Giuseppe Cornacchia
Il poetico invece della poesia 2019
http://www.leparoleelecose.it/?p=35516
https://poesiafutura.wordpress.com/2019/05/01/il-poetico-invece-della-poesia-2019/
http://www.leparoleelecose.it/?p=34560
“Le Parole e Le Cose” versione 1 ha in effetti ricollocato la competenza specialistica in cima, a mo’ di classe col professore dietro la cattedra ed i banchetti in fila zitti ad ascoltare, travasando in rete parte della cultura scritta negli anni Dieci per la carta e da lì espulsa, devitalizzando di conseguenza la partecipazione della classe fino ad estinguerla. Ha in sostanza subito il mezzo più che cavalcarlo come fece “Nazione Indiana”, motivo per cui la vivacità si e’ trasferita sui social, anche per narcisismo ma essenzialmente come playground. La pretesa fondativa del tecnico competente abilitato a parlare rispetto all’onesto incompetente che deve solo ascoltare, oggi divenuta identità politica e sociale di massa, non ha aiutato ad indagare perché tanti competenti, seppur meglio equipaggiati degli incompetenti, sbaglino puntualmente le previsioni sul futuro esattamente come questi ultimi. Probabilmente il settarismo e la malafede bilanciano verso il basso la competenza, così come l’onesta’ bilancia verso l’alto l’incompetenza, facendo pari e patta nei fallimenti predittivi? Anche dal punto di vista teorico, il contributo vitalistico e’ stato qui marginale, anzi anti-vitalistico proprio nella visione di Guido Mazzoni e repressivo in quella di Gianluigi Simonetti. Nazione Indiana si chiuse sostanzialmente con la farsa a tavolino del New Italian Epic ed il miglior contributo teorico-letterario internettiano degli ultimi tempi arrivi dalla Nuova Ontologia Estetica di Giorgio Linguaglossa & sodali su L’”Ombra delle Parole”, un blog di vecchi che ha progressivamente affinato e reso presentabile la frustrazione mentre qui infuriavano Erinni e si proponevano come novità epigoni trentenni e quarantenni di epigoni cinquantenni e sessantenni, tutti ancora fermi al 1975 ed immersi nel rimpianto nostalgico. Siete stati pompieri ma la biblioteca in fiamme era forse vuota, i libri erano stati trafugati e portati altrove mentre qui si discuteva cenere?
Giorgio Linguaglossa
caro Giuseppe Cornacchia,
“Le parole e le cose” nasce come progetto culturale egemonico: impartire lezioni di letteratura e altro da una cattedra, dove ovviamente i cattedratici sono loro, i possessori della cultura «alta», i sacerdoti culturali, i quali si concedono al pubblico della rete internet per educarlo ed emanciparlo alla cultura d’élite. Impostazione tipica di una supernicchia culturale che intende la cultura come Verbo da non mettere in discussione e come Autenticità della lezione impartita agli sprovveduti utenti della rete. Le conseguenze di questo progetto sono state ovvie: l’esaurirsi di una esperienza fallimentare, quella supernicchia si è rivelata una scatola vuota dove non soltanto le previsioni sul «futuro» erano saccenti ed erronee, ma anche le diagnosi sul presente e il passato culturale erano stantie e accademiche, prive di alcuna capacità di elaborare una piattaforma di pensiero critico alternativo a quella elaborata nelle accademie e negli uffici stampa degli editori maggiori.
L’unica volta che il blog si è trovato di fronte ad un intervento critico che non rientrava nei suoi schemi (un mio commento di alcuni anni fa nel quale sollevavo una domanda di metodologia critica), la discussione si è infilata subito in un tunnel di muro contro muro, il blog, nella persona della signora Claudia Crocco, si è dichiarato altezzosamente non disponibile a fornire alcuna spiegazione sulle questioni che avevo sollevato. La discussione che ne è seguita tra lo scrivente e gli avvocati d’ufficio della Crocco è andata a finire in un insulto scritto rivolto alla mia persona con conseguente mandato da parte mia al mio legale di fiducia per procedere a querela avverso le offese ricevute ai sensi dell’articolo del codice penale per il reato di diffamazione a mezzo stampa.
