La forma polittico narra la manifestatività dell’esserci, Il capovolgimento, la peritropè e il salto sono le categorie dominanti del polittico, Poesie di Gino Rago, Lucio Mayoor Tosi, Mauro Pierno, Riflessioni di Maurizio Ferraris, Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa

 

Gino Rago

 

Giorgio Linguaglossa porta Stige. Tutte le poesie a Maria Rosaria Madonna

 

Museum Theautrum. Dimensione atemporale della Estetica.

Eusebio:«L’elegia mai si farà inno …»

 

Nebbie sulla laguna. In Venedig in un sotoportego

Milaure Colasson pensa di essere al Bolshoi.

 

Sulle punte danza Il-lago-dei-cigni sull’alluminio di un tavolino.

Giorgio Linguaglossa e un marxista-leninista bevono un’ombra.

 

Una voce o un fiato: «Fui sposa, in abito fetale.

Nel doppio vissi..». Tchaikovsky su una gondola

 

Piante. Carriaggi. Alberi senza rami. Frammenti di città.

Fumi dai fiumi. Persone. Immagini di piogge nella pioggia.

 

Materia redenta. Marina Petrillo. Lo choc di Baudelaire.

Nell’onda d’urto del tempo fra il vecchio e il nuovo

 

« Involve lo Spazio in azzurrità». Autoannientamento

Dell’ Arte. Il nulla che annienta sé stesso.

[…]

Cabaret Voltaire. 2016. Zurigo.

La signora Hennings e la signora Leconte

 

Cantano in francese e in danese.

Un’orchestra di balalaiche. Danze russe.

 

Tristan Tzara legge il manifesto dadaista.

[…]

La stampa di una foto di Degas

Vicino a un grande specchio.

 

Nella foto di Degas si vede Mallarmé.

E’ in piedi contro il muro. Renoir è sul sofà.

 

Nello specchio Lo stesso Degas

E la moglie di Mallarmé con sua figlia.

 

Paul Valery entra dopo lo scatto.

Ora guarda la stampa che Degas gli ha regalato:

 

«Il prezzo di questa opera d’arte?»

Nove lampade a gas

 

E un istante di completa immobilità.

Donatella Giancaspero fotagrafa

 

La foto di Degas.

Pone sulla stessa linea di mira mente, occhi e cuore.

 

Trattiene il fiato e scatta.

Nella stampa della foto di Degas

 

Donatella ha messo tutto.

I libri. I viaggi. Gli amori.

 

Gli appuntamenti mancati. Le promesse mantenute.

Un lampo al magnesio. Una vita in frantumi.

[…]

Nell’entanglement quantistico

L’azione su un atomo entangled si riverbera sugli altri…

 

In un polittico poetico in distici entanglati

L’atto su un verso si propaga su altri versi.

 

Uno sciame di protoni di rubidio.

[…]

«Amleto è morto …»

Ne dà l’annuncio Lorenzo Pompeo dall’Ungheria.

 

Ma da Cracovia Lorenzo invia a Giorgio Linguaglossa

versi di Ewa Lipska tradotti in italiano.

 

Virna Lisi e Marlene Dietrich entrano con Kafka

nello studio di Sabino Caronia,

 

Tre ombre nella consolazione della sera.

Faber Nostrum canta Il Bombarolo…

[…]

Pino Gallo arringa da Roma la Fata Morgana,

Sotto gli affacci di Scilla il mare si fa di olive acerbe.

 

Pino Talìa porta un Mattia Preti

Da Taverna a Firenze. Botticelli si inchina.

 

Francesca Dono da Biffi regala bergamotti,

Davanti alla Scala tutti si mettono in fila…

 

Una poesia di Mauro Pierno sul Corriere della Sera.

[…]

Visioni mistiche a san Francesco a Ripa.

Marina Petrillo davanti a Ludovica Albertoni.

 

Marmo. Drappeggio. Diaspro. La beata in estasi.

Verso l’altare della cappella

 

Marina abita parole d’amore.

Un raggio di sole sul marmo.

 

Le visioni. La tela di Gaulli. La finestra.

Bansky-street-artist: « How the Troian War Ended

 

I don’t Remember…

Edited by Giorgio Linguaglossa»

 

Letizia Leone a Mario Gabriele:

«Chelsae Editions. Miracolo.

 

Bellissima la cover di copertina»

[…]

Toscanini posa la bacchetta:

«A questo punto muore Liù.

 

Turandot finisce qui. Pekino è a lutto.

Il cancro alla gola ha ucciso il Maestro».

 

Creatura che crea nella luce sul mare

Marina Petrillo va incontro a Puccini.

 

Giorgio Linguaglossa commenta

La lettera scarlatta a Mario Gabriele

 

e a Lucio Mayoor Tosi. Giorgio Agamben:

«L’uomo di gusto nella dialettica della lacerazione..»

