Dialoghi e Commenti  del 29 e 30 settembre 2018 sul Punto di vista, la poesia monocratica, la nuova ontologia estetica, la nuova poesia – Poesie di Eugenio Montale, Keepsake, Carlo Livia, Alfonso Cataldi, Mauro Pierno

Giorgio Linguaglossa

Scrive Lucio Mayoor Tosi:

«La scarpa da donna dipinta da Maria Rosa presenta un vistoso errore: dal punto di vista compositivo è decentrata a sinistra. Maria Rosa non ha tenuto conto della superficie da occupare, non la ha preventivamente organizzata, e ha certo disegnato in modo frettoloso. Pare il fotogramma di una carrellata cinematografica scelto a caso. Tuttavia a me è piaciuta proprio per questo errore: è possibile che la scarpa si trovasse alla sua sinistra, a sinistra del tavolo dove Maria Rosa stava disegnando. Anche nella scrittura a frammenti può capitare che la “cosa” si presenti nel posto sbagliato, a interrompere un pensiero, oppure per creare una situazione imperfetta, casuale.

Credo si possa dire che la casualità è una delle componenti estetiche della Nuova ontologia estetica. Ovviamente si tratta di casualità voluta, composta con elementi estranei al discorso. Parole e cose decentrate, esattamente come la scarpa di Maria Rosa, concorrono a creare quell’anarchia compositiva che è parte costitutiva della scrittura viva. Così come appare nella percezione, la realtà è autentico disordine.»

Giorgio Linguaglossa

caro Lucio,

il problema è molto semplice. Il problema è: se noi osserviamo il mondo dal punto di vista della logica dell’identità, tutti gli oggetti, tutta la variabilità del mondo ci appariranno da quel punto di vista identitario: il punto di vista dell’identità che risponde alla logica di un «soggetto» monocratico che legifera attraverso le parole e la sintassi e le regole retoriche. Il fatto molto semplice che i poeti di fede non riescono a capire che il mondo è composto da una infinita quantità di variazioni e di variabili e voler ridurre tutta questa variabilità ad un discorso monocratico è un atto di sciocchezza estrema e di arroganza illimitata (le due cose vanno insieme)… quella «anarchia compositiva» cui tu accennavi, è una autentica fortuna, infatti Maria Rosa deve ringraziare l’errore del «punto di vista» se ha fatto un dipinto interessante… un pittore più professionale non avrebbe commesso quell’errore e avrebbe raffigurato una «scarpa» che rispondesse alla logica di un soggetto monocratico e identitario…

Quello che noi stiamo cercando di spiegare in tutti i modi a chi ci legge è che anche nella poesia le cose non cambiano: se si accetta senza pensare il pregiudizio, la logica del punto di vista unico, monocratico, identitario, si finisce inevitabilmente per scrivere una poesia monocratica, forzosa, forzata a rispondere alla logica identitaria, cioè una poesia già scritta una infinità di volte…

Il poeta, il pittore, lo scultore, l’architetto etc se fanno professione di fede, se compiono un atto di fede, creeranno delle cose che fanno tutti e che saranno presto dimenticate, cose antiche, antichizzate, replicate miliardi di volte…

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

Mario M. Gabriele

caro Giorgio,

ero indeciso se inviarti una mail per ringraziarti di questo tuo ulteriore intervento sulla mia poesia perché tutto rimanesse in forma privata. Poi ho ritenuto che tutto si svolgesse alla luce del sole e alla conoscenza dei lettori dell’Ombra. Devo confessarti una cosa: tu hai ricoperto il vuoto che la critica ufficiale del Secondo Novecento ha lasciato sulla mia poesia, fatta eccezione per Giuseppe Zagarrio che mi ha inserito nel suo Repertorio della poesia italiana degli anni 1970-1980. e di altri riscontri critici, svolazzanti di qua e di là. Non è, sia ben chiaro, che io li richiedessi. Non me ne sono mai interessato. L’unica cosa a cui tenevo era produrre una buona poesia per me e gli altri. Forse, alla fine, ci sono riuscito, non lo so.Certo è che mi trovo a mio agio con un postmodernismo linguistico che fa da ponte con i miei sensori psichici,con un notturno metafisico che giustamente e con grande sensibilità Carlo Livia ha messo in evidenza in un precedente post, rispetto alla poesia di Eliot. Per questo ho un grande debito con te, che mi accompagna nel corso della giornata. Sta qui l’elemento di riconoscenza che non si dissolve nel tempo e che diventa motivo in più per non dimenticare. Grazie.

Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa

Carlo Livia

Sentieri Interrotti

per Mario Gabriele

Ogni fanciulla è un rifugio dell’amore.
Ogni amore un fiore del tempo.

E il tempo è un pensiero di Dio.
Un pensiero d’amore.

Nessuno volle più abitare il silenzio.
Preferirono il nulla.

Quando nasce la musica
l’eternità lascia le rovine del sonno

Chi mi ama prende la mia forma
e siede sull’orlo del precipizio.

Fra la moltitudine dei paradisi
scegliamo sempre il più lontano.

Il mondo che mi aveva visto sparire
si coprì d’una pallida tenerezza.

Mi fermai per sempre nel cuore del mistero
e tutti gli sconosciuti mi chiesero perdono.

Un sospiro fra altre grida:
il Signore muto mi fece cenno.

 

Mario M. Gabriele

Che dire, gentile Carlo Livia, del suo testo poetico? I distici risuonano di una musica verbo-iconica che si armonizza con l’uso del frammento. Lei opera con disinvoltura anche sul piano della nuova ontologia estetica, inserendo scatti esistenziali e metafisici all’interno di una scrittura poetica che si lascia leggere volentieri. Con cordialità e grazie.

Alfonso Cataldi

In un sussulto

«Lasciarsi alle spalle il bouquet
in un frangente di tiepido sole»

ammise il life coach, di ritorno
da un breve volo interno.

La curva vagabonda di lamiere e fiamme sorseggiava un drink
il maltempo fu deviato dai ritagli di giornale.

Un accumulo di ordini e contrordini
arrestò il malessere

l’attività della buca delle lettere
al culmine del dibattimento

è necessario svenire, fingere un collasso
nel covo inesplorato di corpo contundente

[…]

L’assistente si toglie il grembiule.
Esce fuori dallo story-telling

coi primi lampi del mattino
distrae il giro della morte

al Nürburgring. L’incubo d’oro è sotto controllo
tra lingue biforcute e calici serrati

si nutre dei rantoli di luce la chiaroveggenza
in un sussulto di selvaggia abnegazione.

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

Mario M. Gabriele

Oggi è sabato e molti lettori forse non sono presenti perché già in vacanza.Non se ne può fare una colpa. Leggo questo testo innervato di schizzi cellulari e frammentati, dove anche il plurilinguismo coabita molto bene con la lingua italiana, ritenendo che per giungere a questi risultati, Alfonso Cataldi abbia metabolizzato ciò che da tempo gli autori della NOE stanno elaborando, come proposta disgiunta da ogni forma estetica tradizionale. Qui non esiste più il genere lirico, in quanto sono assenti le emozioni, sostituite da un saltellamento di fatti ed eventi come prodotti maggioritari.

Alfonso Cataldi

Caro M. Gabriele,

questo riconoscimento al mio percorso “nell’antro della NOE”, al raggiungimento di una maggior naturalezza con il “saltellamento”, è per me molto prezioso. Ancora più prezioso è l’ascolto, la lettura, la frequentazione costante di questo posto.

