Andrea Margiotta
dal libro «Diario tra due estati», Edizioni L'Obliquo, Brescia, 2000.
Andrea Margiotta, Poesie dal libro Diario tra due estati, Edizioni L’Obliquo, Brescia, 2000, con uno scritto di Fernando Bandini, una Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa e un Appunto di Giorgio Calcagno
Prefazione di Fernando Bandini.
Ecco come ho conosciuto il poeta Margiotta. Sedeva in fondo all'aula, staccato di una o due file, nel laboratorio di scrittura poetica che tenevo a Bologna, organizzato dal «Centro di Poesia». È un elemento costante della mia esperienza didattica, realizzata nei più diversi contesti e situazioni, l'immaginare che ci sia tra chi mi ascolta qualcuno molto informato e criticamente attento che soppesa senza pietà quanto vado dicendo. Durante quelle lezioni avevo individuato il personaggio di questi miei timori in quel giovane uomo.
Alla fine ho letto le poesie di Margiotta ed è nato un rapporto di confidenza, come sempre succede quando qualcuno ti affida un testo perché tu lo legga e ne dia un giudizio. Andrea Margiotta conferma una tendenza fondamentale della poesia d'oggi, che si riscontra, sull'estremo confine di questo secolo, in altre notevoli giovani voci: da una parte una attenzione alle esperienze pregresse del Novecento, non più marcate da rigide scelte di poetica né tanto meno da costringenti fedeltà a ideologie. Quanto viene offerto dai lavori della poesia del Novecento (un secolo poeticamente fertile come furono soltanto il Due - Trecento) viene espropriato e assunto nel proprio dire con una disinvolta ma meditatissima libertà, il cui unico rischio è forse quello, nei meno rigorosi, di un certo eclettismo dello stile. E tuttavia le ragioni della poesia, le attestazioni - immanenti ai testi - della sua necessità, appaiono (come nel caso di Margiotta) lampanti. La poesia diventa strumento di un'operazione autre (il «dirsi» e il senso nascosto), che riscopre la lezione di Rimbaud e tuttavia trascende l'orfismo come si è affermato da noi nelle sue concrezioni passate e recenti. Limite dell'orfismo era la nebulosità del linguaggio poetico (non l'oscurità, che è inevitabile, ma la nebulosità, l'incapacità cioè di ritagliare e incidere oggetti fermi e chiari nel proprio discorso, il vizio di confondere l'approssimativo col numinoso). Nel Margiotta degli esiti migliori la cosa autre irrompe nella compagine del vissuto, in una verità umana che precede il possibile (indispensabile ad ogni non caduca poesia) arrivo del nume. Lì, in forme talvolta anche di elegia, Margiotta affida ai tempi verbali del racconto la propria verità. Ma l'elegia non è in lui la rinuncia agli «universali», non è il rifugio dopo la sconfitta nelle serre di una ingannevole «calda vita». Per questo può scrivere singoli versi bellissimi, pieni di profonde risonanze, anche dove il contesto può sembrare qua e là non del tutto compiuto e risolto. È perché Margiotta mantiene una costante fedeltà a una sua idea alta della poesia, idea nella quale confluiscono anche i suggestivi e pertinenti ricordi di pregressi dettati danteschi e stilnovistici, quasi un segnale di appartenenza a qualcosa che si pretende staccato da mode e maniere, che però cerca, anche tra gl'inevitabili scacchi, una diversa collocazione della propria modernità. Margiotta, nelle sue dichiarazioni verbali, dice di amare molto Conte e il suo «mito del mito». Ma da Conte lo distanzia l'attenzione allo smalto del linguaggio (proprio nell' accezione di materiale netto e duro), la sua attenzione a una misura nitida del verso, oltre che la renitenza a farsi divorare e cancellare dagli dei. Conte, nella sua poesia, realizza un monologo dilagante dell'io, che si fonde entusiasticamente nel risucchio delle proprie immagini, mentre la poesia di Margiotta sembra sbattere, come quella di Ritsos, contro un muro che non permette nessuna sacrale fusione, anzi il suo discorso si rivolge a interlocutori che, ahimé, non rispondono. Ma non gli si può muovere rimprovero di questa sua contestabile opinione di sé, fenomeno che è abbastanza frequente anche in poeti importanti. In verità il lettore dei versi di Margiotta avverte il confluire, nella sua poesia, della doppia suggestione di Luzi e Caproni. L'ircocervo - di un Luzi attento in prima istanza ai sensi metafisici che gravitano sul mondo, e di un Caproni che parte materialisticamente dalla storia per incontrare quei medesimi sensi, - realizza questa vicenda sospesa della poesia di Margiotta, che indica e promette territori ulteriori nei quali forse potrà sfociare con maggior sicurezza e perentorietà. Ma cosa può dire un poeta vecchio mentre affettuosamente sta presentando un poeta giovane? Questi futuribili si estendono oltre la sua esistenza, sono una scommessa, e se Margiotta vivrà nel discorso della poesia futura, spero che almeno si ricorderà di me.
