La storicità debole nella quale oggi ci troviamo –Il pensiero poetico e filosofico non ha più alcun oggetto se non l’erranza della metafisica
Giorgio Linguaglossa
14 agosto 2018
La storicità debole nella quale oggi ci troviamo
Scrive Lucio Mayoor Tosi:
«Quanto alle parole non so. Per il fatto che oggi ti vengono date gratis, sembra non abbiano alcun valore; però, scegliendo e accostando “scarti”, rifiuti, qualche rimanenza d’epoca, ecco, riprendono vita. Sembrano altre. Certo, si noteranno i rappezzi, i rammendi, le cuciture, ma forse un giorno non lontano proprio di quest’arte del riutilizzo – contraria agli sprechi e alla sovrabbondanza – si parlerà positivamente. Per quel che NON si ha da dire, queste componenti vanno benissimo.»
Parlando della poesia e dei poeti venuti dopo Composita solvantur di Fortini (1994) ho fatto dei nomi di autori delle generazioni seguenti e li ho definiti come coloro che hanno «minore consapevolezza storica» del novecento e della tradizione. Un interlocutore mi ha chiesto che cosa volessi significare dichiarando Fortini come «l’ultimo poeta storico» del novecento. Ecco, io credo di averlo già spiegato. Cercherò di ripetermi, questo è un punto fondamentale per poter afferrare il concetto secondo cui tutta la poesia che è venuta dopo l’ultima opera di Fortini è in qualche modo «minore», minore in quanto non più saldata nella tradizione del novecento. È questo il punto. Non volevo essere offensivo nei confronti dei poeti venuti dopo il 1994, anzi, capire questo punto è indispensabile per acquisire consapevolezza storica della propria «debole storicità». Non ho voluto affatto essere intimidatorio o diseducato, volevo soltanto essere franco, schietto. E ripartire da qui.
Mi ci metto ovviamente anch’io tra coloro che si trovano in una «condizione di debole storicità», io che sono nato nel 1949, mi trovo coinvolto a pieno titolo in questa condizione di «debolezza ontologica», io come tutti, come tutti voi, nessuno escluso. Così, spero di avere escluso dalle mie parole qualsiasi intento diminutorio e/o intimidatorio.
Il problema una volta posto sul tavolo di dissezione, bisogna vivisezionarlo, osservarlo con attenzione prima di fare una diagnosi e una prognosi. Noi le nostre diagnosi e prognosi le abbiamo fatte con la «nuova ontologia estetica», una piattaforma che segna un momento di ripresa di consapevolezza, una ripresa «forte» pur nell’ambito di una condizione di «debolezza ontologica» della nostra condizione attuale. Quale sia l’orizzonte degli eventi di questa condizione di «debolezza ontologica» lo ha bene illustrato il pezzo di Lucio Mayoor Tosi citato all’inizio.
Il pensiero poetico e filosofico non ha più alcun oggetto se non l’erranza della metafisica, l’eclissarsi della metafisica, con annesso e connesso il bagaglio degli strumenti retorici ed ermeneutici che quella metafisica portava con sé. Ciò comporta una presa di consapevolezza che quella metafisica non è più utilizzabile, che dobbiamo andare al fondo della crisi di quella metafisica per poterla abbandonare nella sua interezza. Soltanto abbandonandola in piena consapevolezza possiamo alleggerirci e andare oltre, oltre il novecento. Noi possiamo soltanto raccogliere quegli «stracci» che il novecento ci ha lasciato in dono, in eredità, ma con la consapevolezza che si tratta, appunto, di stracci, di relitti e che è con queste «cose» che noi dobbiamo edificare.
I classici dell’ottocento e del novecento ci appaiono sempre più lontani, estranei, perdono la loro aura di modelli, di costrittività, di esemplarità. Sono pensati come un relittuario di presenze-assenze, di simulacri, di ordini di valori conchiusi, lontani, inaccessibili, un ordine di valori devalutati, appartenenti ad un passato già passato che è inutile perlustrare, ripercorrere, indagare, che forse è più utile porre tra parentesi, dimenticare.
