Mario Lunetta: «La stupidità organizzata è volgare, ci fa orrore»
Il punto critico di Giorgio Linguaglossa
A proposito della poesia italiana degli anni ottanta scrive Mario Lunetta:
«La stupidità organizzata è volgare, ci fa orrore. La ideologia attualmente diffusa in gloria di quella recentissima specie zoo(il)logica che sarebbe il poeta da spiaggia o da stadio […] che ‘canta’ al grado zero le sue passioni le sue frustrazioni le sue esaltazioni in versi intrisi di ‘incantevole’ primitivismo semianalfabetico, è l’ultima invenzione del mercato delle lettere (insomma, del mercato) perfettamente omologa al presente del gusto medio radiotelevisivo/rotocalchesco. È l’ultima mistificazione in letteratura, in poesia».
Come non condividere questa affermazione? Mario Lunetta è stato un importante ed insopprimibile esponente della Opposizione poetica che si è avuta in Italia dagli anni settanta al 2017, l’anno della sua scomparsa. Vorrei dire che un regime poetico senza Opposizione o che liquida l’Opposizione come insignificante e non rilevante, con il silenzio e con uno specioso sofisma, si rivela essere un regime non parlamentare ma un Regime Autoriale. Mario Lunetta è stato un poeta importante che avrebbe dovuto essere pubblicato nella collana bianca dell’Einaudi, e invece è stato confinato in edizioni di confine, è stato emarginato per via della sua pervicace e costante opera di opposizione al Regime Autoriale.
Mario Lunetta, 2006
Nota critica di Antonino Contiliano
«Un poligrafo alchimista e proliferante. Una vita e una parola oppositiva, l’opera di Mario Lunetta. Una scrittura anti-sistema-mondo variamente proposta ma sempre nell’ottica di una espressione polisemica e plurilinguistica aggressiva. Una lotta materialista e una sottrazione engagé – giocate tra denuncia e demistificazioni, autoironia, ironia e sarcasmo (troskianamente permanente, direi) – che, nonostante il degrado invadente e pervasivo del sistema-mondo e della stessa “Forma Italia” (sventrata e sminuzzata dal capitalismo globalizzato dell’impresa finanziarizzata) mai sono dimentiche della possibilità antagonista-alternativa: hasta la vista, “il giovanissimo nome di comunismo”. Una scelta e un “fine vita” che Mario Lunetta (caro il caravaggesco moto “Senza Speranza. Senza Paura”) affida ai versi dell’opera L’allenamento è finito (Robin, Torino, 2016) e che Francesco Muzzioli richiama a chiusura della prima parte – “Il percorso poetico” – dello studio monografico (p. 65) che gli dedica.»
da L’allenamento è finito Poesie 2006-2016, Robin, Roma, 2016, pp. 190 € 15.00
But For All That
C’è da ridere solo a pensare al trattamento
da animale da circo di cui ebbe a godere
il poeta dei Cantos che già sentiva premersi addosso
il gelo della vecchiaia mescolato ad altre varietà
di gelo – da parte di politici, giudici senza giudizio,
funzionari, sbirri, intellettuali strabici, patrioti
e giannizzeri magari anche capaci di peggio, solo
a forni gliene il destro.
C’è da ridere sol che si pensi a come
generosamente
lui, il miglior fabbro, si sia sprecato per tanti
dei suoi colleghi e confrères, a come con splendida
ingenuità abbia dilapidato la sua vita incappando
in un Equivoco grosso come cento Moby Dick
incollati testa-coda, anche se uno spirito sterile
come F.R. Leavis afferma senza batter ciglio che “egli è,
nel senso più serio della parola, un esteta”.
Tutti sanno che una bella porzione del gran poema
di Eliot fu cassato da lui con intransigenza fraterna,
ma forse sono assai meno al corrente del fatto che quando
negli anni di Zurigo Jimmy Joyce dovette subire
un intervento chirurgico agli occhi per trattenere l’ultima favilla
di vita che vi brillava dentro, quella canaglia di Pound,
non ancora reo di alto tradimento nei confronti
del suo paese, per pagare le spese ospedaliere
vendette i suoi cimeli più amati: gli autografi
di re Ferdinando e della regina Isabella datati 1492.
