Caro […] le idee sono gratis, chi vuole se le piglia, le idee
esercitano seduzione, nascono, si diffondono, dilagano, chi pensa
di arrestarle è un ingenuo, e anche uno sciocco…
Sandro Penna «chiude» la tradizione lirica del primo novecento, quella facente capo a Saba e al primo D’Annunzio di Primo vere (1880). Il suo spazio espressivo è fondato sulla tradizione melodica e sulla sintassi lineare, sfruttando di queste componenti le qualità melodiche ed eufoniche. È il tipico poeta che viene dopo una grande tradizione melodica, che vive e prospera sulla immediatezza melodica ed eufonica di questa tradizione portandola al suo livello più compiuto.
Lo schema metrico è fondato sugli endecasillabi, due strofe di cinque versi, con assonanze dissonanti (veduto-sentito) e opposizioni concordate (l’azzurro e il bianco).
Una poesia Sandro Penna
La vita… è ricordarsi di un risveglio…
La vita… è ricordarsi di un risveglio
triste in un treno all’alba: aver veduto
fuori la luce incerta: aver sentito
nel corpo rotto la malinconia
vergine e aspra dell’aria pungente.
Ma ricordarsi la liberazione
improvvisa è più dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l’azzurro
e il bianco della sua divisa, e fuori
un mare tutto fresco di colore.
(da Poesie, a cura di C. Garboli, Garzanti, Milano, 1989)
Più che parlare di «spazio espressivo integrale» io qui parlerei di una omogeneizzazione stilistica che proviene da una lunga e felice tradizione melodica.
Tenterò di spiegare il nuovo «spazio espressivo integrale» nella poesia di Tomas Tranströmer. Quando parlo di «spazio espressivo integrale», intendo una costruzione poetica che «apre» ad uno sviluppo stilistico, cioè ad una forma-poesia fondata sulla eterogeneità lessicale, pluristilistica, multiprospettica, multitemporale e multispaziale; intendo un nuovo tipo di poesia che è stata inaugurata in Europa, come sappiamo, da Tomas Tranströmer con 17 poesie(1954) una forma non più lineare melodica ma fondata sulla profondità spaziale e temporale del costrutto, in cui le immagini sono collegate in modo da enuclearsi l’una dall’altra. Leggiamo una strofa di Tranströmer:
Il risveglio è un salto col paracadute dal sogno.
Libero dal turbine soffocante il viaggiatore
sprofonda verso lo spazio verde del mattino.
Tranströmer non scrive: «La vita è un ricordarsi di un risveglio», ma salta la perifrasi e va direttamente al «risveglio». Scrive: «Il risveglio è un salto col paracadute dal sogno». Qui siamo all’interno di una costruzione multiprospettica: l’equivalenza introdotta dalla copula «è» introduce non una identità ma una dissimiglianza, una non-identità: è il «sogno» che viene ad occupare il posto centrale della composizione, il suo peso specifico all’interno della composizione è talmente forte da deformare la composizione stessa facendola sbilanciare verso la significazione dell’inconscio. Infatti, il secondo verso non si muove più lungo la linea della dorsale unilineare della melodia monodica (tipica di una certa tradizione cui appartiene Sandro Penna), ma introduce una complessificazione, il soggetto diventa «il viaggiatore» (anche questo attante dislocato a fine verso), il cui peso specifico viene molto accentuato dalla dislocazione a fine verso. Il risultato è che l’equilibrio dinamico e semantico (la significazione primaria e secondaria) del primo distico viene ad essere sbilanciato verso la fine verso. Il terzo verso introduce una formidabile amplificazione e intensificazione multi prospettica nel componimento, lo spazio della composizione si apre a ventaglio come a seguire il moto discendente del «viaggiatore» che si è lanciato dal paracadute, o che si è lasciato cadere dal e col «paracadute» nel vuoto dell’atmosfera.