Dobbiamo intendere la Tradizione come distinzione di Tradition e Ueberlieferung (trasmissione). La trasmissione dei valori si è interrotta, si è inceppata, e non vale più il volerla rimettere in moto come se fosse un guasto al motore. A mio avviso, è qualcosa di più di un «guasto», qualcosa di diverso: siamo entrati tutti in un «nuovo orizzonte di eventi», in una condizione di «storicità indebolita», di «consapevolezza indebolita», di un ulteriore «indebolimento dell’essere». Con le parole di Heidegger: «ciò di cui non ne resta più nulla», in cui, nella scia di un pensiero post-metafisico, non resta altro da fare che una rinegoziazione di un passato che non si consegna se non nella forma di una latenza, di una ri-memorazione, di una ripresa, di un ri-pensamento di ciò che è scomparso, sprofondato nella latenza… nella forma del frammento, di uno specchio vuoto che riflette un altro specchio vuoto, di un vuoto contenuto in un altro vuoto. La «distruzione della ontologia» è già stata compiuta nel novecento, ciò che resta spetta ai poeti fondarlo. Ciò che resta della metafisica come destino si è già compiuto. «Che cosa pensiamo, allora, quando ri-memoriamo l’essere? Possiamo pensare l’essere solo come gewesen, solo come non (più) presente»,1 ciò che è latente ma che dalla latenza ci chiama e ci ri-chiama al nostro essere-qui, adesso. Da qui, da questa consapevolezza, è nata la «nuova ontologia estetica».
1] G. Vattimo La fine della modernità, Garzanti, 1985, p. 182
[La trasmissione dei valori si è interrotta, si è inceppata, e non vale più il volerla rimettere in moto come se fosse un guasto al motore]
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Ho diviso questa poesia di Antonio Sagredo in piccole poesie autonome. Il risultato lo lascio giudicare ai lettori:
Antonio Sagredo
Ho solo in custodia i destini altrui e la mia condanna,
l’eccesso di una via consolare e un passante in fuga,
ma è finta la carta dei selciati orfana di zoccoli e di gridi.
Epitaffi premortali insidiano codici e cifre.
I sembianti sono smemorati, come bianchi acrostici.
*
Ho, di nuovo, e solo con vergogna inciso su un arco
di trionfo il marmo di un evento e l’assurdo tempo
non umano: un certificato che non cade mai in prescrizione.
E ho il potere di violare quei destini e i sigilli
chiusi col belletto di maschere piombate,
con lettere e numeri indicibili – esilio e cicatrici
nutrono la mia memoria in un tugurio spento da fanali.
*
Gioia prenatale di un mandorlo in fiore.
Festa del dire e del disfare:
questa è la Grazia che si converte
nel dèmone di un rinascimento.
*
E sono come Cassandre queste contrade
che tracimano astri e profezie in pozze – di miseria!
Luride stelle decollate dai riflessi, e non più – regine!
Scarnite creature senza gorgiere, né merletti d’ossa,
che nulla cantano, nemmeno un’ingenua – profezia!
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Lucio Mayoor Tosi
13 agosto 2018
Due osservazioni al volo:
– per Talia, se non mi manda al diavolo, a mio parere l’eccesso di articoli, specie gli indeterminativi, invece di creare vive presenze favoriscono la fredda l’elencazione.
– Antonio Sagredo: apprezzo molto l’elegante interpretazione di Giorgio Linguaglossa, di una poesia in più poesie brevi. Ne risultano evidenziati versi altrimenti soggiogati dall’irruenza creativa del poeta brindisino.
con lettere e numeri indicibili – esilio e cicatrici
nutrono la mia memoria in un tugurio spento da fanali.
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Giuseppe Talia
13 agosto 2018
Caro Lucio,
capisco bene cosa intendi, e forse era quello l’effetto che volevo creare, una nuda elencazione, diretta e precisa. Il testo che Giorgio ha riproposto oggi risale al 2014, una versione ridotta a sei versi apre la raccolta La Musa Last Minute (Progetto Cultura, 2018). Ma qui è il senso di spaesamento introdotto dalla domanda “dove siamo?” a dare origine all’elenco di luoghi e situazioni che, come dice bene Cataldi, “si calano nei fatti correnti e dismessi dell’umanità”.
