Biobibliografia

Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma. Nel 1992 pubblica la sua prima opera poetica, Uccelli (Roma, Edizioni Scettro del Re) e, nel 2000, Paradiso (Edizioni Libreria Croce). Ha tradotto poeti inglesi, francesi e tedeschi. Dal 1992 al 2005 ha diretto la collana di poesia delle Edizioni Scettro del Re di Roma. Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura «Poiesis» che dirigerà fino al 2005. Nel 1995 redige e firma, con altri poeti, Giuseppe Pedota, Lisa Stace e Maria Rosaria Madonna, il «Manifesto della Nuova Poesia Giorgio LinguaglossaMetafisica», pubblicandolo nel n. 7 della rivista da lui diretta. Nel 2001, pubblica il racconto lungo Storia di Omero nel volume collettivo Via Pincherle – Modelli Narrativi a Confronto, per le Edizioni Libreria Croce. Nel 2002 pubblica il libro di saggi sulla poesia, Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Coedizione Libreria Croce – Scettro del Re). Suoi saggi sulla poesia contemporanea sono presenti in Linee odierne della poesia italiana, a cura di Roberto Bertoldo e Luciano Troisio (Torino, Quaderni di Hebenon, 2001), e nel volume Sotto la superficieLetture di poeti italiani contemporanei a cura di Gabriela Fantato (Milano, Bocca, 2004). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Ha curato l’apparato critico del numero speciale 33 di «Poiesis» del 2006 dedicato alle traduzioni di alcuni saggi del poeta russo Osip Mandel’stam e di dieci poesie inedite del poeta russo: Il fornello a petrolio (poesie per bambini). Nel 2006 per la poesia pubblica La Belligeranza del Tramonto (Faloppio, LietoColle 2006). Alcuni suoi saggi sulla poesia contemporanea sono apparsi in “Numen” del 2007, quaderno di critica edito dalla rivista di segni contemporanei «Altroverso» di Campobasso. Ha curato le presentazioni critiche dei poeti inseriti nella La poesia degli anni Novanta. Antologia (Roma, Scettro del Re, 2002) ed è presente con alcune composizioni nella Antologia della poesia erotica contemporanea (Roma, Ati Editore, 2006). Collabora in veste di critico con le riviste di letteratura: «Polimnia», «Hebenon», «Altroverso», «Capoverso», nel 2014 fonda il blog LOMBRADELLEPAROLE.WORDPRESS.COM 

Sue poesie sono state tradotte in spagnolo, inglese e bulgaro. In quest’ultima lingua è stata pubblicata nel 2007 la traduzione de La Belligeranza del Tramonto. Nel 2007 è apparso il saggio Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in Atti del Convegno È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo per le edizioni Passigli di Firenze. Nel 2010 esce La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980 – 2010) l’editore Edilet di Roma; nel 2011 per il medesimo editore esce Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945 2010). Nel 2013 esce il saggio Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea Società Editrice Fiorentina, Firenze, e la raccolta di poesia Blumenbilder (Natura morta con fiori) per Passigli, Firenze. Nel 2015 esce La filosofia del tè. Istruzioni per l'uso dell'autenticità Ensemble, Roma e Three stills in the frame. Selected poems (1986-2014) New York, Chelsea Editions.

 

Giorgio Linguaglossa is an Italian poet who was born in Istanbul in 1949, and lives in Rome. His first two published poetry collections, Uccelli (Birds), and Paradiso, (Paradise), came out respectively in 1992 and in 2000.

He has translated English, French and German poets, including Nelly Sachs, and some poems by Georg Trakl.

In 1993 he founded “Poiesis”, a literature quarterly, which he ran single-handedly from 1997 to 2000.

In 1995 he wrote the “Manifesto of the New Metaphysical Poetry”, which appeared in “Poiesis” (issue no. 7).

He has published a series of critical studies on 20 century poetry, including:

2002: Appunti Critici – la poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte.