Non so, davvero non so se sia possibile
immaginare
per chi è stato il maggior navigatore dei linguaggi
della modernità un’allegoria più fulminante. Ma certo
l’involontario risarcimento, coincidenza, caso, sfasatura
di quando lui nel 1958 tornò in Europa a bordo
della Cristoforo Colombo, ha l’aria di una tragedia
che si volta in farsa e viceversa, con una continuità
da brividi.
(12 gennaio 2010)
L’inesistenza del meglio
Chissà se è meglio o solo peggio sentirsi
un marmocchio in carrozzina trascurato dalla madre
o un vecchio in agonia carico di rimorsi.
Chissà se ancora il vento è più libero del condor
che si lascia cullare dalle sue folate prima di cadere a picco
sulla preda sentendosi stingere il cuore, chissà mai.
Chissà se il mondo è disposto a farsi chiudere
in un dizionario o le parole di tutte le lingua
sono ormai affette da devastanti attacchi di schizofrenia,
irreparabilmente.
Da questo bar sotto i portici si vede la farmacia
in fondo alla piazzetta e i intuisce l’insegna
di un’erboristeria coperta da fogliame in disordine.
In entrambe si vendono illusioni al canto
delle cicale che simulano quello di mitologiche sirene.
Laggiù il treno che corre sul sottopasso
ha tutta l’aria di un giocattolo che abbia finalmente
conquistato la sua libertà.
La calvizie è una colpa: è sulla capacità
di convincimento dei poveri di spirito che oggi
la menzogna pubblicitaria esercita i suoi poteri satanici
e riduce i cosiddetti consumatori
a orde di replicanti di androidi in preda all’infelicità
e ai sensi di colpa assetati ingozzati di popcorn
nel tubo intestinale dell’animale mondo incapaci di capire
che tutto ciò che si vede è bene prima sentirlo
per poterne interrogare le intenzioni criminali
per poi darsi un meritato riposo.
So che non accadrà: perché il verbo accadere
non ha il tempo futuro. Ciò vuol dire, dunque, che
sono ogni giorno più rare (anche tra le persone
a me più care) quelle capaci di corrispondermi
dal momento che da parte mia non so neppure più
corrispondere a me stesso. Prosit.
(14 giugno 2015)
Tiresia
Perché nascondersi se siamo invisibili?
Domanda insieme ingenua, forse persecutoria
e in tutti i casi tautologica – rivolta a tutti
tranne che al sottoscritto che l’ha pensata ed emessa
come per distrazione o forse sotto un attacco
di farnético tranquillo nonché precedentemente
visualizzata
in un disegno a fasce ondulate energicamente policrome
dietro cui appare (per la precisione: appariva
prima della cancellazione, della scomparsa) un’ombra
in qualche modo antropomorfa in una luce di
crepuscolo…
Eppure a ben pensarci si potrebbe anche concludere
che tra nascondimento e invisibilità
c’è oltre a un quid consequenziale e (come prima
azzardato)
tautologico, un germe di contraddizione – dove si annida
una solida forma di positività dicasi pure dialettica – e
un suo analogo impegnato ad alimentare un desiderio
forse di salvezza rispetto a un pericolo incombente
forse di volontà di sparizione rispetto a tutto ciò
che esiste
o ha la pretesa di esistere, quindi di giudicare, di indicare
una strada, un arbitrio di destino
: (ma senza fare i conti col tebano Tiresia
accecato da Minerva nell’adolescenza
sempre deciso a nascondere la propria invisibilità
di uomo-donna e di donna-uomo dopo la doppia
uccisione
dei serpenti in amore e la sentenza sulla maggiore
sensibilità erotica della femmina
dietro un eccesso abbagliante di chiarezza
: innocenza suprema, suprema presunzione
che irride la morte)
(24 maggio 2016)
Anima persa
Qualche tempo fa, probabilmente il 23 novembre, il Sottoscritto Immemore ha compiuto ottantun’anni dimostrandone senza un filo d’imbarazzo dieci di più, a dir poco: e magari credendo in tutta buonafede che gli anni
abbiano facoltà di esercitare liberamente il diritto di accrescere i loro addendi sia in senso anagrafico che in senso crono visivo – con allegria o umor nero, leggerezza o spirito plumbeo, nei luoghi più gradevolmente
aperti e ospitali o nel chiuso di una cella, in compagnia di chi si ama come nella più assoluta solitudine.
