Corrado Paina, Due poesie, da Largo Italia, SEF, 2018. Cibo per le masse, La bella gioventù – con il Punto di vista di Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa

 

Corrado Paina è nato a Milano e vive a Toronto da trent’anni. Ha pubblicato cinque raccolte di poesie (la più recente è Cinematic Taxi, del 2014), numerose plaquettes e un romanzo, Tra Rothko e tre finestre nel 2016.

Corrado Paina

 

Cibo per le masse

 

(a Donato Santeramo che ha corso il rischio di non mangiare più quello che gli piace)

 

Et sepultus est in ecclesia super Minervam in pulcherrimo
sepulchro cum insigno epitaphio
 (Fra’ Alberto Castellani – 1516)

 

Curava le astinenze con il tonno di Carlofonte
prima le triglie al cartoccio
compagne insostituibili
una volta lasciato Cagliari
sfumati i salvataggi
del misterioso Fra’ Beato Gabriele
lo spacciatore più letterario
del cinema europeo
più bello di Marc Porel
più misterioso di Pierre Clementi
incontrato dopo un soggiorno al Buon Cammino
comunque per il sottoscritto
(ormai riemigrato in Canada e in via di riabilitazione
il fegato stremato da ciambelle e dalle insidie del colonnello Sanders)
i rimedi si trovavano dappertutto
16 chili fa era tutto diverso
i polli i patè i salumi
ed i grumi di luna piena
i tortelli e le cassate
da destra a sinistra
dal meridiano al parallelo
dal cinema dell’oratorio (stringhe e gazzosa –l’ultimo dei moicani)
lo cercavano
lo accarezzavano
lo chiamavano di notte
i frigoriferi americani erano le credenze del benessere
la sua credenza
(nota bene: diario di viaggio 1975 – tempesta nel golfo del Leone superata mangiando un vaso di marmellata di fichi – nave Capriolo – capitano Sbrana)
i vivi li vedeva morti
(cotti?)
i bolliti di Vicenza
i surici di Lamezia
che sollievo..
in famiglia si rubavano le fragole
si andava a letto con Tex, Lenin e Rimbaud
(che fatica far diventare comunista il poeta, ma alla fine ce l’avevano fatta!)
c’era chi non s’era classificato:
Celine
Pound
Malaparte
Carmelo Bene no!
Fo! solo Dario Fo!
Per dimenticare le notti A LETTO SENZA CENA!
si portavano 5/6 pesche ed il pollo alla gelatina

Al gran sole carico d’amore

Ci si svegliava e s’infilavano i Wrangler, si nascondevano i Rogers comprati da mamma al mercato a prezzo inferiore tanto i genitori non ne vedevano la differenza e si usciva nel pomeriggio assolato e produttivo
(mammà riusciva a tenerti in casa per qualche momento con le polpette e le promesse della crema di zabaione)
con le scarpe di Tavazzi
si cammina anche sui sazzi
e se i sazzi sono duri
con Tavazzi si è sicuri
ma lo confesso
anch’io ho peccato
non è esatto
anch’io ho commesso un errore
non ho mai usato la brillantina Linetti!
a Milano prima delle sigarette
(la prima Kent nel ritiro spirituale di Castelveccana
volete le bionde ? no
volete le brune ? no
volete le rosse ? no
ma cosa volete ?
noi vogliamo Dio che è nostro padre)
mi drogavo di cetriolini
con il Marco Sartori
ipnotizzati dal mestolo del salumiere
che li versava sulla carta oleata
dovevo trovare i soldi
x un etto al giorno
marinavamo la messa di fine pomeriggio
sgusciando tra le panchine
ed in piena astinenza
spiavamo dalla vetrina del salumiere
così crescevo
scemo di dopoguerra
mezza femmina!
volente o nolente
con vacanza estiva al mare
(bomboloni, sbrodolii di crema sui seni abbronzati
vaginette ripiene
prepuzi allo spiedo
frittura di testi
tette alla panna
ed i meini sbriciolosi sul Resto del Carlino
ti ricordi? i cappuccini deflorati da Nanni Loi)
le lunghe giornate agostane sulle Dolomiti
il primo amore per Marco diafano ebreo
la cioccolata bollente fusa sulle michette nane
la panna di Tesero
(mentre dispacci tendenziosi confermavano
che a pochi chilometri si mangiava la trippa per colazione)
Torniamo al mare
scampi
sogliole (Senigallia)
cozze
ancora il sud era lontano
come potevo vivere in oblio totale della questione meridionale
frutti di mare (ricci)
inciuci di formaggi con intestini
freselle con pomodoro
soppressate e capicolli
pasta paste
zeppole
stocco
fichi d’India
gioventù senza colore
papà in viaggio per lavoro
madre insegnante
sorelle maggiori incaricate del vitto
a volte qualche ibrido di macelleria
cresciuto a risi, spaghetti
bistecchine
focaccina e ciocorì alla mattina
da mangiarsi alle 10
insomma che cosa potevo diventare se non quello che sono diventato ?