Ma qui il poeta non nomina affatto il vuoto e l’atmosfera che si aprono davanti al volo del «paracadute», è sufficiente aver articolato la composizione intorno ai due attanti «pesanti» («sogno» e «viaggiatore»), sono essi ad aprire la composizione verso una pluralità di punti di vista spaziali, infatti il lettore vede con i propri occhi il discendere del «viaggiatore» che si getta col «paracadute» «dal sogno» verso le insondabili profondità dell’inconscio. Il «viaggiatore» non può che scendere in verticale: «sprofonda»… dove? «verso lo spazio verde del mattino». Qui, con una formidabile accelerazione Tranströmer indica il lento affiorare della coscienza che si riprende gli abiti del giorno e scaccia nell’oscurità i fantasmi del «sogno», ricaccia indietro il mondo multiprospettico e labirintico dell’inconscio. La parola che chiude la terzina è «mattino». Il «mattino» ricaccia indietro il mondo di fantasmi dell’inconscio e restituisce alla coscienza il dominio sull’io.
Da questa breve analisi si rende evidente che in questo caso lo «spazio espressivo integrale» della poesia trastromeriana non è più fondata sulla equivalenza del principio di identità («è») e sulla simiglianza dissimiglianza tra tutti gli attanti come nella poesia eufonica e melodica di Sandro Penna, in Tranströmer lo «spazio espressivo integrale» trova applicazione dal, se così possiamo dire, principio di multiprospettiva e di non-identità tra tutti gli attanti (sogno, viaggiatore, mattino) i quali obbediscono ad una diversa ed evidente filosofia della composizione. Con 17 poesie di Tranströmer la poesia europea è cambiata per sempre, penso che i lettori non possano che convenire.
Leggiamo quest’altra strofa:
Entrammo. Un’unica enorme sala,
silenziosa e vuota, dove la superficie del pavimento era
come una pista da pattinaggio abbandonata.
Tutte le porte chiuse. L’aria grigia.
Lascio ai lettori la lettura di questa strofa secondo i nuovi criteri ermeneutici della «nuova ontologia estetica», ovvero, secondo il nuovo concetto di «spazio espressivo integrale».
(Giorgio Linguaglossa)
Carlo Livia, Aleph, Roma, 2017; seduti: Antonio Sagredo, Sabino Caronia, Salvatore Martino
Carlo Livia
La prigione celeste
Dalla finestra di Mozart vedo la donna nuda che beve lacrime divine in un cielo di astri divelti
e un vecchio bambino pazzo che trascina ridendo l’anima del Grande Assente.
A forza di dormire sull’orlo del precipizio, la mia anima si è mutata in sette serafini ciechi
che baciano in sogno l’infelice sposa dell’Ultradio.
Ho attraversato tutto l’universo, cercando quella fessura del tempo da cui affiora la morte
ma ho trovato solo lo splendore delle madonne silenziose votate al blu.
Tutti i tabernacoli sospesi in alto mare s’inclinano lottando contro un vento di frasi fatte
e versano in cielo una musica di carezze e desidèri di fanciulla,
tristi come la voce che mi sfiora in sogno
per dirmi che non è più qui.
Lucio Mayoor Tosi
Anche i lettori con mentalità distorta avrebbero diritto a una poesia
a loro familiare. Moderna, coi mobili a soffitto,
la ruota gravitazionale, i robot che fanno colazione a letto.
L’Arma dei Carabinieri.
Figurativamente, l’interno di un televisore. Tieni fermo il cane.
Si abbracciano le cose intorno. Il lento affermarsi della gratuità.
Un gruppo di pennelli dentro il loro vaso di vetro aspetta
l’arrivo del pascià. Il quale con lo sguardo giallo di un gatto nero
sta fissando la punta sopra di una mezza luna.
Ancora un graffio, un’unghia…
(may-nov 2018)
*
“Uno” è la goccia di luna licantropa che si nasconde
nel perfetto buio della notte di Halloween.
La notte che ti guarda dai vetri.
Uno sta piangendo forte.
Va capito. Aspettiamo che finisca; anche se,
in quanto vivi in una bolla gelatinosa d’aria,
abbiamo poteri limitati. Uscire da noi stessi
per dare soccorso, ad esempio.
Uno si lascia toccare le spalle dagli esseri onnipresenti
che abitano tutte le dimensioni dell’universo;
esseri che farebbero di tutto pur di darsi nelle forme
desiderate da chiunque. Due mani di vento, il soffio
di lunghe carezze; quelli che tornano a cercarti
travestiti da ricordi – segno che ti sono ormai vicini.
