Poesie e Commenti di Andrea Emo, Donatella Giancaspero, Letizia Leone, Gino Rago, Giuseppe Gallo, Lorenzo P0mpeo, Alfonso Cataldi, Francesco Paolo Intini, Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa

 

Donatella Giancaspero

 

Alla fine di aprile

 

L’intenzione di dire. Il fenomeno nuovo. L’evento.
Ma, di colpo, cade dalle mani la tazzina di porcellana.
Attraversando un flash, tocca il fondo.
Una lesione sul bordo per gli anni a venire.

 

A pranzo, in cucina, la sedia occupa il posto estraneo.
Sfilano i bar di passaggio. Le arance spremute nei vetri opachi.
Da un isolato all’altro, le parole sbirciano vetrine

 

– “per caso, senza l’idea di comprare qualcosa.
Cercando, magari una volta soltanto
e fuori stagione, un gelato al limone…”

 

Alla fine di aprile, i gabbiani qua intorno. Tanti.
Sui tetti. In cima ai comignoli. Appollaiati.
Chi punta il dito, in un ritaglio tondo di cielo

.

 

Letizia Leone

Epopea di cose solide e impermeabili al canto.
Le scale al buio fino al terzo piano. L’interruttore della luce del 1944.

 

Ecco la stanza. È una notte a pendolo di lampadina nuda e fogli di quaderno
Non numerati con la fossa in un rigo. Se leggi:un pensiero ti cade dall’occhio.

 

Alla parete un segno, un rosso, il tocco vermiglio di un frutto
Illividito tra le pere. La stagione della semina dei morti…da mano a mano

 

Da esiliato a esiliato.

 

.

 

Andrea Emo

 

Il pensiero e l’immagine

 

Non è vero che la poesia sia pura fantasia, pura immagine, che la filosofia sia puro pensiero. L’immagine senza pensiero è vuota, il pensiero senza immagine è muto. Ciò che non si saprà mai è questo: quale dei due sia l’origine o la speranza dell’altro. Ma questo è forse necessario. Poiché se il pensiero, guardandosi non vedesse in sé, come suo fine, l’immagine, e l’immagine, guardandosi, non vedesse in sé, come suo fine, il pensiero, forse all’uno e all’altra potrebbe sembrare di essere fondamento, costruzione o conclusione del tutto. Ma questo loro reciproco esser fondati sull’altro fa a noi intendere come pensiero e immagine siano la forma umana della contemplazione, che muta volto e delude se stessa.

 

(Q. 7, 1929)

 

Ogni immagine è immagine del nulla. E in questo senso l’immagine è ontologica.

 

(Q. 214, 1959)

 

In principio era l’immagine, e per mezzo di essa tutte le cose furono fatte. L’immagine è in principio (creatrice e creatura della propria negazione) quale può essere la causa dell’immagine? Forse soltanto la sua negazione; tutto ciò che è originato dalla sua negazione (come l’individuo, l’attualità) è originario, è in principio, ed è un principio. L’espressione non può essere poetica quando è originata da una causa o da un’intenzione. L’espressione deve essere originata soltanto dalla rinuncia ai suoi fondamenti, ad ogni fondamento, ad ogni causa e ad ogni effetto.

 

(Q. 288, 1965)

 

L’immagine è per definizione pallida, diafana, trasparente, ma essa non è astratta.

 

(Q. 306, 1967)

 

L’immagine, come la vita, è Ifigenia e Fenice – è sacrificio e resurrezione – un mistero che celebriamo in ogni istante con la respirazione, con il fuoco interiore che ci brucia. 

 

(Q. 319, 1968/1969)

 

Andrea Emo, In principio era l’immagine (A cura di Massimo Donà, Romano Gasparotti e Raffaella Toffolo), Bompiani, 2019.

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

 

Gino Rago

 

“Se vuoi sapere
qualcosa dei pini –
vai dai pini.”

 

Era solito dire Matsuo Bashō; così è mi pare per i versi di Mauro Pierno.

Se vuoi sapere qualcosa della poesia di Mauro Pierno devi andare nei suoi intimi interstizi fra silenzio primordiale e parola di poesia, silenzio e parola che nelle spighe e nei papaveri rossi dell’ultimo distico trovano i loro simboli o meglio i loro eliotian-montaliani correlativi oggettivi. Il tutto, ha pienamente ragione l’amico Linguaglossa quando lo sottolinea nella sua ermeneutica,
confrontato, misurato con un tempo proposto sempre come ‘presente’.


