Alida Airaghi, Poesie da L’attesa, Marco Saya Editore, 2018, pp. 70 € 12 con Il Punto di vista di Giorgio Linguaglossa

 

Giorgio Linguaglossa
Saul Steinberg, woman in bath, 1949 – L’attesa

 

Alida Airaghi è nata a Verona nel 1953 e risiede a Garda. Dopo la laurea in lettere classiche a Milano, è vissuta e ha insegnato a Zurigo dal 1978 al 1992. Collabora a diverse riviste, quotidiani e blog italiani e svizzeri. Tra le sue pubblicazioni di poesia: L’appartamento, in Nuovi Poeti Italiani, 3 (Einaudi 1984), Rosa rosse rosa (Bertani 1986), Il peso del giorno (La Luna – Grafiche Fioroni 2000), Litania periferica (Manni 2000), Un diverso lontano (Manni 2003), Frontiere del tempo (Manni 2006), Il silenzio e le voci (Nomos 2011), Nuovi Poeti Italiani, 6 (Einaudi 2012), Elegie del risveglio (Sigismundus 2016), Omaggi (Einaudi 2017). Inoltre, presso le edizioni Lietocolle, sono uscite le plaquette: Il lago (1996), Sul pontile, nell’acqua (1997), Litania periferica (1998), Le mura di Verona (1998)Suoi racconti sono antologizzati in: Appuntamento con una mosca(Stamperia dell’Arancio 1991), Fine dicembre (Le Onde 2010) e Qualcosa del genere (Italic Pequod 2018). www.alidaairaghi.com

 

Il Punto di vista di Giorgio Linguaglossa

 

Non è Aristotele che nel De memoria sostiene che gli umani sono: «coloro che percepiscono il tempo, gli unici, fra gli animali, a ricordare, e ciò per mezzo di cui ricordando è ciò per mezzo di cui essi percepiscono [il tempo]»? – Dunque, possiamo dire che la Memoria sarebbe una funzione della coscienza del tempo. Anzi, dopo Heidegger si dovrebbe parlare di una funzione della temporalità nel suo rapporto con l’esserci, la nostra esistenza si situerebbe negli interstizi tra le temporalità dell’esserci. La temporalità immaginaria e quella empirica. Meister Eckhart ci ha parlato del «vuoto» quale esperienza interiore essenziale per accedere alla dimensione spirituale, ovvero, fare «vuoto» come distacco dai propri contenuti personali per poter accedere ad una dimensione più vera e profonda.

 

È da qui che ha inizio la riflessione poetica dei poeti nuovi dei poeti esistenzialisti della nuova ontologia estetica, dalla zona di congiunzione tra temporalità e memoria. Quella zona opaca, insondabile dove hanno luogo gli eventi significativi, paradossalmente opachi, quei momenti di lacerazione dell’esistenza che noi percepiamo distintamente attraverso la lente della memoria. Là sono situati i momenti significativi dell’esistenza di cui noi stessi nulla sappiamo. Ma che cosa sia quella lacerazione e che rapporti abbia con la memoria, è davvero un mistero. L’esperienza dell’esserci è fondamentalmente ubiqua: abita la memoria e la temporalità.

Bene illustrano questa condizione spirituale i tropi adottati dalla nuova poesia, in particolare i concetti di disfania e di diafania, in una certa misura, concetti gemelli che indicano il «guardare attraverso» della diafania e il «guardare tra» della disfania. La parola poetica si situerebbe dunque «tra» due manifestazioni (Phanes è il dio della manifestazione visibile, la luce,) e «attraverso» esse perspicere due modi diversi di sondare la memoria. È in questo guardare obliquo, in diagonale che si situa il discorso poetico della «nuova ontologia estetica», dove il tempo dello sguardo indica la temporalità dell’esserci.

 

La metafora è il non identico sotto l’aspetto dell’identità.

