Intervista di Gino Rago ad un noto critico letterario, È leggibile la poesia italiana del novecento?, una Dichiarazione del filosofo Maurizio Ferraris, Poesie di Giorgio Linguaglossa e Mario M. Gabriele, Un Dialogo

 

Giorgio Linguaglossa
È leggibile la poesia italiana del novecento?

 

Gino Rago
È leggibile la poesia italiana del Novecento?,
Un rapido colloquio con uno studioso di poesia italiana

Domanda:

 

A questo punto preciso in cui siamo, cioè prossimi ai quasi 20 anni del Duemila, potremmo forse chiederci senza pudori né remore scolastiche: è leggibile, e in che misura è leggibile, la poesia del Novecento?

 

Risposta:

 

La domanda, il dubbio sembrano fatti apposta per parlare di Guido Gozzano. Non solo di lui, ma soprattutto di lui, che con Saba è stato il più “ottocentesco” dei primi poeti del Novecento.

 

Domanda:

 

In che senso ?

 

Risposta:

 

Nel senso che in loro la modernità, per quanto si annunciasse con chiari segni (culturali, sociali, politici) non è stata un programma. Dietro i loro versi non c’è un’idea nuova di poesia.

 

Domanda:

 

Perché, si spieghi meglio…

 

Risposta:

 

La loro è anzitutto una situazione personale, che come tale viene descritta in dettaglio e con il minimo di censure letterarie. Dietro la loro poesia c’è un diario, ci sono confessioni, descrizioni dal vero e racconti da mettere in versi che abbiano una riconoscibile musica di versi, anche a costo di sembrare una nostalgica o umoristica parodia della poesia.

 

Domanda:

 

Saba e Gozzano, sono tante le analogie fra i due?

 

Risposta:

 

Le analogie fra Gozzano e Saba tuttavia finiscono presto: si limitano al loro istinto di trascinare l’Ottocento nel Novecento, ripeto l’Ottocento nel Novecento, un Ottocento piuttosto innocente, visto in una luce di crepuscolo benché evocato con un nitore da riproduzione fotografica.
Con queste ultime parole mi riferisco più a Gozzano che a Saba. E’ Gozzano che parla di pirografie, di cartoline, di dagherrotipi.

 

Domanda:

 

Volendo soffermarci su Gozzano, in tanti hanno parlato di alto grado di leggibilità della sua poesia.

 

Risposta:

 

L’alto grado di leggibilità di Gozzano è dovuto a procedimenti visivi minuziosamente descrittivi, da novella versificata.
L’intero repertorio stilistico della narrativa viene trasferito in un genere di poesia che tende irresistibilmente al poemetto: c’è una scenografia, è in corso una scena, ci sono personaggi, incontri, dialoghi, episodi e aneddoti.

 

Domanda:

 

Forse anche con un pizzico di psicologia.

 

Risposta:

 

Sì, ma c’è quella psicologia che è necessaria sia al ritratto sia alla introspezione del personaggio-poeta.

 

Domanda:

 

Si riferisce a La signorina Felicita.

 

Risposta:

 

E’ proprio quella psicologia sulla introspezione del personaggio-poeta che fa della composizione più famosa di Gozzano, La signorina Felicita, ovvero la Felicità, una novella in versi romantica “fuori tempo”, con la perfetta, forse troppo perfetta, tipizzazione della ragazza semplice e dell’avvocato sognatore, sentimentale sì ma incapace di sentimenti.

 

Domanda:

 

D’Annunzio e Pascoli sullo sfondo.

 

Risposta:

 

Appena un passo più in là rispetto al voracissimo esteta D’Annunzio, e a Pascoli, quasi un sismografo letterario iperpercettivo e insieme ossessivo.

 

Domanda:

 

Quindi Gozzano è con loro…

 

Risposta:

 

Gozzano è lì con loro ed è altrove. È meno letterato e più borghese. Non è né un malato professore di lettere né un avventuriero a caccia di piaceri inimitabili. Metricamente è meno curato, esibisce una certa nonchalance o inabilità formale.

 

Domanda:

 

Gozzano rispetto a Pascoli.

 

Risposta:

 

Il principe dei critici stilistici italiani, Gianfranco Contini, nota che le capacità tecniche di Gozzano, che a qualcuno sono sembrate o possono sembrare virtuosistiche, risultano abbastanza approssimative se confrontate con quelle eccezionalmente colte di Pascoli.

