Il Punto di vista di Giorgio Linguaglossa, L’essere è ciò che si dice
Può sembrare una annotazione minimal, laterale. Avevo letto quella definizione di «ontologia negativa di Heidegger: “l’essere è ciò che non si dice”», tanti anni fa. E non ero riuscito a capire tutta la portata che conteneva. Poi, leggendo alcuni filosofi di oggi e, in particolare, L’aporia del fondamento (2009) di Massimo Donà, mi sono reso conto che la scoperta di essere giunti ad una ontologia positiva: «l’essere è ciò che si dice», ha conseguenze rivoluzionarie anche sui linguaggi artistici. È stato come un fulmine.
Allora, ho ripensato a tutti i miei tentativi poetici di questi ultimi 35 anni, e tutto mi si è fatto chiaro: la ricerca di un nuovo modo di espressione, che sia sul piano delle arti figurative, musicale e letterario, non può non poggiare su questo punctum fermissimum: l’ontologia positiva.
Mi meraviglia che questo piccolissimo assunto sia sfuggito ai commentatori della rivista, ma qui siamo veramente alla presa di coscienza di una rivoluzione copernicana delle pratiche artistiche.
– l’Essere è ciò che si dice
– è la Circolarità Ermeneutica che presiede il dialogo;
– è il dialogo che apre alla soluzione problematologica;
- il dialogo è l’essenza della poiesis;
– l’incontro è sempre un incontro con l’Altro, l’Altro e l’alterità sono componenti essenziali della poiesis;
– “θεραπεύεσθαι δὲ τὴν ψυχὴν ἔφη, ὦ μακάριε, ἐπῳδαῖς τισιν, τὰς δ’ ἐπῳδὰς ταύτας τοὺς λόγους εἶναι τοὺς καλούς” “L’anima, o caro, si cura con certi incantesimi, e questi incantesimi sono i discorsi belli” Platone nel Carmide – 157/a;
– “Il linguaggio è la casa dell’essere e nella sua dimora abita l’uomo”, Martin Heidegger;
– “L’essere, che può essere compreso, è linguaggio”, H.G. Gadamer;
– la relazione è fatica ed implica che “dire è u-dire”, Umberto Galimberti.
Milaure Colasson
Vert de l’ eucalyptus
Rose pale de la rose
Dans la transparence
D‘ un petit verre d‘ eau de vie
Sous l ‘ éclairage d ‘ une lampe de chevet
Sérénité
Oiseaux noirs des campagnes
Leurs cris étranglés
Les corbeaux
La mélancolie sonore
D‘ Erik Satie
Te vide de toute pensée
………………écoute
Une bande de rats
Vêtus de jeans troués
Fumaient des havanes
………pas des prolétaires
Perdre la vue
Michel Onfray
Comment dormir
Comment……………
Comment…………………..
*
Verde dell'eucalipto
Rosa pallido della rosa
Nella trasparenza
d'un bicchierino di acquavite
sotto la luce della lampada accanto al letto
Serenità
Uccelli neri delle campagne
le loro grida soffocate
I corvi
La malinconia sonora
D'Erik Satie
Ti svuota di ogni pensiero
..... ascolta
Un branco di ratti
vestiti di jeans bucati
fumavano degli avana
........non proletari
Perdere la vista
Michel Onfray
Come dormire
Come...........
Come...........
(Traduzione di Edith Dzieduszycka)
Francesco Paolo Intini
[Le visceri di Cartesio]
(a proposito della poesia di Marina Petrillo)
Rimase immobile tentando di mangiarsi le visceri
Non s’era mai visto una bottiglia prendere sul serio
La dannazione della propria anima
e rigirarla a perfezione,
Il tempo fa giochi di concia
poi passano le condanne a lasciare
Argomenti che diventano Si o No.
Essere cristallo, una risposta semplice al nulla.
Lo sguardo impietrito di Dio dal cielo di Michelangelo
l’immortalità e la damnatio del lavoro.
Si va per catene di montaggio fino al quarto cielo
Qui si attendono istruzioni su come interpretare le fondamenta.
Alzano la mano i poveri di spirito. Paolo è atterrito.
Gli altri rimangono nella contestazione.
Questa volta non c’è nulla da trasformare
Gli esperimenti dunque non hanno senso.
Azzerare tutto è improbabile
Si viaggia per teoremi su come eliminare la memoria.
La termodinamica non sbaglia un colpo.
Rimane solo l’osservatore dunque e il gioco fittizio di parole.
Ricostruire le possibilità dopo averle divorate
dove c’era lo spazio si metta il tempo.
