l’Essere è ciò che si dice
L’ontologia negativa di Heidegger era basata sull’assioma: «l’Essere è ciò che non si dice». Da qui il passo successivo è il silenzio come impossibilità di dire ed esperire il silenzio. La grande poesia di Eliot, La terra desolata (1922) e gli Ossi di seppia di Montale (1925) ne sono la eloquente esemplificazione; il non detto diventa più importante del detto, il non si dice più importante del si dice. Tutta l’impalcatura della colonna sonora della poesia primo novecentesca viene calibrata sul parametro del silenzio, di ciò che non si dice, di ciò che non può essere detto. Altresì, tutta l’impalcatura indicativo-ostensiva del linguaggio poetico primo novecentesco più maturo tende a periclitare nello spazio del silenzio quale «altro» indicibile per impossibilità del dicibile. L’intenzionalità significante tesa all’estremo tenderà a sconfinare nel silenzio dell’impossibilità del dire.
Il pensiero filosofico e la pratica poetica di questi ultimi anni, invece, pensa una ontologia positiva, per cui si può affermare che l’Essere è ciò che si dice. Ciò che non è detto sconfina non più nel silenzio del dire ma nel nulla dell’essere. Ci troviamo davanti ad una rivoluzione copernicana nella sfera del pensiero filosofico e del linguaggio poetico.
Le poesie presentate di Marina Petrillo e di Donatella Giancaspero, e, in generale, quelle della nuova ontologia estetica, sono una calzante esemplificazione di questa rivoluzione copernicana. Il dire che si esaurisce nel detto, il detto nell’esser stato detto, in un passato che non è più. Tutta l’impalcatura fraseologica e la denotazione proposizionale di ogni singolo verso indicano una compiuta ostensività della significazione, chiudono la significazione, e la riaprono nella proposizione seguente. Così, la poesia diventa composizione di singole componenti, frasi assiologicamente orientate che periclitano verso il nulla della significazione, che non possono sporgersi nel silenzio per la priorità del nulla che percepiscono, per la estrema vicinanza del nulla di cui hanno percetto.
Aggiungo una postilla per condensare questo pensiero. La nuova poesia si muove all’interno di un orizzonte del positivo significare, va alla ricerca del significato come di un positivo assoluto, e, proprio così facendo, rischia di venire inghiottita, ad ogni frase, nel significato positivo, nel positivo significare: un darsi che è un togliersi, un positivo che si rivela un negativo. Le fraseologie restano come appese ad una sospensione trascendentale, come sopra l’abisso del nulla dal quale provengono. Paradosso del paradosso: il positivo significare che periclita nel negativo significare, in quanto il discorso poetico si situa proprio sul crinale della differenza tra il così posto e il togliersi del così posto in non-posto.
Scrive Massimo Donà:
«Ecco perché non si può assolutamente dire che l’orizzonte della positività costituisce il presupposto a partire dal quale, solamente, qualcosa come una differenza può essere posto; infatti, non c’è “essere” se non nel darsi di una differenza – essendo proprio quest’ultima, ciò che ‘fa essere’.
Nessuna distinzione, dunque, tra il differire ontico ed il differire ontologico – come avrebbe invece voluto Heidegger: non essendo in alcun modo pensabile un essere, se non come essere dell’essente.
Di cos’altro possiamo dire che ‘è’, infatti, se non di questo o quel determinato? Nessun’altra esperienza dell’essere si dà mai all’uomo – stante che lo stesso essere in quanto essere si dà al pensiero sempre come “così e così determinato”; cioè come diverso dall’albero e dalla casa. Per cui, anche dire, dell’essere, “che è”, è dire l’essere di un determinato».1
La nuova ontologia estetica ha il vivissimo percetto della oppositività di tutte le parole, della belligeranza universale e del contraddittorio universale di tutte le parole in quanto provenienti da quella oppositività originaria che le rende «tutte possibili proprio in forza della sua specialissima natura – costituendosi essa, per l’appunto, come opposizione tra essere e nulla. Ossia, come opposizione tra l’esser positivo del positivo (la positività) e l’esser negativo del negativo (la negatività)».2
1] M. Donà, L’aporia del fondamento, Mimesis, Milano, 2008, p. 32
2] Ibidem p. 33
Una poesia inedita di Marina Petrillo
Un io gestatorio decaduto, morto al concetto di eterno.
