Il discorso poetico come percezione della nullificazione dell’esserci, di Giorgio Linguaglossa, Trittico di Giorgio Stella,  Andrea Brocchieri, La desistenza dell’esserci

Giorgio Linguaglossa
 

Giorgio Linguaglossa

Il discorso poetico come percezione della nullificazione dell’esserci

 

 

C’è nella nuova ontologia estetica quello che possiamo indicare come una intensa possibilizzazione del molteplice.

 

Che cosa voglio dire con ciò? Nella nuova poesia ci sono indicate delle cose che possono avvenire, che potrebbero avvenire, o che forse sono avvenute. Mi spiego meglio. Se prendiamo La ragazza Carla di Pagliarani (1960) o anche Laborintus (1956) di Sanguineti, lì vengono trattate (rappresentate) delle cose che realmente esistono, l’impianto ideologico è ancora e sempre quello del realismo; se prendiamo un brano de I quanti del suicidio (1972) di Helle Busacca, lì si tratta di un tema ben preciso: la morte del fratello «aldo» e della conseguente j’accuse del «sistema Italia» che lo ha determinato al suicidio. Anche qui l’impianto ideologico è ancora e sempre quello del realismo, cioè mimetico. Voglio dire che tutta la poesia del novecento italiano, come quella di questi postremi anni post-veritativi, rientra nel modello del «verosimile». Ebbene, questo «modello» nella NOE viene castigato e rottamato, viene messo in sordina, la distinzione tra verosimile e non-verosimile cade inesorabilmente, ed entrano in gioco il possibile e l’inverosimile; si scopre che l’inverosimile è della stessa stoffa del possibile-verosimile.

 

Questa possibilizzazione del molteplice è la diretta conseguenza di una intensa problematizzazione delle forme estetiche portata avanti dalla «nuova ontologia estetica», prodotto dell’aggravarsi della crisi delle forme estetiche tardo novecentesche che ha creato una fortissima controspinta in direzione di un nuovo modello-poesia non più ancorato e immobilizzato ad un concetto di eternità e stabilità del «modello del verosimile».

 

Il concetto di «verosimile» della poesia lirica e anti lirica che dir si voglia di questi ultimi decenni poggiava sulla stabilità ed eternità del soggetto che legiferava in chiave elegiaca o antielegiaca, che poi è la stessa cosa…

 

In Essere e tempo, l’indagine sul nulla (Nichts) apre l’ente alla possibilità che nulla sia, che l’ente sia un nulla; l’incontro con l’esserci apre l’ente alla “dischiusura” (Entschlossenheit) del “mondo”, infatti, il mondo è il regno della possibilità – e non dell’istinto e dell’abitudine, come per gli animali i quali esistono nella «chiusura» del mondo animale.

 

Ma come l’uomo non sceglie il suo essere mortale, e piuttosto è consegnato a tale condizione, così l’uomo esiste «gettato», «immerso» nel nulla.

 

Infatti, non è un caso che la nuova poesia ontologica sorga nel momento della massima problematizzazione delle questioni estetiche e della intensificazione della problematicità dell’arte proprio nel momento della massima crisi della democrazia neo-liberale, anzi è la risposta della forma-poesia alla crisi del modello maggioritario fondato riflessivamente sulla presunta stabilità dell’io, su un io posto e presupposto in modo fattizio e acritico.

 

La NOE è sostanzialmente una meditazione poetica sul nulla dell’esserci. Con le parole di Heidegger: il significato dell’espressione «das Nichts nichtet» sta per il Nulla che nullifica, rende nullo l’esserci, lo nullifica. L’incontro (Ereignis) del nulla con l’esserci, produce il nuovo discorso poetico. Siamo qui all’interno di una particolarissima e modernissima sensibilità verso la parola e la parola poetica, quella parola che scocca dall’incontro tra il nulla e l’esserci. All’interno di quella particolarissima percezione del discorso poetico inteso come il discorso della nullificazione dell’esserci.

