Una poesia di Tomas Tranströmer, Poesie e Commenti di Carlo Livia, Gino Rago, Lucio Mayoor Tosi, Giorgio Linguaglossa, Mauro Pierno,Ethos significa soggiorno, Aufenthalt, luogo dell’abitare

 

Giorgio Linguaglossa

 

Una poesia di Tomas Tranströmer

 

Entrammo. Un’unica enorme sala,

silenziosa e vuota, dove la superficie del pavimento era

come una pista da pattinaggio abbandonata.

Tutte le porte chiuse. L’aria grigia.

 

 

Un esempio indiscutibile di come sia mutata la percezione del mondo dell’uomo contemporaneo. Il quale guarda le cose con sguardo diretto, e non vede niente. Infatti, il poeta svedese impiega sempre lo stile nominale, chiama subito le cose in causa e, in tal modo, causa le cose, le nomina, dà loro un nome. Entra subito per la via sintattica più breve dentro la cosa da dire. Perché nel mondo totalmente oscurato non c’è più tempo da perdere. Nel mondo degli ologrammi penduli non c’è più spazio per gli argomenti in pro della colonna sonora. Nel mondo totalmente oscurato chi parla di Bellezza non sa che cosa dice, o è un imbonitore o è un falsario. Oggi il miglior modo per concludere una poesia è: «Tutte le porte chiuse. L’aria grigia.» Chiudere. Chiudere le finestre. Chiudere le porte. Sbarrare gli ingressi. Scrivere su un cartello, in alto, sopra la porta d’ingresso: «Tutte le porte chiuse. L’aria grigia.»

 

 

Il problema dell’Aufgabe des Denkens come oltrepassamento del nichilismo e preparazione di una nuova dedizione – si configura ora come problema dell’aporetico oltrepassamento del principio di non contraddizione. Questo il tremendo compito assegnato da Heidegger al pensiero filosofico – che il pensiero deve assumere per affermare la sua attività ed autonomia. Solo nel segno di questo compito, solo nella ricerca di una giusta esperienza dell’origine si apre per l’uomo la possibilità di una vita autenticamente etica:

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

«Ethos significa soggiorno (Aufenthalt), luogo dell’abitare. La parola nomina la regione aperta dove abita l’uomo. L’apertura del suo soggiorno lascia apparire ciò che viene incontro all’essenza dell’uomo e, così avvenendo, soggiorna nella sua vicinanza. Il soggiorno dell’uomo contiene e custodisce l’avvento di ciò che appartiene all’uomo nella sua essenza. (…) Ora, se in conformità al significato fondamentale della parola ethos, il termine «etica» vuol dire che con questo nome si pensa il soggiorno dell’uomo, allora il pensiero che pensa la verità dell’essere come l’elemento iniziale dell’uomo in quanto e-sistente è già in sé l’etica originaria».1

 

 

La ricerca di questa etica originaria si cela nella tensione dell’Aufgabe des Denkens: il pensiero dell’essenza dell’essere come Léthe definisce il luogo, lo spazio aperto entro cui l’essenza dell’uomo trova il suo soggiorno. L’illuminazione di questo luogo essenziale è il compito del pensiero. Attraverso la comprensione dell’origine si può tornare all’originario, ad una pratica dell’origine, alla frequentazione di ciò che è originario, all’azione nel framezzo dell’ente e della storia. solo con tale comprensione preliminare, possiamo essere compresi nella nostra più vera essenza.

 

 

Se intendiamo in senso post-moderno, e quindi post-metafisico, la definizione heideggeriana del nichilismo come «riduzione dell’essere al valore di scambio», possiamo comprendere appieno il tragitto intellettuale percorso da una parte considerevole della cultura critica: dalla «compiuta peccaminosità» del mondo delle merci del primo Lukacs alla odierna de-realizzazione delle merci che scorrono (come una fantasmagoria) dentro un gigantesco emporium, al «valore di scambio» come luogo della piena realizzazione dell’essere sociale: il percorso della «via inautentica» per accedere al discorso poetico nei termini di cultura critica è qui una strada obbligata, lastricata dal corso della Storia. Della «totalità infranta» restano una miriade di frammenti che migrano ed emigrano verso l’esterno, la periferia. Il discorso poetico nella forma del polittico (in accezione di esperienza del post-moderno) è appunto la costruzione che cementifica la molteplicità dei frammenti e li congloba in un conglomerato, li emulsiona in una gelatina stilistica, arrestandone, magari solo per un attimo, la dispersione verso e l’esterno e la periferia.