Se Mauro Pierno decidesse infine di eliminare i numeri, da 1 a 10, questo suo lavoro che riproposto in distici ha una resa estetica travolgente potrebbe essere letto come un poema per omogeneità di lingua, di ritmi, di sillabazione stessa dei versi. Un poema, per omogeneità fono-prosodica dei distici. Se vuoi sapere qualcosa dei pini vai dai pini…

 

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Giuseppe Gallo

 

Il problema, carissimo Gino Rago, è che io non voglio più “sapere qualcosa dei pini…”, e ritengo che nemmeno a Pierno interessino, in prima istanza, né la “Primavera!”, né le “spighe… accorte” e tanto meno i “papaveri rossi”… ma solo il loro lato oscuro: il loro “esaurimento”. Segnalo una serie di sintagmi tratti dai versi di Mauro: “Improponibile”, “Stento la mia”, “Sbarramenti”, “Poco sangue”, “Saranno rimasti in dieci…”, “Liberi di frenare”, “un vortice di consolanti nubi”, “un antefatto”, “Un apriscatole che gira nelle mani e non affonda…” e così via di seguito. In ogni concetto e in ogni immagine c’è qualcosa di non concluso… il vuoto si restringe sempre di più, ma il cerchio non si chiude mai! Né nell’Essere, né nel nichilismo. C’è sempre una percentuale di “residua commutazione”. Direi di più… Mauro Pierno afferma che di questa “batteria esausta”, che è l’uomo, e questa metafora sì, che mi interessa, sopravvive “solo l’8 %”. Soltanto un elemento fuoriesce dall’ambiguità, la pulvis, di cristiana memoria, la polvere… soltanto questa è “esattamente” quello che è, sia nello scorrere che nel diventare: il presente dell’uomo!

Grazie, Pierno!

 

*

 

Lorenzo Pompeo, da una crepa nel Cemento armato di Santa Pazienza(Progetto Cultura, 2029), in una e-mail inviata a Giorgio Linguaglossa e a me, dal lago termale di Heviz e da Budapest, annuncia la morte di Amleto. Un inedito nel quale, per stessa ammissione dell’autore, riecheggia di qua e di là Herbert.

(Gino Rago)

 

 

Lorenzo Pompeo

 

Amleto è morto

 

“Amleto è morto,
coperto da un lenzuolo
disteso sulle sembianze
di un giovane di belle speranze.
Il riflesso del suo bagliore
è un bozzolo imprigionato
nel fondo dell’oceano
di una piccola malinconia.

 

Amleto è morto
nelle fibre di un fazzoletto bianco
buttato su un marciapiede
e con lui l’onore di un principe
selvaggio e mite.
È morto contando
i granelli di sabbia del deserto,
osservando le coreografie
delle nuvole.

 

Amleto è morto
sotto un crocefisso annoiato
mentre tentava di decifrare
il geroglifico della propria esistenza
in un letto d’ospedale
di un paese sconosciuto.”

 

*

Grazie Gino! Non so perché e da dove mi è venuta questa lirica. So solo che, tornando in Italia mi sono sentito in dovere di fare questo annuncio. Quello che volevo dire, meglio di così non saprei dirlo…

 

(Lorenzo Pompeo)

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

  

 

Gino Rago

 

Viva gli sposi…

“[…]
«Tutta la mia vita in due date,
Il 4 maggio. Il 25 aprile.

 

Da tempo non festeggio
il primo giorno di maggio.

 

Oggi sono senza voce. I granata con l’Alessandria
hanno vinto 10 a 0.

 

Sento la carica, mi vuoi sposare?
Potremmo andare in chiesa

 

Solo con gli amici. Sull’altare
Il nostro cappellano militare.

 

Ci metto il vino, le fedi, i bucconotti, i panini.
Tu la torta, le zagare, il riso,

 

Importante è che ci sia il sole.
Partigiano. Tifoso di quel Torino,

 

Ti offro nozze a fichi secchi.
Antonietta, mi vuoi sposare?

 

Antonietta-mia-madre disse di sì…
Nessuno gridò viva gli sposi.
[…]
Di una pagina senza dolore
Rimane una stampa color seppia sbiadita.”

 

.

 

Francesco Paolo Intini

 

Contava i protoni

 

Il piacere fondamentale deve qualcosa alla simmetria
chi non capisce un asse rotante omette il mondo.

 

L’aria si fa meschina talvolta si gonfia per piangere e non tollera
Il ritorno sui passi, così lascia all’autunno gli occhi

 

Che diventi allume la spiga

Il ritmo letterario ritorni nella domus aurea.

 

Solo perché una regola prevede l’indice
Sia detto il significato dopo il significante.

 

Senza mai nominarlo ma contando a protoni
Hegel inventa il Tempo.