2007: Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia, in «Atti del Convegno: È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo», Passigli, Firenze.

2010: La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980 – 2010) EdiLet, Roma; 

2011: Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010, EdiLet, Roma;

2013: Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000 - 2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze.

A short novel, Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio (Twentyfour Pile-ups on the Road Before getting to the Office) came out in 2005. Another novel of his, Ponzio Pilato (Pontius Pilate), was published in 2010 by Mimesis, a publisher in Milan.

Two further books of poems, La Belligeranza del Tramonto (The Belligerence of Sunset), and Blumenbilder – natura morta con fiori (Blumenbilder (Stilllife with Flowers), Passigli, Firenze, came out in 2006 and in 2013, respectively.

2015: La Filosofia del tè (The Philosophy of the tea) Ensemble Edizioni, Roma, 2015

2015: Three Stills In the Frame - Selected poems, 1986-2014 Translated by Steven Grieco, Chelsea Editions 2015

Presently he runs and edits a poetry blog, lombradelleparole.wordpress.com 

 

“THREE STILLS IN THE FRAME” (Tre fotogrammi dentro la cornice), Chelsea Editions 2015 pp. 330 $ 20 Traduzione di Steven Grieco, INCONTRO CON GIORGIO LINGUAGLOSSA a cura di Daniela Cecchini 

Giorgio Linguaglossa

È uscita il 7 agosto 2015, l’intervista a Giorgio Linguaglossa a cura di Daniela Cecchini sulla pagina Cultura del Corriere del Sud di cui alleghiamo il link in occasione dell’uscita della Antologia delle sue poesie con traduzione in inglese di Steven Grieco con testo a fronte.

http://www.corrieredelsud.it/nsite/home/corriere-letterario/21462–three-stills-in-the-frame-incontro-con-giorgio-linguaglossa.html

Giorgio Linguaglossa, eccellente critico letterario, poeta e saggista, è nato ad Istanbul nel 1949, da famiglia di origini siciliane e vive da sempre stabilmente a Roma.
La sua opera prima di poesia Uccelli risale al 1992; successivamente, nel 2000 pubblica Paradiso, nel 2006 La Belligeranza del Tramonto e nel 2013Blumenbilder (natura morta con fiori).
Nella sua intensa attività letteraria, ha tradotto poeti inglesi, francesi e tedeschi e diretto la collana di poesie delle Edizioni Scettro del Re di Roma, oltre ad aver fondato il quadrimestrale di letteratura “Poiesis”, che dirigerà dal 1993 sino al 2005. Interessante la pubblicazione nel 1995 del “Manifesto della Nuova Poesia metafisica”, che redige insieme ad altri poeti molto noti nel panorama letterario. Ha pubblicato, inoltre, numerosi saggi sulla poesia moderna e contemporanea ed alcuni racconti e romanzi di elevato spessore culturale.
*
D) Le sue poesie hanno varcato i confini italiani, sono state tradotte in spagnolo, bulgaro e adesso in inglese. La traduzione riesce sempre a mantenere intatto il significato di una lirica, nel momento in cui non è possibile realizzarla in modo letterale?

R) La traduzione è importante, innanzitutto perché è un dialogo tra le lingue e le culture, è una specie di sistema di vasi comunicanti tra le culture ed è utilissima per ampliare la visione che una cultura ha di se stessa. La traduzione è uno specchio che ti consente di vederti con altri occhi e di verificare se il tuo discorso ha la forza di uscire dalla cultura di provenienza, oppure no.

D) In questi giorni è stata pubblicata negli Stati Uniti la sua Antologia di 320 pagine “Three Stills in the Frame” – Tre fotogrammi dentro la cornice – (Chelsea Editions). Questa sua opera rappresenta un avvenimento di un certo rilievo per la poesia italiana, un biglietto da visita del Made in Italy, come si usa dire oggi, anche se apparentemente riservato all’élite della cultura americana. Vorrebbe parlarmi di questo avvenimento, in un momento storico complesso, in cui la cultura italiana è sofferente e stenta a varcare i confini nazionali?