Tu sei fatto di ricordi. Non sei umano,
sei una scultura. Per questo dicevo prima di un palazzo.
E ci sono al mondo palazzi vuoti, disabitati. Alcuni
vere galere. E non hanno porte. Ma tanti altri sono abitati.
Dalle mie parti siamo folletti. E ora
che ci siamo divertiti. E ora che ci siamo divertiti.
may-ott. (2018)
Guido Galdini
Un contributo ciclistico cultural politico:
era uscito dal gruppo nel 63
per tirare la volata al capitano
ma quando si è girato alle sue spalle
non era rimasto più nessuno
così è stato costretto
a vincere la tappa il tour il premio Nobel
la presidenza del consiglio si è
congratulata (a quei tempi ce n’era una).
Giuseppe Gallo
Ai tempi di Internet
COLESTtab 10. Avvertimenti medici.
Nessun io, nemmeno un dio.
È inutile che cerchi divagando
dentro il garage. È partita per Marrakech.
Nel bagagliaio cianfrusaglie e riviste.
La linguaccia di Einstein. Uragani di aguglie.
Gli scarti dei lamenti e delle emicranie
nelle scatole rosse e bianche degli scaffali.
Gli effetti collaterali. I soffocamenti,
la dispersione dei fonemi tra i rossori e i formicolii sulla pelle.
Lilli ha nuovi fantasmi, nuovi inferni nella testa.
Agiografie di martiri, le croci inginocchiate.
Camule sul dorso di draghi
pelurie sradicate sulla guancia di destra e di sinistra.
Ai tempi di Internet
la lastra a raggi x per l’enfisema già antiquata.
LEGALON E
Non escono all’aperto neanche i gatti dei cani
Sui litorali i delfini, gli africani berberi insabbiati.
Deficienza dell’orientamento.
II robot nella sala d’attesa dello psicologo.
Gli schemi, gli ologrammi. Gli angeli spiumati.
Qui non si fanno favori né sconti alle emozioni.
Siamo entrati in questa sala per vedere il niente.
Era solo un precipizio di sentieri ininterrotti!
Autostrade che procedono all’infinito contorcendosi su se stesse.
In spirali anaformiche in dirottamenti periferici
craking e dissonanze, convergenze casuali.
Ai tempi di internet
i sorrisi della giostra defunta.
Lo specchio, una plastica, un fiore da incartare e poi scartare
Eutirox ® 50 microgrammi.
Delirare per una tazza d’azzurro.
Desiderio di ombre senza polvere addosso.
Ed il pensiero germina? Agonizza?
O c’è qualcosa antecedente che lo costringe ad essere?
“Brutta storia!”
“Non brutta, bruttissima!”
Ai tempi di internet obsolescenza programmata.
Lapidi per chi inarca cavalli e insegue automobili.
Forse resiste il gufo invisibile e oscuro
e l’illusione del fuoco per continuare a bruciare…
Edith Dzieduszycka
Alle porte del tempo sta bussando fremente
un altro inverno
un altro inverno o
l’Inverno?
di grisaglia lamé ingobbito sull’uscio avanza
prepotente
ha smembrato le foglie
fuggite qua e là intasando i tombini
ossa nere branditi i rami denudati
terrazzati gli alberi mikado gigantesco
tra roghi divoranti se la ride
Nerone, noi blaterando certi che il folle sia lui
perdiamo i capelli ci divora la fretta
l’oro nero scarseggia compensiamo con armi
sprofondiamo nel buio delle contraddizioni in cui
uno uguale uno non canta ma nitrisce
sull’uscio della mente sta bussando
l’Inverno ma nessuno che sembri essersene accorto
persa parola chiave
la Consapevolezza dentro cunicoli dove fischia il vento
smarrita nullificata a lei connessa
l’altra parola – Assurdo – incisa sulla cornice.
novembre 2018
Marina Petrillo
20 novembre 2018 alle 16:37
La luce in obliquo spegne l’ansimato giorno.
Vettore di assenza tra parole
infisse al filo spinato dell’intelletto.