Fernando Bandini
Nota biografica
Andrea Margiotta è nato a Lecce nel settembre del 1968; ha vissuto in varie città tra le quali Forlì, Torino, Bologna e Firenze, per poi trasferirsi a Roma, lavorando come sceneggiatore di cinema; benché appassionato di cinema d'autore
(allievo di Gianni Rondolino nei primi due anni di università a Torino), ha collaborato come sceneggiatore con firma a grandi successi di pubblico quali Natale sul Nilo e, senza firma, a Manuale d'amore, prodotti da Aurelio De Laurentiis; e come lettore di sceneggiature per Fandango, autore televisivo per la Rai e ricercatore di filmati d'archivio in un programma per Sat 2000 (oggi Tv 2000).
In poesia, ha pubblicato alcuni testi sulla rivista clanDestino (all'epoca, diretta da Davide Rondoni) e il libro Diario tra due estati, Edizioni l'Obliquo, Brescia, 2000, con il quale ha vinto il Premio Marazza - Città di Borgomanero, nell'edizione 2001.
http://lnx.fondazionemarazza.it/premio-marazza/
(prevalendo in finale su Sempre aperto teatro, Einaudi, 1999 di Patrizia Cavalli e su In altro modo, Campanotto, 2001 di Lamberto Pignotti);
ed è stato tra i segnalati principali nell'edizione 2001 del Premio Internazionale Eugenio Montale (con giurati quali M.L. Spaziani, Mario Luzi, Franco Loi, Marco Forti, Sergio Zavoli, Giovanni Macchia e Goffredo Petrassi).
Tra quelli che hanno apprezzato il libro pubblicamente, in recensioni o segnalazioni, si possono ricordare, tra gli altri, Maurizio Cucchi su La Stampa, Roberto Carifi su Poesia di Crocetti e Gianfranco Lauretano sulla rivista clanDestino.
Tra quelli che hanno manifestato apprezzamenti in lettere private, si possono ricordare, tra gli altri, Giuseppe Conte, Pietro Citati, Paolo Lagazzi, Paolo Ruffilli e Davide Rondoni.
Testi di Andrea Margiotta sono presenti nell'antologia: Riccione Parco Poesia 2004 edita da Guaraldi ed una poesia è contenuta nella bella pubblicazione artistica dallo spettacolo del poeta Stefano Maldini: Foglie di luce dal mare, ediz. Risguardi (Cartacanta) di Forlì, rappresentato in vari luoghi.
Per la Rai Tv, ha ideato, scritto e condotto un programma di cose poetiche e di poeti trasmesso, in dieci puntate, su Rai Due e un altro su Dante e Beatrice, in tre puntate su Rai Uno (replicato, un anno dopo, su Rai Scuola).
Negli ultimi anni, ha lavorato come assistente del regista Ruggero Cappuccio in tre opere liriche (di Rossini e Donizetti) rappresentate al Teatro dell'Opera di Roma (Costanzi) ed ha terminato il suo secondo libro di testi poetici, ancora inedito.