Tra le quattro forze se ne trovi una
che dia impulso ad un istante
Essere uguale Nulla
Nulla che diventa Essere.
Facciamo un accenno al filosofo tedesco Peter Sloterdijk il quale svolge un discorso in molteplici excursus attingendo alla letteratura, alla psicanalisi e alle diverse forme d’arte figurativa, guardando all’arte non come qualcosa di omogeneo e fondato, non più possibile per la nostra epoca, ma come ciò in cui può ritrovarsi un atteggiamento autopoietico che non si lasci invischiare nella transitività dell’azione produttiva e del pensiero rappresentativo e dia mostra di sapersi convertire in una prassi esemplarmente decentrata e oblativa.
Il discorso di Sloterdijk è importante perché fornisce una sponda filosofica alla ricerca della nuova ontologia estetica per un’arte che non corrisponda più alla classica convenzione di una forma d’arte rappresentativa.
La poesia italiana, se vuole rinnovarsi, non può non prestare ascolto alla filosofia di oggi.
«Sloterdijk sostiene che in ambito estetico «l’opera d’arte può ancora dire qualcosa perfino a noi, che abbiamo disertato la forma, perché essa, in maniera del tutto palese, non fa propria l’intenzione di opprimerci».1
I titoli dei volumi mostrano fin dall’inizio un’attenta sensibilità per le immagini materiali discusse nell’analisi psicanalitica del filosofo francese Gaston Bachelard, le cui opere vengono citate direttamente da Sloterdijk come una delle fonti principali dell’immaginario da cui vengono estratti i concetti psichici e filosofici di sfere. 2
La matrice dell’immagine è il fondamento del pensiero con cui Sloterdijk sviluppa il suo discorso, e lo accompagna per tutta la sua opera. Dalle immagini archetipiche, Sloterdijk ritrova un tesoro di espressioni da cui il pensiero attinge mantenendo sempre una visione d’insieme mediata dal vissuto psichico della dimensione inconscia. Sloterdijk attinge in diversi modi e tempi a tutta l’esperienza umana e non, contraddistinta, nel suo aspetto essenziale e più accademico, da una ripresa ed estensione del volume heideggeriano Essere e tempo, per completare quel lavoro di ricerca del dove, che a detta dell’autore Heidegger ha interrotto bruscamente, preferendogli un chi. Sloterdijk quindi si preoccupa prima di tutto di fondare un Essere e Spazio, e di farlo non solo attingendo alla filosofia e alla poesia, ma anche, tra gli altri, alla psico-ontologia di Jung. 3
Il suo scopo risulta nella presentazione di una filosofia ibrida alla ricerca di un fondamento archetipico oggettivo comune a tutti gli uomini, che ricalchi allo stesso tempo tutta la storia dell’Homo Sapiens, intesa come storia degli spazi psico-ontologici, dai primi sussulti di vita dell’embrione nell’utero materno ai grandi eventi cosmologici, trasformatori dei luoghi umani.
Il filosofo di Karlsruhe riprende l’immagine della sfera introducendo la sferologia (Sphärologie): lo studio di tutta l’esistenza umana, (pre-)individuale e collettiva, intesa come forma psicoantropologica sferica. Nella sferologiavengono distinte tre aree di studio, una per ogni volume.
La microsferologia (Mikrosphärologie) è lo sviluppo degli spazi dell’intimità e dell’interiorità, chiamati bolle, ricercati a partire dall’unità originaria prenatale tra embrione e grembo materno, precedente la costituzione di un vero e proprio soggetto. Sloterdijk si concentra qui brevemente sul noggetto (Nobjekte), una nuova classe ontologica di oggetti introdotta dal collega Thomas Macho, per indicare il rapporto mediale e bipolare che interessa il soggetto non ancora formatosi. Una relazione archetipica che va oltre la fenomenologia, esplorata attraverso la mistica indiana e la psicologia prenatale, che offre la struttura originaria su cui si modellerà poi la costituzione psichica dell’individuo e la sua esistenza nel mondo.
[…]
La prerogativa dell’immaginale è particolarmente rilevante qui, dato che Jung, Bachelard e Sloterdijk, ma anche Nietzsche e Heidegger, parlano e raccontano con immagini non nel senso di metafore o allegorie, ma di realtà effettive che formano direttamente l’esperienza del mondo del soggetto.
