Lucio Mayoor Tosi,TUBANO E SPORCANO – Trentacinque distici, Poesia, con un Appunto dell’autore

Giorgio Linguaglossa
Lucio Mayoor Tosi, Sponde, 2017

 

 

Lucio Mayoor Tosi. Poeta lombardo, di sessant’anni, a tutt’oggi inedito.  Di professione artista, pittore e pubblicista. Collabora con L’Ombra delle Parole.

 

di Lucio Mayoor Tosi

 

Quando ho iniziato a sperimentare la scrittura in distici, sia nella forma chiusa del verso e sia in quella aperta del discorso prosastico, non ho tardato molto a comprendere che si stava profilando la possibilità di investigare sul “nuovo” della nuova ontologia estetica. 

Nella poesia NOE – uso questa sigla con molta serenità, avendolo approvato senza remore, conflitti interiori o altro – poesia fatta di stracci (in luogo del risaputo), gioca un ruolo determinante l’arresto del flusso creativo, lo STOP (disfania, concetto e figura retorica, parola coniata da Steven Grieco Rathgeb). 

La coscienza di poter disporre di maggiore, chiamiamolo così, spazio-tempo in avanti, consente che si faccia netto il rapporto di fiducia tra fine e inizio del verso; tra finte parole “mie” e altre che non hanno appartenenza. Poi destreggiarsi nel collage di parti del vissuto e del pensato; sdoppiamento della personalità, dialogo interiore tra parti amiche/nemiche; salvaguardia del pianeta e fuga per la salvezza – per quanto mi riguarda –. Riduzione dell’io nello spazio invariato dell’esistenza. 

La forma-distico che qui viene messa in campo non è dissimile dalla poesia breve Haiku ma, ad esempio, lascia spazio all’aforisma e in taluni casi può trattarsi di veri e propri incipit, che però possono essere autosufficienti. 

Nella forma breve, l’elemento sorpresa è dato con naturalezza. Basta sapere aspettare, praticare lo STOP: fumarsi una sigaretta, uscire per una passeggiata, pensare ad altro, non pensare affatto…

 

Mi fa tremare un poco l’idea di confidare questa “novità”, in anteprima qui – mi terrorizza l’idea che qualcuno possa reinterpretare distorcendo o semplificando l’austero comportamento che presiede la stesura di ogni distico – . 
Devo moltissimo all’impegno di tutti i poeti che hanno scritto su questa rivista.

 

Giorgio LinguaglossaGiorgio Linguaglossa

 

Un Appunto di poetica

 

In questi distici a corto respiro ho voluto sperimentare le parole, una a una, mentre arrivano donate al cestino della spazzatura. Dopo il salto, eccole qui.

 

L’esperimento consiste nel dare prova di finitezza del pensiero, dentro sfilacciature di linguaggi presi a prestito da scaffali: romanzo, cinema, titoli, poesia.

 

È poesia, questa della NOE, fatta di tanti arresti. Anche due parole, un Salveregina… – Ma è così ovunque, nel panorama mediatico. Tanti non parlano nemmeno. 

 

Finte parole mie, altre di nessuno. Figurine per il collage. Sdoppiamento della personalità, cambio di parte amica/nemico; salvaguardia del pianeta e fuga per la salvezza.

 

Nel farlo mi sono posto sulla distanza Haiku-Ungaretti. Tra aforisma e senza-niente.  Risultato: un tremare di pensieri, resi sconclusionati dalla storia. Sotto il ponte Morandi.

 

Ringrazio la redazione e chi avrà bontà di leggere. 

 

Ha scritto Maria Rosaria Madonna:1

 

«In ultima istanza, la poesia non può essere raccontata se non dal punto di vista puramente storico; nella sua essenza è attività di fagocitazione di mondo, internalizzazione degli oggetti del mondo tramite il sistema segnico-simbolico qual è il linguaggio. Forse, alla fonte della Musa v’è una fissazione della libido allo stadio della cloaca, ciò che nell’età adulta si converte in sublimazione, conglomerato degli oggetti internalizzati in spirito linguistico; in fame di mondo, seppure di un mondo ridotto a lacerti fonematici che rammenta il mondo reale come lo specchio da toeletta rammenta lo specchio ustorio.

 

Dunque, è chiaro, la poesia può sorgere soltanto come risvolto negativo della prassi. La poesia è il risvolto negativo della prassi e specchio ustorio all’unisono».