 

Ready-made. La compagna di Duchamp usa un Rembrandt

come tavolo da stiro.

[…]

Edith Dzieduszycka parla di Michele. Traduce in italiano

Le lacerazioni di Marie Laure Colasson.

 

Maria Rosaria Madonna scrive lettere a Kavafis,

Non sosta mai dove i treni si fermano.

 

Al centro della Marketplatz

Giorgio Linguaglossa le porta tutte le poesie

 

In un trolley che sulla ghiaia d’un prato fa scintille.

Roland Barthes parla da solo nella chambre claire:

 

«Operator. Spectrum. Spectator. Studium. Punctum.

Cerco mia madre nel portacipria d’avorio»

 

Edith Dzieduszycka cerca la sua

In una boccetta di cristallo intagliato.

 

(9 luglio 2019)

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

 

Giorgio Linguaglossa

 

La forma polittico narra la manifestatività dell’esserci, Il capovolgimento, la peritropè e il salto sono le categorie dominanti del polittico

 

Il luogo dei personaggi e delle situazioni indicate dalla poesia di Gino Rago è un particolare mix di «questità», di ciò che è qui ed ora, di ciò che figura nel presente (Edith Dzieduszycka, Marie Laure Colasson, Marketplatz, Giorgio Linguaglossa, Roland Barthes, Stige. Tutte le poesie, chambre claire, Maria Rosaria Madonna, Kavafis etc.). Tutto ciò configura il possibile come pensabile vero. E all’inverso, ciò che può essere pensato e detto è anche possibile, perché l’ontologia positiva è ciò che si dice, e il possibile, anch’esso può esser detto e, in quanto detto è quindi possibile, è una figura dell’esistente sub specie del possibile. Come dire che è tutto vero nel suo attuale esser-presente, in quanto l’attualità è tutto quel che si fa avanti nel presente, e anche quel che si fa indietro dal presente, come «altro» rispetto a quel che è dato nel presente. L’attualmente esistente è il presente, l’esistere qui ed ora come indicazione di qualcosa che sarebbe potuto essere presente in altra guisa in luogo di quel che ora si dà.

 

Nel polittico la predicazione della possibilità allarga il campo d’azione dell’esser-questo in quanto coincidente con il non-essere-questo in quanto ricadente nella possibilità che ciò accada. La più radicale delle contraddizioni equivale perciò alla possibilità che le cose stiano in altro modo e in altra guisa da come si offrono alla apparenza del senso comune, per cui il possibile sarebbe questo esser-così e il questo non-essere-così, in quanto quello che decide è l’essere presente nel presente come figura del presente, nell’attualmente presente, e l’essere del passato nel presente come figura del presente, nell’attualmente presente.

 

Il venire alla manifestatività dell’esserci di un questo equivale alla predicazione di una infinità di possibili «questi» di mondi «altri» rispetto a cui l’attualmente esistente è soltanto una delle possibili modalità del manifestarsi. In ciò risiede il paradosso della forma-poesia del polittico la cui pensabilità stessa ci conduce da subito alla forma paradossale secondo cui tutto il pensabile è esistente al pari di ciò che è esistente nel presente come figura del presente.

L’esserci delle cose è il loro non-esserci se non nella manifestatività del presente, onde ne deriva che il non-esserci gode dello stesso accredito dell’esserci (equivalenza dell’esserci con un «altro da se stesso»). 

 

La forma polittico narra la manifestatività dell’esserci in ciò che è detto e per come è detto, non c’è nessun mistero che non sia solubile nella manifestatività dell’esserci nel presente; la forma polittico implica il negare e l’affermare la questità delle cose, la forma della presenza di ciò che è presente e la forma della possibilità della presenza, implica la incondizionatezza del condizionato, la inclusione dell’escluso nell’orizzonte destinale della manifestatività in ossequio al principio del: ciò che c’è è ciò che si dice, e ciò che si dice è ciò che c’è. Nel polittico ciò che si manifesta nella forma del possibile equivale a dire ciò che si manifesta nella forma non contraddittoria di ciò che esiste nel presente. Il capovolgimento, la peritropè e il salto saranno le categorie dominanti questa forma d’esistenza che perviene al presente come figura del presente, in quanto gli accadimenti accadono in quanto predicabili e, quindi, immaginabili, possibili.

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

Lucio Mayoor Tosi

Nessun nome.

«Ora non posso. Mi viene a prendere l’autobus parlante. Ho già
il Crocifisso alle pareti. Barbara non c’é. Lo ripeterò sempre».

Nessun nome da ricordare. Nessuno abbastanza famoso, o sono io
senza memoria? Angelino dice. Marta. Mi fa una pugnetta.

