Una poesia inedita di Mario Gabriele. Perché un poeta di oggi non può non essere sempre a contatto con l’immondizia, Poesie di Marina Petrillo, Tomas Tranströmer, «Tutte le porte chiuse. L’aria grigia.»

 

Giorgio Linguaglossa
La grande bellezza, fotogramma del fil di Paolo Sorrentino

 

Inedito di Mario M. Gabriele

 

 posted on novembre 3, 2019 by mariomgabriele da altervista.org

 

Mario M. Gabriele è nato a Campobasso nel 1940. Poeta e saggista, ha fondato nel 1980 la rivista di critica e di poetica Nuova Letteratura. Ha pubblicato le raccolte di versi Arsura (1972); La liana (1975); Il cerchio di fuoco (1976); Astuccio da cherubino (1978); Carte della città segreta (1982), con prefazione di Domenico Rea; Il giro del lazzaretto (1985), Moviola d’inverno (1992); Le finestre di Magritte (2000); Bouquet (2002), con versione in inglese di Donatella Margiotta; Conversazione Galante (2004); Un burberry azzurro (2008); Ritratto di Signora (2014): L’erba di Stonehenge (2016), In viaggio con Godot (2017) è in corso di stampa Registro di bordo. Ha pubblicato monografie e antologie di autori italiani del Secondo Novecento tra cui: Poeti nel Molise (1981), La poesia nel Molise (1981); Il segno e la metamorfosi (1987); Poeti molisani tra rinnovamento, tradizione e trasgressione (1998); Giose Rimanelli: da Alien Cantica a Sonetti per Joseph, passando per Detroit Blues (1999); La dialettica esistenziale nella poesia classica e contemporanea (2000); Carlo Felice Colucci – Poesie – 1960/2001 (2001); La poesia di Gennaro Morra (2002); La parola negata (Rapporto sulla poesia a Napoli (2004). È presente in Febbre, furore e fiele di Giuseppe Zagarrio (1983); Progetto di curva e di volo di Domenico Cara; Poeti in Campania di G.B. Nazzaro; Le città dei poeti di Carlo Felice Colucci;  Psicoestetica di Carlo Di Lieto e in Poesia Italiana Contemporanea. Come è finita la guerra di Troia non ricordo, a cura di Giorgio Linguaglossa, (2016). È presente nella Antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019

 

La nebbia aprì squarci.
Il dubbio era se il mese più corto dell’anno

avesse altre vendette.

 

Una solitaria tristezza prese la strada più lunga,

senza pigolii d’uccelli allo sbaraglio.

 

Fu un’antologia di chimismi lirici a portarci in ecstasy.

In nessun porto approdò l’hovercraft.

 

Ci fu al Berlitz World un memorial day

con uno spartito di Liszt dell’Accademia di Santa Cecilia.

 

Ogni argine è un approdo di pensieri.

Il jet lag finì con la melatonina.

 

Un barcaiolo aprì un varco

alle colombe in lutto.

 

A volte ci si incontra con i vecchi amici.

Qualcuno prepara piani di lettura.

 

-Per favore, sediamoci

ad ascoltare il Prefatore di questa sera!.-

 

-Cari signori,

vi parlo di un prologo e di un frammento,

senza leggere i capitoli su Diana Ross.-

 

Potrebbe essere, il doberman, questa volta,

a trovare il Santo Graal.

 

Ma non è stato Pietro da Sant’Albano

a citare:’Historia fratris Dulcini Heresiarche”?

 

Wall Street mi attrae più di New York

e della tomba di Marilyn.

 

Che ne dici di rifare le scorsaline

per la prossima estate?

 

Le orchidee sono sempre tristi

come le musiche di Regondi e Pujol.

 

Abbiamo dovuto bere il latte

per tornare all’infanzia.

 

Oggi le Gamma GT- (S/U)

sono andate al di là di ogni Off Limits.

 

L’uragano ha lasciato le strade deserte

e i marciapiedi divelti.

 

Dalla finestra all’ultimo piano fino all’Eurospin

c’è una distanza dove Jenny naviga a vista.

 

Giorgio Linguaglossa

 

Perché un poeta di oggi non può non essere sempre a contatto con l’immondizia

 

Provate a leggere questa poesia-polittico con la radio o il televisore accesi. Provate a leggerla in mezzo ai rumori del traffico qui di Roma, quando siete sull’autobus o nel taxi, o in mezzo ai rumori dei talk show della schermaglia politica. Allora capirete perfettamente cosa vuol dirci questa poesia, che è tutto rumore, rumore di sillabe e fonemi, di significati e significanti andati in disuso; le parole di Zanzotto mischiate a quelle di Salvini, le parole di Maria Rosaria Madonna mescolate con quelle di Di Maio o dell’ultima soubrette. Leggete bene. E penserete bene.