Il problema degli articoli, che per me non è un problema, almeno non come forse lo intendi tu, l’ho trattato ampiamente in Thalia, con un uso abbastanza corposo soprattutto delle preposizioni articolate. In quel caso, articoli e preposizioni mi hanno permesso di mantenere un “canto minimo” e allo stesso tempo di prevedere ogni singolo verso come fosse un aforisma: tanti singoli aforismi incollati come stracci (direbbe Gino Rago), uno sull’altro. Quanto ai temi trattati, ritorna l’espressione di Cataldi sui “fatti correnti e dismessi”: news, spot, tweet, proclami, sentenze, fake news, che nascono e muoiono entro ventiquattr’ore.
Tutt’altra storia in Salumida, dove invece gli articoli e gli aggetti sono ridotti al minimo e anche i verbi quasi del tutto inattivi.
Mi piace la divisione in distici che Giorgio ha operato (Giorgio ormai è sempre più un influencer), e, sempre in tema, concordo ancora con Alfonso Cataldi, il testo di Rago sembra una continuazione dell’ultimo verso (nel Mar Morto come un profugo) attraverso una testimonianza diretta di uno di quei profughi (la donna di Somalia/giunta da noi chissà per quali vie).
Allo stesso modo, si potrebbe dire del testo di Cataldi, laddove il Raid in moto su Marte, potrebbe essere benissimo “La semifinale di BMX”, oppure “un seno franciacorta” in “un resort di lusso con l’alluce sul capezzolo”.
Vi è comunione. Vi è NOE.
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Alfonso Cataldi
13 agosto, 2018
Entrambe le poesie, di Gino Rago e Giuseppe Talia, si calano nei fatti correnti e dismessi dell’umanità. «Dio» non solo ha rancore per una recensione non data, ma rimane attratto dall’ultima sventurata trovata capitolina. Il «Dio» in prima persona di Talia entra completamente nelle contraddizioni della contemporaneità. A questi voglio aggiungere il «Dio» Aboubakar di una mia poesia recente, testimonianza, voce “che racconta” il naufragio in cui si sta.
Stupida(mente)
L’idolo dei tifosi locali usa precauzioni per niente rassicuranti.
Raggiunge sempre il campo, raccontano i dossier,
anticipando i risvolti settimanali dell’accoppiamento dei conigli nello spogliatoio.
Il truccatore personale di Be Best rotola giù alla minima spinta,
al primo dissapore tra un punto sulla retta
e la gravità di una vertigine magneto-dipendente.
Stupida(mente) la ruota non guarda mai dietro.
La semifinale di BMX è un’esplosione muscolare che raccoglie mutazioni
trasporta il fatto e il fittizio a ridosso della grata.
Lo sguardo fisso della talpa non osa defluire
dal soffitto basso
oltre l’eclissi di luna, con i bordi stemperati
annusa passifalsi.
Le rotifere bdelloidee stanno silenziosamente riparando il dna
strisciano indisturbate tra un seno franciacorta
e l’umore circostante, in armi: sette volte gatto.
[nella forma del frammento, di uno specchio vuoto che riflette un altro specchio vuoto, di un vuoto contenuto in un altro vuoto]
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Giuseppe Talia
13 agosto 2018
Caro Germanico, bisogna sistemare Caproni
Spargere le ceneri di Gramsci nell’aria Satura
Sotto il pitosforo nano del belletto minimal-chic
Dove non cresce oramai che il trifoglio di Malvoglio.
Tu sai, Germanico, quanto i Fortini della politica
Discendenti di Ascanio, dalla Suburra abbiano
Tratto giovamento fin dal regno di Numa Pompilio.
Quanto il “finger food” e lo “street food” siano degni
Del castrato in salsa di cipolla e tortelli di piccione.
Bisogna sistemare Caproni, rileggere il sessanta
E il settanta, capire perché sia fallita l’osteria familistica
I buoni contorni una volta saltati in padella di ghisa
Per l’odierna smania nervosa verso l’antiaderente.
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Lucio Mayoor Tosi
13 agosto 2018
Complimenti.