Non rimane alcun frammento,
solo cellule amebiche poste ai limiti di un firmamento finito.
Inibita ogni azione,
anche la nascita. Memorie dissolte
in operoso dialogo interiore, lo sguardo volto e avvolto,
a stele di vento acido.
Inquieti i bambini vivono in universi paralleli,
gestatori, di cui smarrita è la memoria.
Non regna ascensione,solo litania prossima al vivere.
Il mistero, nel piangere bianco,
inclinato asse nella acquiescente vita abdicata.
Pericola il cardine posto a suggello di un dio imploso:
catastrofe morta al suo stesso suono.
Una poesia di Donatella Giancaspero
Le strade mai più percorse:
esse stesse hanno interdetto il passo
– alla stazione Bologna della metro blu, una donna. Sospesa.
In anticipo sulla pioggia –.
Qualcuno ha voltato le spalle senza obiettare,
consegnato alla resa gli occhi che tentavano un varco.
Le ragioni mai sapute vanno. Inconfutate
– scampate al giudizio – per i selciati – gli stessi
ritmati di prima – gli stessi –
da martellante fiducia – nell’equivoco di chi c’era.
Per un’aria che non rimorde – l’ombra
sulla scialbatura – avvolte da scaltrito silenzio.
Giuseppe Gallo
25 maggio 2019 alle 9.19
Caro Giorgio, trovo molto interessante l’appunto che esplichi sulla ontologia negativa di Heidegger: «l’Essere è ciò che non si dice» che oggi si rovescerebbe nel suo opposto “l’Essere è ciò che si dice.” e la sua estensione alle poesie di Marina Petrillo e di Donatella Giancaspero. Noto però, che i due assiomi hanno come radice sempre la parola e il linguaggio. Anche il “non si dice” ha bisogno di essere espresso alla stessa stregua di ciò “che si dice”. È sempre il linguaggio che deve parlare…
Leggo in questi giorni che sta per uscire, per le edizioni Le Lettere, Tutte le poesie di Bartolo Cattafi, (1922-1979) poeta meridionale che ha dato il meglio di sé dopo il 1960 con le raccolte L’osso, l’anima (1964) e L’ora secca del fuoco (1972). Che ne pensi della sua supposta “originalità”?
Approfitto dell’occasione per postare l’ultimo componimento che dovrebbe concludere l’esperienza di Zona gaming.
Zona gaming 10
Si va verso la pioggia
che incrudelisce sulle margherite.
Lilli, il tuo niente
versa la rabbia dentro un altro passo.
Non stato io a incontrare me stesso nelle parole.
L’invisibile si spalma sulle superfici.
Ricciolo di burro sul toast che ingromma. Caffè amaro
sopra le papille. Polvere per soffocare nel respiro.
Zona gaming
Entra nella tua mail… entra nella tua mail… trova un passaggio…
Siamo all’epilogo. Flatus vocis oltre l’istante.
La durata forse sei tu che insegui il desiderio.
L’uomo parla. O parlava?
I miei sogni in crisi: vivono un alfabeto
di incisioni e scalfiture.
Dov’è la bella luce delle lucertole?
Zona gaming
…intermittenza e persistenza delle interferenze…
L’ombra: un diaframma di polline.
L’allergia atopica squama ogni ventricolo.
Incunearsi, allora, nelle vene fino al sangue?
Gridare l’ira per quest’altra morte?
Anche Bianca Maria va nella pioggia
che incrudelisce l’aria dell’autostrada.
E Lilli senz’anima gironzola intorno alle siepi
con la carne del corpo inscatolata.