 

1 M. Heidegger, Brief über den Humanismus, in Segnavia, pp. 306-308

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Carlo Livia

 

 

Il giovane Nietzsche di “Verità e menzogna in senso extramorale”, fra gli altri, ha indicato l’origine della mistificazione e della violenza ideologica che sottendono qualunque forma di predicazione e pensiero, perchè incapaci di evitare l’ostacolo strutturale, intrascendibile alla loro istanza noetica e rappresentativa: il 

linguaggio verbale, ” vagante esercito di metafore” , di elementi semiotici, invenzioni umane, di cui solo alcuni, surrettiziamente e illegittimamente, vengono canonizzati e stabilizzati dalla cultura dominante, che vi attribuisce una inesistente valenza epistemica, rappresentativa.

 

 

La radicale destituzione di senso, di risultanza epistemologica dei linguaggi convenzionalmente formalizzati, l’invalicabile abisso fra logica e ontologia e, conseguentemente, l’esigenza di violare, decomporre, rivoluzionare e tentare di esperire nuove connessioni, ampliare e fondare nuovi universi semantici ed espressivi – questo è il nucleo genetico da cui scaturisce l’implacabile tensione iconoclasta, profanatoria, decostruttiva e rigenerativa della poesia contemporanea, di cui Intini è ammirevole esempio.

La risultanza icastica, ideologicamente rigenerativa di tale esperienza verbale, scaturisce, secondo me, dalla capacità di esplorare e reificare, attraverso incongruenze e sconnessioni, l’universo emozionale, pre-razionale ( la “precomprensione” da cui genera l’atto della significazione, come nella densa riflessione di Linguaglossa ) che avvolge e circoscrive la coscienza verbale, lasciando affiorare verità inesplicate, intuizioni espresse in sintagmi e icone folgoranti, in cui il senso, misteriosamente, trascende e esonda dal significato immediato, denotativo.

 

 

Un clown dell’era in cui erano riconoscibili, sparò a Dio.

Piovve un puzzle incomponibile

 

 

Se c’è stato un caso di immortalità

è bene prendere provvedimenti.

 

 

Il meccanismo tritò i chicchi di luna nera

Per farne desiderio e versarla tra le cosce.

 

 

M complimento con Intini, a cui vorrei dedicare un testo.

 

 

Almost you

 

 

Prima dell’alba il morbo raduna gli assenti. Nel tempio fossile richiudono i sigilli. Diventano neri. Mangiano e bevono la madonna triste.

 

 

In cielo un sax senza più lacrime. Invano nasconde i defunti. Sporgono dal grembo oscurato dalla metropoli.

 

 

Il tuo viso affonda nell’universo fatuo, sottile, vacillante. Un sogno obliquo sul mare dei risorti. Divorato dalla pioggia. O dalle anime dei grattacieli.

 

 

La bambina sola nel folto delle lamiere. Grande orologiaio, guarda, il nulla trabocca dai cieli! Non è silenzio, è l’addio incessante. Non è amore, è grandine mista a sangue.

 

 

Violini e lacrime restano sulla strada abbandonata. Odore di donne essiccate, sparse nel blu cobalto.

Corvi e peccati si contendono il nido della fanciulla. Violata dall’oro dei trafficanti, non torna più. Concepisce lontana. 

La lanterna cieca assiste al parto.

Senza vegetazione. Cadono sillabe fredde.

 Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

Gino Rago

 

Le due recenti proposte poetiche apparse su L’Ombra delle Parole, i polittici di Ewa Tagher, di ieri, e di Francesco Paolo Intini, di oggi, ci dicono chiaramente che

 non la poesia è in crisi, ma è la crisi nella poesia”.

Ci dicono che i battiti del polso e il generale stato di salute della forma-polittico in distici suggellano allo studioso di poesia senza para-occhi e senza pre-giudizi uno stato poetico senza nessun tipo di patologie.
Semmai, ora, la vera questione è un’altra. Ed è questa che faccio dire direttamente a 

 

Giorgio Linguaglossa

 

«caro Gino Rago,

la nostra proposta di una nuova ontologia implica la petizione di una nuova idea del tempo, dello spazio, della vita psichica, della vita erotica, dell’esistenza e della storia, implica la petizione di una nuova esperienza del vivere e dell’agire, qui e ora, nel tempo.