Anche per le precisazioni. Ma non avevo dubbi, sei per me uno scrittore poeta di pennino – termine preso in prestito dalla pittura – capace di segni inaspettati e forti.
Giuseppe Talia
13 agosto 2018
Nell’applicare il linguaggio non si può ad esso attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del fonatore e del relativo muscolo cricotiroideo?
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Giorgio Linguaglossa
13 agosto 2018
caro Tallia,
ti scrivo questa missiva tra gli ozi di Capua
e i negozi di Ercolano in compagnia del passito di Pantelleria.
Germanico consuma fast food con Orestilla
la figlia di quel coccodrillo di Fasullo
che si è dato al commercio di schiavi
mentre la sua amante, Gaia Priscilla, si gode
un muscoloso negro d’Egitto, nipote dei Tolomei,
dice il manigoldo, rampollo della nobile stirpe
di Osiride e di Anubi. Che vuoi, l’impero è tanto grande
che un frammento di esso occuperebbe
il Circo Massimo e il Foro di Traiano dell’Urbe.
A proposito, hai notizie del poeta Gino Rago?, sai
sono un po’ preoccupato, ultimamente ha cambiato lo stile
della sua poesia, adesso scrive in distici,
ma la sua Musa risulta alquanto attempata e impettita
come una mercenaria di infimo rango
che impiega il belletto e il soffritto di alghe
per i suoi capelli untuosi…
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Gino Rago
Due inediti
[a Giuseppe T., ad Alfonso C., a Giorgio L., a Mauro P., a Lucio M. T., a Roberto B., e ai poeti oggi non presenti su L’Ombra]
1- Ciò che ci ha amato non ha una via di uscita
L’onda esala odori di libeccio e nei marosi tremano i pontili.
[A noi di terra serve per partire nello sgomento della vastità].
Chi valica i fili degli ultimi orizzonti forse più non torna.
Chi s’imbarca per l’esilio farà ritorno come un’ombra
perché ciò che ci ha amato non ha una via di uscita
2 – Parla il saggio [i marinai lo chiamano «il filosofo»]:
«Meglio non partire,
chi rimane ha sempre la certezza d’una tomba.
Mette i suoi confini all’immensità.
Una pergola fra gli orti.
Un filare di pioppi fra l’avena e il grano.
Un frangivento fra l’arancio e il cedro.
Un canneto fra la marina e il mondo.
Un muro a secco fra se stesso e l’altro.
Tu mi chiedi a chi basta il mare?
Il corallo trattiene le voci dei morti,
la tolda nell’afa di agosto
spande odori di boschi bruciati.»
Ma sugli scogli nella bora insonne il mare mette ali all’anima.
Il grido d’un gabbiano
segno d’eterno fra la spuma e il cielo.
[non resta altro da fare che una rinegoziazione di un passato che non si consegna se non nella forma di una latenza].
Giuseppe Talia
13 agosto 2018
Caro Germanico,
anche io preso dall’ozio dello Jonio con Nosside
ed Afrodite che bevono una detox alla rucola.
Parlano di Kavafis, “Ionio abbraccia Ionio”, dicono
E ridono di Gallieno che in primavera si fa costruire
Giacigli di rose e imbandisce la tavola con vasellame
D’oro: “la memora è come morta”, va affermando
Preso come sempre dalla Playstation e dal gioco
D’azzardo, ironizza sul prossimo Decreto Dignità.
Che serie danno stasera su Sky? Domanda Nosside
L’Ispettrice Athena Licinia con quel gran pezzo di
Claudio Marcello in un thriller nella Gallia Cisalpina?
Afrodite, invece, si è fatta un nuovo tatuaggio
Una banda nera all’altezza del braccio alla maniera
di Dybala e come lui calcia cocomeri in giardino.
Del poeta Rago non ho notizie certe tranne,
qualche straccio che m’è rimasto in un sacco di iuta.