R) Ho sempre pensato che la poesia di un’epoca storica è l’espressione artistica che «rappresenta» nel modo più alto e sintetico la cultura di un popolo in un dato momento storico, la rappresenta nel senso che la custodisce e la tradisce. Voglio dire che i contemporanei fanno sempre una certa fatica a riconoscere la voce di un poeta del loro tempo, se lo riconoscono subito e lo acclamano come loro poeta, allora si tratta di un poeta minore, che viene incontro al gusto medio del pubblico. Facendo questa antologia per il pubblico americano ho voluto dare della mia poesia una idea europea piuttosto che italiana, ho selezionato le poesie più europee; ho voluto dare l’idea di un poeta che proviene da quella grande esplosione di creatività, di arte e di scienza che è stato il Rinascimento italiano. In tal senso, io mi considero un epigono di Machiavelli e di Leonardo piuttosto che un erede di Montale. Non so se la critica americana si accorgerà di questo aspetto, io lo spero. Mi sono sempre posto il problema di uscire dal Novecento italiano, la sua storia non è stata certo esaltante; di avere uno sguardo stereometrico, di guardare all’Europa: ai grandi poeti polacchi, ai russi, ma anche agli svedesi come Tomas Tranströmer e ai norvegesi come Rolf Jacobsen.

D) Vedo che nella copertina del suo libro c’è una foto del 1946, raffigurante i suoi genitori giovani, che camminano in una strada di Roma. Come mai questa scelta di mettere una foto di famiglia nella copertina di un’Antologia di poesia?

R) L’immagine posta in copertina del libro riprende una foto scattata da un fotografo di strada a Roma nel 1946 con una Kodak. All’epoca, mio padre era disoccupato, tornato dalla guerra, aveva perso il negozio che aveva a Roma. Il proprietario del negozio gli notificò l’importo dell’affitto da pagare per i quattro anni della guerra, mio padre che non aveva i soldi fu costretto a chiudere il negozio e a restare disoccupato. Così fu trattato un servitore della patria. Io non ero ancora nato. Comincia qui la mia poesia, dagli anni Quaranta. Il dopoguerra, la fame e la disgrazia dei miei genitori. Tornato dalla guerra, mio padre sposa mia madre. Un episodio d’amore. La mia Antologia vuole essere un omaggio alle generazioni di italiani che hanno rifatto l’Italia dopo il disastro del fascismo e della guerra, e la poesia “Tre fotogrammi dentro la cornice”, la più lunga che io abbia mai scritto, ripercorre la storia privata dei miei genitori nello scorcio del Novecento; la vita privata si confonde e si sovrappone, nella poesia, alla vita pubblica: il fascismo (mio padre era comunista), la guerra, il dopoguerra, la caduta in disgrazia economica dei miei genitori, la mia nascita, mia madre, la donna più bella del mondo agli occhi di me bambino, mio padre che a quaranta anni ricomincia tutto daccapo, da disoccupato, e si mette a fare il calzolaio, e poi, in seguito, negli anni Sessanta, metterà su una bottega di vendita di scarpe. Così, mentre scorrono gli eventi della guerra fredda, i miei genitori invecchiano, io divento grande e comincio ad invecchiare anch’io, l’Italia peggiora e invecchia. E poi la corruzione delle menti, quella corruzione antropologica che purtroppo ha attinto gli italiani. Di qui la mia scelta di andare a fare, dopo gli studi di lettere, un mestiere utile al mio paese, andai a fare il direttore di carcere. Ho girato molti penitenziari del nord e del centro dell’Italia. E poi, i giorni nostri: la crisi, che non è solo economica, ma spirituale, antropologica, crisi del «sistema Italia» ormai, temo, non più riformabile.

