Giorgio Stella è nato a Roma il 30 aprile 1975, ha pubblicato, Sterpia (2011) L’arco del cerchio (2011), Harlem (2011), Rom (2012) e varie plaquettes di testi poetici.
caro Giorgio Stella,
la poesia italiana di questi ultimi decenni ha, di fatto, abdicato alla sua funzione problematizzante, si è rifugiata nella referenzializzazione in modo tale che l’oggetto non diventava più questione perché inglobato nel discorso del soggetto. Nella misura in cui il rapporto con il reale si s-problematizzava, la forma-poesia tendeva alla referenzializzazione e diventava narrativa. E il soggetto si scopriva quale operatore ecologico privilegiato del discorso poetico. Ciò implicava che si parlasse molto di più del soggetto e dei suoi ruoli e delle sue funzioni e del suo posto nell’universo situandolo al centro del sistema solare copernicano.
La poesia italiana da Bertolucci de La capanna indiana (1951) a Montale di Satura (1971) fino a Bacchini e agli ultimi continuatori di quella impostazione è ancora tutta incentrata, come raggomitolata sull’io, quel soggetto che la psicoanalisi e la filosofia avevano messo fuori questione. E il soggetto veniva automaticamente ri-messo in questione proprio perché si pensava in modo acritico che fosse la questione principe, la questione incipitaria; ma, nella misura in cui il soggetto cessava di funzionare come principio, il principio cessava di essere tale e diventava mero luogo locutorio, tropo, mero luogo retorico. Il principio rispetto a se stesso e al mondo si scopriva essere un luogo fittizio. E il mondo diventava un pallido riflesso di quel soggetto-principio che aveva cessato di funzionare come principio.
Con l’insorgere e il proliferare dei linguaggi del mondo globale, quella identificazione con il referente era irrimediabilmente spezzata, infranta, e la catena dei significanti veniva ad occupare la posizione centrale ed esclusiva; di qui l’imperialismo del panlogismo dello sperimentalismo del secondo novecento e l’autonomia dell’articolazione proposizionale.
Il soggetto si vedrà ormai subordinato al logos, un logos le cui leggi finivano per autonomizzarsi. La relazione significante-significato stigmatizzava in positivo il negativo, cioè che il garante di quella relazione, il soggetto, aveva fatto fiasco. Con la sua iscrizione semantica il locutore cessava di essere il fondatore, con la conseguenza che sarebbe stato sufficiente fare un altro passo in avanti per scoprire che quella relazione che garantiva l’iscrizione semantica, aveva perso di validità, e la significazione diventava un problema dell’ordine proposizionale. Così, il processo della significazione si scopriva altamente vulnerabile alle scalfitture, alle lacerazioni dovute alla avvenuta scissione tra il significante e il significato, una scissione dirompente che finiva per aprirsi a dismisura nella quale il soggetto egolalico rischiava di periclitare e annegare definitivamente.
Il soggetto si scopriva essere un mero luogo retorico, luogo tropologico, operatore linguistico privo di legittimità e di alcuna garanzia fondazionale. Il soggetto, lungi dall’essere risposta problematologica e antropologica, diventava chiusura del discorso, si referenzializzava, diventava luogo retorico, si retoricizzava.
Il tuo linguaggio poetico vive tutto nella e sulla linea di demarcazione di questa scissura che si apre a dismisura tra il significante e il significato, è un operatore problematologico che indica la chiusura di qualsiasi legato di senso della proposizione poetica.
L’io che interroga se stesso nella tua poesia diventa lacerazione, strappo, scucitura, ulcerazione, viaggio con una lente di ingrandimento intorno alla scissione dell’io e alla de-localizzazione del soggetto retorizzato.
La NOE chiude definitivamente alla introspezione psicanalitica del soggetto ripiegato su di sé alla ricerca di un briciolo di «autenticità». La nuova ontologia estetica è un discorso altamente finzionale, come dice Lucio Mayoor Tosi, altamente artificiale e artificioso. E non può che esserlo stante le premesse del discorso. E la forma-poesia diventa un discorso altamente artificioso e artificiale. Parlare di «autenticità» del viaggio dell’io, nei termini della nuova ontologia estetica, è un contro senso, perché quella chiave di accesso al reale si è rivelata spuntata, che poi la grandissima parte del linguaggio poetico di oggi continui su quella falsariga, è, precisamente, un non argomento.