In tutti i casi il Sottoscritto Immemore conserva nel Mar dei Sargassi della sua trascurabile esistenza uno straccio di pietà per se stesso pur non
usandone mai
a fini di pubblica sollecitazione di conforto et similia.
(Lèggasi): anche parlando di sé il Sottoscritto
Immemore
parla invariabilmente di qualche altro
attraversandone
l’immagine con lampi sulfurei di ironia o secche bòtte
di sarcasmo, quando il caso lo richieda.
Che dire di più? Cosa aggiungere a certe futilità
se le polveri sottili vanno ad annidarsi perfino
nel piatto di spaghetti che ha mangiato un’ora fa,
il mese scorso o la prima settimana di un’altra vita
(con lei, id est la sua anima persa che lui,
l’Immemore, non ha
- lo giuro e lo spergiuro – la minima intenzione
di ritrovare?)
(27 aprile 2016)
Ghigliottina del benessere
Pare piuttosto buffo (e perché no spregevole) –
suppongo
non soltanto all’ipersofisticato sottoscritto-
assistere senza fiatare
al pressoché irrefrenabile proliferare di Centri Benessere
in tanta disperazione che si taglia col coltello più
che vederla
con gli occhi appannati del corpo e della mente,
tanto scialo
di urla soffocate, fiumi di sangue nel giorno che annega
dentro le fauci della notte ammutolita e fa salire
mescolati
canti di ugole strozzate con versi di animali in
tregua d’armi
mentre il mondo che si mostra e non si mostra
continua a sorridere
della propria agonia senza fine, nella giusta
divisione dei compiti
fra vittime e assassini: si taccia una buona volta almeno
per decenza, mica per carità – vorrei dirlo e non lo dico.
Meglio: vorrebbe dirlo e non lo dicembre l’ipersofisticato sottoscritto
intento a tagliarsi meticolosamente le unghie per
evitare di finire
nel gorgo dei suoi pensieri a spirale che
sopravvivono ai bordi
del vulcano e gli ghignano addosso come iene,
mostrando i denti
in una scommessa da ghigliottina dolceamara, nel maquillage
di questa fin de partie di cui è stato cancellato
l’inizio non l’epilogo.
Forse non c’è risposta: e se una ce n’è non
credo possa
di troppo discostarsi dal teorema di Spinoza ove si afferma
che Il pentimento non è una virtù, in quanto –
aggiunge umilmente
l’ipersofisticato sottoscritto – battersi il petto dopo
il crimine
(o magari la colpa più leggera) finisce per essere
uno sport in cui è troppo facile vincere senza eccessivo
spreco di energie.