Testi da Diario tra due estati
DOPO LA PIOGGIA
La città rischiarata dai lampioni verdi
dopo la pioggia e il silenzio.
Ondeggiano le nuvole d'argento
sulla piazza dove è passato il vento.
Dall'altra parte del ponte
entrano i giocatori nelle osterie.
Zampilla l'acqua dolce da una fonte
oltre i giardini e gli alberi,
sale alle luci ferite degli angeli.
La luna rotola sulle tue gambe,
s'infrange la bellezza
negli specchi dell'estate.
Di nuovo il traffico lungo le strade.
Grecia, 1995
LA NAVE
Idra, tra una folla di ombre, l'acqua
si rompe sulla chiglia, la donna è una
verde conchiglia corrosa dal sale.
L'ufficiale, osso di balena, ha un amore
annegato negli occhi
(muschio la ciurma ed alghe sulle mani).
Le verdi e bianche anime dei pesci
illuminano il buio,
frugano tra i relitti nelle celle del mare.
La nave folle uccello nel silenzio
del dio marino, Paros nella fredda
perla dell'alba.
E la donna - dal vento dei suoi anni -
non parla e dentro lei torna la sera.
DUE SULLA RIVA
La notte respira tra le tue gambe
hai i seni bagnati d'uva e di luna.
Un gambero respinto dal mare
si spegne sulla riva.
Tuo marito, il mercante di liquori,
ha comprato cavalli più veloci
lasciandoti sola, troppo sola.
CITTÀ DI MARE
Ancora il caldo sulla città, non
abbiamo più troppo tempo.
Il mare ha lasciato sabbiosi granchi
e pesci d'argento nelle reti.
Il faro, a tratti, illumina le grotte -
una piccola chiesa sta sospesa
sull'acqua. (Tre polipi appesi ai legni
pallidi e ciechi
sotto la luna).
Ragazzi annuvolano in bar azzurri,
fumano nel cielo della sera.
Un luogo dall'insegna antica. Entriamo,
balliamo, beviamo birra.
La luce scompare. La ballerina
apre una tristezza lunare,
bella e flessuosa
come un'idra nel buio.
Usciamo: è tardi.
Né più nessuna luce sulle case.
Passeggiamo lungo i legni del molo,
guardi gli yacht ancorati
e lontano una bianca nave
aprire le sue bocche nella notte.
Ancora il caldo sulla città, non
abbiamo più troppo tempo
mentre il vento inghiotte il tuo sguardo nero
e luminoso.
LA NOTTE
Le mele sono assenti nella cesta,
l'accendino scintilla, non dà fiamma.
Schiudo i battenti della mia finestra,
vedo la viola scura del giardino
sotto il bianco coltello della luna.
Il silenzio vola come l'ala del
pipistrello. Non sfiora.
Oh notte, tu non plachi la tua infamia!
LA NOTTE II
Nella notte di luglio
tace la terra.
(Con un cavallo azzurro
Dio passeggia?).
CONGEDO
I
Siamo rimasti soli al tavolino del caffè
e il mare è divenuto roccia. Il vento
suona sul vetro verde delle onde,
roveti e fiori nascono dall'acqua.
Loro ci guardano, non hanno più
la schiuma del mare ma
alghe sulle mani. E impagliano pallidi
discorsi sotto lampade marine...
II
Così in aprile giungerà una nave
a inondare di bagliori la baia
e usciranno i tuoi occhi da una folla
salendo fino al santuario di Tinos.
Il pane breve acre il vino brullo
(il tuo viso nel viso delle icone).
Poi il gelo notturno - la processione
dei tre bianchi leopardi e di altre fiere
e signore come perle morenti
e iene e uomini mutati in piante
ed angeli con lance d'oro e di sangue...
III
Sono rimasto solo al tavolino del caffè
e tu sei come un'eco sulle acque al tramonto.
ad Anushka
La notte ha luci gialle di gas sui vetri
sporchi delle finestre:
tu sei la rosa, nella molta morte.