D) Il libro si apre con una poesia, dove è presente sua madre, che ricompare insieme a suo padre, nella bellissima lirica “Tre fotogrammi dentro la cornice”, che dà il titolo al volume e riprende l’immagine dei suoi genitori, messa in copertina. Inoltre, il libro è disseminato di figure femminili, volta a volta diverse: Marlene, Beltegeuse, Enceladon, la dama veneziana in maschera, Madame Zorpia e Madame Zanzibar e tante altre ancora. Quale significato racchiude tutto questo affollamento di figure femminili?

R) Stavo dicendo che Marlene, Beltegeuse, Enceladon, Simonetta Vespucci, la dama veneziana in maschera, Madame Zorpia e Madame Zanzibar e tante altre ancora, sono tutte personificazioni e personaggi del «femminile», sono sosia di mia madre. Il «femminile» ha attraversato tutto il mio immaginario, e quindi attraversa anche il mio Novecento poetico. La vecchiezza delle donne corrisponde alla vecchiaia del Novecento, e la mia poesia vuole essere la palinodia, il compianto per la vecchiaia di un secolo che ha coinciso anche con la mia personale maturità, e lo scacco di non essere riuscito a dare un contributo maggiore per la riscossa del mio paese. Forse con la poesia ci sono riuscito. Forse. Ma non credo, la mia poesia porta un messaggio di cui gli italiani non hanno bisogno.

D) Quale è, ove ci fosse, il filo conduttore tra tutti questi personaggi?

R) Non so quale sia il filo conduttore tra tutti i personaggi e le personificazioni, maschili e femminili, presenti nella mia poesia. Tra le personificazioni maschili ci sono Tiziano, Vermeer, Rembrandt, Velazquez, poeti come Brodskij, Ariosto, Dante; musicisti come Ciajkovskij, Vivaldi; personificazioni di entità astratte: il Signor K., Anonymous, il Signor Cogito (personificazione del filosofo), l’imperatore Costantino (colui che rifonda l’Impero su una menzogna), il Signor Retro, il Signor Posterius, il Signor K., il Commissario, e poi ci sono gli Angeli: l’angelo della storia Achamoth, gli angeli Raffaele, Asraele, Shemchele e i falsi angeli come Sterchele (nato da un difetto di pronuncia dell’Altissimo); e poi ci sono i filosofi che non si piegano, come Carneade, che resiste in un interrogatorio drammatico alle domande degli angeli inquisitori, Munkar e Nakir. In realtà, è una lotta drammatica di tutti contro tutti, una belligeranza universale, quella che ha attraversato il Novecento con le sue tre guerre mondiali. La volontà di potenza nel suo massimo dispiegamento di forze in atto. Ecco, forse il filo conduttore è questo: la volontà di potenza dispiegata dalla nostra epoca tecnologica, quello che un filosofo come Heidegger con una espressione poetica ha chiamato «l’oblio dell’essere».

D) Il prefatore Andrej Silkin afferma che la sua poesia è il tentativo più arduo ed ambizioso fatto dalla poesia italiana, per superare la poesia d’occasione: la poesia diario iniziata dal più grande poeta del Novecento italiano, Eugenio Montale. Vorrebbe spiegarmi cosa significa “superare”, ovvero, andar oltre Montale?

R) «Superare Montale», nel senso da attribuire a questa frase di Andrej Silkin, significa fare una poesia che corrisponda ad un progetto « für ewig » (per sempre), una poesia che corrisponda ad «una Grande Visione», e non ad una poesia di occasioni, diaristica, in minore, scettico-urbana, personalistica, privatistica, psicologica come quella che Montale farà da Satura (1971) in poi. Seguito a ruota da tutta la poesia italiana del tardo Novecento. È questa l’accusa che rivolgo alla poesia italiana del dopo Montale, quella di non essersi saputa liberare da questa visione scettico-ironica, diminutiva, minimale che poi ha dato risultati estetici molto discutibili e ha avviato la poesia italiana del secondo Novecento a un lento e inarrestabile declino.