Heidegger non s’è mai pentito
del suo comportamento: non a caso era un profeta intriso
di retorica frattale, troppo intento – fino alla morte
- a fissare
la profondità del proprio grandioso ombelico,
das ist alles
(2 maggio 2016)
Birignao Frecciarossa
dal finestrino del Frecciarossa Napoli-Roma h 16.40
gli occhi annegano in una distesa sconfinata di serre
- pomodori è da supporre, o altre specialità
di mangime vegeto-minerale tirate su a concimi chimici
e rinforzi ormonali se non gonfiate a estrogeni
come polli americani impunemente riciclati
nella Campania felix – ciò che provoca scandalo
mica morale ma solo estetico è quell’inconscia
instillazione di Beuys sotto forma di franante
aggressiva collina nera di copertoni d’auto
lì a chiudere l’orizzonte come un tappo
stupidamente inesorabile
ma forse il peggio è concentrato qui,
scompartimento
semivuoto, in quella cicalata ad alta voce di una girl
a prima botta carina, benvestita, di postura elegante
poi di colpo, indossata l’uniforme manageriale, assunto
il tratto tosto del dirigente eccola lì buttar fuori al
cellulare
il suo gergo tecno-autoritario a freddo
a una qualche dipendente (ma meglio si direbbe
sottoposta)
sottolineato da discariche okay sparate a raffica
col gusto evidentissimo di sottomettere calpestare
ridurre
all’obbedienza chi l’ascolta da lontano: scena
spettacolosa
di surrealismo sadico, mitopoiesi allucinante
ora che lo speaker al microfono raccomanda ai
signori viaggiatori
di parlare a bassa voce per non disturbare please: sospiri
reiterati e birignao all inclusive nell’orrore, nella
pietrificazione filmica che non prevede
happy end
(1 giugno 2016)
4
Hodie giornata infausta di mezz’agosto
hai ripetuto al cellulare su mia ansiosa richiesta
il catalogo maligno delle tue indisposizioni
& dei tuoi malesseri sempre in agguato
l’amarissima filiera ormai sangue del mio sangue marcio
(mal di schiena, ernia del disco, cistite,
infiammazione
della rotula ecc.) che tortura le tue gambe
di walkiria fanciulla per cui l’elenco assassino
raspa la mia pelle di vecchio gatto soriano
al modo di una grattugia rovente manovrata
da un topo impazzito
Hodie et semper annaspo tra la fiaba sinistra
delle tue sofferenze mescolate alla rinfusa
con le clessidre rovesciate dei tuoi instabili umori
le tue malinconie nostalgiche il tuo volerti male
per incapacità di amarti pur sapendo che sei stata
amata da tanti (&la serie anima mia non è ancora
esaurita)
attratta come sei da un buio opaco nel pozzo
delle mille incertezze della tua psiche fatta di sogno
& crudeltà foschia & luce accecante
come l’oro della tua voce o le sue tenerezze
appena sussurrate
Colui che ti si rivolge pieno di patèmi
con questi versi maldestri
registra che anche hodie giornata infausta di
mezz’agosto
tu hai insistito a parlargli della fragilità
della tua mente avventurosa & altruista
dilaniata dai capricci di una psicastenia traditrice
a petto del bel carattere di lui che sarebbe a tuo dire
la risorsa inesauribile del suo resistere tra i marosi
& gli assalti di quella cosa astratta & concretissima
che chiamano vita
Lui caro ex carne mea si permette di rettificare
in tutta umiltà che non è il caso di parlare
di bel carattere ma di carattere semplicemente
& ti ripete senza stancarsi di ripeterlo
che questo carattere ti appartiene
deposto com’è ai tuoi piedi
ora & per tutto il tempo che vorrai
(5 agosto 2015)
su Oblio VIII, numero 32
Elisa Caporiccio Francesco Muzzioli, Mario Lunetta. La scrittura all’opposizione, Roma, Odradek Edizioni, 2018 ISBN: 978-88-96487-67-9
«Mario Lunetta ci ha lasciati, ma è come se fosse ancora con noi». La recente monografia che
Francesco Muzzioli ha dedicato allo scrittore e amico da poco scomparso si apre nel segno del
ricordo, con la consapevolezza della necessità, ora, di riprendere in mano i suoi testi e promuoverne un’attenta riscoperta, chiarendo «il significato e il senso di un percorso letterario che ha segnato la seconda metà del Novecento e l’inizio del XXI secolo». Preso atto delle non poche difficoltà che s’incontrano nell’accostarsi con la dovuta attenzione critica a questa «figura fondamentale scarsamente riconosciuta dalle parti della cultura ufficiale» – dall’inventario di tutte le pubblicazioni, al recupero degli scritti inediti o dispersi nelle varie riviste, alla possibile costituzione di un’antologia dei suoi scritti –, Muzzioli decide di aprire la strada agli studi e alle iniziative future, offrendo come «punto di partenza» (così si intitola, non a caso, l’introduzione al volume) «una monografia che si provi a percorrere l’itinerario dell’autore», proponendone «una prima rilettura, ancora incompleta per forza di cose, ma costellata di campionature essenziali, per dare l’idea della direzione dei testi» (p. 7).