 

1 Maria Rosaria Madonna Stige. Tutte le poesie (1990-2002) Progetto Cultura, Roma, 2018 pp. 148 € 12

 

Giorgio Linguaglossa

Grafica di Lucio Mayoor Tosi

 

 

Commento di Giorgio Linguaglossa

 

A proposito del distico in poesia

 

Mi associo a quanto detto da Anna Ventura e Donatella Costantina Giancaspero riguardo all’invidia da cui dovrebbe guardarsi Lucio Mayoor Tosi. Non nascondo che io stesso quando ho letto pochi giorni or sono questi distici in anteprima, sono stato morso da un leggero attacco di invidia; mi sono chiesto: ma come ha fatto Lucio ad attingere, d’un colpo, questa perfezione del distico? Il fatto è, come sottolineato dalla Giancaspero, che Lucio ha un vantaggio su tutti noi, che è un «artista visivo» e che da una vita lui sperimenta con l’arte visiva ciò che noi stiamo tentando oggi con il distico e il frammento. E quindi è molto più avanti di noi in questo percorso ad ostacoli che è la nuova ontologia estetica. Perché si tratta di un vero percorso ad ostacoli dove però non vince soltanto chi arriva primo ma vince anche chi arriva secondo, terzo, quarto etcetera. Del resto, Lucio interpreta il distico in suo modo personalissimo che lo rende inimitabile, nessuno di noi potrebbe imitare il modo di scrivere distici di Lucio, susciteremmo soltanto riso e facezie. Alla base del distico di Lucio c’è il frammento. Il frammento precede il distico e lo fonda. Il frammento non lo si compra dal negozio di ferramenta, lo si trova dopo una lunga e meditata ricerca.

 

Alla base del concetto di frammento c’è la netta intuizione di che cos’è il letterale e il figurato e di come impiegarli in poesia. Leggiamo un distico preso a caso:

 

Ai miei amici del pianeta indaco. Prendete.
Sale alle caviglie. Un fil di fumo. L’oroscopo.

 

Non c’è dubbio che la prima proposizione (Ai miei amici del pianeta indaco) si pone come letterale di un figurato. C’è un significato? È il contesto che permette di procedere ad una corretta inferenza. Ciò che importa notare è che è molto difficile dire se si tratta di una proposizione letterale oppure di una proposizione figurata. Nella poesia di Lucio il letterale e il figurato funzionano come categorie proposizionalizzate della differenza semantica latente e manifesta. Il locutore, cioè l’autore è impegnato a perseguire le proposizioni per mettere in evidenza ciò che è detto in ciò che viene detto o se c’è altro dell’Altro per cui è centrale seguire il detto attraverso ciò che viene detto. Decifrare il senso di una o più proposizioni implica indicare ciò di cui è questione in quanto ciò che è in questione rimanda al problema del senso a cui un discorso, qualsiasi discorso, risponde.

 

Ogni singola proposizione, ogni singolo enunciato rimanda a ciò che è detto ad un tempo come letterale e figurato, e questa duplicità aumenta al quadrato ad ogni successivo passaggio proposizionale; ogni enunciato è risposta all’enunciato precedente ma in modo svincolato dalle necessità grammaticali imposte dal senso grammaticale. Ogni enunciato è una sostituzione dell’enunciato che il lettore si aspetterebbe. La conseguenza è una sorpresa, uno stupore continui. Il senso il lettore non lo trova mai nell’enunciato che risponde all’enunciato precedente, il senso è fuori, esterno, è allotrio. Ogni enunciato risponde in modo libero, e quindi criptico, all’enunciato precedente. Ogni enunciato agisce come uno scambio ferroviario, cambia la direzione del senso, lo svia, lo deraglia, lo ribalta e lo trasforma.

 

Diciamo la verità, l’enunciato «Prendete sale alle caviglie» non ha nulla in comune con l’enunciato precedente né con il seguente. Però in un certo senso, è collegato all’enunciato che lo precede e con quello che segue, e il lettore è costretto a seguire il lambiccato discorso del testo saltando da un binario all’altro. Il letterale è sempre senza sorprese, è la proposizione che designa ciò che è in quel modo singolarissimo della sua struttura frastica. L’enunciato letterale è perfettamente proposizionale, senza sorprese, riconoscibile, non fa questione, sarebbe vano ricercare in esso una interrogatività che è stata risolta, ma, paradossalmente essa sollecita una risposta altra, un enunciato altro inscritto nella testualità che ne completi il senso. Con questo procedimento il disticizzare della poesia ripropone l’antinomia del figurato e del letterale, ripropone la loro differenza problematologica, la loro dualità reciproca, l’insopprimibile contraddittorietà delle locuzioni frastiche indicizzate da un altissimo quoziente di figuratività.

 

Il distico consente al testo di «giocare» tra il letterale e il figurato in quanto ciò comporta la dualizzazione del senso, e la moltiplicazione del senso in quanto il senso si ha soltanto come una intellegibilità complessiva del testo con tutte le sue interne contraddizioni frastiche e antinomie proposizionali.

