Se l’essere svanisce nell’evento, anche le parole di quella patria linguistica svaniscono irrimediabilmente
Lettura di Giorgio Linguaglossa
«La storia dell’essere è alla fine».
«Soltanto se il mondo avviene espressamente l’essere – ma con esso anche il nulla – svanisce nel mondeggiare». (Heidegger) 1
La fine della metafisica coincide con l’inizio di un qualcosa che non conosciamo, e in questa zona di mezzo, in questo transito su un ponte di corda dobbiamo attendere in quella che Marina Petrillo chiama la «elicoidale memoria» come un salvagente che ci risollevi e ci tenga sul pelo dell’acqua.
L’età della Tecnica richiede imperiosamente un nuovo linguaggio, un nuovo linguaggio poetico.
Se l’essere svanisce nell’evento, anche le parole di quella patria linguistica svaniscono irrimediabilmente, e non c’è modo che esse ritornino ad abitare un essere che è svanito anch’esso…
Resta appunto «indecidibile» quale linguaggio, quali parole dobbiamo tornare ad abitare e quali abbandonare perché svanite… Noi non sappiamo quali parole decidiamo di adottare, non lo sappiamo fin quando non le scopriamo. Esse erano già dentro di noi, solo che non lo sapevamo, non ce ne eravamo accorti. Abitare una nuova patria linguistica è come essersi svegliati da un lungo sonno durato cinquanta anni durante il quale le parole hanno cessato di parlarci. Adesso le parole si sono destate e sibilano, vibrano di significazioni nuove che noi non sapevamo, che non sappiamo… Ma si può abitare una nuova patria linguistica soltanto se abbandoniamo al loro corso, come monete fuori corso, le parole inutili, quelle svendute e adulterate, posticce, mistagogiche, populistiche, le parole dei polinomi frastici asessuate ed imbelli…
Non c’è dubbio che Marina Petrillo sia alla ricerca di una propria patria linguistica, le sue parole sono «elicoidali», «goniometriche» curvano lo spazio e il tempo intorno ad un punto nevralgico: ciò che avviene nell’accadimento, nel momento in cui una leggerissima piuma lessicale si posa sulla struttura spazio-temporale del linguaggio.
Con Novalis, diremo che la poesia è «nostalgia»: «un impulso a essere a casa propria ovunque»; ma la poesia moderna, invece, nasce dalla scoperta di non essere a casa propria ovunque, di essere Estranei a se stessi. È essenziale alla poesia moderna, da Les Flueurs du mal (1857) in poi, sentirsi estranei, essere costretti ad impiegare una lingua estranea ed ostile. Questa lingua di Marina Petrillo è una lingua estranea ed ostile, non più eufonica. Da oggi e per tutto il futuro non sarà più possibile scrivere con una lingua come quella di Sandro Penna ma neanche con quella ad esempio dell’ultimo libro di Majorino, che ho appena scorso con gli occhi, tanto mi è bastato per capire che quella lingua è estranea in quanto idioletto incomunicabile, lì non si vuole più comunicare con nessuno, c’è l’elitarismo di una intera cultura che si è esaurita: il post-sperimentalismo, la cultura di chi non vuole comunicare e non vuole ricevere nulla da nessuno. Con questa disposizione di tono la poesia nasce già in obitorio, non c’è dubbio. Marina Petrillo anela alla parola della nuova patria linguistica, è già fuori della cultura del post-sperimentalismo e del minimalismo invasore, ha una Stimmung propiziatoria, anelatoria, incantatoria.
La Stimmung per Heidegger è «la voce dell’essere», quell’aura, quell’atmosfera che ci involge e ci coinvolge nella nostra relazione con il mondo. Un particolarissimo tono, o accordo di strumenti musicali, quel medesimo tono che situa la parola poetica in questo accordo…
Cupo e colmo d’angoscia risuona il lamento di Hölderlin:
«Wozu Dicther in dürftiger Zeit?».
Come scrive Roberto Terzi: «dove si presenta un indecidibile che si è chiamati veramente alla decisione». Appunto.