 

Domanda:

 

Vale soltanto per Gozzano verso Pascoli?

 

Risposta:

 

I poeti del Novecento italiano, che hanno spesso voluto presentarsi formalisticamente sofisticati, mostrano di aver perso competenza metrica, anche se cercano a volte di ottenere effetti di sorpresa violando regole che non erano più capaci di padroneggiare (la stessa cosa si può dire per la musica e soprattutto per le arti visive).

 

Domanda:

 

Tanta critica riconosce ancora a Gozzano un forte patrimonio di risorse comunicative.

 

Risposta:

 

Le risorse comunicative di Gozzano sono dovute a un esperimento riuscito nell’accostare, magari con qualche intenzionale goffaggine, il prosastico e il poetico, il parlato borghese e un’ostentata vocalità metrica. È come se scrivesse recitando da letterato, ma per essere letto anche, se non soprattutto, da non letterati.

La sua poesia, i suoi versi allestiscono una perfetta messa in scena, un teatro al quale il lettore-spettatore non può resistere.

Basta citare poche strofe e si entra subito nel gioco, in medias res, davvero in mezzo alle cose, ai fatti, letteralmente, secondo la regola che Orazio prescrive al poeta epico.

 

Domanda:

 

E infatti: “Signorina Felicita a quest’ora scende la sera nel giardino antico della tua casa…”

 

Risposta:

 

E così per stare al suo gioco scende il ricordo nel cuore amico e poi la cerulea Dora, e Ivrea… E il dolce paese che non dico.

 

Domanda:

 

E su Saba?

 

Risposta:

 

Se Lei vuole, di Saba parleremo in qualche altra occasione, ora sto per andare a Nemi, per la sagra delle fragole

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

Maurizio Ferraris

23 marzo 2019 alle 12.58

 

…a proposito del contenuto di verità di un discorso (incluso anche del discorso poetico, con i suoi generi e sotto generi) vorrei citare questo brano del filosofo Maurizio Ferraris il quale traccia una linea di demarcazione all’interno del concetto di «verità» nel mondo attuale 

(g.l.):

 

«Benvenuti nella postverità… la continuità fra postmoderno, populismo e postverità è diretta. Proprio per questo il postmoderno guarda al postruista con gli stessi occhi con cui guarderebbe la propria caricatura, e riduce la postverità a una bugia ordinaria, come ce ne sono sempre state. Ora, sostenere che non c’è niente di nuovo nella postverità non è diverso dal dire, nell’Inghilterra del primo Ottocento, che dopotutto macchine, soldi e operai ce ne sono sempre stati, dunque che cosa c’è di nuovo?
[…]
i postruisti superano di slancio la contraddizione [ndr verità-non verità] diversamente dai postmoderni non dicono che bisogna abbandonare la verità ma, al contrario, che di verità ce ne sono tantissime, parallele e alternative le une rispetto alle altre. Poi, con una mossa carica di conseguenze, enunciano il principio fondamentale della postverità: tutte le verità sono eguali, ma alcune sono più uguali delle altre, ossia nella fattispecie sono più vere e indiscutibili.

 

Non sena ironia, se i postmoderni si erano battuti per rendere possibile una conversazione ampia e virtualmente ininterrotta (anche con effetti lievemente comici: quanto ci sarà da dire? Non sempre siamo sulla transiberiana e dobbiamo ingannare il tempo, e oltretutto ora ci sono i telefonini e i tablet), i postruisti interrompono la conversazione alla prima obiezione, dando del bugiardo, o del venduto, o del furfante al loro interlocutore. Se la società ideale dei postmoderni era un intrattenimento infinito fra tante Sheherazade e altrettanti sultani che prima o poi morivano di sonno, la società reale dei postruisti è una cacofonia di tweet e di post in cui tutti si danno sulla voce mettendo a tacere la conversazione dell’umanità a cui i postmoderni avevano sacrificato la verità.

 

Ho appena parlato di “verità alternative”, come se la postverità non fosse che questo. Ma non è così…».

  1. Ferraris op cit. p. 50
  2.  

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

Giorgio Linguaglossa

 

con un Appunto di poetica NOE

 

Incollo qui l’ultima versione di una mia poesia che sta sul tavolo di lavoro da alcuni anni. Dalla mia poesia l’io è scomparso da molti anni. Ci sono due personaggi: il Signor K. e il filosofo Cogito.