 Paola Renzetti

L’analisi del dipinto di Maria Rosa (lo cito anch’io così) è pienamente condivisibile, per la fuzione dell’errore che spiazza e conduce oltre, verso strade mai percorse (forse). C’è da dire che in quella scarpa si vede e si sente anche il peso dell’impronta umana (peso del corpo), come nella giara di Wallace Stevens, forse si può sentire il peso della forma data dall’uomo alla “cosa”. Ma davvero il legame con il mondo naturale è irrimediabilmente compromesso? Scarpa e giara non sarebbero state possibili, senza il mondo naturale. Recidere del tutto questo legame, dove può condurre artisticamente? Non si corre il rischio di una eccessiva razionalizzazione? I miei sono solo dubbi e vedo che le poesie sopra scritte, danno un senso di percorso a scatti, dove non si sa che cosa c’è nel precipizio sottostante. Questo attrae…ma il cammino sembra incerto e si è tentati di cercare un riferimento, un orizzonte, diciamo… nella tradizione. Non c’è il rischio della coazione a ripetere formule, nell’adeguamento a una visione poetica teorizzata e codificata?

 

giorgio linguaglossa

La poesia con «saltellamenti» di Eugenio Montale, Keepsake del 1929 da Ossi di seppia

cara Paola Renzetti,

come ben evidenziato dall’esempio della scarpa dipinta da Maria Rosa, (una allieva del corso di pittura diretto da Lucio Mayoor Tosi il quale aveva dato ai suoi allievi appunto un tema, quello di dipingere degli oggetti), dicevo che qui è evidente che l’«errore» del punto di vista dal quale si guarda l’oggetto ha determinato un esito felice, perché è proprio grazie all’errore che lo sguardo di chi guarda viene attirato verso l’oggetto ritratto. E questo è proprio quello che deve fare una poesia: attirare l’attenzione del lettore, anche mediante un errore del punto di vista, o meglio, anche mediante l’applicazione di più punti di vista, anche contraddittori. Non c’è nessuna ragione divina che ci impone di guardare un oggetto da un unico punto di vista, non l’ha stabilito il medico, anzi, è vero il contrario, se pensiamo alla nostra vita quotidiana noi cambiamo punto di vista continuamente, continuamente ci spostiamo anche all’interno della nostra abitazione: dalla sedia al tavolo di cucina, dal soggiorno alla camera da letto, dalla scrivania al terrazzo, e da questi luoghi intratteniamo con gli oggetti delle relazioni molteplici e disparate. Perché mai in una poesia o in un romanzo o in una pittura dovremmo dare degli oggetti una rappresentazione legata ad un unico punto di vista? Si tratta di una sciocchezza e di una falsificazione di ciò che avviene nel mondo reale di tutti i giorni. La nuova ontologia estetica ha scoperto delle evidenze auto evidenti, dice semplicemente di ricominciare a guardare gli oggetti e il nostro interno da disparati punti di vista. Facendo questo esercizio scopriamo che la realtà è multi sfaccettata e ricchissima. E perché mai dovremmo restringere e chiudere la realtà dentro la scatola vuota di un unico punto di vista?

Quindi, non soltanto mixare i luoghi ma anche mixare i tempi e, perché no?, anche i personaggi, introdurre delle deviazioni, dei moltiplicatori, degli entanglement, dei ribaltamenti (le peritropè). Quando Alfonso Cataldi scrive:

L’assistente si toglie il grembiule.
Esce fuori dallo story-telling

ci accorgiamo che con un colpo di bacchetta magica ci si dice che il personaggio dell’«assistente» «esce fuori dallo story-telling», cioè dal racconto, e prende parte attiva alla costruzione della poesia. È un espediente di sklovskjiana memoria per disautomatizzare ed estraniare fin dalla prima battuta gli addendi della narrazione, la quale non è più la narrazione della tradizione poetica italiana che da cinquanta anni ci ripropone la medesima noiosissima falsariga del punto di vista unico che coincide con il soggetto-guida della poesia (il che tra l’altro è una semplice convenzione).