Vacuo il ragionare su altra sponda
ove, solo a tratti, si intercetta
il nesso causale.
Canone inverso dell’apologo
sottratto al rumoroso tedio
dell’esatta misura.
Un cenno
e, ancora resta sospesa in arco
la comprensione, cubico assenso
evocato a schema logico.
Apostrofo, il suo doppio,
in raggio sovramentale.
Ad inciampo rovina
il peregrinante concetto.
Si dissipa in lampo l’ovvia
intuizione che, china,
scorge il calco di ciò che è stato
in smarrita poesia.
(Non sono mai esistita abbastanza)
Sabino Caronia
La bona nova
Se sa, l’amico se la lega ar dito
ma mo, dice, se so pacificati;
che casino, ma mo tutto è finito,
mille scuse e se so pure abbracciati!
Tra tante delusioni e fallimenti
sta bona nova proprio me consola;
me dispiaceva che, tra pene e stenti,
sta pora fija me restasse sola.
C’è chi dice che, prima de fa pace,
l’amico nostro j’ha fatto l’esame
pe’ vede’ se sta donna era verace.
Dice che ne lo scritto è annata male
però, va mormoranno quell’ infame,
che s’è sarvata co la prova orale.
Gino Rago
L’eco di Eeva-Liisa Manner
[la cicatrice del tempo nello specchio]
Cara Signora Manner,
Se non a Lei a chi altri confidare
che la flanella dell’infanzia era morbida
quando il Tempo di Newton non ci disturbava.
Dalla Finlandia un sibilo nel mio dormiveglia:
«La Poesia è l’eco che si ascolta quando la vita è muta».
E’ Lei ogni notte quell’eco.
[…]
Il mio amico di Istanbul in un verso ha scritto:
«La notte è la tomba di Dio e il giorno la cicatrice del dolore»
La cicatrice del dolore,
è quella di Ewa, la stessa cicatrice che vede nel suo specchio?
[…]
«Quale specchio?» Lei giustamente chiede,
«Lo specchio dove il tempo si incrina
e Greta Garbo assomiglia a Socrate…»
Non mi dà la risposta, che importa,
importante è che io ponga domande
Giuseppe Cornacchia
Ho smesso da tempo ma ci provo, riorganizzando in distici una mia passata che forse sta a tono. Saluti e di nuovo buon lavoro con la NOE. Giuseppe
L’ardore risuscita i morti, galvanizza,
trasfigura merdine in condottieri,
piante rigogliose di floride radici;
l’argilla nella betoniera, il silicio,
il pietrisco inconsistente, il legamento,
l’acqua piovana in taniche assai coraggiose.
L’amore sventra, osservò Delacroix,
bisogna cogliere il suicida mentre cade
per rubargli la vita sulla tela.
Delacroix sventra, rimarcò Baudelaire.
“È la maitresse più esigente che conosca”
-l’arte- ammetteva, non voleva amanti.
Povero Warhol che se ne riempiva,
povero Bohr nel suo modulo astratto
e povero Einstein, veloce, troppo,
dovendo fare l’occhio a tante cose
mentre Cassano intossica pazienti
con intrugli da stregone (meccanicista!).
— da Cinquanta Poesie, 2015, Lampi di Stampa —
Mauro Pierno
Si incantano incompetenti.
Le ore sovrapposte a ridosso delle porte
intessono coperte patchwork. Nei ghirigori
della costruzione onirica ti sei addormentato
anche tu! Dopo aver saltellato un canguro si ripose nell’astuccio dei colori. Rideva.
Tutti ridevamo nel sonno profondo del letargo.
La storia era allora un fossile disperso.
Giorgio Linguaglossa
Il bacio è la tomba di Dio
La torre del faro nella pianura di neve.
«Il bacio è la tomba di Dio».
C’erano scritte queste insensate parole
sopra l’ingresso della torre…
Ma forse non era quella la torre ma un’altra
che si trova in Siberia, nei pressi del polo artico
dove sorge un’isba; nell’isba c’è Evgenia Arbugaeva
sulla sedia a dondolo, osserva la distesa di neve.