Questa petizione di un ripensamento categorico dei pilastri dell’ontologia, della filosofia, dell’etica e della politica occidentali, implica e richiede un rivolgimento di tutti i nostri sensi, del nostro modo di vita.

Si inganna e ci inganna chi scambia la petizione del nostro principio per una nuova ontologia poetica per una proposta riduzionistica o, semplicemente umanistica, perché una nuova ontologia poetica richiede fortemente una nuova forma di vita.

La poesia vive all’interno di una determinata forma di vita, e non è libera affatto. Liberare la poesia è il primo passo per liberare e rinnovare la nostra forma-di-vita.

La nostra petizione di una nuova ontologia è quindi la petizione per una nuova polis, per nuove leggi, per nuovi cittadini».

E’ questo il salto che tutti insieme siamo chiamati compiere.

 

(gino rago)

Rispondi

giorgio linguaglossa

30 gennaio 2020 alle 19:00 Modifica

Grazie Gino Rago,

 

per aver ricordato quelle mie frasi che avevo scritto in un momento di sconforto. La poesia nuova, quella che stiamo facendo, ci prepara per i tempi nuovi, parla al futuro perché è diretta al futuro. Il futuro ci guarda. Quello che noi facciamo lo dobbiamo testimoniare per il futuro. È il futuro che ci chiede una nuova poesia, non il passato. Soltanto il nuovo mondo della rivoluzione a-venire, se mai verrà, potrà essere il giudice di queste nuove poesie. Ewa Tagher e Francesco Paolo Intini parlano al futuro del nuovo mondo, se nuovo mondo ci sarà.

In fin dei conti la poesia ha senso se prepara la nuova rivoluzione, altrimenti è roba usufritta che può essere annebbiata e dimenticata.

 

Scrive Giorgio Agamben:

«l’esplorazione topologica è costantemente orientata nella luce dell’utopia».

 

Lucio Mayoor Tosi

Queste poesie di Intini trasmettono l’emozione di un programma atto a cercare tracce di senso tra le pagine di un libro di narrativa, o di un giornale dei nostri tempi. Intini è poeta estremo. E’ là, dove non siamo più.
Ogni suo verso è cadenzato, sicché il distico arriva come sottolineatura a marcare il passo: laddove una quartina, una strofa, o che diamine ne so, potrebbero invece disporsi per la una prosa, non eccelsa ma intelligente per come sa mantenersi sconclusionata.

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

Inedito di Mario Gabriele

 

da http://mariomgabriele.altervista.org/inedito-mario-m-gabriele-13/?fbclid=IwAR1-bW5DmjySxfRckCM2AegvYIi4Hnf-IkOd7N0iVS68iquRvd0E05VP14c

 

L’altra parte della città sembra una favela

con i muri umettati di vernice.

 

-Ruby, dì qualcosa-.

-Non ho parole che buchino le pietre.-

 

Quaggiù non opera più nessuno

E’ diventato un borgo abbandonato.

 

Susy, puoi prenderla con comodo

studiando il prossimo avvenire.

 

La questione non è facile.

-Vuol dire che anche tu hai trovato le dicotomie?

 

Il croupier si è addormentato,

stanco di rastrellare pedine.

 

– Sicuro che vuoi puntare tutto sul jolly

come uno di Las Vegas? -.

 

Il signor Priscott ha lasciato le pavonie

a caccia del Killer in contumacia.

 

Ho paura che si metta dietro la filosofia

a illuminare le albe oscure.

 

Il canto dell’upupa non fa che avvertirmi

delle trappole del mattino..

 

Frate Mingus ha chiuso il ciborio

fino al Terzo Giorno.

 

Nel Musèe Condé di Chantilly resiste la miniatura

delle Très riches heures du duc de Berry.

 

Cara Eddy non credo che l’odore di bruciato

del roast chicken sparirà come il Killer.

 

L’aria è ancora fresca. C’è tempo per un whisky

al Rosebud di Parigi.

 

 

Mauro Pierno

In stile vecchia ontologia da Ramon (mia prima ed unica pubblicazione)


                                                        per Mario Gabriele…

Tramo trappole senza fili
addescando fantasmi, costruisco
rozze ragnatele non di semplici
fili ma barricate & masserizie & immondizie
scarti sentimentali, plastiche, e pure sorrisi.
Connetto, godo e mi addormento.
Pure tu, non sei più la stessa,
cara notte, troppo vicino all’alba,
confusa, ammansita.
Un croupier ha ammassato tutte
le nostre fiches. Quanto,
quanto abbiamo vinto!