Salvatore Martino, Aforismi testamentari,  Nota di lettura di Giuseppe Talìa, la fedeltà ad un proprio statuto di poesia 

Giorgio Linguaglossa

 

Salvatore Martino è nato a Cammarata, nel 1940, nel cuore più segreto della Sicilia, il 16 gennaio del 1940. Attore e regista, vive in campagna nei pressi di Roma. Ha pubblicato: Attraverso l’Assiria (1969), La fondazione di Ninive (1977), Commemorazione dei vivi (1979), Avanzare di ritorno (1984), La tredicesima fatica (1987), Il guardiano dei cobra (1992), Le città possedute dalla luna (1998), Libro della cancellazione (2004), Nella prigione azzurra del sonetto (2009), La metamorfosi del buio (2012). Ha ottenuto i premi Ragusa, Pisa, Città di Arsita, Gaetano Salveti, Città di Adelfia, il premio della Giuria al Città di Penne e all’Alfonso Gatto, i premi Montale e Sikania per la poesia inedita. Nel 1980 gli è stato conferito il Davide di Michelangelo, nel 2000 il premio internazionale Ultimo Novecento- Pisa nel Mondo per la sezione Teatro e Poesia, nel 2005 il Premio della Presidenza del Consiglio. Nel 2014 esce con Progetto Cultura di Roma, in un unico libro, la sua produzione poetica, Cinquantanni di poesia. È direttore editoriale della rivista di Turismo e Cultura Belmondo. Dal 2002 al 2010  con la direzione di Sergio Campailla , insieme a Fabio Pierangeli ha tenuto un laboratorio di scrittura  creativa poetica presso l’Università Roma Tre, e nel 2008, un Master presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.

 

Giorgio LinguaglossaGiorgio Linguaglossa

 

 

Nota di lettura di Giuseppe Talia

 

Essere fedeli a se stessi. Cosa significa oggi la fedeltà ad un proprio statuto di poeta? È una domanda principe. È la domanda che si dovrebbero porre i nuovi o vecchi poeti generazionali, i quali, a dispetto della storia letteraria della seconda metà del ‘900, con lo spartiacque generato da Montale con Satura (1971) e Pasolini con Trasumanar e Organizzar (1971)  e l’avvento di Alfredo de Palchi con Sessioni con l’Analista (1967)  sulla scena poetica, non hanno avuto altri modelli che le così dette scuole minimali milanesi e romane di Milo de Angelis e di Valerio Magrelli.

 

Possiamo solo immaginare, e immaginiamo bene, le reazioni di Salvatore Martino agli ultimi due nomi di cui sopra. Martino, che per tutta la sua vita di attore/poeta ha sempre dedicato la sua ars poetica ad un ideale estetico rigoroso, basti pensare alle centoventidue sbarre dell’auto-consapevole prigione “azzurra” del sonetto in cui il poeta indaga, nella forma regolare di terzine e quartine, la Meditatio mortis della poesia di fine secolo. Chiude il cerchio del ‘900,  dopo aver cercato di ri-fondare Ninive con la maestranza e l’alto valore etico-estetico in un “atto fondativo”, il riconoscimento di elementi formali e materiali attraverso apposite norme giuridiche di poiesis.

 

Un tipico esempio di narrazione nevrotica La Fondazione di Ninive, di letteralizzazione della nevrosi, una variegata tassonomia di isterismi, di cortocircuiti del sistema nervoso in generale, in cui il tempo interno (E poi starsene a ragionare… Se sapessi quanto fu lungo…) e il tempo esterno (Quando/piove strade…) si accavallano, si avvicendano l’uno all’altro come il lampo e il tuono.

 

Scrive Donato di Stasi nella introduzione alla Fondazione di Ninive, “Ardente di classicità, Salvatore Martino continua a occuparsi del regno della crudeltà, indagando la fondazione della capitale assira, Ninive, giocando una straordinaria partita spazio – temporale sulle ceneri della Storia e della civiltà umanistica.

 

E quando un Poeta arriva, dopo un lungo percorso, a distillare dal magma di una vita dedicata alle Muse, poesie che concentrano tutta l’energia e tutti i raggi nella kora spettroscopica, allora il lettore consapevole non può esimersi dallo scandaglio che misuri non solo la profondità ma anche lo spessore degli strati,  dei sedimenti e  dei processi  che agiscono nella costruzione del sé poetico.