 

Giorgio Linguaglossa

Descending man, Jason Langer

 

I grandi poeti lavorano incessantemente per tutta la vita attorno ad alcune poche metafore, ma per giungere alle metafore fondamentali occorre un pensiero poetico che speculi intorno alle cose fondamentali, ecco perché soltanto il pensiero mitico riesce ad esprimersi in metafore, perché nel mito la contraddizione e la metafora sono di casa e tra di esse non c’è antinomia e una medesima legge del logos le governa. Ad esempio, in questa a quartina di Zbigniew Herbert è rappresenta una metafora fondamentale:

 

il proiettile che ho sparato
durante la grande guerra
ha fatto il giro del globo
e mi ha colpito alle spalle

 

perché istituisce una contraddizione assoluta che soltanto la metafora assolutapuò racchiudere, dove l’assurdo della denotazione collima con il rigore del pensiero intuitivo. Nella metafora viene immediatamente ad evidenza intuitiva l’eterogeneo e il contraddittorio che permea l’esistenza quotidiana degli uomini. «Veri sono solo i pensieri che non comprendono se stessi», scrive Adorno in Dialettica negativa, assunto che viene invalidato dal pensiero della communis opinio ma che è inverato dall’esperienza della metafora nella poesia, dove essa si rivela essere un concentrato di impossibilità drasticamente verosimile ed immediatamente intuitivo.

 

«Ciò che nel linguaggio si rispecchia, il linguaggio non lo può rappresentare».1]

 

È questa l’aporia del linguaggio. La tautologia e la contraddizione mostrano che esse si trovano, convergono, nella metafora, la quale contiene in sé sia la tautologia (il non-identico è lo stesso che l’identico) che la contraddizione (il non-identico non è l’identico). Da ciò se ne può dedurre che nella metafora convergono tutte le aporie del linguaggio, il lato effabile e il lato ineffabile, il dicibile e l’indicibile.

 

Talché voler estromettere la metafora dal discorso poetico è come voler aggiustare Procuste mettendolo sul letto di Procuste.

 

Il discorso poetico tende «naturalmente» alla metafora.

 

Nella poesia di Alida Airaghi l’assurdo e il derisorio sono il reddito di cittadinanza del reale, della storia e degli uomini che la abitano condannati a subire le oscillazioni di questo misterioso titolo in borsa. Gli uomini sono i titolari di questo titolo: il reddito di cittadinanza a scadenza fissa, un po’ come i titoli di stato, con delle differenze che vanno dai titoli trimestrali e quelli decennali e ventennali che beneficiano di un tasso più alto e che valgono, fin che valgono, fin quando lo stato non dichiara default. La storia, che è stata destituita in storialità, ha senso proprio perché non ha un significato, o meglio, perché ha tanti significati quanti sono gli abitatori del globo e perché rischia sempre di finire nel default. Qui sta l’elemento del comico e del derisorio di questa poesia, che essa si presenta nelle vesti del sardonico e del comico mentre che ci intrattiene con l’insulso e l’assoluto, con il falso e il similoro. La Airaghi trova i suoi accenti più convincenti quando decide di non decidere, quando i suoi frasari antifrastici sfiorano il corrimano dell’assurdo e del corrivo quotidiano, quando «la paura di non essere niente» improvvisamente cessa e di scoprire «di passare inosservato tra la gente» e chiedersi semplicemente: «È a posto la cravatta?/ Puzzerò di sudore?».

 

1] T.W. Adorno, Dialettica negativa, Verlag, 1966, trad. it. Einaudi di Carlo Alberto Donolo, 1970 p. 42
2] L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, 1979 p. 33

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

Alida Airaghi, Poesie da L’attesa

«I grow old… I grow old:
divento vecchio».
Puffo obbediva al tempo,
Puffo sapeva.
Misurava la sua vita a cucchiaini di caffè.
Dimagriva, perdeva capelli;
si guardava allo specchio.
E per non turbare l’universo
indossava una faccia comune,
camminava sulla spiaggia,
scriveva qualche verso.

 

*

 

«Do I dare?» La paura
di non essere niente, e di avere paura.
Di passare inosservato tra la gente,
o di entrare al ristorante
guardato da tutti:
«È a posto la cravatta?
Puzzerò di sudore?»
La paura della gioia
e dei lutti, di fare l’amore
con una signora elegante,
strafatta di noia.

