, nel senso che dietro di lui, attorno a lui non c’è niente.
Sul piano simbolico il «fantasma» resta un significante interrotto e, se procura sorpresa, lo procura la di là delle intenzioni del soggetto, il quale se cerca di andare dentro la «maschera», si accorge che essa è vuota. Il «fantasma» è una maschera che sta di fronte al nulla del soggetto. Sul piano letterario, il «fantasma», si presenta come una istanza cieca che si offre alla fruizione contemplativa. Non ha senso in questa sede discettare se esso sia bello o brutto, esso occupa la zona anestetica dell’esistenza, indica quell’al di là del desiderio e del godimento, si offre soltanto alla contemplazione. Come si contempla una maschera nel carnevale di Venezia. Vuole essere soltanto contemplato.
Non è questione di appropriarsi del «fantasma», di afferrarlo, di possederlo, perché esso è in sé anestetico e anestetizzato. Il «fantasma» si può solo attraversare, come si attraversa la scena di un teatro per andare a vedere dietro le quinte. Lo si può soltanto vivere di riflesso. Infatti, Miller scrive:
«È come andare dietro le quinte di un teatro per vedere cosa vi succede e che cosa sostiene il suo funzionamento. […] L’attraversamento del fantasma è andare a fare un giro per le quinte, per sapere come questo funzioni” 5].
Il «fantasma» è una messa in scena. È tutta la scena. Dietro e intorno a lui non c’è altro, non c’è Altro dell’Altro. C’è il vuoto.
1] J.-A. Miller, Sintomo e fantasma, in Logiche della vita amorosa, a cura di A. Di Ciaccia, Astrolabio, Roma 1997, p. 101
2] Cfr Si veda, J. Lacan, Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano, in Scritti, cit., p. 823
3] J. Lacan, Risposta al commento di Jean Hyppolite sulla Verneigung di Freud, in Scritti, cit., p. 381.
4] J. Lacan, La psicoanalisi e il suo insegnamento, in Scritti, cit., p. 431.
5] J.-A. Miller, Sintomo e fantasma, in Logiche della vita amorosa, cit., p. 101.
Una poesia di Carlo Livia
Nella sala della cerimonia vidi: due cavalieri feriti, donne di marmo, un bambino addormentato, una dea in lacrime, un ricordo di giardini e rossori, un peccato, molti sospiri, notti piene di anime, fanciulle d’un tempo, un amore in vesti di glicine, un terrore tinto di corallo, il sogno d’un angelo scomparso, un’aurora malata d’ardesia, una luce eterna, un vento triste con un giuramento, un’assenza con guanti di musica, un sorriso dipinto.
Un silenzio inaudito mi sfiorò e scomparve.
Qualcuno disse “per sempre”, due volte.
Il tempo s’inondo’ di lacrime.
Una voce, colma di cielo, pronunciò il mio nome.
Il ruolo dell’inconscio nella poesia di Carlo Livia
In questa poesia di Carlo Livia, ad esempio, abbiamo un chiarissimo esempio di «reale» molto lontano dal reale convenzionale della poesia italiana che va di moda oggi.
La poesia inizia con un dato concreto e nettamente definito: «Nella sala della cerimonia». Sembra dunque un enunciato di tipo realistico, e invece subito dopo ha inizio una serie di immagini in sequenza del tutto illogiche, oniriche, sovra reali, pur se tutte perfettamente definite nei minimi particolari. Ci troviamo nel mondo dell’inconscio con il poeta nelle vesti del pescatore di perle con la canna da pesca intento a cogliere i pesci e le ostriche. S’intende che tra le immagini ripescate da Carlo Livia e quelle dell’inconscio c’è sempre un abisso, non bisogna ingenuamente credere che le immagini della poesia si identifichino con le immagini dell’inconscio, l’operazione di Livia è più accorta e complessa, essa si limita a delineare delle immagini di sogno per tentare di «catturare» le rappresentazioni «cieche» dell’inconscio. È questo il punto di distinzione, ed è importante rimarcarlo.
In Tomas Tranströmer per esempio, ricorrono frequentissimamente alcune immagini simbolo: le «finestre», le «pareti bianche», «l’oblio bianco», la «casa» una «sala» dove si sta rinchiusi, dalla quale non si può uscire, «la città»…