E poi, chiediamoci, che cos’è la tradizione? La tradizione bisogna saperla leggere. Ecco un notissimo esempio di poesia con «saltellamenti», con deviazioni, con snodi, con moltiplicatori. Una poesia di Montale tratta da Ossi di seppia (1925), in realtà la sua stesura risale al 1929. Peccato soltanto che questa poesia di Montale sia stata considerata dalla critica come una cosa minore, quando invece per la novità del procedimento introdotto può, anzi deve, essere considerata una poesia che «apre» ad ulteriori sviluppi tematici e compositivi che invece la poesia italiana del novecento non ha mai ripreso e sviluppato. Rileggiamo la poesia:

Giorgio Linguaglossa

Keepsake

Fanfan ritorna vincitore;Molly
si vende all’asta: frigge un riflettore.
Surcouf percorre a grandi passi il cassero,
Gaspard conta denari nel suo buco.
Nel pomeriggio limpido è discesa
la neve, la Cicala torna al nido.
Fatinitza agonizza in una piega
di memoria, di Tonio resta un grido.
Falsi spagnoli giocano al castello
i Briganti; ma squilla in una tasca
la sveglia spaventosa.
Il Marchese del Grillo è rispedito
nella strada; infelice Zeffirino
torna commesso; s’alza lo Speziale
e i fulminanti sparano sull’impiantito.
I Moschettieri lasciano il convento,
Van Schlisch corre in arcioni, Takimini
si sventola, la Bambola è caricata.
(Imary torna nel suo appartamento).
Larivaudière magnetico, Pitou
giacciono di traverso. Venerdì
sogna l’isole verdi e non danza più.

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

Ecco cosa ne scrive Maria Silvia Assante nella sua tesi di dottorato rinvenibile in rete:

“Brano ritenuto marginale, certamente inferiore per vena lirica, quasi estraneo al filo del racconto della raccolta, esso è, invece, figlio dello stesso procedimento: un gioco di corrispondenze, di citazioni che evocano qualcosa che non ci è dato di comprendere se non attraverso il filtro del poeta.

Parafrasando Pier Vincenzo Mengaldo:

estrema e paradossale conseguenza della “sistematica”, la poesia anticipa una pratica di conversione degli oggetti, finanche ridotti a nomi, in segni magici.1

Non il rimando a un brano, non una melodia, Keepsake è però un’esperienza di ascolto e di visione interiorizzata e ridotta ad istantanea, a quello che si è salvato nel tempo, a gesto che il poeta ha introiettato e legato a qualcosa di proprio.

Un poeta contemporaneo scrisse, anni fa, una breve lirica che consisteva semplicemente in un elenco di personaggi di vecchie operette, colti e rappresentati in quell’unico gesto caratteristico che li aveva conservati nella memoria dell’autore. Nulla fu più facile e breve comporre quei pochi versi; nulla riuscì più arduo far comprendere l’estrema naturalezza del procedimento seguito. Takimi e Surcouf, Fatinitza e Fanfan, Tonio e Cicala …: Carneade e soci, chi erano costoro?2

Montale, in questo articolo del 1949, reticente a parlare di sé in prima persona, dice di un poeta contemporaneo che ha scritto una breve poesia nel 1929, Keepsake per l’appunto, così semplice eppure così incomprensibile.

L’oscurità della lirica non è data solo dalla complessità formale, quanto piuttosto dall’oggetto stesso che essa rappresenta: l’operetta. I confini del genere sono tracciati dallo stesso poeta:

«Dapprima l’operetta francese, alla quale appartiene anche il tedesco Offenbach, più tardi quella viennese e ungherese, in ultimo, nel periodo dell’estrema decadenza, quella made in Italy su ricette viennesi; l’unica che non abbia dato nulla di veramente buono».3”

Dunque: stile nominale, quasi didascalico che riprende i personaggi dell’operetta, quasi un «sottoprodotto dell’operetta», infilzati l’uno di seguito all’altro in modo quasi automatico mediante un repechage dalla memoria. Questa poesia di Montale la considero rivoluzionaria per quanto riguarda la sua metodologia di composizione, peccato soltanto che lo stesso Montale non sviluppò nel prosieguo della sua ricerca questo nuovo modo di composizione. E così la tradizione di un nuovo modo di concepire la forma-poesia è stata interrotta e abbandonata.