 

Contare è creare.

 

Nessun prussiano in giro, nè guerre

tolleranza zero. Aspergersi invece di cenere.

 

Due protoni non sono uno, così pensa il Sole

L’ immaginavi alla conta sulle dita?

 

Alle fronde dei salici lasciammo Quasimodo

Noi cercatori d’oro, invisi al canto del gallo.

 

Marmitte lavorano per noi,

Migliorano l’aspetto dei cadaveri

 

e scendono con dignità da scale lombarde

Monatto non t’avvicinare a Cecilia.

 

Il verso di sei protoni creò la chimica organica.

Meglio sarebbe stato lasciare uno iato o drogarlo di Litio.

 

Tra galassie fu accolto come idea balzana

Dentro s’impastava carne e vuoto. Gli Dei risero.

 

Ancora una volta il Sole raccontava barzellette

Era l’idiota che non si accorgeva delle circostanze.

 

Tieni stretti i tuoi protoni

Piuttosto che creare possibili uomini.

 

Inventa schiuma da barba per Giove

Che storia è se il creato si mette a creare?

 

Le leggi della statica sono buone per la volta a botte

Costruisci grattacieli e sosterrai l’equilibrio tra quasar.

 

Ti sia dato anche l’anello del Cern,

L’epoca delle postfazioni.

 

Ma inventa qualcosa che scorra dentro

e non sia l’immagine che è.

 

La possibilità di carne umana è spavento

assenza d’assi, specchi e centri.

 

Come gira l’universo? ci darà piacere il verso

o sarà un inutile oziare di dei?

 

La coscienza ha un balzo di novantadue piani

La tavola di Hegel era incompleta. Semplice!

 

Non mangiavano Transuranici allo stesso tavolo

si era presi da una frenesia di apostoli allo sbando.

 

Che s’è fatto dunque a nutrire l’essenza?

L’istante è il sollecito della Legge.

 

C’è un obbligo alla fine un altro all’inizio

corda che vibra e cambia di tono.

 

Pagare per questo teatro del piacere?

come a Yalta

 

in Tempo e cianuro per le cecilie

nel bunker di Berlino?

 

Scopri lo specchio se ne hai memoria

o ferma l’asse che gira. Il Tempo se c’è.

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

 

Alfonso Cataldi

 

Qualche giorno fa, un po’ per gioco, ho pubblicato un mio testo recente su un gruppo Usenet che era molto attivo alla fine degli anni 90. Un utente commenta: “…e io salto da un’astronave a un’altra”. Il commento, che voleva essere ironico, sarcastico, inconsapevolmente coglie nel segno: al lettore arriva esattamente quello che volevo far arrivare. Tra i versi di Mauro Pierno, accade proprio questo: si salta continuamente da un’astronave a un’altra, da un sistema di riferimento a un altro. Lo scopo non è “cercare” la materia oscura, piuttosto viverla.

 

 

Giorgio Linguaglossa

 

Ecco un pensiero di Derrida estrapolato dal contesto filosofico-psicanalitico in cui è nato ma che noi possiamo applicare tranquillamente al nostro progetto di una «poesia-polittico» nella quale non solo il «pensato» trovi posto ma anche e soprattutto il «non-pensato», il «de-negato», l’«impensato», il «non-tematizzato», il «punto di vista scentrato», l’«incorporazione», etc.

 

Il semplicismo di una forma-poesia incentrata sul discorso assolutorio dell’io quale epicentro del reale è, dal nostro punto di vista, del tutto sussidiario; l’io è un «limite del mondo», come afferma Wittgenstein, non il suo centro, e nemmeno il suo epicentro. Nella «nuova poesia polittico», l’io è un punto di vista periferico tra innumerevoli, infiniti altri punti di vista periferici e scentrati. E nient’altro.

 

«Il semplicismo del “questo è stato pensato” o “questo non è stato pensato”, il segno ne è presente o assente. S è P.. Si sarà allora tenui nel rielaborare completamente tutti i valori. Essi stessi distinti (fino a un certo punto) e spesso confusi dell’impensato, del non-tematizzato, dell’implicito, dell’escluso sull’esempio della forclusione o della denegazione, dell’introiezione o dell’incorporazione, etc., silenzi che lavorano come tante tracce un corpus da cui sembrano “assenti”».1

 

1 J. Derrida, La carte postale. De Socrate à Freud et au-delà, 1980 Flammarion, Paris – trad it. La carte postale Da Socrate a Freud e al di là, Milano Mimesis, 2015 pp. 508 € 28, a cura di Luana Astore, Federico Massari Luceri e Federico Viri. p. 359