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

Trittico di Giorgio Stella

McMarx

                                                

I

 

E poi diceva che quella fabbrica d’ali era fallita per i troppi scioperi
Che era sottile la lama sulla testa già calva

 

Ma impossibile stabilire una nozione temporale a quella scissione
La processione della vena di cardo la riabilitazione all’addizione

 

[…]

 

Una nenia per via pasticche come coriandoli insetti chiamati babbuini dai deficienti
E il taglio di prosciutto per favore fino al midollo dell’osso 

 

La figlia del cocchiere nuoce al cervello in controluce di fede
E quando dopo aver pulito le case dei padroni per arrotondare

 

[…]

 

Va a pulire i cessi dei poveri tra i bocchini africani della versione turca della Stazione Termini

 

Che volano i cocci delle birre rotte tra froci e il 24/H è il paesaggio del 12 notturno

 

Poi lo sapeva quando scolpiva la pietra anzi sciacallaggio di rose finte

 

Che accanto al nome e alla croce c’era la grande M gialla della McDonald’s la foto ovvio d’identità

 

[…]

 

 

II

 

Al b/1 era la stessa cosa la colazione brodo di gallina servita in piatti di plastica piani per pasta

 

E chi serviva il re serve pure la regina quelle sbarre modelle le sigarette contate

 

Tutto questo per aversi tirato le radici dalle fiamme delle vene e viceversa
La terapia servita in colonna corsara di bandiera battente SIDA

 

[…]

 

E lui scopava ugualmente scettri mirra di firmamenti monumenti in contenzione

 

I giorni dilatati dai sieri nessun ricevimento il bar interno gli ricordava il primo tempo 

 

Dei vecchi cinema dove madamadorè vendeva pop-corne e minilgelati e ventagli

 

Senza aria condizionata in pieno agosto Vallejo ci diceva che esiste l’uomo a vita di un giorno di galera e 

la galera della vita per un giorno

 

[…]

 

Ma il tacco era troppo alto lo sapeva che aveva il cazzo ma era [troppo] ubriaco ‘fedele alla linea!’

 

Un pompino in fondo è come un rospo salta dal trampolino lo sborro è biforcuto

 

E dalla scheda della clinica ci informa la luce elettrica abbassata

 

Che la luce eterna ci veglierà tutta la notte se porco dio la bibbia è stata persa

 

[…]

 

Dalla sottratta sferica a dorso del muro la poesia che scriveva in culo al cardo del buco del cazzo

 

[…]

 

 

III

 

Le medagliette le vende sugli scalini dei grandi Hotel e lui sul cantiere
Tirava la fiocina al ficco del tordo il tiro montato dal ponteggio di CRISTO 

 

E rotea betoniera facci capire quanto valga la sete della tanica comune
Quante bottiglie appese ai granelli dei deserti coltivati a falco di luce

 

[…]

 

Quel tozzo di pane del [pane] del padrone mentre Riccetto non abita più qua
Lei passa ti riconosce dalla maschera imburrata di pannocchia lattina Berlino est

 

Ma stira la stampella è già girata tu colpisci la mira ella è viva
Sulla porta accanto della frode di Pasqua marina era ridotta in fiore l’assenza

 

[…]

 

Puttica del puttanesimo cacato in grembo al ginocchio amputato di Rimbaud

 

Inginocchiato al ginocchio tumorale di Verlaine e tamburo muto caccia testicolo di medusa

 

Che il cancro che brucia la vista possa vedere questa corrida!

 

[…]

 

 

La desistenza dell’essere

 

Rilettura di

Che cos’è metafisica? [Was ist Metaphysic?] e Sull’essenza della verità di Heidegger. [Vom Wesen der Wahrheit ], conferenza tenuta più volte nell’autunno-inverno 1930 e nel 1932, pubblicata non senza una revisione del testo nel 1943 e poi nel 1949 con un’aggiunta.

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

Andrea Brocchieri
(dicembre 2007)

 

Scrive Heidegger:

 

“Che cos’è il nulla?”

 

sembra una domanda impossibile perché il niente (non-ente) è come tale inoggettivabile; la domanda è di per sé contraddittoria: “che ente è il non-ente?”