Un pianoforte a coda nella neve suona Lux Aeterna di Ligeti.
C’è scritto: «Hic incipit tragoedia» e, nello spartito,
le parole di Ubaldo de Robertis sull’universo ad anelli.
[Nell’universo c’è un punto. Uno solo, così trascurabile…]
La musica incontraddittoria si solleva dalla neve eterna.
Diventa luce.
[…]
La gondola è vestita a lutto. Carica di morti. Affonda.
Nella picea onda del Canal Grande.
Ponte degli Scalzi.
L’appartamento di Anonymous sul Canal Regio.
Uno spartito aperto sul leggio: La lontananza nostalgica.
Il vento sfoglia le pagine dello spartito.
[…]
Tre finestre. Lesene bianche. Canal Regio.
Due leoni all’ingresso divaricano le mandibole.
[Se ti sporgi dalla finestra puoi quasi toccare
il filo dell’acqua verdastra. Laguna di vetro.]
[…]
Madame Hanska si spoglia lentamente nel boudoir.
Ufficiali austriaci giocano a whist mentre il Signor K asserisce:
«il tavolo cammina e non cammina perché la contraddittorietà
non può violare il principio di non contraddizione.
Il PNC è auto contraddittorio, non potrebbe essere altrimenti;
mi creda, Herr Cogito, anche i suoi pensieri,
picchi di luce eterna, sono auto contraddittori, collidono,
a sua insaputa, con altri suoi pensieri antecedenti…».
[…]
«L’universo è il cadavere di Dio e noi i suoi vermi.
Anche le parole che ora diciamo, il vento nella sua rovina
le porta via».
[…]
Sulla parete a sinistra del soggiorno e in alto sul soffitto
è ritratta la Peste.
La Signora Morte impugna una pertica
che termina con una falce.
Ammassa i morti e taglia loro la testa.
E ride.
Ritto sulla prua il gondoliere afferra il remo.
E canta.
[…]
Lassù, in alto, strillano gli uccelli e brindano le stelle.
Wagner e List giocano a dadi
in un bar nel sotoportego del Canal Grande.
Tiziano beve un’ombra con la modella
dell’«Amor sacro e l’Amor profano».
[…]
Madame Hanska al Torcello riceve gli ospiti
nel salotto color fucsia.
I clienti della locanda del buio brindano alla felicità
i calici di Murano scintillano.
[…]
Dio bussa alla porta d’ingresso; dice:
«posso aggiustare il rubinetto,
sistemare la lavastoviglie, riparare il frigorifero,
darle l’indirizzo di una casa di appuntamenti,
ho anche dei numeri per il Lotto…».
Incredibile, disse proprio così.
[…]
Ed entrammo in una stanza bianca, un pianoforte nero al centro.
Un bambino vestito di bianco suonava qualcosa
che i miei cinque sensi non percepivano.
Una voce dal parlatorio diceva:
«Il re morto è un dio vivente, il dio morto è un re che vive,
la tomba del re è la casa del dio
che si è dimenticato di essere un dio…».
Fu a quel punto che quelle parole inaccessibili risuonarono in me
mentre calpestavo il pavimento di linoleum bianco…
[…]
Una grande vetrata si affaccia sul mare veneziano.
“Non c’è anima più viva”, pensai, ma scacciai subito
quel pensiero molesto.
Una sirena cantava dalla spiaggia dei morti:
«Non c’è più lutto tra i morti».
«Non c’è più lutto tra i morti».
Francesca Dono
Facevano bingo e altre stronzate ogni giorno della settimana. Porca puttana tutti attorno a un solo tavolo. Sotto la polvere dei numeri. -Hei datti una mossa _ dice il capo.
La Bambi con il naso screpolato ha perso le scarpe all’improvviso. Anche lo smalto e il fondotinta sul pavimento opaco. Seccature d’inverno. Il terzo uomo tossisce dietro la tenda.
Le micropalline sulle unghie rimbalzanti . Chiedi al vecchio Cash un pezzo d’osso . La guardia diamantina della porta. I giocatori non mollano niente.
Appena un perimetro affollato. In pianura l’ hinterland è stato confuso al resto del presepe. Una volta c’era il verde.