Esempio probante della incapacità culturale del blog di sostenere una discussione di livello critico elevato quando si profilava un interlocutore capace di mostrare le contraddizioni e le debolezze della sua impostazione culturale arroccata su una dogmatica intangibilità e superiorità di principio.
In un’altra occasione, ho sollevato alcune problematiche circa la poesia di Mario Benedetti; anche quella volta il blog decise di chiudere unilateralmente la discussione che stava prendendo, a suo parere, una direzione che non aveva preventivato.
Questo per dire della incapacità culturale e non volontà da parte della direzione del blog a sostenere una discussione su una posizione di pari dignità intellettuale, sulla presupposizione del dogma della superiorità della cultura chiericale di cui i suoi detentori si ritenevano possessori esclusivi e intangibili.
La posizione dell’Ombra delle Parole è tutt’altra, è un luogo di ricerca letteraria e filosofica e di libero confronto intellettuale, e sicuramente la rivista si è sempre resa disponibile a fornire ampia delucidazione delle proprie posizioni a chiunque le abbia rivolto delle questioni o considerazioni.
Anna Ventura
8 maggio 2019 alle 16:40
Mi piace tanto, questa frase: ”Siete stati pompieri ma la biblioteca in fiamme era forse vuota “Mi fa pensare a questo nostro continuo correre dietro alle parole, come il criceto intorno alla sua ruota: un lavoro apparentemente inutile, eppure importantissimo. Non sottovalutiamo il dono della parola,che distingue l’uomo tra tutte le creature della terra. Come tutti i doni, la parola nasconde più di un pericolo, Perciò dobbiamo conoscerla a fondo, meditare sulle possibilità varie che offre; è un delta immenso, ma navigarci dentro può essere esaltante.
Ecco qui un sonetto in romanesco di
Sabino Caronia
A Linguagro’, ma va a magna’ er sapone,
nun me scoccia’, nun me sta a rompe er cazzo,
è da ‘na vita che me faccio er mazzo
pe resta’ sempre er solito fregnone.
Passi pe quelli che nun so pippette,
pe Gino Rago, Steven ed Arfredo,
passi pe tutti, puro pe Sagredo,
ma che c’entreno mo ste suffraggette.
Fossi ‘n’omo, vabbè! ma ‘na sciacquetta
ha da venicce a smove li sbadijj
a furia de libbracci e paroloni!
Fili, fili, lavori la carzetta,
lassi perde de dà boni conzijj,
abbozzi, e nun ce scocci li cojjoni.
Giorgio Linguaglossa
7 maggio 2019 alle 12:20
Se leggiamo una poesia di Mario Gabriele ci rendiamo conto che si tratta di fraseologie, spezzoni di dialoghi intersoggettivi tra un mittente, un destinatario e un terzo (che è l’occhio del lettore). La parola aspetta sempre di essere validata (autenticata) dall’Altro; è questa autenticazione che rende adeguata la parola a se stessa, la rende significante, e non l’oggetto; o meglio, l’oggetto viene identificato per il mezzo dell’Altro che convalida e autentica la parola come proveniente da un soggetto e diretta ad un oggetto. La parola è un atto, e in quanto tale presuppone un soggetto, il quale a sua volta per essere validato deve presupporre l’autenticazione dell’Altro.
La poesia di Gabriele, la struttura frastica impiegata in realtà vive in una gabbia sintattica che rende manifesto come la comunicazione sia semplicemente una finzione, un allestimento del discorso tra interlocutori estranei ed estraniati e che da questa gabbia non sia possibile sortire fuori in nessun modo.
Il messaggio ritornerà dall’Altro al mittente locutore sì, ma in forma invertita, con un segno meno. E così via.
