Francesco Paolo Intini, Frammenti d’intonaco, Commento di Giorgio Linguaglossa, La questione della poiesis come positura di «significati», Verso una critica della economia poetica del segno

 Giorgio Linguaglossa

Francesco Paolo Intini (Noci, 1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016), Natomale (LetteralmenteBook, 2017), e Nei giorni di non memoria (Versante ripido, Febbraio 2019). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017).

 Giorgio Linguaglossa  Giorgio Linguaglossa

Francesco Paolo Intini

 

Frammenti d’intonaco

 

Le insegne si misero in proprio

La distruzione impersonò vecchie stive

 

trovò la via di fuga su petroliere al largo.

Riempire le strade di merletti indistruttibili.

 

Andava salvaguardato l’onore del zigrino

Troppi avannotti guastavano il buon nome dell’ Adriatico.

 

La marea divenne una superpotenza.

L’atomica in mano a rocce senza scrupoli.


 

Il sussulto non fu solo sotto i piedi

S’incamminò sulla via Appia e venne crocifisso.

 

A senso rivoltato corrisposero semi di quercia.

D’ora in poi si sarebbe camminato verso l’anno mille.

 

Il periscopio incontrò sé stesso

Occupare il posto dell’occhio era stato frustrante.

 

L’obbligo di vedere non era pari

al diritto d’essere osservato.

 

Partimmo nel 2020 ma non giungemmo mai al 1989.

Scomparse le tracce di Spartacus e dunque soltanto ambra.

 

A Hiroshima un attacco di panico

si trasformò in neutroni.

 

Intravvedemmo pallottole indietreggiare

Riversarsi nelle mitraglie. Biglie nelle buche.

 

Fu un risalire ad Archimede

Un cercare di capire dove fosse il suo compasso.


 

Non è che i gigli siano da meno

Si sta davanti a polline di piombo.

 

Piegare a verso, farne conferenza

Ubbidire al morso del calendario.

 

L’ordine arrivò che stavamo in trincea

Il gelo scaldava le bisacce.

 

Piovve un meteorite.

Ci dirottarono su un ciliegio.

 

Ambra e dentro formiche

In lotta contro un T-rex.

 

Avemmo tette per il caldo.

Allo zero sopravvisse l’inverno.



Le epoche iniziano dalle fiamme.

Piegare un vetro, soffiarci dentro.

 

Non tutte le mani danno ordini alle dita

Alcune tentennano perché amano lo smalto.

 

A volte capita di sedersi accanto

ad uno che ha mani nelle labbra.

 

Qualcuno scrive la coscienza

un lettore le parole



Il polpo s’è fatto capire

sullo stesso piano ventosa e colpo di genio



l’arte fa sesso sporco, la serva

ci mette la parola buona



Capire le traiettorie, assimilarle a versi

Una costante di Boltzman per parola.

 

Deriverà l’esistenza da qualche parametro

Ne trovammo tracce in un punto.


 

Il rosso riempì due mani e scrisse su un muro.

Una possibilità al bianco di diventare tigre.

 

Perché la misura era colma e non valeva sporcarsi

Per costruire uffici, appendere lenzuola.

 

Il sottopasso: quanto si era combattuto per un pertugio!

Ora due occhi scrutavano, di topo combattivo, in attesa di istruzioni.

 

Trovarono i depositi sguarniti. Nessuna difesa per il corallo

Il porpora riprendeva a combattere. Polmoni secchi e neve arida.

 

Con questa bisognava sopravvivere alle rigidità.

Chi gridava alla vigliaccheria non aveva mai vissuto.

 

Giorgio LinguaglossaGiorgio Linguaglossa 
Mario Lunetta e Agata Kristof

Il ragazzo sa cosa deve fare, non c’è nulla da dire o da contrattare. I gesti sono automatici e dunque non occorre un dialogo e nemmeno molta attenzione, tanto che continua a parlare sul cell con la sua ragazza mentre innesta il bocchettone della pompa del gas sul serbatoio. Apro la portiera e lascio che un po’ del mio Lolli invada la piccola area della colonnina del metano. All’improvviso l’attenzione si focalizza su di me, su quel brano che parla di borghesia. Qualcuno dall’interno del cell ha ascoltato e fatto risvegliare l’attenzione del ragazzo. Ho la netta sensazione di trovarmi in un esperimento dove l’esistenza umana è o non è, a seconda dell’osservatore. L’aspetto interessante è che questo avvenga indirettamente, come si trattasse di un gioco di biglie messe in moto da un suono la cui origine è remota, come la luce di un microscopio.