E’ l’orizzonte. Le marmotte ne sono ammirate. L’opaco viandante
e le carrozzelle; prima, quando mancavano. Babele di stracci

e mascolina. Maschile di “Patria”. Prime gazzose. Ah, bianco
spinami il cuore! Abbiamo ancora da cominciare.

 

Mauro Pierno

pret-à-porter


Per essere la fiamma che arde accompagno
la legna nel bosco.

Mettici i resti della sostanza,
che avanza. Nelle suppellettili e nelle credenze.

Nei cucchiaini. Nei buchi neri, nelle topaie.
Negli avanzi sotterranei. Nelle tranvie. Nelle metropolitane.

In fondo al mare, per questo avanzano le parole.
Negli specchi muti delle posate e nelle luci più minuscole

nei corridoi di ceramica e nelle tazze che sfarfallano,
spengo la luce

e ti racconto dei gatti al buio e dei polittici.
Kitwoman e Kitdog. Al ballo stasera orrendo quell’abito di strass!

Deduco che dormi.
Il cane elegantissimo però! A soggetto.

Al mercato delle chiacchiere.
In treno oggi, la scelta esclude i negroni, milioni di milioni.

Vacillano su Salviti, non ricordano bene il nome del candidato. Parlare alla gente come si fa?

Il taglio del silenzio,
nelle boutique del centro. L’attesa della stesura.

Abilitano abiti di manichini in serie.
L’abbandono delle mani pare esplicito.

Si odono solo ininterrotte forbici. Allinea frotte di soli sarti in regola. Corrono scampoli di parole.

In strada stabilito il pensiero inevitabile, la fragranza attraversa immune la distanza.

Tutti i visi incorniciati.
Tamponano nei margini le suture, assumono

sembianze onnipresenti. Le mani difatti articolano parole comprensibili.

Figuratevi per convenzione racconti di ombre sviluppate in scene e rimontare ad arte.

Gheiscia che minuziosamente
imbastiscono fiori di carta tessendo storie d’origami made in Italy.

Un pret a porter, concesso all’inventario della materia. Il limite inverso.

Punte sottili che nelle fasi notturne saltellano col giorno.

Stasi stupefatto.
Vedessi che strano nell’ordine assunto

gli occhi che ridono spogli di luce. Il senso non geme. In strada la gente traballa. Ha un alito spoglio di aglio in camicia.

Cosa era l’odore di oboe arreso?
Un controfagotto di luce abbuffata,

le parole più dette. Nel sacco di Roma
la rovina, una messe. Eppure

Le congratulazioni ostruiscono,
ingravidano si attorcigliano al collo.

Il nodo ad una formica.
L’alba strozzata. Quanto un torrente,

un cimelio o un cumulo di ortiche,
quanto le nuvole rientrate sulla bilancia,
regolari uniformi.

Ai polsini led intermittenti. Pois sulla cravatta.
Tutti quanti ricevemmo palette riflettenti.

Tutti avrebbero fermato tutti. Fu convenuto un unico fischio.

Ci posizionarono.
Un richiamo morbido. Un fruscio incontrollato di uccelli. Avvenne per acclamazione,

maestrale di parole.
A seguito delle consultazioni.

Un vento divertito che il senso avvale.
Ascolta pure il sibilo, la pulce d’acqua
Narciso!

minuscolo italico cortile, tu acuto a fari spenti ed ammansito.
Nelle grondaie che schizzano i fracassi,

come piangono i gocciolii degli anni persi, a tesa a tesa, nelle trombe plumbee

senza cappello, senza più ombrello.
Di cardi assunti nelle dispense aperte

che l’occhio inganna inscatolati.
A testa in su anche gli asparagi.

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa

La domanda ontologica “che cosa c’è?

«La domanda ontologica “che cosa c’è?” può allora venire articolata in due domande distinte: da una parte “che cosa c’è per noi, in quanto osservatori interni allo spazio tempo?”; dall’altra “che cosa ci sarebbe per un osservatore privilegiato, che osservasse lo spaziotempo dal di fuori?”. Dall’interno dello spaziotempo incontriamo entità tridimensionali che si estendono nello spazio e persistono nel tempo. Dal di fuori, invece, ci osserverebbero entità quadridimensionali estese sia nello spazio sia nel tempo. La Recherche prova a guardare, dall’interno dello spaziotempo, le cose come le si vedrebbero dall’esterno dello spaziotempo. La conclusione di Proust è che questo sguardo assoluto vede le cose “oltre che con gli occhi, con la memoria”. Osservati in questo modo – nella matinée Guermantes – gli ospiti della principessa appaiono finalmente al Narratore “come giganti immersi negli anni”. Nella prospettiva proustiana, la domanda ontologica “che cosa c’è per noi, in quanto osservatori interni allo spaziotempo?” ha una risposta tridimensionalista soltanto se ci si limita ad osservare con la percezione; la risposta risulta invece quadridimensionalista se si osserva anche con la memoria. Ecco perché Prosut sostiene che la vera vita sia la letteratura: perché è la vita registrata, fissata in un documento, e resa quadridimensionale.