Mario M. Gabriele
7 maggio 2019 alle 12:58
Tutti abbiamo contribuito a togliere le barre di confine alla poesia degli ultimi decenni del secolo scorso. Qui mi piace ricordare alcuni Autori che si sono messi in prima linea a formalizzare una poesia nuova, come Lucio Mayoor Tosi, Giorgio Linguaglossa, Gino Rago, Donatella Giancaspero, con un tratto linguistico tutto personale, Letizia Leone, Edith Dzieduszycka, Steven Grieco Rathgeb, e poi Marina Petrillo, Carlo Livia, Giuseppe Talia ecc. chiedendo scusa per gli altri nomi non citati e. comunque, sempre rientranti in un laboratorio di attiva professionalità.
Considerare questi Autori autentici”disertori” della poesia storica, mi sembra azzardato. La loro spinta al rinnovamento nasce come esigenza del termine heideggeriano “Irfaran”, ossia : viaggiare, percorrere, attraversare, esplorare. Trattasi di un viaggio per trovare una via al lungo peregrinare di una poesia rimasta nel 900 dietro a strutture semiliquide.
La nuova ontologia estetica nasce come ribaltamento della stasi,come tutte le cose che non si trasformano restando semplici Icone. Ogni giorno Linguaglossa propone versi che, ad una prima lettura, presentano avanzamenti estetici molto sorprendenti.
A volte, alcuni testi hanno bisogno di maggiore attenzione nella versificazione; ma è un dettaglio che ogni autore può gestire, revisionando le proprie poesie. La NOE nasce dalla forza del pensare, e dalla necessità di andare verso una autenticità originaria. C’è chi pone dei dubbi, e chi si abitua alla lettura, ma trova un clima di freddo polare. Credo che con questi nostri testi, si siano apportate delle novità tecniche. con il polittico, la peritropé, il distico e il frammento.
A pensare bene, essi sono gli unici eventi straordinari nella realizzazione di una pratica linguistica intraducibile per chi è abituato a certi schemi già omologati. L’essenzialità del dire, la sintesi fonometrica, la disgiunzione tra un verso e un altro, lo scandalo della riducibilità del pensiero poetico, e ogni altra riappropriazione estetica, con un lungo elenco di minutaglie di vario genere, fanno da supporto ad una trasmissione del pensiero a scatto neuronale. È, in altre parole, l’azione del pensiero che muove il senso dell’Essere. Agitare allarmismi, circa la fine della poesia, non serve a nessuno.
Osserva Edoardo Boncinelli, che il vero centro motore di ogni essere, è la mente suddivisa in due settori: quello del pensiero e quello della fantasia. Da ciò può nascere nell’Arte e nella Scienza ogni cosa, per un bene comune senza barriere di vario genere.
“Il linguaggio” scrive Heidegger,” è la casa del’Essere e la dimora dell’Uomo” Se dimostriamo che i due termini sono divergenti, allora il viaggio del pensiero diventa un non Essere.e ogni cosa finisce in un tragico destino di morte.
Giorgio Linguaglossa
7 maggio 2019 alle 15:06
Ho riletto queste poesie facendo un esercizio, mi sono messo nei panni di chi per tutta la vita ha scritto e scrive come i nipotini della suola milanese o come i nipotini del truismario romano. Ecco, da punto di vista dei panni della poesia uninominale e pronominale, queste poesie di Mario Gabriele e mie sembrano sortire fuori dall’Albergo a tre stelle abitato da marziani. Questi poveri letterati non riuscirebbero a capire niente della folgorante novità della impostazione e della esecuzione della nuova poesia qui presentata, si ritrarrebbero offesi e proconsolati dal dirompere delle novità poetiche presenti in queste poesie. Ma si tratta di novità che presuppongono quaranta e passa anni di ricerche, visto che il primo libro di Gabriele data 1972 e il mio 1992, ma solo perché non avevo ritenuto di dover pubblicare prima opere non mature.