Il profilo tratteggiato nel volume prende le mosse dalla ricostruzione dell’esperienza poetica di
Lunetta, campo d’azione dichiaratamente privilegiato da Muzzioli in questa sede. La prima parte
dello studio monografico, snodandosi secondo un ordine cronologico, segue dunque passo passo le tappe del corpus poetico lunettiano, mostrando costanti ed evoluzioni di un’opera che si estende dagli anni settanta del Novecento (con le primissime raccolte Tredici Falchi, Torino, Geiger, 1970, e Lo stuzzicadenti di Jarry, Torino, Geiger, 1972) sino al primo quindicennio del Duemila (e si conclude con le «poesie postreme» di L’allenamento è finito, Torino, Robin, 2016).
L’analisi condotta da Muzzioli in questa prima sezione consente di rilevare alcune linee tematiche
d’importanza fondamentale nell’intero percorso letterario di Lunetta: la denuncia e demistificazione del crescente degrado della cultura italiota, mirabilmente stigmatizzata nelle raccolte che compongono la trilogia La forma dell’Italia («la forma dell’Italia / vive soltanto ormai delle sue / deformazioni progressive», Magnificat, Pescara, Tracce, 2013, p. 93); il rapporto «di corpo a corpo» nei confronti della città di Roma, «amata & insopportabile», degradata ad «una campana stonata una brocca fessa» (Saldi di fine stagione, Roma, Fermenti, 1992, p. 57), ed assunta nelle poesie più tarde ad emblema della città globale («Sempre più stridula voce / della città che è Roma & Nairobi, Brazzaville, Gibuti, Tripoli […]», Mappamondo, Paisan di Prato, Campanotto, 2006, p. 34); il processo di autocritica e «autoscoronamento» cui è sistematicamente sottoposto l’io poetico, travolto in «un gioco crudele di apoteosi e rovina» che alternativamente lo trascina «dalla rivendicazione iperbolica al crollo e all’abbattimento» (p. 13), oscillando tra l’apice dell’«immortale sottoscritto» (L’allenamento è finito, cit.) a quello, capovolto di segno, dell’«umile scriba» o dell’«io sherpa» (Sherpa, in Cadavre exquis, Roma, Rossi & Spera, 1985, p. 12).
Sul piano formale, la visione allucinata di un mondo in caduta libera si esprime solitamente nella
misura di «un verso tendente al molto lungo, un verso fluviale informe» (p. 14), animato
dall’oltranza dei procedimenti sperimentali messi in atto da Lunetta – dal ricorso alle maiuscole per evidenziare determinati vocaboli, all’inizio del periodo con i due punti, all’uso di parentesi su
parentesi o di parentesi non chiuse, alle barre utilizzate come interruzione – in un gioco sfrenato del significante e nel gusto di una «scrittura anomala» (p. 57) che si differenzia dalla lingua del
consumo. La parola lunettiana si torce sovente nelle forme dell’invettiva sarcastica e del rifiuto
dell’ideologia imperante, si sfaccetta in una pluralità stilistica e linguistica sorprendente, «fune
espressionista / tesa sul vuoto» che «si nutre / d’ira & di dolcezza», «disperato / pallottoliere delle
idee fuori corso» (Mappamondo, cit., p. 36). D’altronde, Lunetta era fermamente convinto, come
avrà a dichiarare nel primo numero dell’Almanacco Odradek di scritture antagoniste, che «solo
nella sperimentazione in controtendenza, nell’azzardo espressivo o spregiudicato, nella tensione
linguistica senza pavori» fosse ancora possibile «costruire oggetti mentali non conformizzati» (Le
forme del conflitto, «Almanacco Odradek», Roma, Odradek, 2003, p. 8).