 

Giorgio Linguaglossa

 

Lucio Mayoor Tosi

 

TUBANO E SPORCANO

 

Trentacinque distici

 

I.
Su Marte i biancospini, le scatole di montaggio vuote.
L’altoparlante ai piani alti. I semafori rossi.

 

II.

Vorrei parlare con voi, per un attimo, del Partito
Democratico.

 

III.
Nel campo delle meraviglie, dove vanno al pascolo
i nomi delle persone, un vecchio trattore abbandonato.

 

IV.
Oggi vento senza parole. Amore dice cose improbabili.
Un altro cioccolatino. Rosa dei venti. Volgersi, evolversi.

 

V.
Il tempo presente passato: sto per facevo; compito
di matematica, certezza senza frenesie. Nostalgia.

 

VI.
Il personaggio aprì la porta e disse piano: le camere
sono pronte. Troverete le chiavi in reception. Non fate così.

 

VII.
Fortuna è un colpo di spugna, caro ispettore.
Il papavero antico è già sulla porta.

 

VIII.
Sotto una cascata. Paura furibonda. L’impronta
delle Dolomiti.

 

IX.
Vieni a casa con me? Fino all’aeroporto.
Ci prendiamo un caffè amaro di china.

 

X.
Alla fine di un lungo ragionamento decidemmo
di incontrarci. Mano nella mano.

 

XI.
Se ne può fare a meno. Di tutto quello che scrivo.
Il come e il perché non interessano a tutti.

 

XII.
Non dispero di poterla incontrare, domani…
Lascio aperto il rubinetto, l’estremità del pontile.

 

XIII.
Maestro. Le rose per te sono sul camino stretto
della credenza, appena entri.

 

XIV.
La natura continua imperterrita a fiorire.
Questa la notizia. Genitori a cavallo siete avvertiti.

 

XV.
Il prossimo verso sta per arrivare. Già lo amo, come fosse
mio figlio al patibolo di entrambi. Ride la cicogna.

 

XVI.
Tra un po’ le vettovaglie. Pino e Margherita,
non allontanatevi! Un piatto vuoto qui, uno là…

 

WVII.
Mi vergogno, disse il poeta. Tortore amiche.
Sia dentro che fuori. Un lungo silenzio.

 

XVIII.
– Cinque. Arriviamo a dieci, ce la facciamo?
Un verso di cemento attraversò la strada.

 

XIX.
Nel labirinto scosceso dietro la Prefettura:
– Descriva nome e cognome. Baldo giovane.

 

XX.
Nulla riempie più del vuoto; se in un vasetto di vetro,
se sul ramo di foglie, se nel cammino sicuro.

 

XXI.
Ti regalo qualche distico, da portare a casa.
Dì che li hai trovati tu. E che stiamo tutti bene.

 

XXII
Seduti sul pianoforte, ubriachi, piegati in due
dalle risate. Uno si fece male alla caviglia.

 

XXIII.
Al tramonto: ieri non ti ho visto. Nemmeno
l’altro ieri. Forse domani. Tra un mese.

XXIV.
Il segreto delle bambole di Baltimora.
Origine del vizio. Antichi velieri.

XXV.
Dispiace per le parole non dette o dette male.
Ho un cane di traverso. Mezzo rimorso. A squadre.

XXVI.
Felice anno nuovo. Come stanno i ragazzi?
Barbara non c’è. E’ dal parrucchiere.

XXVII.
Ai miei amici del pianeta indaco. Prendete.
Sale alle caviglie. Un fil di fumo. L’oroscopo.

XXVIII.
Patina gialla di Paradiso. Le orecchie
dove batte il cuore. Il cervello di Frankestein.

XXIX.
L’interruttore dei suoni, per uno sbalzo di corrente
si fermò su Apocalisse. Poi alla sagra del vino.

XXX.

Senza parole colte. Senza binari assortiti.
La scatola vuota del tè, l’Amerigo Vespucci.

 

XXXI.
L’arrivo di bambine e bambini sul ventaglio delle prese
di corrente, come venditrici e venditori di ceralacca.

XXXII.
La preghiera delle 18:00. Attenti al cane.
Pensieri malevoli all’angolo di strada.

XXXIII.
Prima che faccia mezzanotte, tre ore vuote.
L’inconscio disvelato. Piccolo verme.

XXXIV.
Ancora il singhiozzo. Santo cielo. Della cricca
degli insonni. Ciliegia. Ci-liegia.

XXXV.
Questo è il mondo dei numeri.
Poeti sul balcone, tubano e sporcano.