 

*

 

«I should have been,
ma non sono stato».
Un domatore di tigri feroci,
un cacciatore di frodo.
Un comunista, un fascista,
un terrorista. Un boato,
un grido, un sussurro.
Invece beveva brodo
di dadi vegetali, preferiva
l’azzurro, portava occhiali
spessi. E tremando pregava
esorcismi sconnessi.

 

*

 

«There will be time
per diventare un altro».
Più forte più alto più allegro.
Più esaltato di un jazzista negro.
Per dare risposte
che chiudano la bocca ai fessi,
per salire di corsa le scale,
per vincere in borsa o al casinò
stordendo la mente
di canzonette idiote,
inventandosi note sincopate.
Per viaggiare da soli d’estate,
e imparare imparare a dire no.

 

*

 

«I grow old… I grow old;
morirò presto».
Puffo risparmiava ogni gesto
che non portasse profitto,
rinunciava a qualsiasi desiderio tardivo.
Passava i suoi giorni in affitto,
guardando dai vetri la sera
eterizzata, il fumo, la nebbia.
E senza la dentiera,
si infilava nel letto.
Indifferente al tempo perduto,
avrebbe voluto non essere vivo.

 

 

 

 

 

(rileggendo The Love Song of J. Alfred Prufrock di T.S.Eliot)

 

*

 

È questo tempo

perso.

Mio tempo inutile,

morto. Tempo

che aspetto

e guardo

nel suo bianco vuoto.

Di come si trascina

di come chiede

e attende.

Voce che manca

voce che non risponde;

stanco mio tempo

assorto.

 

*

 

Era un minuto, o forse venti,

o un’ora o un giorno;

non sapevo.

Talmente dentro

quel minuto, quell’ora,

quel giorno,

da non avvertire

misure, confini,

momenti.

Si dilatava il tempo,

e più non esisteva tempo.

Oppure ero io che mi facevo

tempo; non so.

 

Giorgio Linguaglossa

Le ore di dentro/ sono quelle vere; le ore lente, Alida Airaghi

 

*

 

Le ore di dentro

sono quelle vere; le ore lente,

intendo: quelle misurate

dal battito del polso,

cadenzate dal tempo della mente

e dell’attesa. Non corrispondono

alle ore di fuori, ansimanti

di fretta, efficienti

e vittoriose.

Le ore interiori

sanno perdere, non si umiliano

per una sconfitta.

Assaporano invece nel loro profondo

tacere

il riscatto della quieta

indulgenza.

 

*

 

C’è la guerra fuori?

E io mi trincero in trincea,

mi affosso e riparo

abbasso la testa sto ferma.

Poi ecco la bomba

proiettili vaganti

granate.

O, non mi avranno;

(nascosta nel mio precipizio)

se resto in attesa

della pavida loro proposta

di un vile armistizio.

 

*

 

Il 5 è lì che spera

che dopo arrivi il 6.

E l’8 attende il 9,

il 30 il 35.

Poi il 100 il 1000,

e i secoli i millenni,

le epoche le ere,

l’inizio la sua fine.

L’alba il tramonto

la notte il giorno

il bimbo il vecchio

il bruco la farfalla

la neve il sole

il vero la bugia.

Tutto è sospeso,

ognuno aspetta:

il tram,

lo stipendio,

il divorzio.

La lotteria.

 

*

 

I grandi orologi nelle stazioni,

nelle sale d’aspetto

degli ospedali, fissati alle pareti,

su bassorilievi murali,

con pesanti lancette di ferro

brunito che si muovono

a scatti, ma sembrano ferme

(per lo più), immobili

agli occhi di chi attende;

che se si volta un attimo

a esaminare la punta delle scarpe,

o si distrae cercando intorno,

invano, qualche bontà;

poi torna con lo sguardo

a interrogare il tempo,

ed è passato, inesorabile

come un perdono:

è un’altra ora.

 

*

 

Se c’è uno che aspetta,

quello è senz’altro il Creatore.

Da miliardi di anni,

in molteplici universi.

Immobile nascosto onnipresente.

Partecipe.

Forse indifferente.

È lì, non si sa dove.

Altrove ovunque in alto:

e aspetta.