 

 

Giorgio Linguaglossa

 

 

c’era stato il boom
e con il boom si doveva cancellare
distruggere
divorare
dimenticare
cervello e cervella
cuore e polmoni
lingua salmistrata e unità nazionale
fame e autorità
colonie estive
il piano Marshall!e le melanzane con le zucchine e le patate
la caponata ha unito la nazione
più della televisione

 

settimino in una famiglia piccolo borghese
oratorio
movimento studentesco
droga
viaggi
matrimonio
un altro matrimonio
figlio
figlia
famiglia
lavoro e carriera in un’altra nazione
si riducano a
salivazioni ed espansioni culinarie ?
mangio per morire
sogno cibo alimenti
rubavo salame confezionato e dischi di Jimi Hendrix
in pausa di riabilitazione
Paff bum!
appesi i manganelli carnevaleschi
mi suicido con chiacchere e tortelli
pesto e pasta di Portovenere
Sciacchetràvincerà
a Cicengo ci s’infanga nelle terme di salsa
barberacci da riunioni rosse
trionfo orale punitivo
come le fellazio di bocche inesperte
piatto d’eterna giovinezza
d’eterni fumetti
in certi sughi al Sud c’è la battaglia del Trasimeno
si va in manifestazione a Torino
Pertini, Nenni, Berlinguer, Almirante,
sono piatti importanti
Karl Korsh ci prepara all’autogestione culinaria
cibo paramilitare ed escursioni nel vegetariano etnico terzomondista
cuscus fanoniani
scuola quadri: polpette di Randazzo
vinacci di Lambrate
seconda mano in Corso Garibaldi
Porta Ticinese: CHE FARE?
Il SUD
La condizione meridionale/fichi/pane/pecorino/olive/agnello
il sottosviluppo di Gunder Frank
il sesso (Wilhelm Reich) esteso fino alle coste della Sicilia
il falansterio dove si scopa e si mangia
epifania adolescenziale: ecco la bisessualità e l’alta cucina
caviale/champagne/ostriche
gli alberghi i camerieri
le frasi celebri che fanno una vita
le città sconosciute si cominciano a visitare dalla periferia
e a Parigi si visita Stalingrad e s’ingoia tutto
il granchio latino
il vietnamita vittorioso, il Beaubourg, il riz cantonais, il Bordeaux, il Pastis , il Calvados
Roth, i panini africani
si guardano i barboni mangiando baguette impeciate di patè
si sogna Jim Morrison che muore di ? …
e si fa colazione sull’erba
qualcuno di noi conosceva anche i poeti francesi
ce n’era abbastanza da abiurare il comunismo
noi l’avremmo fatto con Elvis e Brian Wilson
Grazie Sicilia
grazie Trapani per le sarde, le melanzane
grazie Palermo per il pescespada e le droghe tagliate
con la farina di pesce

 

 

Giorgio Linguaglossa

 