L’immagine è incorporazione del reale, nella propria I interiorità come nel mondo esterno.5
[…]
Tra le immagini dell’archetipo del Sé legate alla terra, si vedrà che in particolare sono i motivi materni a sorgere. Questo perché, come già sosteneva
Jung, l’archetipo si sviluppa nello spazio attraverso il comportamento animale, come pattern of behaviour , una delle definizioni che ha sviluppato in particolare la collaboratrice e psicanalista Jolande Jacobi.
In perfetto parallelismo con Sloterdijk, che riprenderà lo stesso discorso, l’uomo riceve l’impressione archetipica del rotondo a partire da reminiscenze inconsce prenatali.
Dall’utero materno, esperito attraverso l’unione mistica e il processo di individuazione, si ricava la forma originaria per organizzare l’abitare umano.
Il tutto viene esposto sulla base dell’unus mundus, cioè la corrispondenza psichica tra soggetto e oggetto, interiorità ed esteriorità, una medialità di completa co-interdipendenza e relazione estetica tra singolo, paesaggio e mondo, microcosmo e macrocosmo.
[ Cfr. J. J. Wunenburger, Filosofia delle immagini, tr. it. di S. Arecco, Einaudi, Torino, 1999; Id., La vita delle immagini , tr. it. di R. Castoldi, Mimesis, Milano, 2007; Id., L’immaginario, tr. it. di V. Chiore, Il nuovo melangolo, Genova, 2008. Id., L’immaginario , cit., p. 32. ]
- 25.Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita, tr. it. di S. Franchini, Raffaello Cortina, Milano, 2010, p. 25.
2,3,4,5 https://www.academia.edu/39314505/Immagini_Archetipiche_nella_trilogia_Sfere_di_Peter_Sloterdijk?email_work_card=view-paper
A proposito del «cinismo» e della poesia posiziocentrica dell’io di oggi
Il quadro dipinto da Carlo Del Nero (che potete vedere nel post), mosaico di tessere che verrà smembrato in tante tessere singole e non esisterà più, è emblematico del modo di fare poesia dell’autore e della nuova ontologia estetica: la poesia è un assemblaggio di parole effimere, così come un quadro, che esiste adesso, qui ed ora, ma può non esistere più domani mattina, o stasera. La certezza, la consapevolezza di questo fatto in noi della nuova ontologia estetica non produce nessun rancore, nessun dolore, nessuna albagia, noi lo sappiamo da sempre che le parole scompariranno, che sono friabili e transeunti e che il loro destino sia quello di scomparire presto o tardi, e che oggi non significano più nulla …
Se c’è un aspetto che la nuova poesia non possiede è il cinismo. I cinici di oggi scrivono una poesia comunicazionale e istrionica, pensando di apparire à la page. Gli autori della nuova poesia non sono cinici e neanche disperati, sono semplicemente neutri, raffreddati. Oggi siamo tutti quanti affetti da raffreddore, un raffreddore invisibile, impalpabile, incorporeo… un po’ come le parole che abitiamo ed impieghiamo: parole neutre, raffreddate, congelate se non ibernate. Noi sappiamo che con quelle parole non possiamo costruire che cattedrali di carta che un alito di vento sgomitola…
La poesia posiziocentrica dell’io che fanno i «cinici» e che va di moda oggi è piena di un io ipertrofico, ricca di ironia e di sarcasmo narcissico, quella poesia non ci appartiene, come non ci appartiene il gesuitismo destrista e postruista dei «poeti» di comunione e liberazione che abbracciano ideologie e politiche razziste…
«…una sindrome sociale psicopatologica che è stata definita dal filosofo tedesco Peter Sloterdijk col nome di Zynismus per distinguerla dalla corrente della filosofia antica che in tedesco si chiama Kynismus.
Il cinico dei giorni nostri sarebbe, secondo Sloterdijk, un melanconico ancora in grado di controllare i suoi sintomi depressivi, mantenendo una capacità produttiva. Mentre il cinismo antico era una forma estrema di individualismo in lotta con la società del suo tempo, il cinismo moderno è qualcosa di così capillarmente diffuso nella società occidentale da costituire la vera garanzia di integrazione in qualsiasi ambito d’attività. Quanto al rapporto che l’individuo ha con sé, esso si riduce a un lavoro di auto rappresentazione, di costruzione di un’immagine di se stessi che sia conforme ai modelli suggeriti dalla pubblicità, dalla moda e dall’industria culturale.
In questo vuoto intellettuale, spirituale e affettivo sono le provocazioni del consumismo sfrenato e del neonazionalismo ad avere la meglio su qualsiasi progetto razionale…»,1
1 M. Perniola, Miracoli e traumi della comunicazione, Einaudi, 2009, p. 107