Carlo Del Nero. Sono nato a Massa il 27/10/1955 e vivo a Massa. Sono un autore inedito. Sono appassionato di musica, ho scritto anche qualche canzone, e di pittura.
Dichiarazione di poetica sulla poesia «ingenua»
caro Giorgio, mi chiedi dunque una «dichiarazione» sul concetto di «poesia ingenua».
Già la richiesta è stupenda, perché «dichiarazione» mi porta subito alla mente una affermazione d’amore. La dichiarazione ad una donna, ma in questo caso una dichiarazione d’amore all’ingenuità.
L’ingenuità è una privazione positiva. L’ingenuità l’abbiamo alla nascita, quando non abbiamo sovrastrutture, non abbiamo limiti, ancora non abbiamo segreti né sappiamo cosa siano. Dura poco. Sopra questa ingenuità si costruisce gran parte di ciò che siamo. Ovvio che non è possibile e neppure auspicabile tornare a quel punto, però è possibile “ripulire”, depurare dal superfluo, togliere dal blocco il marmo in eccesso che nasconde la figura (si vede che vivo da questa parti!! ).Non è l’ingenuità dell’infanzia, quello è solo un richiamo, è invece molto più umilmente l’onestà.
Quando si incontra una persona sconosciuta e per motivi apparentemente incomprensibili, si raccontano cose mai raccontate ad alcuno e che mai avremmo pensato di mostrare.
Dopo tutto è l’onestà di essere quel che siamo. Mica un lavoro da poco!
Insomma, bisogna credere nelle persone nude, che se tutti lo fossimo ci sarebbe solo pace. In questi giorni che scopriamo così tanto odio, tanta vigliaccheria, tanta violenza (in questi giorni come in tanti altri giorni passati), vediamo in realtà solo maschere ammaestrate che probabilmente mai hanno fatto lo sforzo di “scoprirsi” a sé.
E poi, come già ti dissi, l’arte è una fede. Non sappiamo dove nasce, non sappiamo come, e non sappiamo neppure davvero distinguere con assoluta libertà, precisione e certezza. Però sappiamo vedere, ascoltare e meravigliarci anche senza la formula chimica dell’arte. Esattamente come per chi ha fede: sentire una certezza senza averne alcuna certezza.
E’ una fede che è fiducia, ma non può esistere senza una fiducia nell’individuo nudo che ne è il costruttore. Una fiducia beffarda, perché persiste anche nel più pessimista, deluso, arrabbiato e maledetto dei poeti. Gli infonde l’ottimismo di prendere una penna per descrivere il suo pessimismo. Beffarda davvero, non trovi!
Cercando i contrari di ingenuità, troviamo astuzia, furberia. tra i sinonimi troviamo sincerità, freschezza, purezza. Non tutti questi sono i sinonimi e i contrari, ma questi sono quelli che danno il senso al mio modo di utilizzare il termine. Nell’ammirare una maestosa cattedrale gotica, anche il più “furbo” trova un attimo di ingenuità, e dunque proprio questo sia uno dei compiti dell’arte?
Probabilmente non è questo che chiedevi, ma io non sono all’altezza di scriverti un trattato su alcunché, ti dovrai accontentare.
PS: una piccola nota sul quadro che ti ho allegato all’inizio della discussione.
il 24 maggio ricorreranno i 100 anni dalla nascita di mia madre. Per commemorarla abbiamo deciso di riunire per una cena i cugini (da parte di madre appunto). Il quadro che ho allegato l’ho dipinto per l’occasione ed è composto di 15 tavolette di legno della misura 20×30 che tutte insieme compongono l’immagine che vedi. In quella occasione ad ognuno dei 15 cugini (me compreso) consegnerò una foto dell’intero ed una tavoletta. Quel quadro intero non si vedrà più. Nel mio piccolo a me sembra un po’ una poesia anche questa.
Giorgio Linguaglossa
Verso un nuovo paradigma poetico?