 

Si tratta di un testo che si nutre, come una piovra, come la poesia di Mario Gabriele, come quella di Gino Rago, come quella di Donatella Costantina Giancaspero e di altri autori NOE rigorosamente soltanto di frantumi, macerie, isotopi radioattivi, saldi per gli acquisti, tralci di filosofemi, stralci di cartoline e biglietti da visita, appunti frettolosi scritti sui biglietti degli autobus,  nulla di definito, nulla di nulla, resti, scarti della grande letteratura, resti di incontri casuali, resti di scampoli di letture, di incontri con i gabbiani di Roma che frequentano l’immondizia, scampoli del Campidoglio dell’Urbe, dichiarazioni di portaborse e di faccendieri, dei truffatori che frequentano il Campidoglio, senza risparmiare neanche pessimi scrittori di pessime poesie, reperti  delle discariche improvvisate agli angoli delle strade di Roma, sintagmi afferrati al volo in mezzo agli acufeni, ronzii, sibili… La poesia se nasce può nascere solo dall’obitorio e dalle discariche abusive, mai da quelle autorizzate!.

 

Dialogo tra il Signor K. e Cogito

 

La luna d’alabastro. Brilla.
Notte. Un grido acutissimo l’attraversa.

 

L’Angelo della cosiddetta oscurità precipita
e atterra sullo spartito del musicista,

 

prende comoda dimora sul leggio, tra i fogli
della quinta sinfonia di Beethoven.

 

Il Signor K. entra dalla finestra,
piega le sue ali nere dietro le spalle.

 

Si siede, si serve un cognac,
estrae un sigaro cubano dal gilè giallo.

 

[L’occhio di vetro di K. saltellava]

 

«Veda Cogito, ho preso stabile dimora
in questo pianeta

 

chiamato Terra… quarta orbita del sistema solare
chiamato Sole…

 

vi ho messo salde radici…
del resto, è l’unico luogo abitato dagli umani;

 

mi creda, Cogito, la menzogna deve essere più logica
della verità…».

 

In quel mentre entrò l’amante di Cogito,
la signorina Lulieta Lleshanaku con dei pasticcini

su un vassoio e uno spumante.
«Buongiorno Cogito, oggi, primo aprile!».

 

[Nel giardino, il rosmarino e la lavanda sono in piena fioritura. Nello studio del filosofo, la foto dell’imbianchino campeggia sulla parete. Sul tavolo, i resti della colazione, macchie di caffè sulla tovaglia.]

 

«Del resto, caro filosofo, in questo luogo,
la Terra, dico, la moneta più stabile

è quella dell’impero, quella dell’immortalità
tanto cara a voi umani, o sbaglio?;

veda, Cogito, l’idea dell’immortalità
ama la stabilità, l’immobilità del tempo,

La moneta corrente è un’idea corriva, lo so, e anche
un po’ oziosa, non crede?, però Le concedo

una moratoria
altri cento anni di inimicizia e di ostilità».

 

[Il suo occhio di vetro saltellava]

 

«L’onda d’urto dell’oscurità, dice il mio amico
Gino Rago, viaggia a tale folle velocità,

ché presto spazzerà via dalla terra gli omuncoli di cui Ella discute,
il vuoto e il pieno della loro marmellata guasta

e del suo monologo postruista», replicò il filosofo…

 

[L’occhio di vetro di K. saltellava]

 

«Per rinascere, sono dovuto morire.
Cogito, mi creda, la morte è una gran corbelleria,

 

in verità, sì, lo ammetto, sono disperato, sono rimasto solo,
non ho altri che voi».

 

«Vostra Maestà», replica il violinista «io sono qui,
a Vostra disposizione…».

 

Sulla zucca di K. siede un cappello tirolese, rosso,
a punta, ai piedi, calzature italiane in vernice,

 

made in Varese, extra lux,
l’elegantissimo frac avvolge il corpo magrissimo

 

di K.; scarpe rosse con zeppa e tacchi a spillo 14,
cammina dondolando lievemente i fianchi…

 

«Benvenuto nella poesia della chiacchiera postruista,
mister Cogito».

 

[L’occhio di vetro di K. saltellava]

 

«Per rinascere, sono dovuto morire!».