D) Lei è nato ad Istanbul, o meglio, mi correggo, a Costantinopoli nel 1949 per poi trasferirsi a Roma con la sua famiglia. Che senso ha avuto per lei questa duplice appartenenza alle due capitali dell’antico Impero romano?

R) Mi piace pensare che per una bizzarria del caso io sia nato a Costantinopoli in quanto i miei genitori nel 1949 si trovavano lì per il commercio di pellami che faceva mio padre. All’età di tre mesi dalla mia nascita i miei genitori mi hanno portato a Roma, ma, probabilmente, qualcosa è restato nella mia immaginazione (sono stato un bambino straordinariamente immaginativo) di quella antica capitale di un impero pagano ormai tramontato. Questo mi ha aiutato ad estraniarmi da Roma, mi ha fatto sentire sempre un po’ estraneo in Italia, un po’ diverso dagli altri ragazzi e adolescenti della mia età. Con il tempo ho capito che questa duplice appartenenza immaginativa alle due capitali dell’antico impero romano poteva essere un fattore positivo, e positivo per la mia poesia. È questo il motivo per il quale ho scritto e pubblicato il romanzo Ponzio Pilato che nel 2016 uscirà negli Stati Uniti in traduzione inglese. Mi sono spesso chiesto se io al posto di Ponzio Pilato mi sarei comportato come lui o avrei scelto di oppormi alla richiesta di pena capitale per Gesù pronunziata dal Sinedrio. E mi sono dato una risposta. Avrei liberato quell’innocuo predicatore e avrei sfidato le ire del Sinedrio.

D) Ho letto il suo romanzo “Ponzio Pilato”, edito nel 2011. Che cosa unisce la figura di Ponzio Pilato alla Roma del terzo millennio?

R) Ponzio Pilato, il quarto Procuratore della Giudea, è stato il plenipotenziario di Roma. Lui è l’Occidente, quell’Occidente che osserva l’Oriente ma non lo comprende. Anche davanti a Gesù, Pilato non riesce a comprendere quel “mondo”, la famosa domanda: «Che cos’è la verità», che Pilato rivolge a Gesù, ci rivela subito la statura intellettuale di Pilato, il quale non è affatto uno sciocco. La domanda di Pilato è centrale e strategica insieme, lui vuole capire dalla risposta di Gesù se l’uomo è pericoloso per le leggi di Roma o se non lo è. E la deduzione di Pilato è straordinariamente acuta, comprende che il messaggio di Gesù è un messaggio di pace spirituale, che non si tratta di un ribelle pericoloso. La Roma del terzo millennio è simile al mercato del Tempio di Gerusalemme dove si affollano i mercanti e gli strozzini, dove si vende il denaro e si compra la corruzione. La Roma attuale non è nulla di più di un puntino sulla carta geografica, non significa nulla. Il nichilismo della Roma attuale lo si ritrova intatto nella mia poesia, ma ribaltato, rivoltato, perché la mia poesia si nutre di una «Grande Visione». La mia poesia vuole essere un atto di drastica accusa contro la corruzione del mio paese.

D) Che peso ha il passato nei suoi versi?

R) Dal passato ho imparato una cosa, una cosa che mi diceva mio padre calzolaio: «Non accettare mai di fare un passo indietro»; e poi ho in serbo un’altra massima, del capo indiano Tachka Witka (più noto come Cavallo pazzo): «Un grande capo deve seguire una Grande Visione come l’aquila insegue il profondo blu del cielo». Ecco, queste sono le due gambe spirituali e filosofiche sulle quali ha poggiato la mia poesia e la mia vita. Il passato mi ha insegnato che si può essere sconfitti ma senza mai perdere l’orgoglio di aver difeso ad oltranza la propria posizione. Come parla il filosofo Cogito nelle mie poesie, lui dice che «bisogna tenere il punto, alla fine il punto vincerà sulla linea». Non sono sicuro se Cogito abbia ragione o torto, questo lo vedranno solo i posteri. Del resto, credo che il lettore di un libro di poesia voglia sapere questo: come comportarsi nella vita, con quale azione rispondere a una ingiustizia, come poter essere un cittadino migliore. Tutto il resto è chiacchiera di letterati.