Tu sei la rosa, nell'impura furia
dei perdoni, tra le bottiglie rotte
delle metropoli, tu sei la rosa.
Sei apparsa e dispersa nel
tempo, fuori dal tempo
e in te respiro, non ho paura del tempo.
ADE
E quando sarà scesa oltre le ombre
la tua mutevole anima e il grembo
del mattino avrà sciolto
sperando il mio ritorno
quando si sfascerà
la viola nella sera
e il bacio per sempre dato, per sempre
disperato
allora potrai dire
d'avere amato
oltre le notti, i sensi, le apparenze.
Allora nascerà quell'alba verde
sopra i picchi dei monti,
a ridonare quei grappoli d'uva
a noi e ai morti.
Dio è innocente
Platone
Io non ho mai temuto la mia morte
perché se fosse il nulla io non sarei
e non essendo non avrei passione
né amore né tormento né terrore.
Ma se quel folle teschio, sopraggiunto,
mi mostrasse i salmoni luminosi
e gli abeti bagnati e i verdi fiumi
sarei al tuo sole pronto a ricongiungermi.
Tanto da esser nelle mani tue
la rosa più preziosa della rosa
candida, che di notte la mia donna
aveva chiusa nelle mani sue.
O tu, che muto il mare muti e il vento
e ricolmi d'argento i giorni bui
fulminami di grazia cuore e mente,
tu che sei il Dio innocente, ch'io sappia finalmente
quel che sarò e quel che sono e fui.
Afferra
il fiore dalla terra
ora che la rugiada è sulle spade.
Perché l'estate, schiusa
di cecità e di morte,
forse sarà l'ultima.
Appunto di Giorgio Calcagno
“Tu sei la rosa, nella molta morte”, dice uno fra i versi più belli di Andrea Margiotta, in Diario tra due estati. Sono molti i versi più belli di Andrea Margiotta. Ricchi di sensi imprevisti, condotti per progressivi spostamenti di segno: dove le donne hanno “i seni bagnati d’uva e di luna” , il vento “suona sul vetro verde delle onde” e il vino è “brullo”. Sono così belli che talvolta danno l’impressione di spiccare isolati “in un contesto non del tutto compiuto e risolto” come osserva Fernando Bandini, maestro di poesia, nella nota introduttiva.
Bandini ha ragione. Ma quel non risolto è la spia di un cammino in fieri, che può portare a risultati alti. Questo giovane scrittore, così coinvolto nella ricerca della parola significante da rischiare la discontinuità, accende la pagina con immagini fulminanti e, per loro natura, contraddittorie.
Il suo mondo vive nel gioco della luce e dell’ombra, proiettato verso l’amore e insieme consapevole dello stretto intreccio con la morte.
Non è un caso che i suoi modelli, trasparenti nelle citazioni testuali, oltre che nella sintassi poetica, siano Montale e Caproni: i due autori che hanno più bisogno dell’oscurità per esprimere la loro tensione verso la luce; portati, sempre, ad affermare negando.
Margiotta, sulla loro scia, procede per cancellazioni, antifrasi, ossimori; la sua sola luminosità possibile è nel chiaroscuro. Come in Montale, c’è sempre un tu , accennato, smentito, a cui egli si rivolge: la donna, stella polare del suo insicuro firmamento, “rosa dolorosa”, angelo “con la luce d’oro e di sangue” . Donna e angelo, fra loro sinonimi, sono due fra le parole decisive di questo canzoniere, popolato di albe che hanno il colore delle notti e di sguardi “neri e luminosi”, come quelli della nascosta ispiratrice.
La terza parola, allusa e non pronunciata, perché non pronunciabile, è Dio. Come in Caproni, l’uomo può dargli la caccia, “preda tra i rami nudi e i monti”, solo sapendo che non sarà mai certo di trovarlo. Il tu della donna angelo rimanda all’interlocutore più alto, per l’interrogativo ultimo, che resterà sospeso .
Giorgio Calcagno
Da “Quaderni del Premio di Poesia Achille Marazza – Città di Borgomanero – Edizione 2001 ”