 

«Rispetto al nulla domanda e risposta sono ugualmente un controsenso. […] La regola fondamentale del pensiero, cui comunemente ci si richiama, ossia il principio di non contraddizione, la “logica” in generale, sopprime la questione, perché il pensiero, che è essenzialmente sempre pensiero di qualcosa, qui, come pensiero del nulla, dovrebbe agire contro la propria essenza. Poiché in questa maniera ci è impedito in generale di fare del nulla un oggetto, siamo già arrivati alla fine del nostro domandare sul nulla sulla base del presupposto che in tale questione la “logica” rappresenti l’istanza suprema, l’intelletto il mezzo, il pensiero la via per cogliere originariamente il nulla e decidere se è possibile scoprirne qualcosa».16

 

Se s’intende il nulla come “non-ente”, si determina il nulla a partire dall’ente tramite una semplice negazione; il nulla non risulta così come un contenuto positivo del pensiero (un concetto reale) ma è solo la negazione di esso (uno pseudo-concetto, come notava Carnap). Dunque non potrebbe essere che la presunta contraddittorietà e inconsistenza della domanda derivi proprio dal fatto che il concetto di nulla è stato costruito sul piano logico via negationis?17

 

E se invece ogni negazione fosse possibile proprio in quanto “si dà” (es gibt) il nulla? −
Questa è la tesi che qui Heidegger anticipa e che dovrà poi dimostrare: «Il nulla è più originario del non e della negazione».18

 

Se dunque, sulla base di queste supposizioni, si volesse procedere nell’interrogare il nulla, bisognerebbe che esso fosse effettivamente dato nell’esperienza; e se il nulla fosse comunque in qualche modo la negazione della totalità dell’ente, se cioè ci fosse dato come il risultato di tale negazione, occorrerebbe che preliminarmente ci fosse data la totalità dell’ente. Ma questo com’è possibile, visto che siamo “esseri finiti”?19

 

Tuttavia «noi ci troviamo posti nel mezzo dell’ente che in qualche modo è svelato nella sua totalità» − in quale modo? Per es. ciò avviene nella “noia profonda” oppure «nella gioia che nasce in presenza dell’esistenza (Dasein) − e non della mera persona − di un essere amato». In tale “trovarsi” ci sentiamo insieme alla totalità dell’ente (tutto è noia, tutto è gioia) ma proprio per questo il nulla lì non emerge.20

 

Solo l’angoscia − intesa come l’emergere della “tonalità di fondo” dell’esistenza (Grundstimmung) e da non confondere né con l’ansietà né con la paura − ci svela il nulla stesso; la paura o l’ansietà sono riferibili a un che di determinato, l’angoscia invece è “spaesamento” (Unheimlichkeit), uno sprofondare di tutto (noi compresi) nella precarietà:

 

«Nell’angoscia, noi diciamo, “uno è spaesato”. Ma dinanzi a che cosa c’è lo spaesamento? e che significa quel “uno”? Non possiamo dire dinanzi a che cosa uno è spaesato, perché lo è nell’insieme. Tutte le cose e noi stessi sprofondiamo in una sorta d’indifferenza [Gleichgültigkeit]. Ma non nel senso che le cose spariscano, bensì nel senso che proprio nel loro allontanarsi le cose si rivolgono a noi. È questo allontanarsi dell’ente nella sua totalità che nell’angoscia ci accerchia, ci angustia. Non rimane nessun sostegno. Nel dileguarsi dell’ente rimane soltanto e incombe su di noi questo “nessun”.

 

L’angoscia rivela il nulla. Noi siamo “sospesi” nell’angoscia. O meglio, è l’angoscia che ci lascia sospesi, perché fa dileguare l’ente nella sua totalità. Ciò comporta che noi stessi, questi esseri umani che siamo, in mezzo all’ente come siamo, ci sentiamo dileguare con esso. Per questo, in fondo, non “tu” o “io” ci sentiamo spaesati, ma “uno” si sente spaesato. Resta solo il puro esserCi che, attraversato dal turbamento di questo essere sospeso, non può tenersi [halten] a nulla».21

 

Tutto rimane “rivolto a noi” ma allontanandosi, in modo da non offrire più sostegno (Halt): l’angoscia ci lascia sospesi al niente e così ci rivela il nulla. Si deve notare che qui siamo in uno snodo decisivo dello sviluppo della ricerca, cioè nel punto in cui Heidegger sta oltrepassando l’obiezione per cui l’idea del nulla sarebbe uno pseudo-concetto in quanto mancherebbe di base “empirica”. Certo qui non viene esibita un’evidenza “sperimentale” ma una descrizione fenomenologica. Il che non significa che venga offerta un’evidenza minore, anzi al contrario. Infatti, dal punto di vista fenomenologico, è l’indagine fenomenologica a porre le basi per lo sperimentalismo scientifico e non viceversa.22

 

A questo punto, attestata la consistenza fenomenologica del “nulla”, Heidegger può riconfermare la sensatezza della domanda: “Wie steht es um das Nichts?”. La risposta alla domanda sul nulla.