Proprio allo «spirito conflittuale» di questo scrittore e alle molteplici modalità di intervento da lui
adottate si rivolge la seconda parte della monografia di Muzzioli (Il Conflitto si dice in molti modi), mantenendo fede all’obiettivo di restituire «il ritratto di uno scrittore a tutto tondo, un poligrafo davvero insaziabile» (p. 8), che non ha trascurato nessuna forma d’espressione letteraria. Questa seconda sezione del volume, se pur più breve della precedente, offre una rapida panoramica della restante produzione dell’autore, presentando gli aspetti fondamentali della narrativa (breve e lunga) e del teatro lunettiani, e riservando uno spazio a sé stante alle Prove di scrittura ecfrastica e a quei libri, definiti giustamente «eccentrici» (Di libri eccentrici eccellenti), che esulano dalle convenzionali definizioni di genere, obbedendo alla prepotente vocazione del nostro ad invadere e contaminare i più diversi ambiti, a «travalicare gli steccati disciplinari prestabiliti» (p. 82).
La terza sezione, infine, conclude il quadro fin qui delineato con una Piccola antologia della critica attraverso le prefazioni, concorrendo anche alla finalità di ricostruire la fitta rete di relazioni e scambi intellettuali intrattenuta da Lunetta. Nel corso del suo studio, Muzzioli non dimentica di ricordare le numerose iniziative intraprese da Lunetta, instancabile organizzatore e promotore della vita culturale romana, avendo cura di collegare di volta in volta il suo personale percorso a quello che era «il clima dell’epoca, la situazione storico-culturale» (pp. 7-8). Vanno intese in questa prospettiva le raccolte saggistiche dell’autore, così come le antologie da lui curate (AA. VV., Poesia italiana oggi, Roma, Newton Compton, 1981; AA. VV., Letteratura degli anni Ottanta, Foggia, Bastogi, 1985; AA. VV., Poesia italiana della contraddizione, Roma, Newton, 1989), nonché gli interventi teorici volti a sostenere con decisione, nell’ambito del dibattito critico che scaturirà nella stesura delle Tesi di Lecce, l’ipotesi di una «scrittura materialistica» e «il tentativo di ripresa di discorsi letterari alternativi» (p. 23) capaci di opporsi all’imperante situazione di «riflusso» e regressione verso poetiche di stampo intimistico.
Al termine della lettura di questo primo studio complessivo dell’opera di Mario Lunetta, ciò che
risulta è il «profilo tagliente» (p. 8) di uno scrittore sempre «all’opposizione», il racconto di una
«fermezza» e di un rigore etico e civile mai venuti meno, pur nell’ampiezza cronologica della sua
produzione. Quella elaborata e portata avanti da Lunetta lungo tutto l’arco della sua attività è stata
una scrittura motivata da una forte «coscienza antagonistica» e dalla convinzione dell’intrinseca
politicità e tendenziosità delle arti; una «scrittura dell’orrore», mai dimentica della «fondamentale
dimensione del Negativo» che domina la società «che abbiamo costruito e in cui faticosamente
viviamo», secondo la fondamentale dichiarazione di poetica pronunciata nel 1996 (Scrittura
dell’orrore, in Invasione di campo, Roma, Lithos, 2002, p. 116). Una pratica letteraria che trova il
«suo compito» e «il suo senso residuo» nell’obiettivo di «creare contraddizioni all'interno del senso comune egemone, di produrre enzimi fantastici indigeribili, di creare sconcerto nei confronti dell'universale obbedienza», come dichiarerà il nostro in una delle sue più brillanti interviste.
(consultabile sul sito http://www.adolgiso.it/enterprise/mario_lunetta.asp).