Ecco cosa ne dice lo stesso Montale in una sua nota al testo del 1929:

«Keepsake: Ridotti a pura esistenza nominale, flatus vocis, tornano qui personaggi delle seguenti operette: Fanfan la Tulipe, La Geisha, Surcouf, Le campane di Corneville, La Cicala e la Formica, Fatinitza, La Mascotte, I Briganti, Il marchese del Grillo, Primavera scapigliata, Il campanello dello speziale, I moschettieri al convento, La principessa dei dollari, La figlia di Madama Angot, Robinson Crusoe».

1 P.V. Mengaldo, Per una cultura linguistica, cit., p. 319.
2 E. Montale, il tempo delle «soubrettes», ASM, p. 1484-85.
3 Ivi, p. 1486.

 Giuseppe Gallo

Ho letto KEEPSAKE di Montale del ’29 seguendo l’ermeneutica di Giorgio Linguaglossa… poi prendo in mano “Le occasioni” nell’edizione de Lo Specchio della Mondadori, vado a pagina 21 e la trovo cosparsa di parole a penna, frettolose e sintetiche:

(Ricordo.
Memoria, cimelio
Per la NOE)

Caro Giorgio Linguaglossa, anch’io avevo ritrovato in questa “memoria” qualcosa di mostruosamente diverso dall’usuale procedere poetico di Montale… e segnalavo a me stesso tale intuizione… le tue osservazioni la confermano in pieno.

Giorgio Linguaglossa

Paola Renzetti

Sì, capisco la possibilità (necessità) di leggere e rendere la realtà da diversi punti di vista che si incontrano e si scontrano anche simultaneamente (avviene così in molte forme espressive), ma se una comprensione più compiuta a livello di contenuto per opere di questo genere, è data soprattutto dal filtro dell’autore stesso, allora il protagonista dell’opera è lui e vanno offerte in vario modo (da lui stesso o da altri) le coordinate necessarie alla comprensione.
La sola opera non è abbastanza, occorre fare un percorso, che però rischia di rimanere elitario. Capisco che il tema rischia di essere stucchevole e forse già affrontato. Quello che conta sembra essere l’impatto, in definitiva il risultato: le operette di Montale a livello comunicativo, sono meno efficaci della giara di Wallace.
Credo (almeno per quel che riguarda la mia esperienza) che nel percorso compositivo, la cosa più difficile sia mantenere una certa coerenza formale e contenutistica. Grazie ancora per l’ approfondimento.

 

Mauro Pierno

Cercando un Luogo

Tutto presuppone una condivisione. Un lascito culturale.
Una memoria condivisa. Scorgo la deriva intravista dalla Renzetti.

Un ammanco di parole, una fotosintesi retrò.
Sposto lo sguardo oltre la Scarpa Rosa, un po più a destra, più a destra,

Sul limite estremo del bordo, sulla parete di profilo, Luciosul limite invisibile piatto a
destra. La cosa invisibile diventa la nostra conoscenza. Sfilettiamo immagini

che di rado riusciamo a comprendere. Ci sporgiamo inutilmente.
Abbaiamo. Non vediamo. Non di rado in compromesso faccio a meno,

punto piano in ascensore alle rime col compressore.
Non lascio alibi, telefono, sterilizzo. Fa lo stesso.