 

La massa ha finalmente rapito la poesia
e cosi ci hanno sconfessati.

 

 Questa silloge inedita di Martino è un lascito testamentario, un manoscritto ritrovato nella sabbia:

 

“Anche se l’errore è sempre dietro l’angolo, ignotum per ignotius, per insidiare una improbabile conoscenza di dare un nome all’amore, gettò le sue mani dentro il Nulla.”

 

Giorgio Linguaglossa

Salvatore Martino

 

Giorgio Linguaglossa

 

2 febbraio 2018 alle 9.59

 

Non c’è dubbio che Salvatore Martino sia stato un poeta che non ha goduto della «visibilità» maggioritria, e pensare che si tratta di un autore di lunghissimo corso, il primo libro, Attraverso l’Assiria, risale al 1969, si tratta di cinquanta anni di poesia, ma è anche indubbio che anche poeti di alto livello come Helle Busacca, Maria Rosaria Madonna, Giorgia Stecher nel secondo novecento hanno goduto di scarsissima considerazione. Il problema posto, quindi, può essere derubricato a non problema, poiché L’Ombra delle Parole non considera tra i suoi criteri di valutazione quello della «visibilità». Per noi tutti i poeti partono, alla staffetta, su un piano di parità ontologica. La differenza la fa la valutazione estetica, solo quella. Certo, è da dire che la poesia italiana dagli anni sessanta non ha aiutato Salvatore Martino nel suo tragitto verso la «poesia», anzi, gli ha frapposto ostacoli, stilistici, politici (di politica estetica), estetici… una lunga storia che il pezzo introduttivo di Mario Gabriele ha fotografato con precisione.

 

È senz’altro vero quello che scrive Mario Gabriele: «I poeti del Sud, in un certo senso, si sono autoemarginati con la loro poesia, minoritaria e monotematica, legandosi al paesaggio e agli affetti familiari, saturando l’ambiente, tra realtà e mito, all’interno della cosiddetta “civiltà contadina”», ma è senz’altro vero che la rivoluzione del ’68 in Italia ha visto la poesia italiana in una posizione di sfruttamento del demanio, i poeti si sono fatti una casa propria e si sono auto dichiarati poeti, l’antologia di Berardinelli e Cordelli Il pubblico della poesia (1975) fotografava con precisione questa nuova realtà dei «poeti massa» e dei «poeti di fede», che si auto nominavano «poeti» senza aggettivi… mi correggo: con una miriade di aggettivi qualificativi.

 

Ecco, siamo arrivati al punto dolente: L’impiego degli aggettivi e degli attanti concreti. Se chiedete ad un poeta italiano come si regola dinanzi a questa cosa qui al massimo ti guarda come un marziano.

Il fatto è che ben pochi poeti del secondo novecento si sono posti il problema della de-fondamentalizzazione della «forma-poesia» (intendo dire delle ripercussioni che tale fenomeno ha avuto all’interno della forma-poesia), fenomeno intervenuto in Europa (non so in America ma mi sembra che li le cose non siano state diverse). Ecco una serie di problemi: che cosa significa decostruzione in poesia? Che cosa significa la dis-locazione dell’io? Che cosa significa dis-locazione dell’oggetto? – Ecco, un poeta che non si pone questi problemi è un «poeta di fede», dobbiamo credergli sulla parola, dobbiamo credere che lui sia veramente un poeta anche se non capisce niente di che cosa significa la tridimensionalità in poesia e il quadri dimensionalismo in poesia. Come disse una volta Brodskij: «dal modo con cui metti un aggettivo capisco che tipo di poeta sei».

 

Non c’è dubbio che Martino metta gli aggettivi in un modo consequenziale e qualificativo, ovvero, unidirezionale come gran parte della poesia italiana del secondo novecento, ma io mi chiedo sempre più spesso se non ci sia un altro modo per infilare nel verso gli aggettivi e i sostantivi, se, insomma, non ci sia una diversa ontologia estetica delle parole, se insomma, i tempi non siano maturi oggi per un Cambiamento radicale del paradigma poetico nella poesia italiana.