Il quadridimensionalismo dell’osservatore proustiano è però differente da quello dell’osservatore esterno. Per quest’ultimo non esistono passato, presente e futuro; esistono soltanto relazioni temporali di precedenza e successione. Invece per l’osservatore proustiano c’è un istante temporale privilegiato, il presente, il punto dello spaziotempo in cui l’osservazione avviene. Questo fa sì che, all’osservatore proustiano, le cose appaiano come sdoppiate, con uno sdoppiamento che si riproduce nella distinzione tra io narrante e io narrato: da una parte, un’apparenza tridimensionale che la percezione presenta come presente (come tuttora esistente); dall’altra, una profondità quadridimensionale che la memoria rappresenta come passato (come non più esistente).

Dunque già nell’esperienza percettiva gli individui non appaiono perfettamente tridimensionali, bensì muniti di una scia quadridimensionale, di una connessione con il passato che favorisce l’integrazione di percezione e memoria. Ma con l’abitudine questa scia si stempera, perde luce. Il tempo passato – il ricordo – diventa piatto, film o scrittura sedimentata, impronta ripetuta e scolorita di una sensazione, una madeleine, un selciato sconnesso, il tintinnio di una posata provocano la resurrezione del passato, ossia fanno apparire il tempo nello spazio. Il passato, nella sua profondità quadridimensionale, è accessibile all’esperienza in quanto ricordato dalla memoria, ed è ricordato dalla memoria in quanto ripetuto dalla materia.

Questo può apparire controintuitivo, giacché la nostra rappresentazione degli individui è tridimensionale. A ben vedere, però, la quadridimensionalità fa parte di individui comuni che rientrano nella nostra esperienza più ordinaria…».1]

Per rispondere a Maurizio Ferraris, il problema che si pone a noi oggi, a distanza di cento anni da La Recherche, è questo:

noi sappiamo che esso [il segno] esiste come «traccia» di un qualcosa che non le preesiste, di un passato che non è mai stato presente e che non può essere rievocato. Vale a dire che non possiamo più ripetere l’operazione di Proust, la quadridimensionalità si deve vestire di nuovi modi di rappresentare il mondo tridimensionale. Tramite la Memoria (Mnemosyne) noi possiamo sondare il mondo quadridimensionale.

Con la nuova ontologia estetica bisogna fare un salto mortale della immaginazione, bisogna uscire mentalmente dal mondo tridimensionale per sondare e sfiorare il quadri dimensionalismo. Ecco la necessità della forma polittico.

Nelle società della comunicazione globale i governanti non hanno più alcun bisogno di argomentare con delle ragioni la ratio del dominio. Non ha nessuna importanza il peso delle argomentazioni, quello che conta veramente è il saper parlare alla «nuda vita» di singoli alienati e traumatizzati dal ciclo del capitale. Non è più centrale la produzione per il consumo, ma il consumo per la produzione, si verifica così uno scollamento tra i ceti produttivi e i governanti, entrambi nuotano nel nulla della comunicazione e della ipercomunicazione. L’economia reale è mossa dalle ragioni inconsce della «nuda vita» piuttosto che dalle ragioni consce di essa. Ma ciò che dirige l’orchestra della comunicazione è la merce e la forma di merce. È la merce (idest l’essere sociale della merce) che come un direttore d’orchestra dirige l’orchestra della comunicazione. La distanza che separa una bottiglia di ColaCola e una di Shweps da un Samsung Galaxy, è la distanza che passa dalla società opulenta alla società della comunicazione globale. Tutti i prodotti commerciali (le merci) e i prodotti culturali (altre merci) devono per forza delle cose parametrarsi, anche nella forma interna oltre che in quella esterna, volente o nolente, al dominio della comunicazione. L’arte diventa così una modalità della comunicazione, diventa efficace nella misura in cui si commisura alla legge della comunicazione.

Ora è indubbio che un movimento come quello della nuova poesia della nuova ontologia estetica si sottrae con tutte le proprie forze al dominio dell’essere sociale delle merci, ed è indubbio che in tal senso il telos della sua direzione sia la dimensione della non-merce. È inscritto nel suo codice genetico tendere alla non-merce. E in tal senso la NOE è l’erede dell’umanesimo della civiltà europea, con tutto il senso di colpa e l’ambascia che questa codificazione comporta.

 

1 M. Ferraris, Emergenze, Einaudi, 2016, p. 26