D) Esiste un trait d’union fra passato e presente, due epoche culturali con logiche differenze?

R) Oggi siamo nell’epoca della superficie. I media, il video, internet, la politica sono emanazioni della superficie, sono effetti dell’«oblio dell’essere». Viviamo come pattinatori su una superficie ghiacciata (anestetizzata), la superficie della medietà superficiaria. Non abbiamo più alcuna relazione che ci unisce a ciò che nel lontano passato siamo stati, penso al Rinascimento, penso a quel grande crogiolo di civiltà che è stato l’impero pagano di Roma, penso alla generazione che ha fatto l’Italia dopo la sconfitta della seconda guerra mondiale, penso a Giordano Bruno che, per tenere il punto affronta il rogo con coraggio, penso a Galilei costretto ad una umiliante abiura dall’Inquisizione, penso a Gramsci che in prigione scrive i suoi quaderni, penso a Leopardi che affida allo Zibaldone i suoi pensieri. Oggi c’è una grande stanchezza e una grande sfiducia. Siamo arrivati al capolinea della storia di un insieme di popoli diversi che si chiamano oggi italiani.

D) Un critico, di cui non ricordo il nome, una volta disse che la sua poesia è come “anestetizzata”: le immagini, le parole sembrano private di emozione, come se non dovessero più entrare nell’umana sfera emotiva. Condivide questa chiave di lettura?

R) L’anestesia è quel composto chimico che si dà ad una persona per non farle sentire il dolore di un intervento chirurgico. Bene, anche la lingua italiana ha subito un intervento del genere, è stata anestetizzata per impedirle di avvertire il «dolore» che la comunità sentiva. Questa anestetizzazione della lingua di relazione, quella che parliamo tutti i giorni, è un fenomeno in atto da tempo, da almeno trenta quaranta anni. La vita antropologica di un popolo è stata anestetizzata, è stata isolata dal dolore, e così questo popolo è andato incontro al suo destino senza, paradossalmente, avvertire alcun dolore, ma con una specie di inerzia, di indifferenza, di noia, senza essere capace di alcuna reazione. Ecco, io non ho fatto altro che costruire una «forma poetica», un lessico, uno stile che recepisse quanto avvenuto nella società italiana. Non è quindi la mia poesia ad essere «anestetizzata», ma è la società italiana che ormai si è «anestetizzata». Come poeta non potevo che usare quella lingua.

D) Perché ha dovuto ricorrere all’anestesia delle parole?

R) Perché il poeta deve il massimo rispetto alle «parole», le deve prendere per quello che esse sono diventate, cioè «prive di emozioni»; le parole si sono «anestetizzate», non veicolano più un significato, una comunità in crescita, ma una comunità ripiegata su se stessa, una comunità in declino, che si alimenta di falsi idoli e accudisce false verità. Se la lingua italiana, quella parlata dal popolo, si è «anestetizzata», bene, il poeta non ha il diritto di intervenire con interventi «estetici» o di micro chirurgia migliorativa. Il poeta deve essere incorruttibile: deve prendere quello che la lingua gli dà, non deve abbellirla, non deve vestirla di orpelli.

D) Sempre a proposito di Andrej Silkin, nella prefazione il critico scrive che la “costellazione” dei suoi poeti con i quali interloquisce è la seguente: Osip Mandel’štam, Arsenij Tarkovskij, Milosz, Zbigniew Herbert, Adam Zagajewski, Eliot, Tranströmer; insomma, il critico sostiene che lei guarda ad est e a nord dell’Europa, che ha poco a che vedere con la poesia del tardo Novecento italiano. Stanno veramente così le cose?