grazie Catania per l’eroina e la cocaina
potessi almeno ricordare il nome dello spacciatore
gentile
ma è come ricordare il nome di un architetto di una
chiesa gotica
morivo aspettando di vivere
e vivevo aspettando di morire
Ho visto anche gli zingari felici
la Grecia da conquistare
il cibo greco fa schifo (ed il vino pure)
io faccio schifo
in Grecia mangio da fare schifo
immergo denti e naso in meloni dolci
come canzoni californiane degli anni ‘60
nuoto in un fiume di pesci grigliati
nel corteo funebre per i compagni uccisi
qualche grido
i pugni chiusi e le bocche collodiane del pescecane capitalista
che ci risucchieranno
ipotesi bucolica, via dalla pazza folla
i salami freschi e giovini della Bassa degli zii morti tutti d’infarto se non suicidi
il ritorno alle origini
la fame deideologizzata
Il colesterolo reprime le masse
Non che non sono stato io
ad uccidere poesia
tu vuoi dire che nessuno è innocente
nascondo la testa sotto un’ala
come se mi rinchiudessi in un’(i)stanza a (i)scrivere poesie
noi poeti possiamo essere coraggiosi
generalmente siamo come bambini meschini
violentati
ma ci rianimiamo a guardare il mare
mangiando arancini sul ferribbotto
da Reggio a Messina
Abbiamo sprecato molto
anche se a dire la verità
io le aragoste di Alghero
non le dimentico
rimpiango un palato più fino
in fondo sono ancora da bocciofila
ha ragione Fabio che viene da Gorla
che sono il Bukowski della Brianza
ma è possibile essere Bukowski in Brianza ?
Le ceneri di Gramsci
vengo a trovare Pasolini
e prima Gramsci e dopo Corso
tu mi chiedi com’era il 68
quale ?
quello uscito dai confessionali
dove ci nascondevamo tutti ?
lei non sapeva quindi che l’immigrato
nel canto si adagiava quasi piangendo
avvolto in un miraggio di qualcosa che
forse non era mai stato
il passato
quello vero
cancellato dalla quotidianità
rimane qualcosa
a dir la verità
e nel canto il vecchio immigrato
storicamente e non anagraficamente
abbraccia un’ombra
come discesa agli inferi
pare proprio
che entrambi non
troveranno la via alla libertà
prigionieri per sempre
del passato
allora cito
polipetti bolliti e poi arrostiti
a Matera
agnolotti con ripieno di fagiano
di Corno Giovine
fondamenta di salame fresco della bassa
impasti di padano
castrato e sugo di papera di Petritoli
e dal pubblico si passò al privato
viaggi a Londra ad usare il metadone gratis
e fish and chips
ma la scoperta fu un diner portoricano nuiorchese
pollo fagioli uova pane tostato e milk shake
aspettavo che tirasse su la saracinesca alle 5:30
per soffocare la post astinenza
fu nel periodo del privato
che m’innamorai anche del prosciutto crudo
prima avevo avuto una lunga cotta
per il cotto
cominciavo ad accettare le mie origini non operaie
a ricordare le mie radici contadine, come tutti gli italiani
prosciutto crudo, coca cola, eroina, patatine, cocaina
speed meat ball
mi rinchiudevo
in alberghi così sotto borghesi
uscivo solo per i rifornimenti
poi come Rossini non uscii più
HOW THE WEST WAS WON
ci fu l’America
metonimia del maiale visto come salame
dove mi specializzai nella mia smeridionalizzazione
costruendo i contrafforti della bioingegneria
Kentucky fried chicken
Doughnuts
Hamburgers
French fries
Presto diventai americano
grasso e pieno di debiti
pronto per il grande sogno
diventare ricco e magro
Sulla rena cubana
mi sentii come al Sud
bambini garruli con il moccio al naso
anche qui le fondamenta del tempio
colonia e potere
la pelle
la bellezza
il corpo
però la rivoluzione l’aveva rovinata lo zucchero
troppo zucchero a Cuba
a furia di prendere zucchero
si perde la vista
ci si abitua a dormire più spesso
a perdere l’uso degli arti
così muore lentamente la rivoluzione
coperta dallo zucchero

Prima c’era il cibo o il bisogno di cibo
Perciò questa poesia è anche dedicata a Gioacchino Rossini ed a Marco Ferreri
che sapevano che l’unico conforto nell’assedio
era il cibo
controllavano convulsamente dagli spalti l’arrivo dei rinforzi
(capitano le vettovaglie sono in orario!)
e il piccione che doveva portare un messaggio al mondo
non arriverà mai
è stato cucinato al mattone

 

 

Giorgio Linguaglossa

 

 

La bella gioventù

 

Lo scandalo è la coscienza di avere già mangiato anche per gli anni
che ti rimangono
se morissi oggi avrei mangiato molto di più di quanto avrei dovuto (1/3 forse metà in più)
se morissi tra qualche anno avrei già mangiato per soddisfare il normale bisogno di un essere umano
della mia corporatura
certamente ho fumato per due persone
ho mangiato molti più cetriolini di quanti assegnati ad un cristiano
e le droghe ? mi sono fatto anche le dosi di coloro che non le hanno mai prese
per una media equilibrata
il sesso poteva essere di più ma il pensiero e la masturbazione mi hanno portato a livelli di eccellenza
non sono diventato cieco
ma sono diventato grasso
per finire vorrei chiedere la misericordia di essere cremato e le mie ceneri
buttate ai pesci nel mare di Porto Venere e sul molo vorrei che
fosse posta una targa
con il mio epitaffio che più o meno dovrebbe essere cosi
“era destino che si mangiasse anche quello”

 

*


[…..Sento momentaneamente il bisogno di un periodo di vita calma, nella frescura verde, nei prati che sorridono alla Primavera, tra i papaveri che guardano il sole d’oro sfolgorante e poi cadono sotto la felce ridendo lieti d’aver vissuto una giornata!E voi margheritine tremule, sperdute fra le alte erbe, tra i trifoglio e l’erba medica, sul ciglio dei fossi, quasi a lambire ed accarezzare l’acqua che scroscia, voi margheritine scherzanti ridate la gioia di vivere!
Fiori,tanti fiori, aromi vaganti, profumi dei campi, voi siete il mio desiderio insoddisfatto, la mia brama di vita.
Sole che illumini le alte cime e le acque del golfo, dammi la luce, la luce che viene da Dio, che ci aiuta nella sventura e ci premia nella sua Infinita bontà]