Poco lontano una grossa civetta appollaiata su un palo dell’ illuminazione, non sa nulla di fisica, ma vola via non appena capisce di essere osservata. Chissà se ha provato la stessa mia sensazione e che pallettoni lo hanno colpito. Non poteva sentire le parole né vedere i miei gesti e l’auto procedeva senza alcun segno di distinzione tra le tante.

 


 

Era Stalingrado conquistata, l’esploso di radice in marsina.

Fuoco germogliato nelle ossa.

 

Un bivacco di cemento divenne aghi e gemme

brace con l’occhio bianco davanti alla vetrina di un negozio di scarpe.

 

Esponeva il grigio, l’azzurro rattoppava i suoi camosci

Le narrazioni, le astronomie, i razzi tornati indenni da Orione

 

Erano trasformati in Volga.

Brindisi col nemico seduto in una ruga di corteccia.

 

Gli avvenimenti trovarono il delitto al loro interno.

L’entrata trionfale di Von Paulus.

 

Farfalle sulle gru emulavano geometri comunali.

Nella spinta all’universo il lebbrosario della coscienza.

 

Si trattava di negare la fuga alla gabbia di ferro

E rendere arancio un geco.

 

L’alba colmò di chiodi la buca del sole.

Il cuore di un notaio pompò linfa nei plinti blu.

 

 

Un clown dell’era in cui erano riconoscibili, sparò a Dio.

Piovve un puzzle incomponibile.

 

 

La prateria ricostruita su istruzione delle Erinni

Il cemento progettò un raccolto di indaco.

 

Il giallo dei panzer, attraversò le Ardenne,

giunse a Parigi.

 

Mantenne fede al giuramento.

Qualcuno volò sulla Sistina

 

Sostituì robinie a stipiti di zero Kelvin

Confiscò l’insegna a un Vinaio e ne fece vite.

 

L’aspirina di una Farmacia vergò parole di fico.

La cantina avrebbe salvato l’erba dai falsi d’autore.

 

Una trave tra i Cristi invocò un mantello trasparente

Imprecò contro il terrazzo sul pavimento.

 

 

Le lancette invertirono il passo cinese.

Capirono che si erano spinte troppo nell’intimo toro.

 

Girava linfa nel cuore di un notaio.

L’alba raggruppò i coriandoli nella buca del sole.

 

 

La costante rimanda a Trump,

L’algoritmo delle bombe.

 

L’albero della Libertà

e le istruzioni per risalire le Calabrie.

 

Si può avere buon gioco delle prestazioni.

Ci sono manette che scattano senza finanza.

 

Acciaio mai in prescrizione ribolle nella coscienza.

Ad un prisma la lettura analitica.

 

 

Murales aspirano a strisce pedonali.

Peones metropolitani e resti di libero arbitrio.

 

Alla fermata del carcere con qualche pelo sui timpani

Il falco dietro le sbarre a ricordarci che un giorno ne usciremo.

 

La neve sciolta del caffè illumina il barman.

Nell’ attesa un babbuino sbircia la cronaca nera.

 

Se c’è stato un caso di immortalità

è bene prendere provvedimenti.

 

 

L’aria del bar si gonfia di gesti viola. Donne gialle

Succhiano progetti finanziati, tramezzini e fine dell’età lavorativa.

 

Cucchiai ballano il tango con tazzine

il piedino sul bancone. Un licenziamento in discussione.

 

Ciascuno ha la sua vita operaia

E dunque inappropriato è il momento.

 

Un esercito di formiche diventa mano

Porta l’odore di caffè al Niagara.

 

Calcolo di frequenza associato al rumore del cuore.

Un gesto estremo, di una volontà decisa, passata per disgrazia.

 

Si parlerà greco all’assemblea di Austrolopitechi

Conferenza sul matrimonio infelice di Marge.

 

Cinetica e aspetti termodinamici

Del seme di crisantemo.

 

Homer spiega la cinetica dei gas.

 

 

Il DNA in bilico su due ruote.

Quando ha imparato a spacciarsi per simbolo?

 

Lo stesso giorno la rosa smise il sangue

e si fece scorrere dalla linfa di gazzella.

 

Il meccanismo tritò i chicchi di luna nera

Per farne desiderio e versarla tra le cosce.

 

 

Il finale tebano. La mossa varrà un premio Nobel

Trasformare, transformer, forse Tranströmer.

 

Calcolare la velocità. Il tracollo del Neon

Per decadenza dello stile.

 

Sotto cappa il taglio, un Bunsen acceso

Il capillare. Accecamento del Lume.

 

Nessuna delicatezza nel fare a pezzi.

Sangue di toro su spigoli vivi.

 Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa

La questione della poiesis come positura di «significati»

Per l’ermeneutica contemporanea, sapere è porre in luce significati a partire da presupposti che restano velati. Ogni «significato» (da intendersi in un senso molto ampio: concetto, definizione, interpretazione, rappresentazione, visione del mondo, teoria) si staglia su uno sfondo, ciò che l’ermeneutica chiama «pre-comprensione»: pregiudizi impliciti, tacite assunzioni, impressioni inavvertite, condizionamenti grammaticali, sociali e culturali che orientano e pre-determinano ogni nostra percezione e conoscenza del mondo. Gli oggetti e i contenuti del sapere sono dunque sempre storicamente determinati, relativi a categorie e paradigmi che ne forniscono la cornice invisibile e il contesto di senso implicito. Questa rete di rimandi e sottintesi, che costituisce la «pre-comprensione», non solo è ineliminabile ma è la condizione di possibilità della conoscenza in quanto tale: come non vi è figura senza sfondo, così non vi è significato, o contenuto di conoscenza che si stagli in piena luce se non a partire da un insieme di premesse sulle quali il nascente bagliore proietta la propria ombra.

Con l’ermeneutica, il sogno di una conoscenza priva di presupposti, in grado di esibire il fondamento, il proprio terreno di validità, si è dunque definitivamente infranto, portando a ridiscutere la natura e il senso del sapere stesso. L’esercizio del sapere viene si delinea, in accezione  heieggeriana, come uno svelare velando: la luce della ragione che, illuminando, svela è la stessa che getta l’oscurità dietro di sé, velando la propria origine e condizione di possibilità. Questo gioco di luce e ombra è, per l’ermeneutica, il modo in cui il sapere accade, è cioè il movimento di fuga, la dinamica stessa del conoscere. Anche l’esercizio della poiesis è iscritto nella stessa struttura: è un porre «significati», un mobilitare «significati» nuovi, uno smobilitare «significati» pregressi, un destituire «significati» costituiti.

Porre in luce dei «significati» a partire da presupposti che restano in ombra, le conclusioni che la poiesis mette in luce, proprio in quanto messe in luce, sono evidentemente un significato, il cui fondamento, retrocedendo sullo sfondo, non può essere esibito. Anche l’attività ermeneutica accade a partire dall’ombra e anche laddove essa volesse far luce dietro di sé, sulla propria zona in ombra, di nuovo, illuminando, proietterebbe l’ombra dietro di sé. Le conclusioni dell’ermeneutica si trovano dunque catturate entro la stessa dinamica che vorrebbero indicare e chiarire. Questo paradosso è la sfida che si pone al pensiero contemporaneo e con cui si trova a doversi confrontare la riflessione teoretica successiva a Heidegger.

Verso una critica della economia poetica del segno

Per esempio, il design moderno si struttura secondo relazioni metonimiche che rimandano ad una struttura semiotica del tutto priva di trascendenza metaforica e simbolica tipica della casa del premoderno. L’oggettistica passa da un significato di fondo ad una codificazione autoreferenziale basata esclusivamente sulla logica dei segni. L’interno degli appartamenti moderni, un tempo focalizzati verso il centro dalla presenza degli specchi e del focolare, perde la propria anima unitaria nella separazione delle unità frastiche di ogni stanza, perde il proprio battito cardiaco, il proprio significato metaforico profondo. Il battito segnato dal rintocco dell’orologio da muro del tempo antico del pre-moderno implicava il valore positivo della storia che si rifletteva nel successo sociale e simbolico della famiglia borghese. Nella casa moderna invece l’oggetto antico non significa il tempo reale, della storia, ma quello della storialità, il tempo della moda e del design, il tempo del cellulare. Qualsiasi trascendenza è abolita, sostituita da un gelo funzionale, freddo, asettico. È questa per esempio la logica di significazione dei colori nel design di interni, una logica di dierenze strutturali proprie del sistema stesso, una catena di significazione costruita sulla superficie dei segni.

Anche nella «nuova poesia» il sistema relazionale dei significanti non si struttura più secondo la logica della colonna sonora ma tende ad assumere la relazionalità tipica dei segni: la semantica tende a retrocedere a semiotica, a sistema di segni freddi e autoreferenziali. Questa economia politica del sistema poetico è qualcosa a cui la nuova poesia non può sottrarsi, anzi essa tende sempre più a posizionarsi in base al sistema raffreddato dei segni come l’habitat della storialità delle moderne società post-democratiche, in una sorta di spaesamento strutturale dei significanti che tendono a retrocedere a segni, a sistema semiotico. In quanto sistema semiotico è ovvio che in quest’ordine ogni tessera segnica può essere sostituita da un’altra tessera segnica. Cambiando gli addendi il risultato complessivo non cambia. La mancanza di senso del segno è così pienamente visibile. Analogamente, la mancanza di senso del sistema-poesia è reso evidente.