Mario Lunetta, critico letterario e d’arte ha collaborato a: “l’Unità”, “Il Corriere della Sera”, “Il Messaggero”, “Rinascita”, “La Rinascita della Sinistra”, “Il manifesto”, “Liberazione”, e a numerose riviste italiane e straniere. È stato Presidente del Sindacato Nazionale Scrittori. Suoi libri e singoli testi sono tradotti in diversi paesi del mondo. Ha vinto numerosi premi ed è stato due volte finalista al Premio Strega (1977, 1989). Nel 2006 gli è stato conferito il Premio Alessandro Tassoni alla carriera.
Ha pubblicato in Poesia
Tredici falchi (1970); Lo stuzzicadenti di Jarry (1972); Chez Giacometti (1979); La presa di Palermo (1979); Flea market (1983- Premio Pisa); Cadavre exquis(1985 – Premio Adelfia); Autoritratto con acrostici (1987); In abisso (1989); Panopticon (1990), con disegno e lito di C. Cattaneo; Pianosequenza (1990), con acqueforti e acquetinte di S. Paladino; Sorella acqua
(1991), con serigrafie di C. Budetta; Antartide (1993); Catastrofette (1997), con un acquerello di E. Masci; Cunnichiglie (1997), con un acquerello di E. Masci; Roulette occidentale (2000), con un disegno di B. Caruso; Doppio fantasma – 91 poesie per 91 artisti (2003); Magazzino dei monatti (2005); Bacheca delle apparizioni, con quattro litografie di L. Boille (2005); Mappamondo & altri luoghi infrequentabili (2006); Nitroglicerina per ermellini, con cinque acqueforti-acquetinte e un rilievo di B. Aller (2007); Videoclip, con tre acquerelli e un rilievo di C. Budetta (2007), La forma dell’Italia (2008), Cartastraccia(2008).
Narrativa
Comikaze (1972); Dell’elmo di Scipio Marsilio 1974 – Premio Pisa); I ratti d’Europa (Editori Riuniti, 1977 – finalista al Premio Strega); Mano di fragola(Editori Riuniti, 1979); Guerriero Cheyenne (Manni, 1987); Puzzle d’autunno(Camunia, 1989 – finalista al Premio Strega);L’ubicazione di Lhasa (Camunia, 1993); Mercato delle anime Manni, 1998) – Premio Bergamo); Penalty (Le Impronte degli Uccelli, Roma 1998); Montefolle(Manni-Quasar, 1999); Soltanto insonnia (Odradek, 2000); Cani abbandonati(Odradek, 2003); Figure lunari (Robin, 2004); I nomi della polvere (Manni, 2005); La notte gioca a dadi (Newton Compton, 2008).
Saggistica
La scrittura precaria (1972); Invito alla lettura di Italo Svevo (1972); Il Surrealismo (1976); Sintassi dell’altrove (1978); L’aringa nel salotto (1984); Da Lemberg a Cracovia (1984); Et dona ferentes: sindromi del moderno nella poesia italiana da Leopardi a Pagliarani (1996); Le dimore di Narciso (1997); Invasione di campo: progetti, rifiuti, utopie (2002); Liber Veritatis (2007).
Teatro
La visitatrice della sera (Radiodramma – Radio Frankfurt); Galateo (Teatro delle Voci); Città proibita (Teatro del Palazzo delle Esposizioni di Roma); Antartide (Teatro Belli di Roma); Gigantografia (Festival Internazionale di Ferentino), Coca-Cola di Rienzo Story (Teatro dell’Orologio); Altorilievo, Poema drammatico (Museo Archeologico di Formia); Arkadia nonsense e Smash(Giugno al Casaletto – Villa Zingone); La forma dell’Italia (Atelier Metateatro); Lunapark (Chiostro di San Pietro in Vincoli). In volume: Coca-Cola di Rienzo Story Book Editore); La mela avvelenata (Cinque dialoghetti blasfemi); Prigioniero politico! (“Le Impronte degli Uccelli” Editrice).