1] Il tema del Geviert è esposto in diversi testi: cfr. in particolare le conferenze, Bauen Wohnen Denken e Das Ding in M. Heidegger, Vorträge und Aufsätze, HGA ; trad. it. di G. Vattimo, Costruire abitare pensare e La cosa, in M. Heidegger, Saggi ediscorsi, Mursia, Milano, 1976 pp. 96-108 e pp. 109-124; cfr. anche M. Heidegger, Il linguaggio e L’essenza del linguaggio, in CVL, pp 27-44. e pp. 127-172 . M. Heidegger, Conferenze di Brema e Friburgo, cit., pp. 74-75.
Marina Petrillo è nata a Roma, città nella quale vive da sempre. Ha pubblicato per la poesia, Il Normale Astratto. Edizioni del Leone (1986) e, nel 2016, a commento delle opere pittoriche dell’artista Marino Iotti (Collezione privata Werther Iotti), Tabula Animica,
opera premiata nell’ambito del Premio Internazionale Spoleto art Festival 2017 Letteratura. Sta lavorando ad un’opera poetica ispirata a I dolori del giovane Werther di Goethe. Sue poesie sono apparse su riviste letterarie. È anche pittrice.
Testi di Marina Petrillo da materia redenta, Progetto Cultura, 2019 pp 96 € 12
Di passo in passo
l’orma conduce al sentiero.
Lieve eco ne ebbe il giardino della pre-eternità.
Inquieta fu l’ombra sospesa
sino a trarre del segno la traccia.
Scese in polisemia
ponendo divario tra sé e l’assoluto.
Incontro fece del Vate
lì dove si svela grande il progetto
a parola riflesso.
Saprà di essere
senza dismettere alcuna cosa.
Un buco le attraversa il torace
in respiro di vento.
Non è mai esistita abbastanza.
*
Ha cantato in giorno di festa
il migrante uccello
verso altra forma assorto.
Dimentico del cielo, cangiante
nella spessa terra brulla
solo giace in cinereo spazio.
Compone uno spoglio verso
cui giunge dimora il suono
a misterioso ricordo del notturno andare.
Torna la sera
ed accende rare luci.
Sconfitto dal dilagare
di un dolore alla mente ignoto
ne accoglie l’umano sentimento
come potesse sottacersi l’indefinita specie.
In destino traduce minute briciole
di pane
sino a scomparire in nube passeggera.
Senza ausilio dell’incerto azzurro
preghiera trasuda il doloroso andare.
Come fosse l’ultimo prima
del mormorante radioso commiato.
appare a tettoia di cielo.
Palafitta posta in sommità
da gravoso vento scalfita.
Dolmen di antiche genie,
quando gli Dei abitavano luoghi e le conchiglie
erano loro monili.
Il mare ondoso dei sibili notturni
stordisce a nenia,
tra navigatori rapiti da smerigliati brusii.
Non sopravvivono gli orizzonti
se a macchia mediterranea serpeggiano
in siepi dilaganti a dirupo.
In breve respiro, solo gli abitatori del firmamento
traggono vita.
Per gli umani, stupore il creato
a segno contrario di infinito.
*
Il Pensiero divino è uno specchio di indistruttibile profondità. Carezza del Suo Dono nel volto riflesso
M.P.
oltre la croce abbagliata dal sole
fu percepita la linea di un fiore
il cui stelo in gemma di legno
sosteneva una corolla dolente
di petali infranti.
Le foglie forate in rugginosa
rovina traevano linfa da un fondo odoroso
mentre, del transito umano,
una piccola goccia leniva l’inganno
di un tempo avverso all’amore.
Del fiore in sua vita visione
ne ebbe lo Spirito che ogni cosa
in Segno traduce
per cui la Morte parla alla Vita
come una madre e, in sua cura,
risorge, sì che in profumo
torna all’Essere, in gioia.
*
È in un gesto il quieto vagare
del giorno allo scurirsi. Il suo abbandono.
Confina a dialogo interiore
e del vocio passato mostra l’incedere.
L’amore non confinato a spazio sussulta
il suo interludio in smagliato pendio.
Dolce si erge a contrada dello Spirito
e nuova acqua tracima, tra sponde immote.
Inebria, nel faticoso intento, il profilo
dell’ignota ora lì dove solare mitiga
a traccia umana, potente il raggio.
Sopisce infine in notturna veste
e al sapere accede in percezione
se mai si avrà risveglio.