Giorgio Stella da Sterpia, 2011
(pag. 82)
Era un orfanotrofio… lo riconosco
dal getto cieco nell’occhio spento:
“Tu sai
padre mio
il boia che hai esistito
cessando di nascermi…”
ora nel vento è l’atto –
(pag. 92)
Una volta, da bambino,
lo portò al museo
d’arte per il giorno
del suo compleanno –
l’opera più grande che
vide fu la
sua maschera, lunga nell’anima dell’ombra.
Fu il primo compleanno
da uomo libero
di tradirlo –
(così cantava il disco:
“Com’è triste la notte,
un anno dopo il sole…”)
Elèna Gutturale (pag. 17/18)
Io non ho paura
Guardo il buio
E piango bianco
E fanno le
Cose che muoino
La fronte muta
Non è più mia la
Colpa di uccidere
E vivere un gesto
Padre che prega il padre
Attraverso il vetro vitale
Oltre la rosa
La stanza accartocciata
Di rosa rosa
Dove si paga l’aria
Un occhio nell’altro roso
Piangono i santi
Ammutoliti dai
Santini dentro la chiesa
Resta la preghiera
Un ricordo: tagliavo…
Ho tagliato il sangue
Da bambino sburro
Da adolescente sborro
Da uomo la sborra
Poi l’uomo e la donna
Il frenulo del glande
Appare tra nuvole -
Dio ha parlato una volta sola
Sullo scoglio di scroto
Ora volo dove vola il volo.
Confesso: senza l’amore tra
Le vene sarei morto senza
Amore e andammo oltre.
A Paul Celan pag.19/20
Mi trovo nel non luogo,
qui vengono e partono in continuazione
coloro che restano nell’ambiente del luogo,
e l’acqua e la terra non fanno tanta differenza
tra loro e il vuoto
qui sono nella parte d’ombra che si trova al centro del sole
qui sorgo e tramonto nel medesimo cielo
cardinale dell’incrocio natante dell’aere,
qui sono qui, mi trovo a te
nella zona d’essere stato
persona vostra, storia mia,
solo per voi, Eric e Gisèle
l’acqua non affonda.
Lezioni di vento pag. 26/27
Nulla crea il giorno, la luce viene dal buio,
poi l’ombra del mare, lezioni di vento,
soltanto i bambini muoiono felici,
le loro bare non prendono fuoco
e restituiscono il vento partendo,
loro, gli orfani del tempo,
che hanno perduto tutto
per recuperare il sangue ancestrale
lasciando la madre, cancellando il padre -
così vidi l’onda arrivare
fino alle cabine, poi la bandiera
rossa issata come la ruggine del sole che vaccina le ombre
e la stuoia accartocciarsi in tomba
verso una natura morta dove non cerco aiuto:
oggi l’ultima volta
quel bambino che saluta
gli altri bambini che vanno
verso la bomba atomica
e sorridono,
dal finestrino nella gita -
sul ponte d’acciaio
la neutrale
realtà dell’elmo,
dall’altra parte
nelle orme del vento
una riva di rose
ci informa che
il sangue è arrivato,
profumato di morte il mare più calmo
quand’è passata la ronda nel fiume Rom
uccidendo tutti loro - i pescatori hanno remato acqua e sangue
e poi si sono svolti i funerali; i corpi su giacigli
di legno legati ai pali di un ponte,
un macete che ha tagliato le corde fatali
a tutte quelle zattere che s’abbandonavano
nella torbida fontana, con tutte le statue
che guardavano la scena col muso all’orizzonte
dando le spalle al niente
e più lontano già si udiva una raffica di mitra
che faceva a pezzi i morti, oh madre nella notte!
Che sai quando nasce vive e muore
La solitudine, questa sorella pazza che cavalca
Due cuori, quello che è
Nato e quello che deve ancora morire, saldati,
riconoscenti ad un comando
che il cielo alto non vuole riferire al nemico
al silenzio che entra nella porta del vuoto
le serpi e le sirene
verso il bagno nudo della spuma fragile dov’è sepolto Dio.
*
Quando morii fui sveglio e eterno
come il regno di sabbia nel castello di vento.
Né rimpianto rimorso odio compassione,
solo me stesso
cineripreso accanto a Dio
nella camera oscura in eterno,
come quei filmini, quei vecchi filmini
che ridono la stessa storia d’amore
dall’inizio alla fine come quando finisce –
ricomincia la strofa della vita –
- solo che questa volta sono talmente dentro dio
che sgorgo all’infinito il sangue del finito,
e non piango, non rido, io nel mentre di me stesso,
ed io?
Io venni meno al mio destino
come del resto già sapevo,
già io sapevo il volto,
il volto rado mio, quel volto,
quel volto baciato
fino all’osso
materno sogno