R) Una volta un lettore mi disse che le mie poesie gli sembravano scritte da un poeta straniero, e poi tradotte in italiano, «un bell’italiano», aggiunse, forse temendo di offendermi. Io gli risposi che questo era per me il più grande complimento che un lettore poteva farmi. Le cose stanno così, ho sempre cercato di scrivere le mie poesie come se fossi uno straniero, un marziano, sbarcato, per caso, a Roma, costretto a scrivere in italiano ma rimanendo pur sempre straniero. Ecco, questa estraniazione mi ha consentito di assorbire dalla grande tradizione europea, dai poeti da lei citati e da altri, tutto ciò che era possibile assorbire. La mia poesia ha poco a che fare con la tradizione del Novecento italiano. Forse provengo da lontano, da quella capitale immaginaria dell’Impero d’Oriente che è stata Costantinopoli dove sono nato. Provengo dalla periferia dell’impero, ma vivo da sempre a Roma, che è pur sempre una capitale cosmopolitica, cafona e inaffondabile nella sua medietà e nella sua inimitabile creatività.

D) Per concludere il nostro piacevole incontro, mi consenta una domanda: perché la poesia oggi, perché un libro di poesia?

R) Non c’è un perché. La poesia è un atto di creazione, si crea qualcosa dal nulla, che prima non esisteva. È qualcosa di incredibile, no? Un libro di poesia è una sorta di epitaffio spirituale di una civiltà. Sono pochi i libri di poesia in un secolo degni di questo nome.

L’anima guarda gli occhi stellati del rospo

L’anima guarda gli occhi stellati del rospo.
I pesci d’argento nuotano contro corrente.
Tumefazioni verdi della putrefazione brillano
sulle mani di madreperla di mia madre
posate sui tasti del pianoforte.
Il quaderno nero sul comò
le poesie vergate con inchiostro di china
i guanti di garza nera
il profumo nella profumiera d’argento.
È l’anima svestita di stelle che salpa
verso la rotonda luna.
Una gonna color fucsia si allontana dalla finestra.
Imperioso entra il vento del nord sbattendo la fronte algida
sulla cartilagine del cosmo.
Mia madre al pianoforte suona un Lied di madreperla.
Nell’ombroso cortile ratti mangiucchiano
la carne bianca di un cadavere.
Una sorella azzurra ripete salmodiando
i versi incantati di Orlando furioso
che brama la bella Angelica, esce dai versi dell’Ariosto
e prende la forma di un cormorano nero
l’uccello degli ampi orizzonti.
«Sì», dice Enceladon da una stella,
«dai rami degli alberi uccelli storpi
prendono un volo sghembo,
vanno verso il sole pallido,
portano nel petto il lutto di mia madre
ammalata di stelle».

(1986)

THE SOUL LOOKS AT THE TOAD’S STARRY EYES

The soul looks at the toad’s starry eyes.
Silverfish swim upstream.
Green tumefactions of putrefaction shine
on my mother’s mother-of-pearl hands
as they rest on the piano keys.
The black notebook on the dresser,
the poems written in China ink
the black gauze gloves,
the perfume in the silver perfume vial.
It’s the soul wearing no stars that sails
towards the round moon.
A fuchsia-colored skirt moves away from the window.
An imperious north wind comes in, its icy forehead
knocks against the cartilage of the universe.
At the piano my mother plays a mother-of-pearl Lied.
In the shadowy courtyard rats nibble
at a corpse’s white flesh.
A sky-blue sister chants
the enchanted lines of Orlando Furioso,
who yearns for lovely Angelica, comes out of Ariosto’s lines
and turns into a black cormorant,
vast-horizoned bird.
“Yes,” says Enceladon from a star:
“Crippled birds fly crookedly off
the branches of trees
flying towards the pallid sun.
In their breast
they carry my mother’s star-sickened grief.”

(1986)

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PRESENTAZIONE “THREE STILLS IN THE FRAME” DEL 23/10/2015

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