 

https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/11/17/mario-gabriele-poesie-scelte-da-in-viaggio-con-godot-progetto-cultura-2017-con-un-commento-impolitico-di-giorgio-linguaglossa/

 

Forse la poesia ha questo di buono, che di fronte allo stile delle notizie del TG con cui vengono scritti i libri di poesia oggidì, un distico di Mario Gabriele lo individueresti in mezzo a un milione di parole delle poesie che si scrivono oggi. Certo, penso che scrivere un distico come quello sotto riportato implica aver fatto un lungo viaggio dentro se stessi, essersi allontanato dall’io, anzi, averlo fatto sloggiare dal Sé, averlo sfrattato. Tutto quello che rimane dopo questo lunghissimo lavoro di sfratto, è la poesia. Ciò che resta è poesia. Ciò che resta è l’immondizia della nostra civiltà.

 

Perché un poeta è sempre a contatto con l’immondizia, con i rifiuti, con le discariche delle parole abbandonate come lattine di birra vuote. Un poeta, lo ripeto, può fabbricare le sue costruzioni soltanto con i materiali di risulta, con la spazzatura. Pensate un po’ quanta crudezza e oggettività si cela e si svela in questo distico, che è espresso nella forma di ammonimento ad una persona X, certa Dolin: che ricordarsi di te «è stato sfogliare un album/ con il rottweiler a guardia dei tuoi piercing». Forse si tratta di un distico d’amore, come si può amare oggidì nel nostro mondo, dove prima di amare si fa il calcolo del dare e dell’avere, di prendere e lasciare prima che arrivi il controllore o il cameriere con il conto da pagare dopo aver sbafato. Penso che Mario Gabriele non abbia mai scritto una poesia d’amore. Penso che non ne sia capace, l’amore esula dalle sue possibilità espressive, e anche dalla sua volontà.

 

Penso che mettere a confronto una poesia di Mario Gabriele con una di Paul Muldoon sia un esercizio utile. Quella di Muldoon è una poesia della vecchia ontologia estetica che commisura il conto da pagare con la quantità di cibo ingurgitato, quella di Mario Gabriele non fa calcoli di convenienza o di proporzionalità, lui scrive i suoi distici come si inanellano pensieri scurrili e cordiali ad un tempo, sordidi e derisori e nostalgici, ma di una nostalgia che giunge dopo un diluvio che non lascia nulla a cui aggrapparsi, ma solo rottami, spezzoni di una vita che fu.

 

Cara Dolin, ricordarti è stato sfogliare un album
con il rottweiler a guardia dei tuoi piercing.

 

 

Mario M. Gabriele

 

4 novembre 2019 alle 10:05

 

Condivido ciò che esprimi, caro Giorgio, anche perché i miei distici sono per lo più epigrafi provenienti dall’accumulo di storie catalogate nel Tempo, e le loro immissioni, come struttura portante: sono rinvenibili anche nel polittico, nelle diafanie e disfanie, come tratti specifici della mia esperienza quotidiana.Per questo mi riesce facile concepire una simile struttura sollecitata da te a suo tempo, rispetto alle mie narrazioni.

 

Sono schegge di storia umana e psichica, dove il tema dell’Amore è quasi inesistente, e laddove è presente con la citazione, è come sfogliare un album, rivitalizzando figure, oggetti, immagini luminose, ologrammi offuscati e ricomposti in carne e ossa,inclusi in un cerchio ridotto.

 

Ciò non vuol dire che io faccia poesia acrilica, anzi riporto lo spazialismo estetico e umano con un’ottica perforante dove trasferire il vero, senza tradirlo. Grazie del tuo intervento che assemblerò nel tuo Kit critico sulla mia poesia.

 

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

Marina Petrillo

 

Marina Petrillo è nata a Roma, città nella quale da sempre vive. Ha pubblicato il primo libro, Il Normale Astratto (1986) e, il secondo, nel 2019, materia redenta (Progetto Cultura, Roma). Poesie sono apparse su antologie e premi letterari, ultimo dei quali a Spoleto nel 2014 nell’ambito del Festival di Spoleto.

 

*

 

Dal “Vuoto” nasce la costola dell’”Assoluto Presente”. Apnea dello spirito in sommersa ampolla. Un alieno continente vive, non contemplato, nello stupendo inedito di Mario M. Gabriele. Un senso tardivo agli altri sensi, lento dipanare del cui filo il tutto regna a squarcio.

 

Morti vivi tragedie menzogne nascite , punti di connessione ed improvvise visioni. Amate Presenze e idiozia del pensiero. Essere nell’apocrifo giorno del non-giudizio dato dalla quotidianità. Non sapere nulla oltre il dolore giunto in diagonale. Nell’istante di rottura, fuoriuscire in altra forma e lì, inventare la parola. Verbo. Logos. Cercarla tra le lacrime e il loro vanto, mentre si vaga tra universi paralleli e forze potenti spingono verso la materia. Soli accecanti e luminescenze remote. Tardivi ricordi. Non essere più ciò che si è stati. Un buco nero feroce possiede, in apnea del sentire. Digiuno. Grazia. Il raggio evocato giunge ad impartire il suo giudizio:dal fasto, in necrologio della forma prossima al silenzio.