Resta il fatto che per quaranta anni la poesia italiana è rimasta presso ché immobile. Era assai problematico produrre opere nuove perché i tempi non erano maturi. Non che i tempi siano oggi più permissivi di quaranta anni fa, ma è che a distanza di quaranta e cinquanta anni si osserva il panorama del passato con maggiore distacco e anche con maggiore obiettività.
Giuseppe Talìa
7 maggio 2019 alle 22:40
Scrivere per polittico non è facile, non è facile scrivere un buon polittico.
Di esempi lodevoli la rivista ne è piena: Mario M. Gabriele, Linguaglossa, Rago e Donatella Giancaspero che pare, quest’ultima, muoversi per immagini filmiche, vari ciak assemblati.
E’ pur vero che speso il risultato è freddo. Ma freddo, poi, per chi?
E da diversi giorni che il pensiero pensa al polittico. I tentativi sono al momento vani: intendo vana la riuscita di un buon polittico.
Nunzia Binetti
8 maggio 2019 alle 1:26
Concordo con te, Talìa, scrivere polittico non è facile ed è cosa che richiede esercizio, ma si può fare. Tu, Giorgio, poi, non sbagli nell’attribuirmi l’uso smodato della copula e sugli effetti che ingenera. Il testo da me proposto, risale a qualche anno fa e non escludo di rivisitarlo, magari servendomi del distico. La NOE mi affascina, è un progetto in cui credo, nonostante richieda impegno e lavoro . A tutti un saluto.
Ho rielaborato il testo eliminando copula e una deissi. Attendo pareri. Grazie.
L’azzurro ha nel suo dentro un grammo di viola
che distinguo -stupe-facente anestesia.
Nel verde sottobosco (sfacelo, rimessa di morte convessa),
qualsiasi volo si spollina.
Ne esco vinta, tra-secolata, pendolare,
come da un rientro dagli scavi di Canosa.
Giorgio Linguaglossa
cara Nunzia,
già con le eliminazioni della copula e di una deissi il testo se ne è avvantaggiato, è cambiato di sana pianta. È quello che dico da sempre: che il distico ti obbliga a cambiare il modo di pensare e di scrivere che abbiamo introiettato dalla pessima pseudo poesia che, nolente o volente, leggiamo tutti i giorni. Ma si tratta di pessima poesia, pessime fraseologie usate e abusate.
Il distico è un esercizio di rigore, è una riforma del modo di pensare, di agire e di mettere le parole su carta. Se poi dal distico si fa il passo successivo (ma non è strettamente necessario), cioè si passa al «polittico», allora si compie il salto decisivo, il salto in alto intendo, ma ci si deve arrivare per gradi, e ciascuno a proprio modo, seguendo il proprio battito cardiaco e il proprio respiro. Molti ci hanno accusato di fare di tutta l’erba un fascio, di predicare bene le cose che facciamo male, ma io lascio cadere queste accuse perché provengono dal preconcetto di chi dinanzi alle difficoltà della ricerca si ritira nel proprio guscio e va sul sicuro, o almeno crede di andare sul sicuro.
In realtà, senza ricerca, senza alzare l’asticella delle difficoltà non si va da nessuna parte, si ricade sul noto e sul notorio, si ripercorrono le strade già percorse. E poi, anche in letteratura occorre coraggio, occorre valutare e fronteggiare il rischio del fallimento, dell’insuccesso. Nulla si dà per garantito, nessun risultato è garantito da una cambiale o da un BOT emesso dal governo. Quando leggo le fraseologie della poesia che vanno di moda oggi mi viene da sorridere per la pochezza e la vacuità di quei registri espressivi. Anche in poesia, come in ogni pratica intellettuale e imprenditoriale, occorre coraggio, ma, se mi guardo attorno, vedo che è proprio la qualità che difetta alle giovani generazioni. Incredibile, siamo molto più coraggiosi noi nati agli attorno agli anni cinquanta che non i più giovani nati dagli anni settanta in poi.