 

(Carlo Paina)

 

[Corrado Paina Executive Director Italian Chamber of Commerce of Ontario
Tel: 416-789-7169 ext. 250 This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

 

Giorgio Linguaglossa
G. Linguaglossa e Alejandra Alfaro Alfieri, Roma, ott. 2018

 

Giorgio Linguaglossa

 

31 ottobre 2018 alle 14,22

 

caro Corrado,

 

sicuramente questo poemetto, contenuto nel libro Largo Italia pubblicato nel 2018 con SEF (che poi sono due poesie) è un lavoro di grande forza termodinamica e di assoluto rispetto, avuto riguardo alla poesia italiana di oggidì che sopravvive, tra un languore e l’altro, grazie a continue infusioni di Linfopil, e di sonniferi vari tanto è malridotta ed esangue da essere ormai invisibile… Ecco, direi che questo tuo poemetto ha tutte le carte in regola per essere ascritto alla nuova fenomenologia estetica, si tratta di una pioggia fitta di lessemi e di monemi che trascinano il lettore in una vera e propria apoplessia, al corto circuito tra occhio che legge e orecchio che ascolta… raramente mi accade di leggere un poemetto di tanta e tale forza percussiva e drammatica, di disperata vitalità, di malcelato orgoglio, di disperato cordoglio in cui convergono stilemi e lessemi della più disparata provenienza culturale, dalla beat generation ai sacchi di Burri ai tagli di Fontana…

 

Direi che la tua «nuova fenomenologia estetica» sia una realtà da affiancare alla «nuova ontologia estetica», due modalità stilistiche che possono, anzi, debbono andare assieme, le due ricerche non si escludono affatto, possono andare benissimamente insieme, d’amore e d’accordo, mi sembra che la tua sia una poesia che può rivitalizzare il corpo opaco della poesia italiana di oggidì che sopravvive anche grazie a una buona dose di cloroformio e di calcestruzzo dimidiato come quello del ponte di Genova venuto giù come burro… la poesia italiana ha bisogno di fortissime iniezioni di vitalità, c’è bisogno di un vigoroso massaggio cardiaco. Il tuo poemetto è anche, in un certo senso, un lungo e dolente epitaffio per la memoria andata dispersa del popolo italico (oggi va di moda qui in Italia richiamarsi al “popolo”) in crisi di fastiscizzazione strisciante e altalenante.

 

Un paese in gravissima crisi, caro Corrado, che non pensa più al suo futuro, al futuro dei propri figli e che non vive più di passato, una gravissima crisi che il tuo poemetto mette in bella mostra, e mi meraviglia che sia stato un poeta italiano che da trent’anni vive e lavora in Canada, a Toronto, ad aver scritto questo epitaffio per la memoria degli italiani e dell’Italia. Un epitaffio violento, appassionato, viscerale, un atto d’amore e di odio che forse soltanto un poeta italiano esiliato all’estero poteva scrivere. Con le tue parole:

 

la caponata ha unito la nazione
più della televisione

 

Forse il mondo ha cessato di essere significativo, e forse al poeta di oggi non è concesso l’accesso alle esperienze significative, ma è emblematico che alla poesia di oggi tocchi in sorte di dover stendere in versi l’epicedio esistenziale forse più lucido e disincantato della poesia di matrice novecentesca, quando si parla dell’indebolimento della soggettività con la tranquilla consapevolezza che ciò che possono dare le parole poetiche forse non è granché ma è pur sempre qualcosa di importante.

 

Il fatto è che non si può uscire dal sortilegio, o dall’immaginario direbbe Lacan, non possiamo sortire né entrare in un luogo sconosciuto se non mediante un trucco, un dispositivo, un cavallo di Troia, perché la città del senso la puoi prendere soltanto con un trucco, con un sortilegio, un atto di raggiro, di illusione, perché il poeta è ragguagliabile ad un illusionista che illude con le parole ed elude con le parole. «Il fatto è che non si può davvero uscire dal trucco, o dall’immaginario, come direbbe nel suo linguaggio Lacan».1

 

E forse in questo bivio soltanto può abitare il senso, ci vuole dire Paina, il senso residuo dopo la combustione, se davvero v’è un senso nella parola poetica, costretta a sopravvivere in questo «indebolimento della soggettività»2 che dura ormai da tanto tempo che ne abbiamo perfino dimenticato la scaturigine.

 

(Giorgio Linguaglossa)

 

1 Pier Aldo Rovatti, Abitare la distanza, Raffaello Cortina Editore, 2007 p. 87

2 Ibidem