Zona gaming
…ninna nanna… ninna Nanni… ninna Nanni! (21/05/2019)
Giorgio Linguaglossa
caro Giuseppe Gallo,
della poesia di Bartolo Cattafi, (1922-1979) per quello che ricordo, l’ho letto tanti anni fa… penso che sia il classico poeta del sud inurbato al nord industriale e progredito che non è riuscito ad organizzare un proprio linguaggio poetico: da una parte il retaggio della retorica della poesia del sud, dall’altra la sirena di un linguaggio più progredito culturalmente e civilmente come quello del nord, lo hanno, come dire, confinato in un linguaggio approssimato e non concluso, un linguaggio acerbo, incompiuto, compresso. Se leggiamo qualche sua poesia ci rendiamo conto di questa acerbità che deriva da una incapacità o impossibilità ad organizzare un proprio linguaggio poetico diverso da quello coevo nel nord e diverso da quello che si faceva in quegli anni nel sud. Leggiamo due poesie. Se notate, anche il metro breve risulta ostico, acerbo, non definito per eccesso di definizione, dove gli a-capo sono vistosamente forzati e non naturali; direi che anche l’argomentazione ha qualcosa di «ingenuo». Ad esempio, gli ultimi due versi della seconda poesia sono frutto di una buona intuizione, ma gli mancava il linguaggio per poter sviluppare quella intenzione, e le immagini risultano come raggomitolate, compresse, sintatticamente forzate, forzose:
Luce
Come avanza la luce
a onde
a segmenti
a spezzoni
fluttuazioni
a shrapnel
a trance rotolanti
a gorghi alla van gogh
a trucioli che si srotolano
a sberle in faccia
a ditate negli occhi
colpi bassi
tutto colpito
ci vuole stomaco
fegato per la luce.
Niente
È questo che porti arrotolato
con cura, piegato
in quattro, alla rinfusa
sgualcito spiegazzato
ficcato ovunque
negli angoli più oscuri.
Niente da dichiarare
niente
devi dire niente.
Il doganiere non ti capirebbe.
La memoria è sempre un contrabbando.
Francesco Paolo Intini
23 maggio 2019 alle 21.21
“I linguaggi artistici sono quei tipi particolari di linguaggi che sono stati sottoposti ad una intensa problematizzazione interna. È attraverso la problematizzazione interna che i linguaggi si rinnovano, e una attività ermeneutica dei linguaggi artistici ha il compito di mettere in evidenza questa problematizzazione.”
In ordinate il tempo
[la probabilità]Un po’ scontata quasi immobile nelle risposte
Apparve la probabilità
Isabella sparì nel mare dei sargassi.
Che senso aveva somigliare al nulla?
Non sembrò rilevante il limite
in confronto alla memoria di un elettrone.
La premessa era che il complemento oggetto
diventasse soggetto. Occorreva uno stratagemma.
Sul ponte si provarono a risolvere equazioni.
Mettere il tempo in ordinate risollevava la prua.
Anche gli uomini sospirarono
quando videro San Salvador
corrispondere al 12 ottobre 1492
con probabilità maggiore del 95%.
*
[il porto ] Cominciò a sotterrarsi. Sembrava una marea
ma veniva divorato da una moltitudine di cefali.
Vennero a raccontare
il rodeo tra gli ami.
La pausa germogliò sulla lingua
e l’orizzonte si annodò a un peschereccio.
Perché colava acido dagli orologi?
Si trattava di organizzare una fuga
Ma gli uccelli non collaboravano.
Avrebbero dovuto?
Le panchine sciolsero i colombi.
Potevano portarsi
la memoria del cemento.
I bambini vennero sepolti e dimenticati
I palloncini si sgonfiarono e l’elio
Tornò nelle bombole senza dire nulla.
Monaco nelle visceri della terra.
Il sole si rifugiò in un acino di uva nera
L’opera contro le maestranze era iniziata.
I marescialli ordinarono
una strage dopo l’altra.
Si diffuse voce di pallottole kamikaze.
Ma non fu compreso il sacrificio.
La totalità delle guance si rigirava
mentre erano schiaffeggiate e sparivano.
I ricci ripresero i gusci
I polpi la schiuma sugli scogli.
*
[il meccanismo] Scricchiolò.
Perfino il palco avrebbe sparato proiettili
Dopo il nulla osta dell’impalcatura
Una formica lesse il suo dolore nel costato
Fu quello il momento dell’imbarazzo.
Il fuori scena immaginava Patty Smith
Ora si presentava con chele e abbondanza di tette
gridando la sua appartenenza al Diritto Universale.
Tra una fumata e l’altra si elesse un papa.
Dioniso in campo mise tutti d’accordo
Sgozzare un capro
non è soddisfare il bisogno di un Dio.
Aprì i microfoni
l’idra le sette teste da cui versò i dadi.