Lucio Mayoor Tosi

Quando l’autore dice troppo, e lo dice complicando il linguaggio, giustamente le signore Renzetti si domandano quale sia, se c’è, un senso recondito; mentre invece basterebbe vedere, in semplicità; ché il senso, come nella vita manca; fa la sua comparsa e fugge via. Quindi poesia è in quel che resta costruito, malgrado tutto, nell’ologramma… come quell’unica emozione che resta dopo aver letto un voluminoso romanzo. Si assiste alla creazione di senso, perché non è dato in partenza; ma nei frammenti, come in tanti condomini abita poesia. Quanto alla parola, credo, nessuno può farci nulla perché ogni parola, la sua

Giorgio Linguaglossa

Donatella Costantina Giancaspero

oggi è domenica le persone sono state fuori per il week end ma per chi vuole capire qualcosa della nuova poesia forse non deve fare altro che leggere un po’ l’Ombra. Capisco le prevenzioni di Paola Renzetti, lei pensa ad una poesia che debba contenere un “senso” e che debba esplicitarlo, renderlo univoco… questa concezione è del tutto comprensibile perché dopo tanti decenni di poesia giustificatoria che si è scritta in italia, di poesia che pensa ad un senso di cui farsi portatrice, trovarsi di fronte alle poesie di Carlo Livia, Alfonso Cataldi e Mauro Pierno si rischia davvero di perdere la bussola e con essa l’orientamento. Che volete che dica, forse è bene per un giovane poeta che quell’orientamento lo si perda, anzi lo si lasci ad ammuffire con le “piccole cose di pessimo gusto” di gozzaniana memoria, la poesia del diluvio di questi ultimi cinquanta anni ha fatto tabula rasa della poesia vera, di quella che si è scritto e si scrive in Europa, da Tranströmer a Petr Kral e Michal Ajvaz (tanto per fare dei nomi)… ben venga “il filtro” di cui parla la Renzetti, quando questo “filtro” è un progetto poetico non auto giustificatorio come è quello della nuova ontologia estetica. Il miglior modo di ripensare la tradizione è essere attuali, soltanto tentando di essere attuali potremo comprendere meglio la “tradizione”, rileggere poesie come Keepsake di Montale, capire le possibilità di sviluppo rimaste inesplorate per riprenderle e rilanciarle…

 

Mario M. Gabriele

Non ci sarà mai una conciliazione tra poesia tradizionale e poesia innovativa, proprio perché il Novecento ci ha abituati a convivere con le metanarrazioni, l’elegia, e soprattutto con le emozioni senza le quali il concetto di poesia non esiste. Da qui la messa in opera di una nuova ontologia, attraverso la pratica dell’indebolimento e del depotenziamento delle categorie forti, e qui il concetto di pensiero debole di Vattimo ci soccorre in tutta la sua inconfutabilità. Resta, in ultima analisi, il problema del senso in poesia, che emerge negli interventi di Paola Renzetti alla quale invito cortesemente di approfondire il discorso su l’Ombra del 5 Aprile 2016 con l’incipit: “Intervista a Mario M. Gabriele. Dialogo tra Mario M. Gabriele e Giorgio Linguaglossa su alcune questioni aperte”:

https://lombradelleparole.wordpress.com/2016/04/05/intervista-a-mario-gabriele-dialogo-tra-mario-gabriele-e-giorgio-linguaglossa-su-alcune-questioni-aperte-la-caduta-delle-grandi-narrazioni-discorso-sulla-dissoluzione-dellorigine-del-fond/

in particolare alla settima domanda relativa all’effetto di superficie dove il senso, secondo Deleuze è “assenza di Fondamento” e di frammento in rovina. Questa indicazione ha il solo sopo di approfondire il discorso riguardante il senso, visto anche da altri interlocutori.

 

Mauro Pierno

Un po’ è fuggire.
Rischiarare le metastasi. Arrischiare

un profilo di alluminio di incarto.
Le note in sottofondo percepite, stuprate.

Con radar in posizione. Attenti.
Le mani supine nell’estasi d’ascolto

infondo a quell’orecchio insensibile,
giaciuto nella morta estasi. Dunque

parvenu. D’un solo sibilo, della creazione
disattenta che non intossica. In ammanco.