 

Heidegger riprende l’indagine dal risultato fenomenologicamente raggiunto sinora: «Il nulla si svela nell’angoscia, ma non come ente, e tanto meno come oggetto. L’angoscia non è un cogliere il nulla. Tuttavia il nulla si manifesta in essa e attraverso di essa benché, daccapo, non nel senso che il nulla appaia separatamente “accanto” all’ente nella sua totalità, quale si presenta nella spaesatezza. Dicevamo invece: nell’angoscia il nulla viene incontro insieme [in eins mit] all’ente nella sua totalità».23

 

Il nulla non “annienta” l’ente (al posto dell’ente non c’è più niente), né siamo noi a negare l’ente per “guadagnare” alla fine il nulla (per elisione dell’ente). Su questo punto possiamo sottolineare la differenza tra la futura concezione sartriana del nulla e quella che qui viene formulata: per

Heidegger il nulla non può essere un prodotto della libertà dell’uomo perché nell’angoscia noi stessi sprofondiamo assieme a tutto l’ente. Nell’angoscia l’ente nella sua totalità diventa hinfällig (“caduco”, vacillante, precario). 24

 

Note

 

16 M. Heidegger, Che cos’è metafisica? [Was ist Metaphysic?] p. 49
17 Ivi, p. 44 (107-108). Il concetto di “nulla” è uno pseudo-concetto se è costruito via negationis , cioè negando l’ente nella sua totalità. Si tratta di uno pseudo-concetto (come protestava Carnap) perché la totalità dell’ente non è mai empiricamente data e la sua negazione è un’operazione meramente intellettuale (o di fantasia). Un esempio di ripetizione acritica delle obiezioni di Carnap, per giunta strumentalizzate per propalare una forma di spiritualismo cattolico si trova nel recente libretto di Roberta DE MONTICELLI, Esercizi di pensiero per apprendisti filosofi, Bollati Boringhieri 2006, pp. 45-85. Contro la tesi apologetica della De Monticelli si può però osservare che anche l’idea di Dio della “teologia negativa” è raggiunta via negationis – dunque tale idea di Dio rischia di valere tanto quanto uno pseudo-concetto.
18 Che cos’è metafisica?, pp. 44-45 (108).
19 Ivi, pp. 45-47 (109-110); cfr. anche il § 46 di Essere e tempo.
20 Ivi, pp. 48-49 (110-111). Sulla “noia profonda” cfr. il corso
Die Grundbegriffe der Metaphysik. Welt – Endlichkeit – Einsamkeit
[1929-30], GA 29-30, a c. di Friedrich-Wilhelm von Herrmann, 1983 (tr. it. di Paola Ludovica Coriando, Concetti fondamentali della metafisica. Mondo – finitezza – solitudine, il melangolo, Genova 1992); utile sarebbe un confronto fra questo tema heideggeriano e la “nausea” sartriana.
21 Che cos’è metafisica? , ed. cit., pp. 50-51 (111-112).
22 La fenomenologia poi non è ovviamente un “punto di vista” qualsiasi ma un’impostazione metodologica che ci si dovrebbe impegnare a smontare prima di criticarne i risultati.
23 Che cos’è metafisica?, pp. 52-53 (113).
24 Ivi, pp. 53 (113-114). In Heidegger l’impostazione fenomenologica si congiunge con una speciale sensibilità per le parole della lingua che usa, per cui ne deriva la capacità di esperire in maniera rinnovata ciò che la tradizione gli ha consegnato sotto forma di concetti ormai astratti (e questo era uno dei tratti che rendevano “magico” l’insegnamento di Heidegger per i suoi giovani studenti degli anni ’20, ai quali sembrava che lì la filosofia ridiventasse viva). In questo passo occorre saper scorgere nella “Hinfälligkeit” (caducità) dell’ente l’esperienza fenomenica della tradizionale e astratta “contingenza” (Zufälligkeit)

 

https://www.academia.edu/5305113/La_desistenza_dellessere_Che_cos%C3%A8_metafisica_e_Sullessenza_della_verit%C3%A0_di_Heidegger?email_work_card=view-paper