Si sarebbe ascoltato Lou Reed
o uno degli XI pilastri del marxismo.
Sfilarono per Berlino Est un’ultima volta
non s’erano mai visti becchini e carri funebri
nella stessa orgia lungo il muro.
A Piazza della Loggia il regime
a Piazza Fontana una teoria di ballerini e suicidi.
Il meccanismo prevede che le bombe esplodano.
Si è espanso l’universo
La luna è rimasta nuda nella deflagrazione.
Bomba sexy e napalm sull’Italia.
Alla fermata scende dal treno.
Schegge dai finestrini,
sul predellino, nel respiro di un frate.
Una metà del cielo contiene tutte le nuvole
L’altra metà esatta, l’oro.
*
[la tigre] Dilagarono le belle notizie.
Raccontavano di cocci tornati bottiglie
Molte vedove continuarono a sperare
Che i mariti tornassero dalla Russia.
Tanti si sono dispersi perché non hanno riconosciuto
la stazione di Bologna.
Maggio è il mese delle maledizioni
Se rimane attaccato un papavero al suolo
bisogna strapparlo con le unghie.
Il frutto non ha diritto di successione
soltanto un’interpretazione a svantaggio del giglio.
Il freddo:
una lezione di caccia raccontata dai notai.
Il calore invece rovescia i piedi al di sopra del ghiaccio
La testa inchiodata al pack della glaciazione successiva.
Una punta di muffa nel pane annuncia
La tigre da mangiare.
(Francesco Paolo Intini)
Giorgio Stella
24 maggio 2019 alle 8.40
gentile Francesco Paolo Intini, compagno di questa tragedia, di questa sventura che c’é accaduta, la Poesia, leggo il suo poema e di certo non lo scordo; il dettato lo so, costa caro qui addirittura si sublima nei fossili di fatti storici di un’talia quasi da lei confinata nel suo inutile valore geografico, la passerella alla miss-italia ‘sfilarono per Berlino Est un’ultima volta’… in effetti se ‘Una punta di muffa nel pane annuncia / La Tigre da mangiare’ la fotografia non ha altri punti di fuga in questo suo alveare che mi pare possa proporre un’alternativa a tutto il miele che soffoca il bene nostro ancora di scrivere versi per i posteri bilocali che se risaliranno alla nostra specie da questi si interrogheranno se tanto sacrificio valse la pena a noi di trattenerci in quegl’ambienti
Francesco Paolo Intini
25 maggio 2019 alle 11.34
‘Una punta di muffa nel pane annuncia / La Tigre da mangiare’
Eh si è un verso amaro, tra i più duri di quelli osati sin qui. Che sia la poesia un osare di ferocia? Affacciarsi e trovare le piramidi in costruzione o uno shuttle di ritorno da una gita su venere non fa alcuna differenza? Il tempo ha davvero questa natura vigliacca di assistere il viaggio della luna triste e non alzare un dito? Chi serve il tempo, quale dio mescola eroina al latte di madre? cosa \dove osa questo dire che non dice. Dio è morto e dunque i capri non sanno cosa farsene di Dioniso, né dei suoi dadi? Metà esatta è assegnata alla sposa, l’altra metà ai non sposi, quanti sono? L’uno non comprende l’altro. L’interregno consiste di bosco d’ombra impura, senza cornice, sgorga spontaneo perché l’animale ha la sua mano. Senza volerlo sparpaglia i dadi da questa parte e dall’altra del Vetro. Resta l’ ermeneutica. Impossibile se ci aggiungi che esso è inter\rotto da una sutura del tempo.
Selavy
Col grado della perfezione al petto
nacque Duchamp.
Il secolo scodinzolò attorno.
Non dire, dire. Pensare piuttosto.
L’assist era partito:
E con tutta probabilità qualcuno avrebbe fatto goal
Legarono il 1917 perché non rimanesse senza merito
Era consuetudine premiare le capacità
Quella visibile nei trattati è la sua più probabile vittoria
Apparire in veste nobiliare lo sguardo perturbante
Ma poi si apprende, senza averne certezza
che preferiva il gioco degli scacchi
e dunque a fotogramma d’amante corrisponde
una mossa di Re
Ebbe questo in premio per aver rasentato
la massima incertezza
che i marmi del sepolcro tornassero rocce
e non morì mai