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

Due poesie di Mario M. Gabriele

 

da La porte etroite (2016)

1

 

Una fila di caravan al centro della piazza
con gente venuta da Trescore e da Milano

 

ad ascoltare Licinio:-Questa è Yasmina da Madhia
che nella vita ha tradito e amato,

 

per questo la lasceremo ai lupi e ai cani,
getteremo le ceneri nel Paranà

 

dove abbondano i piranha,
risaliremo la collina delle croci

 

a lenire i giorni penduli come melograni,
perché sia fatta la nostra volontà.-

 

Un gobbo si fermò davanti al centurione 
dicendo:- Questo è l’uomo che ha macchiato

 

le tavole di Krsna, distrutto il carro di Rukmi, 
non ha avuto pietà per Kamadeva,

 

rubato gioielli e incenso dagli altari di Nuova Delhi.-
-Allora lasciatelo alla frusta di Clara e di Francesca,

 

alla Miseria e alla Misericordia.
Domani le vigne saranno rosse

 

anche se non è ancora autunno
e spunta il ruscus in mezzo ai rovi-, così parlò Licinio.

 

Un profumo di rauwolfia veniva dal fondo dei sepolcri.
Carlino guardava le donne di Cracovia,

 

da dietro i vetri Palmira ci salutava
per chissà quale esilio o viaggio.

 

Nonna Eliodora da giugno era scomparsa. 
Mia amata, qui scorrono i giorni

 

come fossero fiumi e la speranza è così lontana.
Dimmi solo se a Boston ci sarai,

 

se si accendono le luci a Newbury Street.
Era triste Bobby quando lesse il Day By Day.

 

Oh il tuo cadeau, Patsy, nel giorno di Natale!

 

2

 

Una collina a due passi dal cielo.
Pochi alberi sulla scogliera e kayak alla riva.

 

Passa il giorno staffetta.
Ma è Amy che trucca le carte.

 

E’ Amy che scrive di cieli sereni nei suoi poemi.
Dondi vende parcheggi.

 

Nei suoi depliant ci sono quadri 
e fioriere con gigli e tulipani.

 

-Si, è Pasqua, veniamo a trovarvi
mie care ombre lontane,

 

lasciate anche a noi un piccolo spazio.-

 

Alle Molinette rimanesti un mese Dorian.

Prima di Ravenna non c’erano stanze dove fermarsi.

 

La porte étroite si apriva e chiudeva.

Da un giardino venivano e uscivano angeli tristi.

 

Cadevano cetre senza più corde.

Una sera il figlio di Lara tradusse Triperuno in inglese.

 

Non dirlo a nessuno, Margareth,

se il vestito di Sammy non era adatto

 

per i campi del cielo.

Smettila di stare alla finestra a guardare se passa Willy.

 

A Blondy non diremo nulla che possa irritarlo:

neanche se le ombre della mente

 

col tempo diventano grizzly.

 

*

 

Giorgio Linguaglossa

 

 

Mario M. Gabriele      

 

caro Giorgio,

 

ottima riuscita di una poesia che sembra elaborata da Carlos de Andrade, Toni Harrison: e da altri poeti. come Un luna Park della mente, alla Laurence Ferlinghetti, tanti sono i sottofondi e le elaborazioni dei versi che si sbriciolano e si ricostituiscono formando una Galleria di più colori con dialoganti che zittiscono il silenzio aprendo un concettualismo di rara proposizione.

 

Sai bene che fino agli anni 50, si è prodotta in Italia una buona poesia con tutte le carte in regola. Ne è testimonianza il secondo volume della Poesia italiana del 900 di Edoardo Sanguineti, con Gozzano, Sbarbaro, Soffici, Pavese, Luzi, Montale ecc..

 

L’IO, il confessionismo decadente, la rappresentazione di un mondo fisico e domestico, patriarcale e rurale, furono le eterogenee categorie estetiche su cui si caricava la poesia. Tutto un repertorio derivante dagli avanzi psicologici lasciati dalla Seconda Guerra Mondiale su un popolo sfiduciato, afflitto dalla miseria e dalla rassegnazione. Un provincialismo dal diario intimo e metafisico segnava le tappe di una poesia vistosamente ripetitiva.

 

Il primo scricchiolio ci fu con il Futurismo, come distacco dalla Tradizione e con l’Ermetismo di Ungaretti, seguiti poi nel Secondo Novecento dallo Sperimentalismo realistico di Pavese e dalla Nuova Avanguardia, con Sanguineti, Porta, Pagliarani, Giuliani e Balestrini.