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

Salvatore Martino, Inediti (2018-2019)

 

Mi chiedono talvolta

perché porto due cerchi d’oro

nella mano sinistra

la mia fedeltà al teatro 

- gli rispondo -

la fedeltà alla poesia

 

*

 

L’errore si aggira

nel santuario che cercavi

murato nel silenzio

dove attratto

dalle catene del sapere 

chiuso dai confini di pietra

dallo scacchiere delle scienze

ti sarà rivelato

il luogo della polvere

 

*

 

Caduto ogni pensiero di salvezza

gettò le sue mani dentro il Nulla

felicemente chiuso 

in questa delirante soluzione

 

*

 

Disseccare le nuvole

era la sua occupazione preferita

perché detestava la pioggia

e sognava che il sole

bruciasse 

la tunica delle sue arterie

 

*

Gli prese lo sgomento

quando gli Dei lo obbligarono

a gonfiare le vele verso casa

abbandonata con gioia da venti anni

per insidiare una improbabile conoscenza

degli altri e di se stesso

del mistero che attiene all’universo

 

Per tutta la sua vita 

aveva tentato invano

di dare un nome all’amore.

Avvicinandosi alla fine 

lo chiamerà

l’ignoto con il più ignoto

ignotum per ignotius

… con il nome di Dio.

E barattò gli onori clamorosi

dell’oriente e dell’ovest

per la follia della creatività

 

*

Due poeti dell’antichità

sospesi sopra una nuvola di cotone:

- Nei nostri Conviti  ti ricordi?

si diceva che la poesia 

era una rara avis

concessa solo a pochi.

Un falso tutto questo!

Nell’era tecnologica

lo vedi?

una pletora di modesti individui

si professa poeta

e persino creduti 

incoraggiati pubblicati. 

Fantastico!

La massa ha finalmente rapito la poesia

e cosi ci hanno sconfessati

 

*

 

S’innamorò della verità

senza conoscerla

e rimase stordito

quando la stessa 

gli pronunciò

il suo inevitabile rifiuto

 

*

 

Costruì la sua saggezza

in un quadrante con due lancette

deciso a controllare il tempo

che vegliasse come un cavaliere

il suo oblio desiderato

 

*

 

Distrattamente aprendo

la cassa dei giocattoli

Iddio mi confessava:

talvolta credo

di essere ateo anche io

 

*

 

Caduto ogni pensiero di salvezza

gettò le sue mani dentro il Nulla

felicemente chiuso 

in questa delirante soluzione

 

*

 

Distese sulla sua fronte

un velo di oscura conoscenza

perché si perdesse

l’effimero nell’eterno

in una geometria 

di concavo e convesso

 

*

 

Gli proposero un viaggio

scegliesse lui la destinazione

il battello sul Nilo

l’Apadama a Persepoli

le rovine di Cnosso

Voglio recarmi a Delfi

gli rispose

e sbugiardare l’oracolo e la Pizia

 

*

 

Aveva fatto tante volte avanti e indietro

sul pavimento dell’inferno

 

*

 

Come quel Genio antico

studiava il volo degli uccelli

sperando che un giorno 

la sua anima

potesse  contraddire

Newton e la sua gravità

 

*

 

Gli prese lo sgomento

quando gli Dei lo obbligarono

a gonfiare le vele verso casa

abbandonata con gioia da venti anni

per insidiare una improbabile conoscenza

degli altri e di se stesso

del mistero che attiene all’universo

 

*

 

Se hai il sospetto

di vivere senza scopo

il tuo potenziale nientificante

agghiaccerà l’anima

e la condizione del vivere

raggiungerà quel “nichilismo passivo”

del quale parlava Nietzche

 

 

Camminava le strade ambigue della sua città

sperando d’incontrare un uomo

calpestato dalla folla

col quale dialogare delle parole

che inquinano i cieli del silenzio

 

*

 

A volte temo

che la tragica lezione del nazismo

ci abbia insegnato

la riduzione dell’uomo a cosa

….e oggi la tecnologia

sembra avanzare

sopra questa strada

 

*

 

A volte mi chiedeva una penna

e un foglio bianco

così la poesia lo possedeva

 

 

La strada della conoscenza

conduce alla Cappella Solitaria

dove colui che ti ama

ha inciso la stele della tua condanna

 

*

 

Se non vivi della tua stessa stima

ma dell’approvazione degli altri

sarai accessibile

alle insinuazioni dell’anima

che ha forza di seduzione

e astuzia infernale