 

Si traccia a sua somiglianza
il pallido sorgere del sole.

 

Tace della natura il lascito
lunare e inciampa raggi annichiliti

da brividi albescenti.

 

Incerto sullo splendore, annida l’ombra

in emanante abbraccio e lì si abbandona.

 

Eterno è il suo momento

mai avvizzito dal ciclo delle divine stagioni.

 

Giorgio Linguaglossa

 

 

 T. W. Adorno

[…]
«già l’arte è inutile per gli usi dell’autoconservazione- e la società borghese non glielo perdonerà mai del tutto – e allora deve rendersi utile mediante una specie di valore d’uso, modellato sul piacere dei sensi. Così si falsifica, allo stesso modo di come si falsifica l’arte (…) il piacere sensoriale conserva qualcosa di infantile quando si presenta nell’arte in maniera letterale, intatta. Solo nel ricordo e nella nostalgia, non come copiato e come effetto immediato, esso viene assorbito dall’arte (…)»1]
[…]
«All’ontologia della falsa coscienza appartengono anche quegli aspetti nei quali la borghesia, che tanto liberò lo spirito quanto lo prese alla cavezza, accetta e gode, dello spirito, proprio ciò in cui non riesce completamente a credere – maligna anche contro se stessa. Nei termini in cui corrisponde ad un bisogno socialmente presente, l’arte è divenuta in amplissima misura un’impresa guidata dal profitto: un’impresa che prosegue finché rende e con la sua perfezione aiuta a superare l’inconveniente di essere già morta».1]

 

«L’oscuramento del mondo rende razionale l’irrazionalità dell’arte: essa è la radicalmente oscurata»1].

 

«Nel mondo disincantato il fatto arte è… uno scandalo, riflesso dell’incanto che il mondo non tollera. Ma se l’arte accetta tutto ciò senza lasciarsi scuotere, se si pone ciecamente come incanto, allora, contro la propria pretesa di verità, si abbassa ad atto di illusione e allora veramente si scava la fossa. In mezzo al mondo disincantato anche la più remota parola di arte, spogliata di ogni edificante conforto, suona romantica».1]

 

1] T.W. Adorno Ästhetische Theorie, Suhrkamp Verlag, Frankfurt, trad. it di Enrico De Angelis, Teoria estetica, Einaudi, 1975 pp. 21 e segg.

 

 

Paola Renzetti

 

Queste parole di Adorno, nella sua Teoria Estetica, sembrano scritte per noi. Un’ analisi lucida (viene forse da un altro mondo?) realistica, che non dovrebbe far dormire sonni tranquilli agli artisti. Niente conforti edificanti, niente illusioni. Non si rende un buon servizio, nell’adattarsi al valore d’uso dell’oggetto artistico, anche poetico. Un avvertimento opportuno a non cullarsi su piaceri estetici, ma a stare invece con occhi aperti e non rinunciare a una lettura critica dei fenomeni sociali e culturali. Chissà che l’arte (data per morta) non possa (dopo spogliazione) ritrovare una nuova rinascenza.

 

L’oscuramento del mondo rende razionale l’irrazionalità dell’arte ( razionale lo leggo come un addomesticamento, un asservimento più o meno consapevole ai poteri di oggi). Per l’arte non ci può essere destino peggiore, che non quello di una razionalità “orientata”, in un mondo oscurato.

 

 

Giorgio Linguaglossa

Tomas-Transtromer

 

 

Tomas Tranströmer

 

Entrammo. Un’unica enorme sala,
silenziosa e vuota, dove la superficie del pavimento era
come una pista da pattinaggio abbandonata.
Tutte le porte chiuse. L’aria grigia.

 
Un esempio indiscutibile di come sia mutata la percezione del mondo dell’uomo contemporaneo. Il quale guarda le cose con sguardo diretto, e non vede niente. Infatti, il poeta svedese impiega sempre lo stile nominale, chiama subito le cose in causa e, in tal modo, causa le cose, le nomina, dà loro un nome. Entra subito per la via sintattica più breve dentro la cosa da dire. Perché nel mondo totalmente oscurato non c’è più tempo da perdere. Nel mondo degli ologrammi penduli non c’è più spazio per gli argomenti in pro della colonna sonora. Nel mondo totalmente oscurato chi parla di Bellezza non sa che cosa dice, o è un imbonitore o è un falsario. Oggi il miglior modo per concludere una poesia è: «Tutte le porte chiuse. L’aria grigia.» Chiudere. Chiudere le finestre. Chiudere le porte. Sbarrare gli ingressi. Scrivere su un cartello, in alto, sopra la porta d’ingresso: «Tutte le porte chiuse. L’aria grigia.»

 

(Giorgio Linguaglossa)