Credo che un poeta completamente inedito, e quindi «vergine» come Carlo Del Nero, e per di più non più giovane – quindi non appartenente alle nuove generazioni le quali sono tutte protese verso le radiose praterie della visibilità – abbia qualcosa da dirci, e ce le può dire proprio perché se ne è restato in disparte per decenni a ruminare la cosa chiamata poesia che tanto non interessa a nessuno, tanto meno agli addetti ai lavori (come si diceva una volta con pessima terminologia). Il titolo è un avverbio, e sta ad indicare la modalità esistentiva dell’esserci, di noi, il nostro modo di approcciare le «cose» con indaffarata superficialità e sordità. Possiamo immaginare che Del Nero abbia dovuto anche lui attraversare il deserto di ghiaccio degli anni ottanta, novanta e dieci del nuovo millennio, abbia scontato sulla propria pelle la deriva epigonica e prosaicista della poesia italiana del novecento e abbia meditato su tutto ciò. Ebbene, Del Nero nulla sa della nuova piattaforma denominata «nuova ontologia estetica», però penso che qualcosa abbia letto se ci ha mandato le sue poesie, ciò vuol dire che abbiamo riscosso quantomeno la sua fiducia. Carlo Del Nero fa poesia perché non ha nulla da chiedere alla poesia, nulla da perdere, fa poesia senza atteggiarsi a poeta (leggo frequentemente degli scriventi che si dichiarano «poeta» e «poetessa» senza tema di apparire ridicoli) e senza infingere o indulgere negli e con gli strumenti retorici e, soprattutto, non fa mai riferimento all’Ego e alla sua profilassi poetologica. Carlo Del Nero preferisce il discorso diretto, non conosce altro che il discorso diretto all’interlocutore. Il discorso testamentario potremmo definirlo:
Amico,
mi piacerebbe tu preparassi
una bella orazione funebre
per la mia notte,
tu
Credo che possiamo tranquillamente annoverare Carlo Del Nero quale ricercatore di «nuova poesia», al pari degli autori della «nuova ontologia estetica», lui che scrive: «mi affascinano i quaderni bianchi,/ le scatole vuote»; «Quanto è vecchio dio!/ neppure si è accorto/ che ha le tasche bucate/ …e quante stelle/ gli sono cadute». Si avverte una disillusione quasi senza amarezza per tutto ciò che è andato perduto, in lui non c’è nulla dello scetticismo, del cinismo e del disincanto del minimalismo post-moderno romano/milanese, il disincanto c’è ma senza ombra di scetticismo piccolo borghese e di cinismo pariolino. Del Nero ha una postura minimale, un lessico minimo, un tono minimo anch’esso, eppure la sua poesia non è minimalismo ma rientra nella poesia a corredo metafisico, quella che va verso le cose e si tiene a distanza dalle cose. Istintivamente intuisce qualcosa sulla differenza tra gli «oggetti» e le «cose».
cambiamento di paradigma
Tempo fa discettavo intorno alla ipotesi che si stesse profilando nella poesia italiana un cambiamento di paradigma, dizione con cui si indica un cambiamento rivoluzionario di visione nell’ambito della scienza, espressione coniata da Thomas S. Kuhn nella sua importante opera La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) per descrivere un cambiamento nelle assunzioni basilari all’interno di una teoria scientifica dominante. Possiamo affermare che in Italia c’è ormai da tempo, è ben presente, un cambiamento di paradigma, perché le cose della poesia camminano da sole, si sono rimesse in moto dopo cinque decenni di immobilismo. E questa è senz’altro una buona notizia.
L’espressione cambiamento di paradigma, intesa come un cambiamento nella modellizzazione fondamentale degli eventi, è stata da allora applicata a molti altri campi dell’esperienza umana, per quanto lo stesso Kuhn abbia ristretto il suo uso alle scienze esatte. Secondo Kuhn «un paradigma è ciò che i membri della comunità scientifica, e soltanto loro, condividono” (in La tensione essenziale, 1977). A differenza degli scienziati normali, sostiene Kuhn, «lo studioso umanista ha sempre davanti una quantità di soluzioni incommensurabili e in competizione fra di loro, soluzioni che in ultima istanza deve esaminare da sé” (La struttura delle rivoluzioni scientifiche). Quando il cambio di paradigma è completo, uno scienziato non può, ad esempio, postulare che il miasma causi le malattie o che l’etere porti la luce. Invece, un critico letterario deve scegliere fra un vasto assortimento di posizioni (es. critica marxista, decostruzionismo, critica in stile ottocentesco) più o meno di moda in un dato periodo, ma sempre riconosciute come legittime. Sessioni con l’analista (1967) di Alfredo de Palchi, invece, invitava a cambiare il modo con cui si considerava il modo di impiego della poesia, ma i tempi non erano maturi, De Palchi era arrivato fuori tempo, in anticipo o in ritardo, ma comunque fuori tempo, e fu rimosso dalla poesia italiana. Fu ignorato in quanto fu equivocato.