 

Non sembrerà una dicotomia, ma le antologie segnano il cammino della poesia nella Storia, come: “Genere letterario anfibio, oscillante tra il museo e il manifesto”,(Sanguineti), con tutte le omissioni e gli inserimenti abusivi adottati dagli antologisti.

 

La situazione della NOE non si discosta molto da quella del Secondo Novecento, che ha visto tante proposte con picchi di linguaggio alternativo, non più casareccio, ma metropolitano. Esclusa l’attivazione emozionale, in questa nostra operazione,ci si sposta su altre modalità di scrittura di tipo discontinuo, belligerante nella forma propositiva,

 

La liricità non è solo messa all’Indice, ma estranea ad ogni dibattito. La scrittura è variabile, ma ancora prematura, per procedere al Battesimo dei nostri frammenti, fatta eccezione per pochi poeti che già hanno raggiunto una maturità, inconfutabile. E qui mi permetto di non citare i nomi rispettando il loro operato.

 

Questa poesia deve badare a non immettere fotomontaggi e altre alchimie, che possono interferire sul piano della parola, fuori da certe energie plastiche di riproduzione oggettiva delle cose e degli oggetti. Non tutto ciò che si riporta nella Rivista è sinonimo di nuova ontologia estetica,

 

Da qui il prevalere di un discorso collettivo e non egemonico, ma che nella NOE si classifica come linguaggio poetico che definisce e chiarisce, tra allitterazioni e sonorità, ipertrofia della parola,e tempo interno e tempo esterno, quadridimensionalità nella dismisura del senso e del non senso della poesia, come ci si avvia oggi a parlarne sempre di più considerati i progressi tecnologici di oggi.

 

Giorgio Linguaglossa

 

caro Mario,

 

hai ragione da vendere, la NOE si sta sviluppando necessariamente in un discorso ampio, avvolgente, tu dici «collettivo e non egemonico», io invece rimarcherei sull’obiettivo del «collettivo», ma ancora di più sull’«egemonico», oggi noi dobbiamo essere capaci di porci come il nuovo polo della poesia italiana, dobbiamo essere capaci di porci sul piano egemonico anche se non disponiamo di un grande editore che ci garantisce una diffusione capillare e nazionale delle nostre opere. Di fatto, la NOE è già adesso egemonica per il semplice fatto che in giro non c’è nessun’altra proposta di poetica alternativa.

 

Roberto Bertoldo, all’uscita del mio libro di critica Critica della ragione sufficiente (Progetto Cultura, 2018), mi aveva messo in guardia scrivendomi: «adesso ti attirerai tutta l’ostilità della poesia maggioritaria, i vostri nemici aumenteranno». Che ci siano delle fortissime resistenze è normale, in uno stagno anche gettare un sassolino produce perturbazione e onde concentriche, ma dinanzi al vuoto di proposte di poetica alternative la NOE è già in sé rivoluzionaria, ha un effetto dirompente. Le piccole numerosissime consorterie di letterati provinciali le abbiamo tutte contro, ma anche questo è del tutto naturale.

 

Ultimamente su un blog che non nomino la NOE è stata coperta di insulti veri e propri, tanto che l’amministratore ha dovuto cancellare tutte le frasi offensive, tra l’altro passibili di denunzia in sede penale. Ma questi episodi non fanno testo, i piccoli gruppi di letterati provinciali non fanno testo; nel frattempo l’argenteria di famiglia è detenuta da una piccola cerchia di letterati i quali da quaranta e più anni tentano di auto storicizzarsi e non sono certo disposti a farsi mettere da parte solo perché è nata la NOE, la loro risposta più eloquente è il silenzio su tutto il fronte. Comprendo benissimo la loro reazione, è una reazione di difesa, istintiva, ne va di mezzo la loro sopravvivenza poetica.

 

Di fatto, lasciatemelo dire, la poesia italiana extra NOE è semplicemente inesistente. La bella intervista postata sopra da Gino Rago ne è una testimonianza, si parla a nuora perché suocera intenda. Nel frattempo si pubblicano libri con l’egida Mondadori e Einaudi molto modesti, definirli epigonici sarebbe già un complimento, sono degli esercizi, variazioni intorno ad una tradizione letta e vissuta come un corpo morto… ma si tratta appunto di variazioni nate già morte.