A Marasà l’aspetto il Rago in distici e ditirambi
Giorgio Linguaglossa
caro Tallia,
qui nell’Urbe malatempora currunt, il console Salvinus,
quel bellimbusto padrone della Padania,
che se la spassa con la sua Sofonisba, la terrona
della Libia, ha emanato un decreto di coscrizione obbligatoria
per tutti i cittadini sfaccendati della città eterna,
lo chiama, il becero, Decreto dignità…
al fine, dice il manigoldo, di rinfoltire i ranghi
delle legioni del Nord, dice il ribaldo che una nuova guerra
si avvicina con le bande di germani e di alemanni
che scorrazzano nell’impero fino ad Aquileia!
Stattene nella tua Nosside, caro Tallia, qui rischieresti
le legioni del Reno e del Danubio, i freddi fiumi
invernali, le battaglie ingloriose contro i barbari,
bèati dei sicomori e dei fichi secchi della Bitinia
finché sei in tempo…
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Alfonso Cataldi
14 afosto 2018
Caro Giorgio, Cari avventori,
ho incontrato per caso la Musa dell’Ombra delle parole
all’ufficio postale. Mentre scrivo, gesticola
dietro lo sportello dei distici non ritirati.
C’è un gran ressa, chi ha espletato la pratica
riceve un biglietto omaggio per il foro Traiano.
Tra mezz’ora è atteso il poeta Gino Rago
che spiegherà le ragioni della conversione.
Io non riuscirò a fare in tempo ed altro non so dirvi
ho ancora trenta numeri avanti
le pratiche sono lunghe, manca l’aria condizionata
tutti hanno da spedire un alibi su cui posare il cappello.
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Guido Galdini
14 agosto 2018
piove e non piove qui sulle pietre del molo
il cielo si è ridotto ad una frase
le navi che partono hanno ciascuna
una lettera di commiato scritta sopra le vele
e noi dovremmo essere così coscienziosi
da leggere anche le parole cancellate
le navi che ritornano invece
hanno scritte troppo sicure di se stesse
ma questo non ci disturba, è da gran tempo
che dobbiamo inventare i nostri alfabeti.
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Mauro Pierno
14 agosto 2018
La propaganda dei nostri sguardi intravede l’ozio delle parole tra nuvole filiformi di batteri incompresi. Questi mostri di discorsi che attraversano le mani.
Nei gesti le estenuanti nude dichiarazioni.
Questo fumo di vento
Ha il volto perso.
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Maria Rosaria Madonna
da Stige. Tutte le poesie (1990-2002), Progetto Cultura, Roma, 2018 pp. 150 € 12
Sai, nel Dottor Zivago c’è il protagonista
chiuso nella casa gelida immersa nella neve…
fuori dalle finestre l’ululato dei lupi.
E’ un poeta. –che cosa fa? –
fa quello che fanno tutti i poeti: scrive poesie.
Scrive poesie, poesie, poesie.
Si deve sbrigare perché tra poco le guardie rosse
lo verranno a prendere. Davvero,
c’è così poco tempo per scrivere poesie.
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Se Maria Rosaria Madonna avesse saputo che per qualcuno, un giorno, Lei sarebbe stata d’avanguardia, chissà cosa avrebbe pensato. Sono tante e tali le somiglianze…
Le poesie in neolingua sono capolavori, ma sono cosa a parte, sovrumane, fuori dal tempo e per me impossibili da ri-considerare. Ma gli inediti, le ultime poesie scritte nel 2002, insegnano chiarezza e irregolarità. Nel 2002 era già fuori, aveva fatto il salto… Neve inattesa. Sulla fronte. – Fa bene alla pelle.
(citata da Lucio Mayoor Tosi)
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Francesca Dono
14 agosto 2018
di Fritz Hertz
Tesoro_ un lupo ha trapiantatole ossa proprio in questa casa.
Al di sotto del tavolo che fa da pianura all’ingresso solitario.
Sembrava il gatto di Schrödinger. Un atomo di luce inserito
nell’arredo della bianca scatola di gesso. Prima si è finto morto.
Poi è resuscitato con il sorriso stampato sul pelo liscio. Tesoro_sa-
rebbe utile comprare un po’ di carne. Il quarto di un bue senza nervi.
Isolato. Intontito di amuchina. Con il marchio originale del macello.
D’altronde gli daremo ancora da mangiare. Nell’ululato rude e continuo.
Dalla grandine di tre parole in croce. Ne saremo sanguinosamente tutti felici.