Dagli anni ’60 l’espressione è stata ritenuta utile dai pensatori di numerosi contesti non scientifici nei paragoni con le forme strutturate di Zeitgeist. Dice Kuhn citando Max Planck:
«Una nuova verità scientifica non trionfa quando convince e illumina i suoi avversari, ma piuttosto quando essi muoiono e arriva una nuova generazione, familiare con essa.»
Quando una disciplina completa il suo mutamento di paradigma, si definisce l’evento, nella terminologia di Kuhn, rivoluzione scientifica o cambiamento di paradigma. Nell’uso colloquiale, l’espressione cambiamento di paradigma intende la conclusione di un lungo processo che porta a un cambiamento (spesso radicale) nella visione del mondo, senza fare riferimento alle specificità dell’argomento storico di Kuhn.
quando un numero sufficiente di anomalie si è accumulato
Secondo Kuhn, quando un numero sufficiente di anomalie si è accumulato contro un paradigma corrente, la disciplina scientifica si trova in uno stato di crisi. Durante queste crisi nuove idee, a volte scartate in precedenza, sono messe alla prova. Infine si forma un nuovo paradigma, che conquista un suo seguito, e una battaglia intellettuale ha luogo tra i seguaci del nuovo paradigma e quelli del vecchio. Ancora a proposito della fisica del primo ‘900, la transizione tra la visione di James Clerk Maxwell dell’elettromagnetismo e le teorie relativistiche di Albert Einstein non fu istantanea e serena, ma comportò una lunga serie di attacchi da entrambi i lati. Gli attacchi erano basati su dati empirici e argomenti retorici o filosofici, e la teoria einsteiniana vinse solo nel lungo termine. Il peso delle prove e l’importanza dei nuovi dati dovette infatti passare dal setaccio della mente umana: alcuni scienziati trovarono molto convincente la semplicità delle equazioni di Einstein, mentre altri le ritennero più complicate della nozione di etere di Maxwell. Alcuni ritennero convincenti le fotografie della piegature della luce attorno al sole realizzate da Arthur Eddington, altri ne contestarono accuratezza e significato.
si è concluso il Post-moderno
Possiamo dire che quell’epoca che va da L’opera aperta di Umberto Eco (1962) a Midnight’s children (1981) e Versetti satanici di Salman Rushdie (1988) si è concluso il Post-moderno e siamo entrati in una nuova dimensione. Nel romanzo di Rushdie il favoloso, il fantastico, il mitico, il reale diventano un tutt’uno, diventano lo spazio della narrazione dove non ci sono separazioni ma fluidità. Il nuovo romanzo prende tutto da tutto. Oserei dire che con la poesia di Tomas Tranströmer finisce l’epoca di una poesia lineare (lessematica e fonetica) ed inizia una poesia topologica che integra il Fattore Tempo (da intendere nel senso delle moderne teorie matematiche topologiche secondo le quali il quadrato e il cerchio sono perfettamente compatibili e scambiabili e mi riferisco ad una recentissima scoperta scientifica: è stato individuato un cristallo che ha una struttura atomica mutante, cioè che muta nel tempo!) ed il Fattore Spazio. Chi non si è accorto di questo fatto, continuerà a scrivere romanzi tradizionali (del tutto rispettabili) o poesie tradizionali (basate ancora su un certo concetto di reale e di finzione), ovviamente anch’esse rispettabili; ma si tratta di opere di letteratura che non hanno l’acuta percezione, la consapevolezza che siamo entrati in un nuovo «dominio» (per dirla con un termine del lessico mediatico).
Poesie di Carlo del Nero
In questa stagione non si appendono più
panni all’attaccapanni
L’ingresso è nudo e tagliato
dalla finestra assolata che ribolle il passo
L’Arlecchino nudo è in tinta unita
in tinta erotica Colombina
Ma l’amore stenta nel sudario
regalando l’imbarazzo di un’inutile attesa
Questo silenzio ci insegna
il traffico là fuori
Questo tempo ci indica stanchezza
serena di bastarsi almeno per adesso.
*
In quella foto di un gruppo in un interno
mi piace pensare a quello arrivato tardi
entrato dalla porta dopo il clic.
Li vede scomporsi allegramente
dopo l’attesa dell’istante da immortalare
qualcuno si volta e lo nota
senza aver prima notato l’assenza.
“Vieni, ne facciamo un'altra”
ma tutti sono già affaccendati.
“Ne facciamo una insieme io e te”
dice una ragazza dagli occhi di folgore
e la camicetta leggera.
Allora
pensi
ne valeva la pena.
*
Viste da qua
sembra quasi di non passarci in mezzo
ti stupiresti a scoprire una via
fra quelle case
i tetti bizzarri e accalcati
guardano in ogni direzione
rustici, sgualciti e scorbutici perfino
ma a testa alta rivolti al nulla
quasi umilmente altezzosi.
Pochi occhi muti hanno il giorno
il colore della notte,
al primo rabbuiare si vestono di luce e
si concedono
un poco
prima che tutto dorma.
(A proposito di come nasce un diario:
questa mi è venuta a commento di una foto che avevi inserito nella tua pagina…)
*
Non potevamo uscire
pioveva a dirotto
e il dì era davvero rotto
restituito intero nel calore di casa,
alla finestra, e
una sottile incertezza primordiale
vinta dalla tua pelle morbida
occupava il corpo e la stanza.
La vita ha soluzione nel sesso
che è risposta senza domande
non serve nominare le cose come Adamo
né come Eva barattare incoscienze.
L’urgenza senza fretta dell’essere,
tutto lì, totalizzante fino al nulla,
drammatica e puntiforme
come assente.
L’unico sviluppo ecosostenibile della parola
è nei fragili intervalli degli occhi
che si scambiano l’ammirazione
dei corpi.
*
- piccolo stratagemma -
La tecnologia impone l’ora esatta
ma tu in un angolo di casa
tieni il tuo orologio antico
di qualche minuto indietro;
giusto il tempo di riparare a qualche errore.
*
Ho acceso il fuoco,
sguaina il tuo corpo
che l’inverno protegge ancora,
scaglialo ai miei occhi
che possa morirne pieno.
*
Fendente tridente mordente
Un rebbio di fame e di sete
Un rebbio di bomba o machete
Il terzo conteso
Da simili così diversi
Perché diversi e così simili
Se il caso rivoltasse la storia
Tranne gli uguali
Che solo l’occasione può dire
E ci salveranno come un liberi tutti
Nel nascondino del futuro.
*
Qui sono distanti
ma ci sono luoghi,
che ho visti,
dove sono cittadine
e quando la giornata è giusta
ti salutano con un sorriso.
Un sorriso e un saluto
te lo possono regalare
per il resto non basta una promessa.
Ecco,
e non dite che non l’ho scritto.
*
Ti incrocio e mi bisbigli l’antefatto
con l’abito cucito alla pelle
scivoli nel ricordo lontano
di un delitto innocente.
Era troppo tempo fa per peccare ancora.
Il tempo è un ciarlatano senza promesse.
Cercherò fra le foto come fu
oltre quella storia sbiadita che resta,
un indice che ha perso il romanzo e
un’immagine in copertina che incrocio
e bisbiglia un antefatto che
forse non fu.
*
Ci abbracceremo ancora sai?
Ci abbracceremo attenti a non cadere più.
Forse non lo faremo noi,
ma qualcuno sarà a farlo.
Forse noi non ci saremo
ma altri ci saranno
e diranno di noi, dei giusti e no
e useranno lodi per gli uni e
indulgenza per gli altri
perché questo vorrà il nuovo mondo.
Lo sai vero?
Ci abbracceremo ancora.
(questa forse non sembra, ma è una poesia politica)
*
Le parole le ho prese in prestito
dalle voci dei cortili,
da salotti ho preso silenzi
dai sogni gli amori
dagli inciampi la rabbia e
dalla paura i perdoni.
La vita ho preso a prestito dal nulla
che non ne ha abbastanza per tutti
ma un po’ ne ha trovata per me
perché gli ero simpatico forse.
Non temete,
restituirò tutto.
*
Anche senza indicazioni
tutte le strade portano ovunque
se non hai fretta di morire.